Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Note sul principio di solidarietà nel diritto comunitario (di Pieralberto Mengozzi, Associato di Diritto dell’Unione europea, Università “Alma Mater Studiorum” di Bologna)


L’A. analizza i diversi modi in cui il principio di solidarietà assume rilievo nell’ordi­namento comunitario distinguendo i casi in cui ad esso è fatto espresso riferimento nelle sue norme sostanziali rispetto a quelli in cui queste non vi fanno alcun richiamo. Evidenzia come la Corte di giustizia, anche nei primi casi, opponga resistenza alle pretese di vederlo applicato come un principio generale fonte diretta di diritti ed obblighi e ne tenga invece conto come elemento ispiratore di norme specificamente disciplinanti un determinato settore. In relazione al particolare riferimento fatto alla solidarietà tra Stati membri nell’art. 122 TFUE, l’A. illustra come la Corte lo abbia inteso alla luce dell’integrazione dell’attività dell’Unione con quella intergovernativa intervenuta all’epoca della crisi finanziaria dell’area euro. Lo ha, di conseguenza, applicato non in senso tradizionale, ma come fonte di un vincolo collettivo dell’UE e degli Stati membri di salvaguardare la stabilità dell’area euro. L’A. analizza, infine, la misura in cui il rilievo concreto che all’obbligo di solidarietà tra gli Stati membri per fare fronte ad afflussi improvvisi di cittadini di Paesi terzi è stato dato dalla procedura d’infrazione promossa in relazione alla sua violazione.

The A. considers the different ways according to which the principle of solidarity operates in the EU juridical order with reference to cases in which its rules expressly quote it and to cases in which its rules do not do it. He highlights that, even in the first cases, the Court withstands claims to apply it as a general principle directly providing for rights and obligations and, instead, takes it into consideration as inspiring the interpretation of specific rules applicable in a given case. With reference to the solidarity between Member States under art. 122 TFUE, the A. points up that the Court of Justice has construed it in the light of the coordination of the activity of the Union with intergovernmental initiatives undertaken with reference to the financial crisis of the euro area. In the light of that coordination the Court has applied the principle not in its traditional sense but as source of a collective obligation of the Union and of the member States to safeguard the euro area stability. The A., finally, analyses the extent to which the obligation of solidarity of the EU member States provided by art. 78 n. 3 and 80 TEU has got more relevance thanks to the infringement procedure recently promoted against three member States for their violation.

Keywords

Solidarity – ECSC Treaty – Interpretation in conformity – Emergency – Euro Area stability – Collective obligation – Sudden inflow of nationals of third-country.

 

SOMMARIO:

I. Il rilievo non uniforme attribuito al principio di solidarietà nel diritto comunitario - Il principio in questione e l’art. 61 del Trattato CECA - III. L’applicazione del principio a materie la cui disciplina non lo menziona: a) con riferimento alla libera circolazione dei cittadini degli Stati membri - IV. (Segue) e b) con riferimento al diritto della concorrenza - V. L’applicazione del principio in relazione ad una materia la cui disciplina fa ad esso un esplicito riferimento - VI. Il passaggio dall’applicazione del principio secondo un metodo comunitario ad una sua applicazione secondo un metodo detto dell’Unione - VII. Gli artt, 122 e 125 TFUE: il Trattato istitutivo del MES e il caso Pringle - VIII. Il divario tra la posizione presa al riguardo dal­l’Avvocato generale Kokott e la pronuncia della Corte di giustizia - IX. La peculiarità del­l’atteggiamento assunto dalla Corte di giustizia nel caso Pringle rispetto a quello assunto nel precedente caso Ferriera Valsabbia - X. L’applicazione del principio di solidarietà in casi in cui il diritto dell’Unione la impone in relazione a rapporti tra gli Stati membri - XI. La particolare procedura con cui sono state adottate le Decisioni 2015/1523 e 2015/1602 - XII. La sentenza adottata dalla Corte di giustizia il 2 aprile 2020 nella procedura d’infrazione promossa nei confronti dell’Ungheria, della Polonia e della Repubblica Ceca - XIII. (Segue) il rilievo dato al principio di solidarietà da quella procedura e la sua attenuazione risultante dal modo in cui dette Decisioni sono state adottate - XIV. La posizione assunta dall’Avvocato generale nel caso considerato nel precedente paragrafo e la pronuncia Polonia contro Commissione del Tribunale UE - XV. Il caso relativo alla politica energetica sottoposto al Tribunale e la qualificazione da esso data al principio generale di solidarietà come parametro della legittimità di un atto dell’Unione - XVI. (Segue) l’impugnazione della pronuncia davanti alla Corte ed i motivi avanzati a suo fondamento dalla Germania - NOTE


I. Il rilievo non uniforme attribuito al principio di solidarietà nel diritto comunitario

L’idea di solidarietà ha avuto un ruolo fondamentale nel processo storico che ha portato all’integrazione europea. Quando Robert Schuman, il 9 maggio 1950, ha rilasciato la sua celebre dichiarazione eravamo all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, che tante sofferenze aveva causato al nostro continente. Con tale dichiarazione egli ha prospettato la messa in comune del carbone e dell’acciaio, in un quadro europeo, tra la Francia, la Germania e gli altri Paesi che ha invitato ad unirsi per passare dal conflitto alla cooperazione. Anche se molto realisticamente ha indicato che l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme, ma sorgerà da realizzazioni concrete che creino, innanzitutto, una solidarietà di fatto. Ha configurato la solidarietà da realizzarsi nel tempo come il filo rosso, la prospettiva e l’anima del processo che si sarebbe necessariamente dovuto seguire. Il Trattato istitutivo della Comunità europea per il carbone e l’acciaio (CECA), che Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, dando seguito alle sollecitazioni di Robert Schuman, hanno adottato il 18 aprile 1951 (ed entrato in vigore il 23 luglio 1952), ha, nel suo Preambolo, ripreso questo concetto. Quei Paesi, anche se hanno certamente condiviso quell’idea, non hanno, però, in alcun modo qualificato quel Trattato come fonte diretta di diritti ed obblighi; e, peraltro, nell’estendere la propria cooperazione con il Trattato di Roma istitutivo della Comunità economica europea (CEE), si sono limitati a riprenderla per confermare a) la solidarietà che lega l’Europa ai Paesi d’oltremare e b) quella che li unisce alla popolazione di Berlino. L’hanno ripresa, in termini ancora una volta non precettivi, nel Preambolo del Trattato di Maastricht, in cui hanno dichiarato di desiderare di “intensificare la solidarietà tra i loro popoli rispettandone la storia, la cultura e le tra­dizioni” ed indicando, all’art. 2, che “la Comunità ha il compito di promuovere la solidarietà tra gli Stati membri”. Al principio di solidarietà si sono esplicitamente o implicitamente riferiti, oltre ai Trattati istitutivi, loro modifiche intervenute nel tempo ed atti delle istituzioni comunitarie. Lo hanno fatto in termini diversi a seconda del settore rispetto al [continua ..]


Il principio in questione e l’art. 61 del Trattato CECA

La prima precisazione del principio in parola si è avuta, sul piano giurisprudenziale, con la pronuncia che la Corte di giustizia ha reso il 18 marzo 1980 nella causa Ferriera Valsabbia ed al.c. Commissione [2]. Nel caso la Corte doveva pronunciarsi in relazione a ricorsi contro decisioni generali ed individuali stabilenti prezzi minimi che, per far fronte ad una crisi, in linea con gli obiettivi del Trattato CECA, l’art. 61 di quel Trattato a) attribuiva al­l’Alta Autorità il potere di adottare nei confronti di imprese del settore siderurgico e b) stabiliva la necessità di applicarle secondo il principio di solidarietà. I giudici di Lussemburgo hanno applicato quell’articolo rilevando che esso era espressione di una volontà degli Stati membri di rompere con il passato mettendo in comune le loro risorse e di garantirne a tutte le imprese operanti nei loro territori la più ampia e continua disponibilità. E sono arrivati a riconoscere che sulla base di esso le istituzioni della Comunità avevano potuto legittimamente limitare la produzione delle imprese più efficienti a vantaggio di quelle che non avevano provveduto per tempo al proprio am­modernamento. Facendo ciò hanno, sì, tenuto conto del fatto che la disposizione in questione si prefigge “di consentire alla Comunità di far fronte a situazioni di crisi economica applicando il principio” in questione, ma a questa affermazione non hanno attribuito un rilievo decisivo. Innanzitutto perché l’hanno compiuta in una sezione della loro pronuncia (la sezione 2) in cui hanno risposto ai ricorrenti contrastando una loro doglianza secondo cui le decisioni impugnate non erano compatibili con il “principio generale della solidarietà”: hanno rilevato che esse erano conformi con un distinto principio, “il principio di solidarietà” [3]; e, poi, perché hanno strettamente collegato quell’art. 61 con una serie di altre disposizioni con cui il Trattato CECA, dando esse luogo a situazioni giuridiche soggettive per le Istituzioni comunitarie, per gli Stati membri e per le imprese in esse operanti, – all’art. 3 prevedeva che le Istituzioni della Comunità, nell’esercizio dei poteri loro attribuiti, li debbano esercitare nell’interesse comune, – all’art. 49 stabiliva un sistema di [continua ..]


III. L’applicazione del principio a materie la cui disciplina non lo menziona: a) con riferimento alla libera circolazione dei cittadini degli Stati membri

Aldilà dei casi in cui il principio di solidarietà è espressamente citato nel contesto di norme costituenti la disciplina comunitaria di un determinato settore e rilevi come ispiratore o fonte di interpretazione di quelle norme, esso è stato preso in considerazione allo stesso titolo anche restando “behind the scenes”, cioè con riferimento a norme per cui i Trattati istitutivi o il legislatore comunitario non abbiano espressamente indicato che se ne dovesse tener conto nella loro applicazione. Ciò è accaduto con importante beneficio per Stati membri dell’area euro che, come vedremo in appresso, si sono venuti a trovare in forte difficoltà finanziaria dopo il fallimento della Lehman Brothers e, ancor prima, con riferimento a diritti vantati da un cittadino di uno Stato membro nei confronti di un altro Stato membro in cui si trovava come turista nel caso Cowan, nel quadro dell’esercizio della libertà di circolazione dei cittadini degli Stati membri ed in quello dell’applicazione del diritto comunitario della concorrenza nel caso Courage e Crehan. Nel quadro dell’applicazione della libertà di circolazione da parte dei cittadini degli Stati membri la Corte di giustizia, a seguito di una richiesta di pronuncia pregiudiziale da parte del Tribunale di Grande Istanza di Parigi, si è dovuta pronunciare il 2 febbraio 1989 [5], in relazione ad una richiesta di indennizzo da parte di un cittadino britannico, il signor Cowan, per un danno cagionatogli da un’aggressione di cui era stato vittima in Francia da parte di persone rimaste ignote. Il signor Cowan basava la sua richiesta sull’art. 706-3 del codice di procedura penale di quel Paese. Nella causa principale il Procuratore del Tesoro aveva eccepito che egli non possedeva i requisiti per ottenere un tale indennizzo in quanto detto articolo stabiliva che ne potessero fruire “solo le persone di cittadinanza francese o quelle di cittadinanza straniera che dimostrino di essere cittadine di uno Stato che ha concluso con la Francia un accordo di reciprocità per l’applicazione di dette norme e di possedere i requisiti stabiliti in detto accordo oppure di essere titolari del documento denominato tessera di residente”. Davanti alla Corte il signor Cowan aveva sostenuto l’incompatibilità di detti requisiti con il principio di non discriminazione sancito dal [continua ..]


IV. (Segue) e b) con riferimento al diritto della concorrenza

Una posizione non dissimile, nel quadro dell’applicazione del diritto della concorrenza, la Corte di giustizia ha preso con la sentenza che ha reso il 20 settembre 2001 nel caso Courage e Crehan [9]. In questo caso la Court of Appeal (England and Wales) (Civil Division) aveva chiesto alla Corte di giustizia di pronunciarsi in relazione ad una controversia tra la ditta Courage ed il signor Crehan, a cui la prima aveva affittato per un periodo di 20 anni un bar, impegnandolo ad acquistare in via esclusiva birra da essa fornita. La ditta Courage chiedeva al signor Crehan il pagamento di un importo corrispondente a forniture rimaste insolute. Il signor Crehan, per parte sua, contestava la fondatezza di tale richiesta sostenendo di essere stato costretto a fare quegli acquisti in quanto parte di una rete di baristi affittuari della Courage, a prezzi superiori a quelli praticati da quella società a bar estranei a quella rete e, quindi, in contrasto con l’allora art. 85 CEE; proponeva, di conseguenza, una domanda riconvenzionale di risarcimento danni. Il giudice a quo, nella sua ordinanza di rinvio, aveva fatto presente che il diritto inglese considera irricevibile un’azione di risarcimento danni promossa da una parte ad un contratto contrario alle norme relative al diritto della concorrenza perché non consente ai contraenti di un accordo illecito di esperire un’azione del genere nei confronti della controparte. Aveva, però, fatto presente, a fondamento principale del proprio rinvio, che, nella decisione Perma Life Mufflers Inc contro Int’l Parts Corp, la Suprema Corte degli Stati Uniti d’America, evidentemente intendendo che la parte ad un contratto più forte sia tenuta ad un atteggiamento di solidarietà nei confronti di quella più debole, aveva statuito che la seconda può, dato che si trova “in una situazione di inferiorità economica”, intentare un’azione di quel tipo. Per rispondere al giudice del rinvio la Corte si è necessariamente domandata se assumere o meno una posizione coincidente con quella della Corte Suprema U.S.A. Non poteva, ovviamente, ritenere che la sua autonomia le permettesse di seguire automaticamente quanto affermato dalla Corte statunitense; è allora partita da due premesse risultanti dalla sua precedente giurisprudenza secondo cui: “a) la piena efficacia dell’art. 85 del Trattato CEE […] [continua ..]


V. L’applicazione del principio in relazione ad una materia la cui disciplina fa ad esso un esplicito riferimento

L’attribuzione al principio di solidarietà di un rilievo giuridico si è posta in termini completamente diversi dopo l’istituzione dell’Unione Economica e Monetaria e l’operare, nel quadro dell’attuale Titolo VIII del TFUE, dell’art. 122 (come più tardi si è posta dopo l’introduzione nel Trattato di Lisbona della clausola di solidarietà di cui all’art. 222 TFUE e dell’art. 80 dello stesso Trattato, in relazione all’asilo ed all’immigrazione). L’art. 122 TFUE, fatte salve poche modifiche, riprende il par. 1 del soppresso art. 100 TCE, che trova il suo archetipo nell’art. 103 del Trattato di Nizza [12]. Quest’ultimo articolo prescriveva agli Stati membri di considerare la loro “politica di congiuntura” come una questione di interesse comune ed autorizzava il Consiglio ad adottare all’unanimità le misure “adatte alla situazione” anche in caso di “difficoltà sopravvenute nell’approvvigionamento di determinati prodotti”. L’art. 122 se ne distingue perché al primo comma prevede che il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure adeguate alla situazione economica, in particolare qualora sorgano gravi difficoltà nell’ap­prov­vigionamento di determinati prodotti, facendo specifico riferimento al settore dell’energia; e unanimemente si ritiene che debba applicarsi nello stesso spirito il secondo comma, secondo il quale, qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggano al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere, a determinate condizioni, un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato. Detto articolo è stato oggetto di particolare attenzione, innanzitutto per lo spirito di solidarietà tra Stati membri con il quale si ritiene debba essere applicato in tutti e due i suoi commi. Questa attenzione è stata, peraltro, acuita dal fatto che, a differenza delle decisioni di cui all’art. 100 del Trattato di Nizza, che dovevano essere prese al­l’unanimità, quelle prese ai sensi di detti commi possono essere prese a [continua ..]


VI. Il passaggio dall’applicazione del principio secondo un metodo comunitario ad una sua applicazione secondo un metodo detto dell’Unione

Il fatto che il Consiglio abbia adottato il Regolamento 407/2010, istitutivo del MESF, sulla base del secondo comma dell’art. 122 TFUE, trascurando di accertare accuratamente, come richiesto, le condizioni per la sua applicazione non è stato casuale. Eravamo all’indomani del fallimento della Lehman Brothers che imponeva di contenerne le ripercussioni avutesi in alcuni Stati membri dell’area euro per evitare conseguenze per la stabilità finanziaria dell’intera area. Si sono, allora, determinati una preoccupazione degli Stati membri di quell’area di provvedere al riguardo ed un avvertimento dell’inadeguatezza dell’Unione a farvi fronte. Si è dato seguito all’una ed all’altro in due modi: da un lato si è istituito d’urgenza quel meccanismo dotandolo di soli 60 miliardi di euro, in ragione delle ristrettezze del bilancio dell’Unione dovute alla mancanza di una competenza di questa in materia fiscale; d’altro lato si sono accompagnati all’operare di questo meccanismo interventi sul piano intergovernativo, concretati a) da accordi tra Stati membri dell’area euro, quali quello a prestare assistenza alla Grecia sino ad 80 miliardi di euro attraverso prestiti bilaterali, integrati dal Fondo Monetario Internazionale, comunicati alla Grecia il 7 maggio 2010 [16], b) da una decisione dei rappresentanti dei governi degli Stati membri di detta area, adottata in sede di Consiglio Ecofin del 9 maggio 2010, di istituire una società a responsabilità limitata di diritto lussemburghese, EFSF, incaricata anch’essa di mobilitare risorse fino a 440 miliardi di euro [17] e con la medesima finalità del MESF e c) dall’accordo internazionale con cui, come indicato, il 2 febbraio 2012 è stato promosso il Meccanismo Europeo di Stabilità, destinato a costituire una vera e propria organizzazione internazionale autonoma e permanente sul modello del Fondo Monetario Internazionale. Gli interventi a questo modo compiuti sul piano comunitario e su quello intergovernativo hanno segnato un momento importante del processo di integrazione europea ed in particolare del funzionamento dell’Unione Economica e Monetaria, caratterizzato dall’abbandono della “cultura del totale ottimismo”, secondo cui la realizzazione del mercato interno con l’istituzione di una moneta unica avrebbe assicurato una [continua ..]


VII. Gli artt, 122 e 125 TFUE: il Trattato istitutivo del MES e il caso Pringle

Il Trattato istitutivo del MES, che, come visto, è stato firmato il 2 febbraio 2012, è entrato in funzione l’8 ottobre dello stesso anno con una dotazione di 700 miliardi di euro ed è stato investito anche della funzione che era stata attribuita all’EFSF. A fronte di preoccupazioni circa la compatibilità con il diritto dell’Unione di questa nuova iniziativa, il Consiglio europeo, con decisione 2011/199 del 25 marzo 2011, ha promosso una procedura di revisione semplificata ai sensi dell’art. 48 TUE, al fine di introdurre nell’art. 136 TFUE un numero 3, a termini del quale “gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme” e “la concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta ad una rigorosa condizionalità”. Dato che il perfezionamento della modifica di detto art. 136 richiedeva l’approvazione da parte degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali, è stato avanzato, dal signor Pringle, un ricorso contro la vincolatività per l’Irlanda di detta decisione davanti ai giudici di quel Paese. Il problema della fondatezza di tale ricorso è pervenuto alla Corte suprema irlandese che, sospendendo il giudizio, ha avanzato una richiesta di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia. Nella loro richiesta i giudici irlandesi hanno domandato ai giudici del Lussemburgo di pronunciarsi sulla legittimità di detta decisione rilevando che questa, autorizzando gli Stati membri ad istituire un meccanismo del tipo di quello indicato, potrebbe considerarsi illegittima perché interpreterebbe estensivamente l’art. 125 TFUE e limiterebbe, di fatto, l’ambito di applicazione del par. 2 dell’art. 122 TFUE. Contemporaneamente le hanno domandato di esprimersi sull’esistenza di un diritto degli Stati membri dell’area euro di concludere un accordo internazionale quale quello istitutivo del MES.


VIII. Il divario tra la posizione presa al riguardo dal­l’Avvocato generale Kokott e la pronuncia della Corte di giustizia

Con riferimento a queste domande si è avuto un rilevante divario tra la presa di posizione dell’Avv. gen. Kokott e quella della Corte di giustizia che vale la pena di analizzare puntualmente perché, ispirandosi alla prima non si è mancato di sostenere che il principio di solidarietà costituisca un principio costituzionale rispetto a cui delle deroghe devono essere interpretate restrittivamente. Nella sua presa di posizione nel caso Pringle l’Avvocato generale si è espresso per l’esistenza di un diritto degli Stati membri dell’area euro di concludere e ratificare il Trattato MES valutando la lettura degli artt. 122 e 125 TFUE fatta dalla ricorrente nella causa principale e ripresa dai giudici del rinvio, secondo cui gli interventi previsti dalle norme del MES comporterebbero un subentro indiretto degli Stati parte a quel Trattato agli impegni di alcuni di essi. Lo ha fatto riferendosi all’obiettivo dell’art. 125 ed al tenore letterale e sistematico di quegli articoli nonché ai principi strutturali del­l’Unione europea. Quanto all’obiettivo dell’art. 125 ed all’interpretazione letterale e sistematica sua e del secondo paragrafo dell’art. 122 l’Avvocato generale ha indicato che a) il primo articolo è volto, quantomeno, ad impedire che uno Stato mem­bro dell’area euro faccia affidamento in un abbattimento dei propri debiti da parte degli altri Stati membri di quell’area, nonché ad indurlo a mantenere una politica di bilancio moderata e b) non si può desumere dal secondo paragrafo dell’art. 122 TFUE che il diritto dell’Unione vieti, al di fuori dei casi da esso previsti oltre a quello di cui all’art. 143 TFUE concernente la concessione di crediti a Stati membri la cui moneta non è l’euro, ogni concessione di prestiti tra Stati membri, in quanto un prestito non comprende l’accollo di impegni da essi contratti né il loro adempimento ed in quanto “nulla indica” che queste due disposizioni (il par. 2 dell’art. 122 e l’art. 143 TFUE) “debbano essere lette come eccezioni rispetto ad un divieto generale sancito dall’art. 125 TFUE”[23]. Passando ad analizzare la conformità di detta lettura alla luce dei principi strutturali portanti dell’Unione europea l’Avvocato generale si è riferito [continua ..]


IX. La peculiarità del­l’atteggiamento assunto dalla Corte di giustizia nel caso Pringle rispetto a quello assunto nel precedente caso Ferriera Valsabbia

Nel caso Ferriera Valsabbia la Corte, di fronte ad una crisi del settore siderurgico determinatasi negli Stati membri, ha fatto riferimento ad un obbligo collettivo, indicato al par. 2, delle imprese in esso operanti di subire l’esercizio da parte delle Istituzioni comunitarie, dei poteri di cui all’art. 61 CECA in nome del principio di solidarietà (l’ha fatto, vale la pena di ripeterlo, considerandolo non come un principio generale dell’Unione, ma come un principio consacrato dalle ragioni storiche e specifiche dell’istituzione della CECA e da una serie di disposizioni del suo trattato istitutivo, tra cui si inserisce detto art. 61 e considerandolo solo come la base ispiratrice specifica dell’insieme di dette disposizioni). Non è escluso che anche in Pringle, pure perché non poteva trascurare la presa di posizione del suo Avvocato generale, la Corte abbia potuto parallelamente pensare di basare la propria pronuncia sul principio di solidarietà (ispirandosi, per parte sua, all’art. 3, par. 4, TUE secondo cui l’Unione istituisce una Unione economica e monetaria la cui moneta è “l’euro”). Non si è basata su quel principio, però, evidentemente perché consapevole che le disposizioni di cui agli artt. 123 e 125 TFUE sono improntate all’idea di non solidarietà funzionale all’incentivazione di politiche di bilanci virtuosi degli Stati membri [29]. Ha, di conseguenza, letto quanto sancito dall’art. 125 come integrato nel senso che un’assistenza finanziaria ad uno Stato dell’area euro che si trovi in difficoltà sia possibile vincolando gli Stati di questa, e con essi gli organi del MES, che intendano procedervi, a farlo solo quando questa assistenza sia indispensabile per la salvaguardia dell’area.


X. L’applicazione del principio di solidarietà in casi in cui il diritto dell’Unione la impone in relazione a rapporti tra gli Stati membri

In un’accezione ben diversa il principio di solidarietà è previsto che operi per effetto del combinato disposto degli artt. 78 n. 3 ed 80 TFUE. Quei due articoli si collocano nel Capo 2, concernente le politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo ed all’immigrazione inseriti nel Titolo V sullo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, che nel quadro delle sue disposizioni generali, al n. 2 dell’art. 67 TFUE, stabilisce che l’Unione “sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere, fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei Paesi terzi”. Ai sensi del loro combinato disposto il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a favore di Stati membri che si vengono a trovare in una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di Paesi terzi” e lo deve fare seguendo “il principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario” [30]. Nel quadro di tale previsione l’Unione, con Regolamento (UE) n. 439/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, ha istituito l’Ufficio Europeo di Sostegno per l’Asilo (EASA) con il compito di rafforzare la cooperazione pratica nella materia, coordinando in particolare il sostegno operativo agli Stati membri i cui sistemi di asilo e di accoglienza siano sottoposti ad una pressione particolare [31]. In linea con la terminologia prudente che caratterizza la denominazione di questa agenzia e quella della Direttiva 2001/55/CE del Consiglio sulle norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell’equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze del­l’ac­coglienza degli stessi [32], sono state adottate nei confronti di Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca le Decisioni UE 2015/1523 [33] e 2015/1601 [34]. Queste decisioni, attuando concretamente il combinato disposto degli artt. 78 ed 80 TFUE in relazione alla situazione di crisi determinatasi nel 2015 nel Mediterraneo, hanno istituito misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia. Esse rivestono [continua ..]


XI. La particolare procedura con cui sono state adottate le Decisioni 2015/1523 e 2015/1602

Quanto alla procedura con cui le Decisioni 2015/1523 e 2015/1601 sono state adottate, come indicato nei considerando della prima decisione, il Consiglio a) ha esercitato il potere attribuitogli dall’art. 78 TFUE dopo che il 20 luglio 2015 è stata adottata per consensus una risoluzione dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio (consideran­do n. 11) e dopo aver ricevuto il 22 settembre 2015 la volontà e la disponibilità a partecipare da parte degli Stati membri alla ricollocazione di 120.000 persone in evidente bisogno di protezione internazionale (considerando n. 17) e b) (sempre nel considerando n. 17) ha precisato di avere “pertanto”, cioè in considerazione di queste due circostanze, “deciso di adottarle”. Non si può non condividere il rilievo che è stato avanzato [37], secondo cui il procedimento così seguito ha dato luogo ad un vero e proprio aggiramento del diritto primario concretato dal fatto che esso è stato sostanzialmente pro­mosso e posto in essere, sul piano intergovernativo, da Stati agenti non in quanto membri di un’Istituzione dell’Unione, come l’applicazione dell’art. 78 TFUE avrebbe richiesto, ma in quanto soggetti sovrani; e ciò è avvenuto nonostante nulla nel Capo 2 del Titolo V del TFUE lasci spazio a decisioni prese all’unanimità dal Consiglio e men che mai ad atti dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri riuniti in seno a quell’Istituzione.


XII. La sentenza adottata dalla Corte di giustizia il 2 aprile 2020 nella procedura d’infrazione promossa nei confronti dell’Ungheria, della Polonia e della Repubblica Ceca

Quanto al procedimento che ha portato alla pronuncia resa dalla Corte di giustizia il 2 aprile 2020, esso ha conosciuto un divario sul rilievo da attribuire al principio di solidarietà analogo a quello verificatosi, nel caso Pringle di cui sopra, tra la posizione presa nelle sue conclusioni dall’Avvo­cato generale Kokott e quella presa nella sua pronuncia dalla Corte di giustizia. Si trattava, in questo nuovo caso, di stabilire l’accettabilità della giustificazione avanzata dagli Stati convenuti in giudizio di non avere rispettato le Decisioni 2015/1523 e 2015/1601 per garantire il rispetto del loro ordine pubblico e la salvaguardia della loro sicurezza pubblica. Sia per l’Avv. gen. Sharpston che per la Corte di giustizia quelle giustificazioni non erano accettabili in quanto la loro applicazione non era espressamente prevista dalla disciplina della materia con riferimento alla quale erano invocate. L’Avvocato generale, nelle sue conclusioni del 31 ottobre 2019 [38], è partita dal dato dell’art. 2 TUE, secondo cui l’Unione si fonda sui valori comuni agli Stati membri, ha sostenuto che gli Stati convenuti avrebbero dovuto rispettare le decisioni in questione in quanto la solidarietà a) è “la linfa vitale del progetto europeo”, b) “attraverso la loro partecipazione a tale progetto e la cittadinanza del­l’Unione, gli Stati membri e i loro cittadini possiedono obblighi e benefici, doveri e diritti” e c) “implica, talora, l’accettazione della condivisione di oneri”[39], condivisione che “non equivale ad esaminare i Trattati ed il diritto derivato per verificare cosa si può rivendicare”[40], ma esige anche l’assunzione di responsabilità nonché di oneri (sì, oneri) per promuovere il bene comune e quindi si connota come principio generale del diritto dell’Unione [41]. La Corte di giustizia, per contro, ha ribadito quanto aveva già precisato il 6 settembre 2017 nella sua precedente pronuncia Repubblica slovacca ed Ungheria c. Consiglio [42] e ha ritenuto che quei due Paesi fossero stati legittimamente sanzionati in quanto avevano violato il principio di solidarietà non come principio generale del diritto dell’Unione ma come obiettivo specificamente perseguito dagli artt. 78 ed 80 TFUE.


XIII. (Segue) il rilievo dato al principio di solidarietà da quella procedura e la sua attenuazione risultante dal modo in cui dette Decisioni sono state adottate

Il fatto che, anche se non con la più ampia e generale importanza data dall’Avvocato generale al principio di solidarietà, la Corte sia pervenuta a sanzionare, nel quadro di una procedura d’infrazione, un atteggiamento di determinati Stati perché contrario all’obiettivo di solidarietà perseguito da sue specifiche norme, può apparire come un riconoscimento a quel principio di un rilievo giuridico particolare rispetto a quello riconosciutogli nei casi precedentemente analizzati [43]. La considerazione, però, di questo dato accanto all’altro, costituito dal modo in cui sono state adottate le decisioni che hanno costituito l’oggetto di detta pronuncia, attutisce però quell’apparenza. Si può, infatti, condividere l’opinione di chi ritiene che, sottraendo l’applica­zione del combinato disposto degli artt. 78. par. 3 ed 80 TFUE alla procedura comunitaria e sottoponendo la loro operatività ad una procedura sostanzialmente intergovernativa, si sia resa vacua la novità e la particolarità con cui il capo 2 del titolo V del Trattato di Lisbona intendeva, in materia di trattamento di rifugiati, dare rilievo al principio di solidarietà vincolando gli Stati membri indipendentemente da un loro consenso continuativamente rinnovato nel tempo [44].


XIV. La posizione assunta dall’Avvocato generale nel caso considerato nel precedente paragrafo e la pronuncia Polonia contro Commissione del Tribunale UE

Il fatto che, successivamente alla sentenza analizzata nel precedente paragrafo, al principio di solidarietà, grazie alla procedura d’infrazione svoltasi rispetto a sue violazioni, sia stato attribuito un rilievo giuridico particolare rispetto a quello riconosciutogli nei casi sopra considerati, lascia comunque sussistere un dato: la non attribuzione ad esso da parte della Corte di giustizia della qualifica di “principio generale” del diritto dell’Unione sostenuta nelle Conclusioni dell’Avv. gen. Sharpston. L’atteggiamento così chiaramente assunto dai giudici di Lussemburgo non si può, però, considerare definitivo. Il caso vuole che il 10 settembre 2019, poco tempo prima delle conclusioni dell’Avvocato generale, che datano 31 ottobre 2019, sia intervenuta, in senso ad esse conforme, una pronuncia del Tribunale dell’Unione europea che è stata impugnata [45], con la conseguenza che la Corte di giustizia dovrà tornare a pronunciarsi sull’argo­mento.


XV. Il caso relativo alla politica energetica sottoposto al Tribunale e la qualificazione da esso data al principio generale di solidarietà come parametro della legittimità di un atto dell’Unione

L’indicata pronuncia del Tribunale concerneva l’applicazione degli artt. 18 e 22 della Direttiva 2003/55/CE, divenuti poi, senza modifiche, 32 e 36 della Direttiva 2009/73/CE relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale [46]. Ai sensi del primo articolo “gli Stati membri garantiscono l’attuazione di un sistema di accesso dei terzi ai sistemi di trasmissione di trasporto e di distribuzione nonché agli impianti GNL, basato su tariffe pubblicate, praticabili a clienti idonei, comprese le imprese di fornitura, ed applicato obiettivamente e senza discriminazioni tra gli utenti del sistema”. L’art. 36, dal canto suo, prevede deroghe agli obblighi di accesso dei terzi applicabili, a determinate condizioni e per un periodo limitato, ad interconnettori, impianti GNL ed impianti di stoccaggio. La concessione di tali deroghe è di competenza delle autorità di regolazione nazionali [47] che, una volta ricevuta la relativa richiesta, devono adottare una decisione al riguardo e sono tenute a notificarla alla Commissione europea la quale, entro due mesi dalla sua ricezione, può confermarla o adottare una decisione che impone alle autorità di regolazione di rettificarla o revocarla. Il caso su cui il Tribunale è stato chiamato a pronunciarsi riguardava un ricorso con cui la Polonia chiedeva l’annullamento di una decisione della Commissione UE che, con lievi modifiche, confermava due decisioni del­l’Autorità dell’energia tedesca (BNetzA) le quali modificavano le condizioni di esenzione delle capacità di trasmissione di un gasdotto, il gasdotto OPAL – controllato principalmente da una società russa e da una società avente sede in Germania nella regione Renania Palatinato – consistente nella sezione interrata del gasdotto Nordstream 1, dall’applicazione delle norme sull’ac­cesso di terzi e delle norme tariffarie previste da detta direttiva. La decisione dell’Autorità tedesca modificava condizioni di deroga precedentemente concesse imponendo in capo al gestore della rete, la società OGT, di fornire almeno il 50 % della capacità del gasdotto OPAL attraverso vendita all’asta, neutralizzando il suo obbligo di assicurare un accesso a terzi ed incidendo, così, rilevantemente sugli interessi della Polonia e di altri Paesi dell’area, tra cui la Lettonia [continua ..]


XVI. (Segue) l’impugnazione della pronuncia davanti alla Corte ed i motivi avanzati a suo fondamento dalla Germania

Gli avvocati della Germania, avanzando i motivi del ricorso, non hanno in alcun modo considerato l’argomento del Tribunale, secondo cui il principio di solidarietà costituisce un principio generale del diritto comunitario; si sono solo riferiti al principio di solidarietà energetica ed hanno affermato che esso a) non costituisce un criterio giuridico da cui conseguono obblighi di agire per gli organi esecutivi, b) è, quale principio generale direttivo, soltanto un concetto di carattere politico, c) data la sua astrattezza ed indeterminatezza non è azionabile e d) trova applicazione esclusivamente in casi eccezionali e soltanto al ricorrere di rigorosi presupposti e non va preso in considerazione in occasione di ogni decisione della Commissione. Si sono, evidentemente, limitati a questo a) in ragione della circostanza che la Corte di giustizia non ha, sin qui, mai riconosciuto al principio in questione il carattere che gli ha attribuito il Tribunale con la pronuncia del 10 settembre 2019 e b) nella convinzione che la posizione della Corte al riguardo è talmente forte da non poter mutare in ragione di quella pronuncia. Ora, mentre quanto indicato sub a) è vero, la convinzione prospettata sub b) non ha fondamento. Non ha fondamento innanzitutto perché, se è legata ad una più precisa idea che la Corte non possa mutare la sua giurisprudenza in ragione di una pronuncia di un organo giurisdizionale ad essa inferiore, trascura la considerazione reciproca esistente tra le due giurisdizioni dovuta anche al fatto che molti dei membri dell’una provengono dall’altra. E poi, e soprattutto, perché non tiene conto del fatto che l’atteggiamento al riguardo della Corte di giustizia si è determinato a partire dal rilevante divario che nel caso Pringle si è avuto tra la sua pronuncia e le conclusioni dell’Avvocato generale Kokott, in relazione all’interpretazione delle disposizioni del titolo VIII del TFUE relativo alla politica economica e monetaria, in relazione cioè ad un titolo diverso, il titolo XXI del TFUE, relativo all’energia. Come rilevato particolarmente sopra, nel par. IX, nell’applicare le disposizioni del primo titolo la Corte doveva coordinare l’art. 122 TFUE con gli artt. 123 e 125 TFUE e non poteva trascurare il fatto che questi ultimi sono improntati ad un’idea di non solidarietà, funzionale [continua ..]


NOTE