Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Sulla qualificazione degli errori commessi dalle amministrazioni fiscali come “aiuti di Stato”: riflessioni sulla sentenza Engie (di Maurizio Orlandi, Professore associato di Diritto dell’Unione europea, Università La Sapienza di Roma)


La nota commenta la recente sentenza della Corte di giustizia Engie la quale ha annullato al contempo una pronuncia del Tribunale e la decisione della Commissione di cui il Tribunale aveva confermato la validità.

Attraverso la decisione e la sentenza annullate, alcune decisioni fiscali anticipate emesse in Lussemburgo, che avallavano delle complesse operazioni infragruppo comportanti una sostanziosa elusione fiscale, erano state qualificate come aiuti di Stato.

Nella sentenza commentata la Corte ha stabilito che Commissione e Tribunale avevano erroneamente individuato il quadro normativo di riferimento dal quale hanno poi dedotto il carattere selettivo della decisione anticipata fiscale. In particolare la Corte ha precisato che il quadro di riferimento deve essere individuato senza fare riferimento a principî astratti o obiettivi generali del sistema fiscale, quale quello che impone a tutte le imprese di pagare le imposte ma facendo riferimento al diritto positivo vigente negli Stati membri. Quest’ultimo, deve essere interpretato in contraddittorio con lo Stato interessato, facendo riferimento alla prassi e alla giurisprudenza che lo hanno applicato. In tale attività la Commissione deve accettare l’interpretazione fornita dallo Stato membro interessato, almeno fin quando non sia in grado di dimostrare, per fatti concludenti, che essa non corrisponde al vero.

L’autore conclude con alcune riflessioni personali secondo le quali non tutte le decisioni fiscali anticipate contenenti errori potrebbero determinare la concessione di un aiuto di Stato, ma solamente quelle intenzionalmente finalizzate ad aggirare la disciplina europea della concorrenza o contenenti errori manifesti.

About the classification of errors committed by tax administrations as

The note comments on the recent ruling of the Court of Justice in the Engie case through which it simultaneously annulled a judgement of the General Court and the Commission Decision of which the General Court had confirmed the validity.

Through the annulled Decision and judgement, some tax rulings issued in Luxembourg, which endorsed complex intragroup transactions involving substantial tax avoidance were classified as State aid.

In the commented ruling, the Court established that the Commission and the General Court had erroneously identified the reference framework from which they then deduced the selective nature of the tax rulings. In particular, the Court specified that the reference framework must be identified without referring to abstract principles or general objectives of the tax system, such as the one that requires all companies to pay taxes. At opposite, it must be identified by referring to the positive law in force in the member States. The positive law must be interpreted with the State concerned, using the adversarial technique and referring to the administrative and judicial practice that have applied it. In this activity, the Commission must accept the interpretation provided by the Member State concerned, at least until it is able to demonstrate, by conclusive facts, that it does not correspond to the truth.

The author concludes with some personal reflections according to which not all tax rulings containing errors could lead to the granting of State aid but only those intentionally aimed at circumventing European competition law or containing manifest errors.

SOMMARIO:

I. Premessa. - II. I fatti all’origine della controversia. - III. La selettività di una misura fiscale. - IV. La definizione del sistema fiscale di riferimento. - V. L’interpretazione del diritto interno data dallo Stato membro. - VI. Il duplice errore operato nel caso di specie dalla Commissione nella definizione del contesto normativo. - VII. L’errore della Commissione nella lettura della norma antielusione. - VIII. La rilevanza di un errore commesso dalle autorità fiscali nella determinazione dell’imposta. - NOTE


I. Premessa.

La sentenza del 5 dicembre 2023, in cause riunite C-451/21 P e C-454/21 P, Engie, si inserisce in un filone di pronunce della Corte di giustizia che hanno ad oggetto decisioni della Commissione le quali hanno qualificato come aiuti di Stato delle decisioni fiscali anticipate, emesse dalle autorità fiscali di diversi Stati membri[1]. In particolare, in quelle decisioni, i provvedimenti nazionali controversi sono stati considerati gravemente discriminatori[2] o eccessivamente favorevoli [3], nei confronti di alcune imprese. Come dimostra anche la sentenza in commento, in tale attività la Commissione non ha finora incontrato grande fortuna [4]. A differenza degli altri casi sottoposti all’attenzione della Corte, il caso di specie non riguardava peraltro l’applicazione del principio di libera concorrenza, ma riguardava un approccio favorevole assunto dall’amministrazione fiscale lussemburghese nei confronti di complesse operazioni finanziarie effettuate tra affiliate lussemburghesi del gruppo francese facente capo alla Engie SA. Tali operazioni, frutto di una pianificazione fiscale aggressiva [5], sembravano avere la sola funzione di eludere le imposte normalmente applicate dal Granducato, elusione che, avvenendo con il consenso delle autorità fiscali locali, poteva dar luogo alla concessione di aiuti di Stato e sembrava rappresentare un tentativo di attrarre in territorio nazionale imprese straniere attraverso la concessione di sconti fiscali [6].


II. I fatti all’origine della controversia.

La controversia riguardava alcune società del gruppo francese Engie SA, il quale operava in Lussemburgo attraverso delle affiliate che avevano posto in essere delle articolate operazioni infragruppo, pianificate in maniera unitaria[7], comportanti delle cessioni di attività, dei finanziamenti attraverso prestiti ZORA (Zéro-intérêts Obligations Remboursable en Actions) e delle vendite a termine di azioni. Tali operazioni secondo il condivisibile giudizio della Commissione e del Tribunale non trovavano una giustificazione economica[8], ma sembravano essere finalizzate a realizzare una significativa elusione fiscale. In particolare, le società lussemburghesi del gruppo Engie avevano creato un complesso meccanismo di società madri, intermedie e figlie, finalizzato a trasferire gran parte degli utili prodotti dalle società figlie alle società madri e questo evitando l’applicazione delle imposte normalmente applicabili. In particolare mentre le società figlie pagavano imposte quantificate riduttivamente sulle loro attività [9], gran parte delle loro plusvalenze venivano trasformate in azioni proprie e trasferite alle società intermedie attraverso il meccanismo del prestito ZORA senza che dovessero essere pagati tributi [10]. Le società intermedie grazie ad una vendita a termine programmata sin dal­l’origine, le trasferivano poi alla società madre la quale le poteva contabilizzare come redditi da partecipazione i quali, in applicazione dell’art. 166 della LIR (Loi Concernant l’impôt sur le revenue) sfuggivano ad ogni forma di tassazione. I singoli passaggi di tali operazioni erano stati regolarmente ed anticipatamente comunicati all’amministrazione fiscale del Lussemburgo la quale ne aveva confermato la regolarità attraverso una serie di decisioni fiscali anticipate. Venuta a conoscenza di tali decisioni, la Commissione ha aperto la procedura necessaria a qualificarle come comportanti la concessione di aiuti di Stato ai sensi dell’art. 107, par. 1 TFUE. Le procedure si sono quindi chiuse con la decisione del 28 giugno 2018, n. 2019/421/UE, con la quale la Commissione ha accertato che era stato concesso un aiuto di Stato al gruppo Engie da parte del Lussemburgo e conformemente alla prassi, ne ha imposto la restituzione. In particolare, nella decisione n. 2019/421/UE, la Commissione non ha contestato la [continua ..]


III. La selettività di una misura fiscale.

Secondo una consolidata giurisprudenza, per determinare se una misura fiscale presenti o meno il requisito della selettività necessaria a farle integrare la nozione di aiuto di Stato, occorre procedere con una analisi da condurre in tre distinte fasi in cui la Commissione: accerta quale è il sistema fiscale di riferimento; determina se la misura oggetto del proprio esame deroghi a tale sistema; verifica se le misure selettive così individuate non possano essere giustificate dalla natura o dalla struttura del sistema in cui si inseriscono [14]. In effetti, il vantaggio economico di cui l’impresa “aiutata” viene a beneficiare può essere apprezzato esclusivamente con rifermento alla condizione in cui si trovano le imprese che sono in una situazione materiale e giuridica analoga, con la conseguenza che queste ultime sarebbero «oggetto di un trattamento differenziato qualificabile, in sostanza, come discriminatorio» [15]. Come confermato anche nella sentenza Engie, la corretta individuazione del regime fiscale normale rappresenta una fase tanto complessa quanto essenziale. L’analisi è complessa poiché la capacità di definire le imposte dirette rientra essenzialmente tra le competenze esclusive degli Stati membri [16] e correlativamente, in tale settore, l’Unione europea ha una capacità di intervento indiretta ed estremamente ridotta. Sotto il primo profilo, risulta da consolidata giurisprudenza che, in «assenza di regolamentazione dell’Unione in materia, rientra nella competenza fiscale degli Stati membri o delle entità infrastatali dotate di autonomia fiscale, determinare i criteri d’imposizione e la ripartizione della pressione fiscale sui diversi fattori di produzione e settori economici» [17]. Ne consegue che gli Stati membri risultano «liberi di scegliere la politica economica che ritengono più appropriata e, in particolare, [detengono] la facoltà di ripartire la pressione fiscale sui diversi fattori di produzione nella maniera che reputano adeguata» [18]. Tutto questo anche se la piena competenza a definire la propria normativa fiscale non incide sul fatto che gli Stati siano comunque tenuti a rispettare le norme sancite nei Trattati europei [19] e di conseguenza, il divieto di concedere aiuti di Stato [20], di operare discriminazioni tra imprese di diversa [continua ..]


IV. La definizione del sistema fiscale di riferimento.

Il primo dei tre requisiti, il quale prevede che il sistema fiscale di riferimento sia individuato senza avvalersi di principî astratti o sistemi giuridici esterni, pur essendo confermato[25], è stato sviluppato con la precisazione per la quale non può nemmeno essere determinato in relazione ad obiettivi generali[26]. La precedente giurisprudenza aveva infatti affermato che: «solo il diritto nazionale applicabile nello Stato membro interessato deve essere preso in considerazione al fine di individuare il sistema di riferimento in materia di imposte dirette, essendo tale individuazione a sua volta un presupposto indispensabile, al fine di valutare non solo se esista un vantaggio, ma anche se quest’ultimo abbia carattere selettivo» [27] e che «non possono essere presi in considerazione parametri e regole esterni al sistema tributario nazionale di cui trattasi» quali quelli sanciti dall’OCSE [28], a meno che il diritto interno non vi faccia esplicito riferimento [29]. In buona sostanza era già chiaro che la selettività di una misura non può essere apprezzata partendo da «un quadro di riferimento costituito da alcune disposizioni del diritto nazionale dello Stato membro interessato estrapolate artificiosamente da un quadro normativo più ampio» [30], o facendo riferimento ad un regime fiscale fittizio [31]. Per contro, il quadro di riferimento deve essere determinato prendendo in considerazione tutto il diritto rilevante dello Stato [32]. Nella sentenza Engie la Corte ha ulteriormente precisato che il sistema fiscale di riferimento non può essere identificato basandosi su obiettivi definiti in maniera astratta dalla normativa nazionale. Ha infatti chiarito che: «la Commissione non può dimostrare una deroga a un quadro di riferimento limitandosi a constatare che una misura si discosta da un obiettivo generale di imposizione fiscale di tutte le società residenti nello Stato membro di cui trattasi, senza tener conto di disposizioni del diritto nazionale che specificano le modalità con cui tale obiettivo viene attuato» [33]. È da ritenere che tale impostazione sia il frutto dell’applicazione del principio di legalità dell’imposta, il quale, secondo al giurisprudenza della Corte, «fa parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione in quanto principio [continua ..]


V. L’interpretazione del diritto interno data dallo Stato membro.

Lo stesso principio di leale cooperazione può essere considerato anche alla base del terzo requisito delineato dalla Corte, piuttosto innovativo in materia di aiuti di Stato, il quale impone alla Commissione di accettare in larga parte la definizione del diritto interno data dallo Stato membro interessato quale punto di partenza per la propria analisi[44]. In effetti, come accennato, il principio di leale cooperazione, si impone anche alla Commissione [45]. In tale contesto essa non è abilitata ad effettuare una lettura “autonoma” del diritto interno in quanto, così facendo, potrebbe alterarne la portata, finendo con l’introdurre alternativamente: delle disposizioni aliene al diritto interno (le quali sarebbero incompatibili con il principio europeo della legalità delle imposte [46]); delle disposizioni di armonizzazione delle legislazioni (che esulano chiaramente dall’ambito delle competenze della Commissione) [47]. L’accettazione dell’interpretazione del diritto interno fornita dallo Stato membro non può peraltro essere incondizionata. Da un lato si rammenta che la suddetta interpretazione deve comunque risultare compatibile con il tenore letterale delle disposizioni interpretate [48]. Dall’altro lato è chiaro che la Commissione è legittimata a discostarsi dal quadro giuridico fornito dallo Stato membro quando la prima sia in grado di dimostrare che una diversa impostazione è suffragata da dati giuridici particolarmente affidabili ed in particolare da una giurisprudenza nazionale costante o una consolidata prassi amministrativa [49].


VI. Il duplice errore operato nel caso di specie dalla Commissione nella definizione del contesto normativo.

Tornando alla sentenza Engie e alle valutazioni sulla legittimità della sentenza di primo grado, la Corte ha osservato che, il cuore del ragionamento della Commissione[50], confermato dal Tribunale[51], risultava basato sulla considerazione per la quale il sistema generale di imposizione fiscale delle società in Lussemburgo, prevede la tassazione dei redditi di queste ultime decretando il principio in base al quale tutte le società residenti in Lussemburgo sono assoggettate all’imposta sulle società e risultano tassate sui loro utili, così come iscritti a bilancio [52]. Non sorprendentemente [53], tale metodologia di definizione del quadro di riferimento, che di fatto è suscettibile di determinare la selettività di tutte le altre norme fiscali interne, è stata cassata dalla Corte la quale – in sostanza – l’ha considerata incompleta e troppo generica [54]. La Commissione sosteneva peraltro che la sussistenza di un aiuto di Stato emergesse anche da un quadro di riferimento più ristretto, circoscritto a due disposizioni della LIR ed in particolare ai suoi artt. 164-166, ai quali la decisione fiscale anticipata derogava [55]. Più specificamente la Commissione rilevava che l’art. 164 della LIR imponesse la contabilizzazione degli “utili nascosti” come quelli derivanti dal prestito ZORA. Essa sosteneva quindi che, in applicazione del successivo art. 166, il sistema lussemburghese non poteva consentire, nel caso di imprese appartenenti ad un gruppo, di esentare a livello di società madri i redditi da partecipazioni quando gli utili prodotti dalla società intermedia, non risultavano essere stati oggetto d’im­posizione fiscale [56]. Secondo la Commissione, la logica voleva che gli artt. 164-166 della LIR fossero legati da un nesso di condizionalità [57] che ne rendeva alternativa l’applicazione e questo nonostante avesse riconosciuto che non vi era «alcun nesso esplicito tra l’articolo 166 della LIR e l’articolo 164, [paragrafi] 1 e 2, della LIR» [58]. La richiamata impostazione era fondata sulla considerazione per la quale «la complementarietà tra l’articolo 166 della LIR e l’articolo 164, commi 1 e 2, della LIR è indispensabile per garantire la coerenza logica del sistema fiscale» del Lussemburgo [59]. Per [continua ..]


VII. L’errore della Commissione nella lettura della norma antielusione.

Nella sentenza Engie la Corte ha rilevato un altro errore commesso prima dalla Commissione e successivamente dal Tribunale. Commissione e Tribunale avevano infatti ritenuto che, considerati gli effetti chiaramente elusivi dell’operazione, l’applicazione simultanea degli artt. 164 e 166 della LIR (se mai fosse stata possibile) dovesse comunque essere esclusa in forza dell’art. 6 della legge di adeguamento fiscale, art. che conteneva una norma anti-abuso [68]. In particolare il richiamato art. 6 disponeva e dispone che: «un obbligo fiscale non può essere eluso o ridotto attraverso un uso abusivo di strumenti previsti dal diritto civile». Quindi, secondo la Commissione [69] e il Tribunale, dato il fine apertamente elusivo dell’operazione [70], l’amministrazione fiscale lussemburghese sarebbe stata tenuta a non avallarla [71], così come aveva fatto nei confronti di altre operazioni [72]. A tale contestazione la Engie ed il Granducato rispondevano che, secondo la giurisprudenza dei tribunali interni lussemburghesi, ai fini della corretta applicazione dell’art. 6, doveva essere dimostrata la sussistenza di quattro distinte condizioni che, nel caso di specie non ricorrevano e di cui la Commissione non aveva dimostrato la sussistenza. Dal canto suo la Corte, in considerazione del contenuto assai generale del disposto dell’art. 6 della legge di adeguamento fiscale [73], contrariamente a quanto avevano fatto la Commissione ed il Tribunale [74], ha evidenziato che la concreta applicazione della norma doveva necessariamente essere valutata in relazione alla prassi amministrativa e alla giurisprudenza che la accompagnano [75]. Ne deriva che, anche in questo caso, al fine di determinare se la mancata applicazione della norma anti-abuso avesse determinato la concessione di un aiuto di Stato, la Commissione avrebbe dovuto determinare la portata del sistema fiscale lussemburghese in maniera diligente e secondo criteri oggettivi [76]. In particolare avrebbe dovuto valutare se la omessa applicazione dell’art. 6 era avvenuta secondo modalità che discordavano «dalla giurisprudenza o dalla prassi amministrativa nazionale relative a tale disposizione» [77]. Come chiarito dalla Corte, «se così non fosse, la Commissione sarebbe in grado di definire essa stessa che cosa costituisce o meno una corretta applicazione di una [continua ..]


VIII. La rilevanza di un errore commesso dalle autorità fiscali nella determinazione dell’imposta.

Nonostante la Corte di giustizia non si sia pronunciata sulla rilevanza dell’errore che avrebbe dovuto essere commesso dalle autorità fiscali per integrare la nozione di aiuto di Stato, il fatto che la decisione della Commissione riguardasse proprio un presunto errore commesso dalle autorità fiscali lussemburghesi, induce a riprendere alcune riflessioni sviluppate sul punto in altra circostanza [82]. Le riflessioni non riguardano una eventuale discrepanza delle valutazioni economiche e di opportunità sviluppate dalle autorità fiscali in sede di emanazione di decisioni fiscali anticipate o di transazioni con il fisco, [83] con quelle della Commissione in sede di applicazione della disciplina degli aiuti di Stato, situazione che pone delle difficoltà ancora maggiori [84], ma l’effettuazione di veri e propri errori di diritto, come quelli imputati dalla Commissione alle autorità fiscali lussemburghesi nella decisione Engie. In particolare è da ritenere che, come osservato anche dall’Avvocato generale nelle proprie conclusioni, «non ogni decisione fiscale anticipata erronea, bensì unicamente le decisioni fiscali anticipate manifestamente erronee a favore del soggetto passivo costituiscono un vantaggio selettivo» [85] e solamente da queste ultime potrebbe originare un aiuto. In effetti, è da ritenere che, anche una decisione fiscale anticipata contenente errori – una volta che per il diritto interno sia diventata definitiva ‒ contribuisca a garantire il principio generale che vuole che il diritto sia certo [86]. Una decisione fiscale anticipata non dovrebbe quindi essere rimessa in discussione dalla Commissione se non in ipotesi particolarmente gravi [87]. Applicando tali considerazioni al caso di specie, è da ritenere che, anche se la Commissione ed il Tribunale fossero riusciti a dimostrare la sussistenza di un necessario collegamento logico che rendeva alternativa l’applicazione degli artt. 164 e 166 della LIR, in assenza di un collegamento formale tra il disposto delle due norme, in assenza di una giurisprudenza che lo stabilisse in maniera chiara, sarebbe stato difficile qualificare l’errore commesso dal­l’autorità fiscale lussemburghese come “manifesto” o come commesso in malafede. Ugualmente è da ritenere che, anche un eventuale errore commesso [continua ..]


NOTE