Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Da Taricco a Lexitor: un cambio di passo nel cammino comunitario della Corte costituzionale? (di Filippo Donati: Professore ordinario di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Firenze)


Dopo un periodo di forte difesa del proprio ruolo di garante dei diritti fondamentali nei confronti del diritto dell’Unione europea, la Corte costituzionale ha inaugurato un nuovo orientamento giurisprudenziale basato sul dialogo e sulla cooperazione con la Corte di giustizia attraverso l’utilizzo del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. L’ar­ticolo offre un’analisi critica di tale giurisprudenza.

From Taricco to Lexitor: something new in the Constitutional Court’s case-law concerning European integration?

Following a season of strong defence of its role as a guarantor of fundamental rights in relation to European Union law, the Italian Constitutional Court has inaugurated a new case law based on dialogue and cooperation with the Court of Justice, through the preliminary reference procedure under Article 267 TFUE. The article provides a critical analysis of this case law.

SOMMARIO:

I. Premessa. - II. La doppia pregiudizialità dopo la sentenza n. 269/2017, - III. L’abbandono della logica dei controlimiti? - IV. Il caso Lexitor: dal dialogo alla deferenza? - V. Considerazioni conclusive. - NOTE


I. Premessa.

L’assetto dei rapporti tra diritto interno e diritto dell’Unione europea si basa sull’accettazione, da parte della Corte costituzionale, dei principi del primato e dell’effetto diretto. La riserva di applicazione dei “controlimiti”[1], per il caso in cui una norma comunitaria violi i diritti fondamentali e i principi supremi della nostra Costituzione, è stata, per molto tempo, priva di applicazione concreta[2]. A partire dal 2017, però, la Corte costituzionale ha rivendicato con decisione il proprio ruolo di garante dei principi costituzionali nei confronti del diritto dell’Unione europea. Ancora vivo è lo scontro tra la Corte costituzionale e la Corte di giustizia nella vicenda Taricco [3], Il Giudice delle leggi, con la nota ordinanza n. 24 del 2017 [4], ha affermato che la regola che la Grande della Corte di giustizia camera aveva desunto dall’art. 325 TFUE [5], ovvero la non applicabilità delle norme sulla prescrizione penale a fronte di gravi frodi fiscali in danno dell’Unione, viola il principio di legalità in materia penale e, conseguentemente, ha minacciato, con tono perentorio, l’attivazione dell’arma dei “controlimiti” laddove la Corte di giustizia avesse confermato tale decisione [6]. Con la sentenza n. 269/2017 [7], inoltre, la Corte costituzionale ha affermato che il giudice comune, in presenza di una norma interna che lede un diritto della persona garantito sia dalla Costituzione sia dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), deve sollevare la questione di costituzionalità prima di poter effettuare il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE o, se del caso, procedere alla disapplicazione. Le decisioni richiamate non vanno evidentemente confuse, perché hanno oggetti e parametri assai diversi: il diritto dell’Unione in ipotesi lesivo dei supremi valori costituzionali, l’ordinanza n. 24/2017, e la norma interna in ipotesi lesiva di un diritto fondamentale protetto sia dalla Costituzione sia dalla CDFUE, la sentenza n. 269/2017 [8]. Esse, tuttavia, presentano un innegabile tratto comune: entrambe esprimono un atteggiamento di forte difesa dei valori costituzionali nei confronti del diritto dell’Unione [9]. Un approccio per certi aspetti non diverso da quello che ha portato il Bundesverfassungsgericht, con la sentenza del 5 maggio [continua ..]


II. La doppia pregiudizialità dopo la sentenza n. 269/2017,

La Corte di giustizia, nei casi Melki[15] e A.c.B.[16], ha ritenuto che un meccanismo prioritario di costituzionalità sia compatibile con il diritto dell’Unione purché siano rispettate tre condizioni: che non vengano apposte limitazioni al rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, che non si verta in un settore totalmente armonizzato e, infine, che non siano pregiudicati i principi del primato, unità e effettività del diritto dell’Unione [17]. La Corte costituzionale, in linea con l’insegnamento del Giudice di Lussemburgo, ha temperato la rigidità dei principi enunciati dalla sentenza 269/2017 [18], riconoscendo che la concorrenza tra le garanzie approntate dalla CDFUE rispetto a quelle offerte dalla Costituzione “arricchisce gli strumenti di tutela e, per definizione, esclude ogni preclusione” [19]. Il rinvio alla Corte costituzionale, che la sentenza n. 269/2017 configurava come obbligatorio in presenza di una norma di legge lesiva di un diritto fondamentale protetto tanto dalla Costituzione quanto dalla CDFUE [20], nella giurisprudenza successiva è divenuto una facoltà del giudice. Il rinvio ex art. 267 TFUE, inoltre, è stato ammesso per ogni questione inerente all’interpretazione e alla validità del diritto dell’Unione e non soltanto, come aveva preteso di fare la sentenza n. 269/2017, per le questioni che non sono state oggetto di previo esame da parte della Corte costituzionale. Da ultimo, la Corte ha precisato che il controllo di costituzionalità delle leggi, di competenza della Corte costituzionale, e la verifica della compatibilità della normativa interna con il diritto UE, affidato ai giudici nazionali e alla Corte di giustizia dell’UE, non sono in contrapposizione tra di loro, ma costituiscono un concorso di rimedi giurisdizionali volti alla tutela dei diritti fondamentali [21]. Il nostro giudice delle leggi, inoltre, non ha mai posto in discussione l’in­segnamento della Corte di giustizia, secondo cui gli standard di tutela dei diritti garanti dalle costituzioni nazionali possono trovare applicazione soltanto nei settori non completamente armonizzati, purché l’applicazione di tali standard “non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità e l’effettività del diritto [continua ..]


III. L’abbandono della logica dei controlimiti?

Il linguaggio dei “controlimiti”, anche se impiegato con finalità cooperativa, implica un atteggiamento potenzialmente oppositivo: quando sono messi in gioco principi fondamentali considerati espressione dell’identità costituzionale italiana, infatti, si lascia poco spazio al compromesso. Questo atteggiamento, chiarissimo nella vicenda Taricco, traspare ancora, seppure in misura assai attenuata, nell’ordinanza n. 117/2019 sul diritto al silenzio nei procedimenti amministrativi di natura punitiva, dove ancora viene prospettata una possibile lesione dell’“identità costituzionale italiana”. Se la Corte di giustizia non avesse interpretato la direttiva 2003/6/CE e il regolamento (UE) 596/2014 in maniera tale da non permettere l’esercizio del diritto al silenzio nei procedimenti amministrativi di natura punitiva, l’appli­cazione del controlimite sarebbe stata inevitabile. Ben diverso è invece l’approccio seguito dalla Corte costituzionale nelle ordinanze nn. 216 e 217 del 2021 [28], riguardanti la disciplina di attuazione della decisione quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo (MAE). Qui la Corte ha infatti utilizzato strategie argomentative che, pur non mancando di richiamare le istanze di tutela espresse dalla Costituzione, si muovono essenzialmente sul piano dell’interpretazione del diritto dell’U­nione, “in un quadro di costruttiva e leale cooperazione tra i diversi sistemi di garanzia” [29]. Sono decisioni, è stato efficacemente sottolineato, che evidenziano un differente atteggiamento del giudice costituzionale nel dialogo con la Corte di giustizia: “non più (solo) baluardo dei controlimiti e garante dei diritti costituzionali, ma costruttrice, in un’ottica di piena collaborazione con la Corte di Lussemburgo, dello standard europeo di tutela dei diritti fondamentali” [30]. Il primo caso (ord. n. 216/2021) riguardava un MAE emesso da un Tribunale croato, che intendeva processare un cittadino italiano con gravi disturbi psichici. La Corte d’appello di Milano aveva sollevato la questione di legittimità della disciplina di attuazione della decisione quadro (artt. 18 e 18-bis legge n. 69/2005), perché non consente di rifiutare una richiesta di MAE in presenza di patologie croniche di durata indeterminabile, “che comportino il rischio di conseguenze di [continua ..]


IV. Il caso Lexitor: dal dialogo alla deferenza?

È possibile, a tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto, circoscrivere gli effetti di una sentenza interpretativa della Corte di giustizia? La soluzione offerta dalla Corte costituzionale nel caso Lexitor è apparsa a taluno espressione di un atteggiamento sin troppo deferente nei confronti del giudice di Lussemburgo[50]. È opportuno richiamare brevemente i termini della vicenda. L’art. 16(1) della direttiva 2008/48/CE, che disciplina i contratti di credito ai consumatori, stabilisce che, in caso di rimborso anticipato, il consumatore “ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”. La disposizione ha trovato attuazione con l’art. 125-sexies testo unico bancario (TUB), introdotto dal d.lgs. n. 141/2010, che prevedeva il diritto del consumatore “a una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto”. Tale disposizione è stata interpretata dalla giurisprudenza e dalle autorità di vigilanza nel senso che il diritto alla riduzione dei costi, conseguente al rimborso anticipato, riguarda le sole voci soggette a maturazione nel tempo (costi cosiddetti recurring), con esclusione di quelle relative alle attività finalizzate alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipata (costi cosiddetti up-front). È poi sopravvenuta la sentenza Lexitor [51]. La Corte di giustizia ha riconosciuto che l’art. 16(1) della direttiva 2008/48/CE è formulato in maniera am­bigua, perché non chiarisce se al consumatore, in caso di recesso, debbano essere riconosciuti i soli costi recurring o anche quelli upfront [52]. A fronte di tale incertezza ermeneutica, la Corte di Lussemburgo ha ritenuto di dover accogliere un’interpretazione orientata alla massima tutela del consumatore [53]. La Corte di giustizia non ha preso in esame il fatto che in molti ordinamenti, tra cui in nostro, il legislatore nazionale aveva prescelto una diversa interpretazione, ingenerando in tal modo nelle istituzioni finanziarie un legittimo affidamento sul fatto che, in caso di recesso anticipato, i costi upfront non avrebbero dovuto essere oggetto di restituzione. Non meraviglia dunque che, all’indomani della sentenza Lexitor, il [continua ..]


V. Considerazioni conclusive.

Nell’acceso dibattito originato dalla vicenda Taricco, non tutti si sono allineati al coro di chi invocava una risoluta applicazione della dottrina dei controlimiti. Anche nell’ordinamento dell’Unione europea, è stato saggiamente osservato, esiste un sistema di tutela dei diritti fondamentali. Se la preoccupazione sottostante alla difesa della sovranità statale è quella di difendere i diritti della persona, si è aggiunto, “allora la nostra strada obbligata è di difenderli in Europa, e assieme all’Europa; non – come si invoca oggi – contro l’Europa. In una prospettiva, insomma, di sovranità condivisa con l’Europa (…), sullo sfondo rappresentato da un quadro costituzionale europeo alla cui costruzione siamo chiamati tutti a contribuire”[67]. È questo il cammino [68] poi effettivamente intrapreso dalla Corte costituzionale, da quando ha iniziato ad utilizzare i controlimiti non in chiave oppositiva, come barriera nei confronti del diritto dell’Unione europea, ma in chiave costruttiva. Un passo significativo in questa direzione è stato l’utiliz­zo del rinvio pregiudiziale come strumento per segnalare alla Corte di giustizia l’esistenza di principi fondamentali, espressione di una tradizione costituzionale di cui tenere conto nell’interpretazione e nell’applicazione della CDFUE. È in tal modo, ad esempio, che la Corte costituzionale è riuscita a convincere la Corte di giustizia della necessità di interpretare gli artt. 47 e 48 CDFUE in maniera tale da garantire il diritto al silenzio della persona fisica, “imputata” nell’ambito di procedimenti amministrativi di natura “punitiva”. Quella dei controlimiti è un’arma da maneggiare in casi del tutto eccezionali e con estrema cautela, perché nasconde sempre una forte carica oppositiva che potrebbe dar vita a conflitti assai pericolosi per la tenuta del sistema dell’Unione. Ciò vale soprattutto con riguardo ai settori completamente armonizzati, dove lo standard di tutela dei diritti fondamentali deve essere quello stabilito dall’Unione europea. È quindi da salutare con grande favore il nuovo approccio seguito dalla Corte costituzionale nelle due recenti ordinanze sulla disciplina di attuazione del MAE che, senza necessità di utilizzare il linguaggio dei [continua ..]


NOTE