Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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L'incidenza del genuine link nei rapporti tra cittadinanza statale e cittadinanza dell'Unione europea (di Simone Marinai, Professore associato di Diritto dell’Unione europea, Università di Pisa.)


Il genuine link è il criterio alla luce del quale nel presente contributo viene verificato se ed in quale misura possano essere riscontrate tendenze evolutive nei rapporti tra cittadinanza statale e cittadinanza dell’Unione. Ci si è chiesti, innanzitutto, se possa essere desunto dal diritto dell’Unione l’obbligo, per gli Stati membri, di attribuire la cittadinanza solo a quanti abbiano consolidato un collegamento effettivo con il territorio statale. È stato poi verificato se il diritto dell’Unione ponga limiti rispetto alla libertà degli Stati membri di prevedere, quale motivo di perdita della cittadinanza, l’assenza di un genuine link. Il genuine link è stato infine preso in considerazione sia quale requisito per l’applicazione ai cittadini dell’Unione del principio di non discriminazione rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante, sia in funzione dell’estensione a cittadini di Stati terzi di determinati diritti propri dei cittadini dell’Unione, così da spingere verso l’affermazione di uno statuto di residenza tale da consentire, in prospettiva futura, il superamento del rilievo attribuito alla cittadinanza statale.

The role of a Genuine Link on the Relationship between State Nationality and European Citizenship

The contribution explores evolutionary trends in the relationship between state nationality and European citizenship, which have been examined in light of the genuine link criterion. It was questioned whether it can be inferred from EU law that Member States are obliged to confer their nationality only on those who have established a genuine link with state territory. Moreover, it was assessed whether EU law imposes limits on the freedom of Member States to provide that the absence of a genuine link may represent a ground for loss of nationality. The criterion was also considered as a requirement for the application to European citizens of the principle of non-discrimination with respect to nationals of the host Member State. Finally, it was evaluated how the criterion at hand could be used to extend certain rights of European citizens to third-country nationals, aiming to promote the affirmation of a residence status that, in the future, could diminish the significance placed on state nationality.

SOMMARIO:

I. Premessa. - II. Il genuine link quale limite di diritto dell’Unione europea rispetto alla libertà statale in materia di determinazione delle condizioni di concessione della cittadinanza statale? - A) Una panoramica sulle legislazioni nazionali che attribuiscono la cittadinanza in mancanza di genuine link. - B) Il rischio di una eccessiva erosione della sovranità statale e del conseguente stravolgimento della natura della cittadinanza dell'Unione - C) Gli elementi ricavabili da un confronto tra i programmi di vendita della cittadinanza da parte di Stati terzi e quelli posti in essere da parte degli Stati membri. - III. La perdita della cittadinanza statale in mancanza di genuine link. - IV. Il collegamento effettivo quale requisito per l’applicazione del principio di non discriminazione rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante. - V. L’integrazione sul territorio dello Stato membro come elemento in grado di spingere verso la creazione di uno statuto di residenza tale da attenuare il criterio differenziatore rappresentato dalla cittadinanza. - VI. Considerazioni conclusive. - NOTE


I. Premessa.

Oggetto della presente indagine è il ruolo svolto dal genuine link quale elemento alla luce del quale verificare se ed in quale misura possano essere riscontrate tendenze evolutive nei rapporti tra cittadinanza statale e cittadinanza dell’Unione europea. Il genuine link, ovvero il collegamento effettivo dell’individuo con un determinato territorio, è un fattore che è stato ampiamente discusso in materia di cittadinanza, soprattutto a partire dal celebre caso Nottebohm, oggetto della sentenza della Corte internazionale di giustizia del 6 aprile 1955 [1]. La portata della pronuncia, peraltro, deve essere circoscritta sulla base della considerazione che la Corte dell’Aja, a ben vedere, non ha affermato che il genuine link possa essere considerato un limite rispetto alla discrezionalità degli Stati di stabilire i criteri di acquisto della cittadinanza. Piuttosto, le conseguenze che nell’occasione vennero ricondotte all’ipotesi di attribuzione della cittadinanza ad un individuo privo di legami effettivi con lo Stato, riguardano l’impossibilità, per quest’ultimo, di far valere tale cittadinanza nei rapporti esterni con altri Stati e, in particolare, in funzione dell’esercizio di una azione in protezione diplomatica a tutela dell’indi­vi­duo medesimo. A ciò si aggiunga, poi, che una simile conclusione neppure può dirsi consolidata. Va ricordato, infatti, che la Commissione del diritto internazionale, in occasione dell’adozione del Progetto di articoli sulla protezione diplomatica adottato nel 2006, ha precisato che il collegamento effettivo o genuino tra lo Stato e il proprio cittadino non può essere considerato un presupposto necessario per l’esercizio della protezione diplomatica [2]. Per quanto riguarda l’ordinamento giuridico dell’Unione europea, riferimenti al tema della cittadinanza effettiva sono rinvenibili nella giurisprudenza della Corte di giustizia. Particolarmente noto è, ad esempio, il caso Micheletti [3], in relazione al quale l’Avvocato generale Tesauro, nelle sue Conclusioni motivate, ha affermato chiaramente che uno Stato membro non può rifiutarsi di riconoscere la cittadinanza attribuita da altro Stato membro nel caso in cui essa sia stata concessa senza che l’interessato avesse sul territorio di quest’ultimo la sua dimora abituale o la sua residenza [continua ..]


II. Il genuine link quale limite di diritto dell’Unione europea rispetto alla libertà statale in materia di determinazione delle condizioni di concessione della cittadinanza statale?

La necessità di un legame effettivo tra l’individuo e lo Stato che attribuisce la cittadinanza è stata affermata, da parte delle istituzioni dell’U­nione, nell’ambito dell’attività di monitoraggio svolta in relazione ai programmi di cittadinanza che, negli ultimi anni, alcuni Stati membri dell’U­nione europea hanno avviato a favore di stranieri disponibili a corrispondere loro ingenti somme di denaro o altre utilità (c.d. acquisto ius pecuniae)[8]. In particolare, Bulgaria, Cipro e Malta hanno introdotto, nei rispettivi ordinamenti giuridici, disposizioni che consentono la concessione della cittadinanza agli investitori stranieri a condizioni meno rigorose rispetto a quelle imposte dai regimi ordinari di naturalizzazione. A seguito dell’avvio di procedure di infrazione da parte della Commissione europea, Cipro ha abrogato nel 2020 il suo programma di cittadinanza per investitori e, dal 2021, ha iniziato a revocare le cittadinanze in questo modo già concesse. La Bulgaria ha abolito il proprio programma nel 2022. Malta, invece, ha continuato a concedere la cittadinanza sulla base di investimenti, ritenendo la propria condotta in linea con il diritto dell’Unione ed ha così spinto la Commissione a presentare di fronte alla Corte di giustizia il già citato ricorso per infrazione. Nell’ambito di quest’ultimo, la Commissione ha sostenuto che il diritto dell’Unione europea vieta regimi che consentono la concessione sistematica della cittadinanza di uno Stato membro in cambio di pagamenti o investimenti predeterminati, in assenza di un vincolo effettivo tra lo Stato e gli individui in questione. Secondo la Commissione, infatti, Malta, istituendo e mantenendo tale regime, starebbe minando l’essenza e l’integrità della cittadinanza dell’Unione europea in violazione dell’art. 20 TFUE e del principio di leale cooperazione sancito dall’art. 4, par. 3, TUE. È lecito peraltro domandarsi quale sia l’essenza della cittadinanza del­l’Unione europea e, più specificamente, per quanto rileva ai fini dell’inda­gine qui svolta, occorre riflettere se sia corretta l’affermazione secondo cui l’essenza della cittadinanza dell’Unione si basa su un collegamento effettivo dell’individuo con il territorio di uno Stato membro. In proposito, è possibile muovere [continua ..]


A) Una panoramica sulle legislazioni nazionali che attribuiscono la cittadinanza in mancanza di genuine link.

Per poter comprendere se la concessione della cittadinanza di uno Stato membro in assenza di genuine link sia, di per sé, contraria al diritto dell’Unione, appare opportuno preliminarmente compiere un’indagine di carattere comparato sulle legislazioni nazionali dei singoli Stati membri in materia di cittadinanza. Dall’esame di queste ultime emerge, innanzitutto, la ricorrente previsione della concessione della cittadinanza per naturalizzazione a seguito della residenza prolungata sul territorio statale per un certo numero di anni [9]. Il periodo, nelle diverse normative nazionali, varia prevalentemente da 5 a 10 anni. La residenza prolungata è considerata uno dei più significativi indici di integrazione dell’interessato all’interno della comunità nazionale. In proposito, deve osservarsi che normalmente gli Stati membri richiedono che la residenza sia legale. Ciò non significa però che venga sempre pretesa anche la presenza fisica e continuativa dell’interessato sul territorio [10]. In molti casi, poi, nelle legislazioni degli Stati membri viene prevista la naturalizzazione a condizioni agevolate a fronte di situazioni in cui il requisito del legame effettivo è attenuato. Si pensi, ad esempio, alle legislazioni che consentono l’acquisto della cittadinanza per matrimonio senza previa residenza dell’interessato sul territorio. Questo avviene, in particolare, nella legislazione italiana che consente allo straniero e all’apolide, coniuge di cittadino italiano, di acquistare la cittadinanza dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all’estero [11]. Oppure, si pensi a quelle legislazioni statali che contemplano ipotesi di concessione della cittadinanza sulla base di determinate motivazioni di carattere storico. È possibile richiamare in proposito la legislazione spagnola [12] o quella portoghese [13], in base alle quali viene consentito l’acquisto della cittadinanza agli ebrei sefarditi che vennero espulsi dalla penisola iberica alla fine del XV secolo. Quale caso particolarmente noto di applicazione di simili normative, può essere ricordato quello del magnate russo Roman Abramovich che nel 2021, in virtù delle sue origini ebraiche sefardite, ha acquistato la cittadinanza portoghese e quindi dell’Unione europea [14]. Ulteriore esempio di conferimento della cittadinanza a [continua ..]


B) Il rischio di una eccessiva erosione della sovranità statale e del conseguente stravolgimento della natura della cittadinanza dell'Unione

La panoramica appena compiuta in relazione alle legislazioni statali in materia di cittadinanza mostra che non sono pochi i casi in cui gli Stati membri prevedono ipotesi di naturalizzazione senza che il beneficiario abbia necessariamente instaurato un collegamento effettivo con il territorio statale. Se, quindi, la Corte di giustizia accogliesse l’argomento sostenuto dalla Commissione nell’ambito del citato ricorso per infrazione proposto contro lo Stato maltese, in base al quale l’assenza di un legame effettivo nei programmi di cittadinanza per investimento è tale da minare l’essenza e l’in­tegrità della cittadinanza dell’Unione europea, si aprirebbe la strada alla possibilità di sindacare, per motivi analoghi, molte altre legislazioni statali che prevedono la naturalizzazione senza richiedere il genuine link. Così facendo, peraltro, si rischierebbe di erodere eccessivamente la sovranità statale, omettendo di considerare che la determinazione dei criteri di acquisto della cittadinanza statale continua ad essere riservata agli Stati membri. Certo, tali criteri non devono contrastare con il diritto dell’Unione, ma è assai dubbio che il requisito del genuine link possa essere considerato imposto da una qualche norma o principio di diritto dell’Unione. Imponendo agli Stati membri di attribuire la cittadinanza solo a condizione di rispettare il requisito del genuine link, si rischierebbe poi di violare l’identità nazionale degli Stati membri (art. 4, par. 2, TUE) di cui la composizione della comunità nazionale costituisce indubbiamente un elemento essenziale [23]. La tesi sostenuta dalla Commissione è certo affascinante, ma difficilmente a nostro avviso potrà essere accolta [24]. Qualora, infatti, fosse imposto ai singoli Stati membri di assicurare in ogni caso il rispetto del genuine link al momento di stabilire i criteri di concessione della propria cittadinanza, quale condizione necessaria per assicurare il rispetto del diritto dell’Unione europea, probabilmente si produrrebbe una modifica della natura stessa della cittadinanza dell’Unione europea. La cittadinanza dell’Unione, cioè, cesserebbe di avere soltanto natura derivata rispetto alla cittadinanza statale ed acquisirebbe caratteri propri, del tutto autonomi rispetto alla cittadinanza degli Stati membri, tali cioè da potersi [continua ..]


C) Gli elementi ricavabili da un confronto tra i programmi di vendita della cittadinanza da parte di Stati terzi e quelli posti in essere da parte degli Stati membri.

Ulteriore argomento in grado di smentire che l’assenza del genuine link nei programmi di concessione della cittadinanza sulla base di investimenti contrasti con l’essenza della cittadinanza dell’Unione, può a nostro avviso essere ricavato mediante un parallelismo con i programmi di vendita della cittadinanza posti in essere da parte di alcuni Stati terzi. Bisogna ricordare, in proposito, che la Commissione europea, negli ultimi anni, nell’ambito del monitoraggio svolto, da una parte, nei confronti dei Paesi candidati ad aderire all’Unione e, dall’altra, nei confronti dei Paesi terzi a favore dei quali vige un regime di liberalizzazione dei visti, ha iniziato a rivolgere la propria attenzione sulle legislazioni con cui alcuni di tali Stati terzi concedono la propria cittadinanza sulla base di investimenti [30]. La Commissione ha in particolare fatto pressione al fine di far cessare programmi di questo tipo avviati (o comunque programmati) dall’Albania [31], dalla Macedonia del Nord [32], dal Montenegro [33], dalla Serbia [34], oppure da alcuni Paesi dei Caraibi. Tra gli Stati candidati all’adesione si richiama più specificamente il caso della Macedonia del Nord che consente, nella propria legislazione, l’acqui­sto della cittadinanza a favore di individui che, indipendentemente dalla previa residenza sul territorio statale, rappresentino un interesse economico speciale per il Paese. Anche se tale normativa non consente in modo sistematico la concessione della cittadinanza sulla base di investimenti, la Commissione ha ritenuto che la procedura in questione possa aggirare la procedura per la concessione dei visti di breve durata e la connessa valutazione approfondita dei rischi migratori e per la sicurezza. Per questo motivo, la Commissione ha raccomandato alla Macedonia del Nord di astenersi dal concedere su queste basi la cittadinanza. Con riferimento invece ai Paesi caraibici, particolare attenzione è stata rivolta dalla Commissione nei confronti della legislazione introdotta da Vanuatu [35]. Quest’ultimo, fin dal 2015, quasi contemporaneamente alla firma di un accordo di esenzione dal visto con l’Unione europea, ha avviato un programma di cittadinanza per investitori, mediante il quale ha concesso la propria cittadinanza ad un numero elevato di richiedenti. Tale programma si caratterizzava per la mancanza dell’obbligo di [continua ..]


III. La perdita della cittadinanza statale in mancanza di genuine link.

La Corte di giustizia ha avuto di recente la possibilità di tornare ad occuparsi dei limiti posti dal diritto dell’Unione europea rispetto alla libertà degli Stati di determinare i criteri di perdita della cittadinanza. La problematica, sviluppata nella giurisprudenza formatasi nei casi Rottmann [42], Tjebbes [43], JY c. Wiener Landesregierung [44], è stata oggetto della già citata sentenza X del 5 settembre 2023 [45]. Nell’occasione, la Corte si è pronunciata a seguito di un rinvio pregiudiziale nel quale veniva in considerazione la normativa danese che prevede – salvo disporre particolari cautele per evitare di creare nuovi apolidi – la perdita della cittadinanza statale per le persone nate all’estero che non hanno mai risieduto sul territorio nazionale, che non vi hanno soggiornato in condizioni indicanti un legame di coesione con la Danimarca e che non hanno fatto richiesta di mantenimento della stessa cittadinanza entro il compimento dei 22 anni di età. Il procedimento principale era stato in particolare introdotto di fronte al giudice danese da parte di una ragazza (sig.ra X), in possesso anche della cittadinanza statunitense, che aveva impugnato la decisione con cui era stata informata della perdita della cittadinanza danese. Nello specifico, l’interessata, nata negli USA, non aveva mai risieduto in Danimarca e non vi aveva mai soggiornato in condizioni tali da consentirle di instaurare un legame di coesione con tale Stato. Risulta infatti che la ragazza aveva trascorso in Danimarca soggiorni per un totale di 44 settimane prima del raggiungimento dei 22 anni di età e solo dopo il compimento dei 22 anni di età aveva presentato domanda di mantenimento della cittadinanza danese. Il caso oggetto della pronuncia in questione offre la possibilità di valutare il rapporto intercorrente tra le legislazioni nazionali che dispongono la perdita della cittadinanza statale in mancanza di genuine link e le particolari cautele imposte dal diritto dell’Unione qualora la perdita della cittadinanza statale comporti anche la perdita della cittadinanza dell’UE. Ci si può chiedere innanzitutto se sia legittimo che uno Stato membro disponga la perdita della cittadinanza nei confronti di coloro che non abbiano mantenuto legami effettivi con il territorio dello Stato medesimo. La Corte di giustizia, riprendendo la propria precedente [continua ..]


IV. Il collegamento effettivo quale requisito per l’applicazione del principio di non discriminazione rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante.

È ormai consolidata, nella giurisprudenza della Corte di giustizia, l’affermazione secondo cui un cittadino dell’Unione, che risiede legalmente nel territorio di uno Stato membro ospitante, può avvalersi del principio di non discriminazione in tutte le situazioni che rientrano nel campo di applicazione del diritto dell’Unione[53]. Proprio il fatto che un cittadino dell’Unione si sia avvalso della libertà di circolazione consente di ritenere che la situazione dello stesso ricada nel­l’ambito di applicazione dei Trattati, con la conseguente operatività del divieto di discriminazione in base alla nazionalità, oggi sancito in termini generali dall’art. 18 TFUE [54], oltre che dall’art. 21 della Carta. Il principio di non discriminazione tende ad evitare che, nell’ambito del diritto dell’Unione, situazioni che possono essere considerate tra loro comparabili vengano trattate in modo diverso e, viceversa, situazioni diverse vengano trattate in modo analogo. In dottrina è stato affermato che il principio in questione consente, almeno all’interno dell’Unione e con riferimento ai cittadini dell’Unione, di abolire il concetto stesso di cittadinanza [55]. A bene vedere, emerge però dalla giurisprudenza della Corte che, affinché la situazione di un cittadino di altro Stato, che abbia esercitato la libertà di circolazione sul territorio dell’Unione, possa essere considerata comparabile con quella di un cittadino dello Stato membro ospitante, è spesso ritenuto rilevante l’accertamento dell’esistenza di un collegamento effettivo tra l’interessato e il territorio di quest’ultimo. Un sufficiente livello di integrazione è in linea di principio dimostrato dai cittadini di uno Stato membro che hanno avuto accesso al mercato del lavoro dello Stato membro ospitante. Il nesso di integrazione risulta, in tali circostanze, dal fatto che i lavoratori migranti, con i versamenti fiscali a favore dello Stato membro ospitante che derivano dall’attività retribuita che esercitano, contribuiscono anche al finanziamento delle politiche sociali di detto Stato [56]. Tali soggetti, quindi, devono potersi avvalere del principio di parità di trattamento rispetto ai lavoratori dello Stato membro ospitante, anche con riferimento ai vantaggi di natura sociale. Quando, invece, [continua ..]


V. L’integrazione sul territorio dello Stato membro come elemento in grado di spingere verso la creazione di uno statuto di residenza tale da attenuare il criterio differenziatore rappresentato dalla cittadinanza.

Abbiamo osservato che il progressivo rafforzamento dei legami del cittadino dell’Unione con il territorio e con la società di un diverso Stato membro ospitante è requisito in grado di favorire una piena equiparazione rispetto ai cittadini di quest’ultimo[70]. Analogamente, anche con riferimento ai cittadini degli Stati terzi, la residenza degli stessi sul territorio dell’UE è un fattore che consente di estendere loro alcuni dei diritti di cui godono i cittadini dell’Unione. La prolungata presenza fisica dell’interessato sul territorio di uno Stato membro può infatti rappresentare un elemento idoneo a diminuire il rilievo del criterio soggettivo costituito dalla cittadinanza. È espressione di questa logica la direttiva 2003/109 sui soggiornanti di lungo periodo, che riconosce ai cittadini di Stati terzi che abbiano trascorso sul territorio di uno Stato membro un periodo di residenza legale e continuativa per cinque anni, diritti che consentono di equiparare gli stessi, sotto molti punti di vista, ai cittadini del Paese ospitante [71]. In particolare, la direttiva in questione prevede la parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante con riferimento: all’esercizio dell’attività lavorativa subordinata o autonoma; alle condizioni di assunzione e di lavoro; all’istruzione ed alla formazione professionale, compresi gli assegni scolastici e le borse di studio; al riconoscimento di diplomi, certificati ed altri titoli professionali; alle prestazioni sociali, all’assistenza sociale ed alla protezione sociale; alle agevolazioni fiscali; all’accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico incluso la procedura per l’ottenimento di un alloggio; alla libertà di associazione; al libero accesso a tutto il territorio dello Stato membro ospitante. Per alcuni di tali ambiti (ad esempio, per le prestazioni sociali), peraltro, gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento ai casi in cui il soggiornante di lungo periodo, o il familiare per cui viene chiesta la prestazione, ha eletto dimora o risiede abitualmente nel loro territorio. Ciò, a dimostrazione ulteriore che il collegamento effettivo con il territorio impedisce di introdurre deroghe rispetto all’esigenza di assicurare ai cittadini degli Stati terzi soggiornanti di lungo periodo lo stesso trattamento di cui godono i cittadini [continua ..]


VI. Considerazioni conclusive.

Nel corso dell’indagine, il rilievo che può assumere il criterio del genuine link, ovvero del collegamento effettivo con il territorio o la società di uno Stato membro, è stato evidenziato sotto diversi punti di vista. L’obiettivo che ci eravamo posti era quello di verificare se, e in quale modo, il requisito del genuine link possa incidere sul rapporto tra cittadinanza statale e cittadinanza dell’Unione. Le indicazioni ricavate sono eterogenee e variano in ragione dei diversi ambiti presi in considerazione. Innanzitutto, con riferimento alla possibilità di sindacare, alla luce del diritto dell’Unione, la scelta di uno Stato membro di concedere la propria cittadinanza in mancanza di genuine link, abbiamo osservato che, qualora si affermasse che il diritto dell’UE impone di concedere la cittadinanza solo in caso di collegamento effettivo, si aprirebbe la strada al sindacato su molte legislazioni nazionali [83]. Si rischierebbe, così facendo, di erodere eccessivamente la sovranità statale e di violare l’identità nazionale degli Stati membri. Allo stesso tempo, imporre agli Stati membri il requisito del genuine link, produrrebbe, indirettamente, anche una modifica della stessa natura della cittadinanza dell’UE, cosa che, invece, a nostro avviso, è possibile solo mediante una revisione dei Trattati istitutivi. Con questo, non vogliamo affermare che i programmi di concessione della cittadinanza per investimento non debbano o non possano essere sindacati. Si può, infatti, dubitare che gli stessi rispettino il principio di leale cooperazione anche in considerazione del disvalore di tali pratiche che implicano, di fatto, una “mercificazione” [84] della stessa cittadinanza dell’Unione. Il disvalore è certo acuito dall’assenza di genuine link, ma non può ritenersi che, in ogni caso, la cittadinanza concessa in mancanza di un collegamento effettivo con il territorio sia da censurare. Abbiamo osservato che il sindacato svolto dalle istituzioni dell’Unione nei confronti dei programmi di cittadinanza per investimento non viene compiuto solo quando è in gioco la cittadinanza dell’Unione. Da tale prassi, relativa ai programmi avviati dagli Stati terzi, candidati all’adesione all’U­nione europea o con i quali sono stati conclusi accordi di esenzione dal visto, emerge che [continua ..]


NOTE