Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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La legge (dell'Unione europea) è uguale per tutti: il principio di uguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati (di Francesco Luigi Gatta, Ricercatore di Diritto Internazionale, Università degli Studi della Tuscia di Viterbo)


Il diritto dell’Unione europea contiene numerosi riferimenti al concetto di uguaglianza. Nelle fonti di rango primario, essa figura come valore e come principio, assumendo varie declinazioni. Tra queste, rileva l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati: principio giuridico che, sebbene consolidato, è oggi posto in discussione, ponendosi al centro di un contenzioso in espansione e di grande rilevanza, in quanto direttamente connesso al rapporto tra istituzioni e Stati membri e alle dinamiche basilari di funzionamento dell’ordinamento dell’Unione. Il presente lavoro si sofferma sull’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati, dapprima ritracciandone l’origine nel diritto internazionale e dell’Ue, per poi esaminarne portata e significato alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, soprattutto nella recente casistica relativa alla difesa dei principi fondamentali dell’ordinamento, posti in discussione da alcuni Stati membri.

Everyone is equal before (European Union) Law: The Principle of Equality of Member States before the Treaties

EU Law contains several references to the concept of equality. Under EU primary law, equality qualifies as a value and as a principle, taking various shapes. Among these, the equality of Member States before the Treaties is relevant: a legal principle which, although well-established, nowadays is questioned, being at the centre of a growing and significant litigation, as directly linked with the relationship between Institutions and Member States and the basic, functioning dynamics of the Union legal order. This work focuses on the equality of Member States before the Treaties, first by retracing its origin in international and EU law, and then by examining its significance and meaning in the light of the Court of Justice’s case-law, especially in the recent litigation concerning the defence of the fundamental principles of the Union’s legal order, which have been challenged by some Member States.

SOMMARIO:

I. Introduzione. Uguaglianza tra chi e per chi La multiforme natura del concetto nell'ordinamento dell’Ue - II. Uguaglianza come valore - III. Uguaglianza come principio - IV. "Uguaglianza sovrana": origine del principio nel diritto internazionale - V. "Uguaglianza davanti ai trattati": origine e sviluppo del principio nel diritto dell'Ue - VI (Segue). L'uguaglianza degli Stati membri come chiave di volta del processo di integrazione europea - VII (Segue). Lettura d'insieme: l’uguaglianza degli Stati membri davanti al diritto comunitario nel periodo costituente - VIII. L'Uguaglianza davanti ai trattati tra non-discriminazione e solidarietà - IX. Ritorno alle origini: l'uguaglianza in funzione (ri)costituente come argine alle regressioni dello Stato di diritto e dei valori fondamentali - X. Considerazioni conclusive - NOTE


I. Introduzione. Uguaglianza tra chi e per chi La multiforme natura del concetto nell'ordinamento dell’Ue

Il diritto dell’Unione europea è disseminato di riferimenti al concetto di uguaglianza, che ne delineano diverse accezioni e chiavi di lettura. Se si guarda alla qualificazione formale, l’uguaglianza viene evocata come «valore universale»[1], «valore comune»[2], «principio» [3], «principio generale» [4]. Quanto alla natura, l’uguaglianza può essere intesa sia con una valenza politico-ideale, sia con una più strettamente giuridica. Nella prospettiva dei destinatari, si possono distinguere almeno due tipologie di uguaglianza: come chiarito dalla Corte di giustizia, con la Comunità si è dato vita a un «ordinamento giuridico di nuovo genere» i cui soggetti sono non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini [5]. Questa biforcazione della soggettività comunitaria porta a uno sdoppiamento dell’uguaglianza, che è tanto interstatale, quanto (e di conseguenza) interpersonale. Si può individuare anche una terza categoria, l’uguaglianza interistituzionale, considerando la posizione delle istituzioni europee in termini di comune soggezione ai limiti delle attribuzioni conferite dai trattati, nonché dell’esigenza di esercizio delle stesse nel rispetto di procedure, condizioni e finalità determinate dal diritto del­l’U­nione. Diverse, infine, sono le funzioni che si possono ricollegare all’ugua­glianza: generale regola antidiscriminatoria; criterio di governance dei rapporti tra Unione e Stati membri; parametro di legalità idoneo a valutare la condotta degli Stati membri e delle istituzioni dell’Ue. Non sembra scorretto, insomma, parlare di più “uguaglianze” nel­l’ordi­namento giuridico dell’Unione [6]. A complicare il quadro, viene in gioco la rilevanza multi-livello del concetto, nella prospettiva di fonti e ordinamenti giuridici con cui il diritto dell’Ue interagisce. L’uguaglianza, infatti, si rinviene nel diritto internazionale, così come nel diritto costituzionale dei 27 Stati membri, ciascuno dei quali – pur nella diversità di terminologia e portata – contempla espressamente un riferimento al principio di uguaglianza [7]. Lo stesso vale per la CEDU, a cui tutti gli Stati membri – e, in prospettiva, forse anche l’Unione – sono [continua ..]


II. Uguaglianza come valore

L’uguaglianza è individuata come un valore universale accettato dall’Unione europea e dai suoi membri[10]. Il preambolo del TUE, al secondo paragrafo, indica che gli Stati contraenti, al fine di portare avanti il processo di integrazione europea, si sono ispirati alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati una serie di valori universali, tra cui quello dell’uguaglianza[11]. Il paragrafo, inserito ex novo dalla riforma di Lisbona [12], colloca l’uguaglianza tra i valori della democrazia e dello Stato di diritto, una scelta ribadita dall’art. 2 TUE, che fa dell’uguaglianza un valore fondante dell’Unione europea. Anche il preambolo della CDFUE si riferisce all’uguaglianza, definendola uno dei valori indivisibili e universali su cui l’Unione si fonda [13]. Conferma, in coerenza con il preambolo del TUE, che l’Unione è tenuta alla loro salvaguardia e al loro sviluppo, in quanto valori comuni facenti parte del suo «patrimonio spirituale e morale» [14]. Sin dalla lettura dei passaggi iniziali dei testi di rango primario, dunque, emerge l’esplicita qualificazione dell’uguaglianza come componente fondamentale della struttura valoriale dell’Unione, tassello cruciale delle sue “fondamenta etiche” [15] e modello di sviluppo e determinazione della società europea [16]. Detto altrimenti, l’uguaglianza appartiene al complesso di elementi che contribuiscono a delineare la cultura socio-politica europea, assieme all’universo di sensibilità morali che definiscono l’Europa, prima ancora che come realtà empirica, come idea e ideale. Ma l’uguaglianza come valore assume valenza anche sul piano giuridico. I preamboli dei testi di diritto primario non possono essere confinati a una portata meramente “politica” [17], proprio perché definiscono l’Unione intesa come comunità di valori e ne rappresentano le «solide basi» [18]. Tralasciando il dibattuto tema della rilevanza giuridica del preambolo dei trattati internazionali [19], basti qui osservare che, secondo la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, il preambolo forma parte integrante di un trattato e va utilizzato a fini interpretativi ed applicativi delle disposizioni contenute nel trattato stesso [20]. La stessa [continua ..]


III. Uguaglianza come principio

L’uguaglianza rileva anche come principio volto a regolare i rapporti tra i soggetti che compongono l’ordinamento dell’Unione. Si declina, pertanto, nelle sue varianti interstatale e interpersonale. Come criterio organizzativo delle relazioni intra-europee, l’uguaglianza può anche assumere una terza valenza interistituzionale, in riferimento a status e regole di condotta di istituzioni e organismi che operano nell’ordinamento. Al riguardo, infatti, «both Member States and the European institutions must respect the “rules of the game”… since no one is above the law» [32]. Di queste tre dimensioni dell’uguaglianza, quella interpersonale ha ricevuto il maggior sviluppo e raffinamento nel diritto dell’Unione, venendo articolata, sia in via normativa che giurisprudenziale, come regola fondamentale di non discriminazione dei cittadini. Poiché questa tipologia di uguaglianza non rappresenta il focus di questo lavoro, basteranno in questa sede alcuni cenni [33]. Il diritto dell’Unione è costellato di riferimenti all’uguaglianza in senso interpersonale, dove il concetto è ricorrente anche sotto i sinonimi di parità e non discriminazione. Nel diritto primario, la Carta vi dedica un intero titolo (il terzo, rubricato “uguaglianza”), stabilendo, all’art. 20, che «tutte le persone sono uguali davanti alla legge» [34]. L’uguaglianza è poi declinata sotto vari aspetti, come, ad esempio, la non discriminazione (art. 21) e la parità tra uomini e donne (art. 23). Nel TFUE essa appare nel contesto di vari settori, procedure e ambiti applicativi [35]. Di grande rilievo, poi, è il diritto secondario, dove l’Unione ha elaborato il principio in una significativa serie di strumenti (c.d. EU anti-discrimination law). Lo sviluppo e il rafforzamento di questo settore sono stati favoriti dall’opera interpretativa della Corte di giustizia, la quale ha chiarito che il divieto di discriminazione altro non è che «solo l’espressione specifica del principio generale di uguaglianza che fa parte dei principi fondamentali del diritto comunitario» [36]. Quanto all’uguaglianza interistituzionale, questa si può intendere come criterio di governance delle relazioni orizzontali tra le istituzioni. Una uguaglianza (più che [continua ..]


IV. "Uguaglianza sovrana": origine del principio nel diritto internazionale

Le radici del principio di uguaglianza tra Stati membri dell’Ue sono da ricercarsi nel diritto internazionale generale e nel diritto delle organizzazioni internazionali[42]. Non è possibile soffermarsi in questa sede sulla concettualizzazione dell’uguaglianza nel diritto internazionale, sul dibattito circa la sua ratio fondativa[43], ovvero sul rapporto con altre nozioni fondamentali – ed altrettanto dibattute – come la sovranità, la soggettività internazionale e l’indipendenza [44]. Ai fini della presente indagine, e per valutare l’evoluzione del principio di matrice internazionalistica in quello vigente nell’ordinamento dell’Ue, basti osservare che l’uguaglianza è da intendersi come formal-legal equality, o equality before the law, vale a dire, identità di status giuridico dello Stato come primo soggetto del diritto internazionale in senso stretto, che, – rispetto ai suoi pari, ed indipendentemente da forma, dimensione o forza economica – è abilitato a partecipare alla formazione delle regole internazionali ed è destinatario delle stesse [45]. In questa accezione, l’uguaglianza “sovrana” si pone quale attributo “ontologico” della statualità, che assicura la molteplicità e la coesistenza degli Stati (e, dunque, l’esistenza della stessa comunità internazionale), costituendo il paradigma che informa le relazioni internazionali tra soggetti che non riconoscono un’autorità superiore (superiorem non recognoscens). Le prime forme di concettualizzazione vengono convenzionalmente ricondotte alla pace di Westfalia del 1648 e alle elaborazioni teoriche ad opera dei “padri fondatori” del diritto internazionale e dei giuristi dell’epoca illuminista [46]. La nascita del c.d. modello westfaliano dello Stato-Nazione conduce a una distribuzione pluralistica ed orizzontale del potere nella comunità internazionale, basata sull’uguaglianza formale degli Stati come enti indipendenti e sovrani [47]. L’uguaglianza sovrana è quindi intrinsecamente funzionale all’ordinamento internazionale: ne caratterizza la struttura essenziale e, nel contempo, consente e influenza la produzione e lo sviluppo delle norme. Il principio di uguaglianza formale risulta oggi positivizzato, riscontrandosi, in una delle più note [continua ..]


V. "Uguaglianza davanti ai trattati": origine e sviluppo del principio nel diritto dell'Ue

L’origine del principio di uguaglianza formale degli Stati membri ha in realtà carattere extra-legislativo: la giurisprudenza della Corte di giustizia degli anni ‘70 ha coniato il principio come tassello necessario al completamento e al rafforzamento dell’architettura “costituzionale” dell’ordi­na­mento, già eretto sui pilastri del primato del diritto comunitario e del­l’ef­fetto diretto. È opportuno soffermarsi su questo periodo cruciale di “constitution-building” per comprendere la genesi delle regole di relazione tra la Comunità e gli Stati membri[65]. In questa fase l’uguaglianza “davanti alla legge europea” emerge come fisiologico sviluppo della Comunità che va evolvendosi, affrancandosi dal diritto internazionale pubblico e dai suoi principi generali, attraverso lo sviluppo di teorie e costruzioni che, cristallizzatisi in quel periodo, hanno influenzato gli sviluppi del sistema e vigono ancora oggi. L’analisi della giurisprudenza storica “creativa” dell’uguaglianza, inoltre, consente di rispondere ad alcuni quesiti. Anzitutto, come nasce il principio e in che termini si differenzia da quello di matrice internazionalistica. Da paradigma organizzativo-orizzontale del processo sociale tra Stati, funzionale alla produzione ed applicazione del diritto internazionale, l’uguaglianza assume nell’ordinamento comunitario connotati specifici e peculiari, che ne fanno una componente strutturale e irrinunciabile della Comunità. Questo consente di rispondere anche al perché la Corte di giustizia abbia avvertito l’esigenza di “creare” il principio di uguaglianza degli Stati membri. Ci si potrebbe chiedere, in effetti, se non fossero stati sufficienti i principi del primato e dell’effetto diretto. In realtà, determinati fattori di carattere storico-politico hanno indotto la “aggiunta” giurisprudenziale dell’uguaglianza interstatale, come “raffinamento” delle precedenti dottrine giuridiche e come loro necessario corollario, al fine di garantire la tenuta dell’ancora “giovane” impianto “costituzionale” comunitario. Infine, l’esame della giurisprudenza consente delle riflessioni sul quando il principio di uguaglianza è stato evocato, a quali fini e con quale ratio. Come si dirà, in [continua ..]


VI (Segue). L'uguaglianza degli Stati membri come chiave di volta del processo di integrazione europea

L’uguaglianza degli Stati membri viene “scoperta” dalla Corte di giustizia negli anni ‘70[66]. Essa fa la sua comparsa in una sentenza del 1973 in materia di politica agricola comune e viene ribadita in due sentenze del 1979 nei settori dei trasporti e, ancora, dell’agricoltura. Si tratta di sentenze rese in esito a ricorsi per inadempimento – tutti vinti dalla Commissione – contro Italia e Regno Unito. Il principio di uguaglianza formale, dunque, nasce in un contesto conflittuale intra-comunitario, diversamente dai principi dell’effetto diretto e del primato, sviluppati con le storiche sentenze Van Gend & Loos[67] e Costa c. Enel [68] originate dal rinvio pregiudiziale di cui all’allora art. 177 Trattato CEE [69]. Rispetto a queste due fondamentali pronunce, gli anni ‘70 rappresentano una “seconda fase costituzionale”, in cui vengono completati e rafforzati i principi coniati nel decennio precedente [70]. Le cause che ci si appresta ad esaminare denotano condotte degli Stati membri di contestazione di quegli attributi dell’ordinamento comunitario forgiati dalla Corte negli anni ‘60. Si tratta di un periodo marcato da diffusa instabilità economica e monetaria, dalla crisi petrolifera-energetica, da tensioni politico-istituzionali legate al tentativo di alcuni Paesi di rallentare il processo di integrazione europea. Inoltre, il primo allargamento, con l’ingresso di tre nuovi Stati (due dei quali, Danimarca e Regno Unito, tradizionalmente refrattari al processo di integrazione europea), aveva complicato il processo decisionale, in una fase in cui la politica agricola e commerciale stavano acquistando una fisionomia comunitaria [71]. È in questo contesto, quindi, che va letto l’intervento della Corte “a difesa” dell’integrità del­l’ordinamento, mediante l’esplicitazione dell’uguaglianza di tutti gli Stati (tanto fondatori, quanto neo-membri) davanti al diritto comunitario. Questo avviene, per la prima volta, nella sentenza Commissione c. Italia relativa all’applicazione di un regolamento che, al fine di contrastare le eccedenze presenti a livello europeo nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, introduceva dei premi da erogare alle aziende che avessero scelto di limitare la propria produzione [72]. L’Italia ne aveva mancato l’attuazione, [continua ..]


VII (Segue). Lettura d'insieme: l’uguaglianza degli Stati membri davanti al diritto comunitario nel periodo costituente

Quale quadro dell’uguaglianza restituisce la giurisprudenza appena descritta? Negli studi che iniziano a interessarsi al sistema comunitario, scandagliandone principi e caratteristiche, in rapporto di (dis)continuità rispetto al diritto internazionale, l’uguaglianza sembra rimanere sottotraccia, rispetto ai più discussi principi del primato e dell’effetto diretto [90]. Riassumendo, allora, si può affermare che l’uguaglianza degli Stati membri davanti al diritto comunitario è stata costruita sulla base di tre argomenti giustificativo-fondativi. Primo, una ratio di “giustizia”, improntata sulla regola fondamentale di non-discriminazione tra Stati membri e rispettivi cittadini. Secondo, una ratio “utilitaristico-giuridica”, basata su una logica “contrattuale” di solidarietà, intesa come assunzione di un obbligo direttamente associato alla membership da cui derivano vantaggi e oneri. Infine, una ratio “costituzionale”, intesa come tassello strutturale e necessario al rafforzamento dei principi dell’effetto diretto e del primato precedentemente sviluppati. A partire da queste ragioni si possono svolgere alcune osservazioni ulteriori. In primo luogo, l’uguaglianza legata alla non-discriminazione è insita nella peculiare base soggettiva dell’ordinamento delineata a partire da Van Gend & Loos. La soggettività comunitaria degli Stati membri e dei cittadini determina il superamento del modello “classico” del diritto internazionale, dove vige l’uguaglianza sovrana tra Stati, a favore di una peculiare accezione europeo-comunitaria per cui l’uguaglianza degli Stati membri è condizione necessaria al rispetto dell’uguaglianza dei cittadini [91]. L’esigenza di uguaglianza deriva, dunque, dalla necessità di evitare qualificazioni diversificate in fase di attuazione del diritto comunitario e di garantirne uniforme applicazione per rispettare la parità tra i cittadini, in quanto soggetti del­l’ordinamento e titolari di diritti conferiti direttamente dal diritto della Comunità. Infatti, lo Stato membro che viola il diritto comunitario determina una rottura dell’equilibrio egualitario, provocando discriminazioni, sia in senso sfavorevole (perché i cittadini dello Stato inadempiente non possono accedere a vantaggi e diritti al pari degli [continua ..]


VIII. L'Uguaglianza davanti ai trattati tra non-discriminazione e solidarietà

Negli anni ‘80 e ‘90 il principio di uguaglianza degli Stati membri compare solo saltuariamente a Lussemburgo, venendo essenzialmente utilizzato come argomentazione in un contenzioso che coinvolge la Commissione, come attrice [96], ovvero, soprattutto, come convenuta [97]. Lo stesso vale per il primo decennio del 2000 e fino all’entrata in vigore del trattato di Lisbona [98]. Si tratta di casistica basata prevalentemente su ricorsi per annullamento, nei quali, tra gli altri motivi, la «parità di trattamento degli Stati membri» è usata per “attaccare” – tendenzialmente con successo – il diritto comunitario [99]. Le materie sono sostanzialmente le stesse del contenzioso degli anni ‘70 (agricoltura, allevamento, trasporti), ma la prospettiva appare rovesciata: prima l’origine della disuguaglianza risiedeva nell’inadempimento dello Stato, sotto forma di mancata o errata applicazione del diritto comunitario che, rompendo una situazione di equilibrio, provoca effetti discriminatori (ex post); ora la disuguaglianza viene associata alla produzione normativa del legislatore europeo che asseritamente determina una disparità di trattamento “in partenza” (ex ante). La chiave di lettura dell’uguaglianza in ottica antidiscriminatoria emerge in particolare nel contenzioso in materia di tutela dell’ambiente. Nelle sentenze Commissione c. Polonia e Commissione c. Estonia del 2012, la Commissione aveva infruttuosamente impugnato pronunce del Tribunale argomentando, tra l’altro, che lo stesso aveva violato il principio della parità di trattamento [100]. Le controversie riguardavano il sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra e le rispettive competenze della Commissione e degli Stati membri in relazione alla definizione dei Piani Nazionali di Assegnazione delle quote di emissione (c.d. PNA) [101]. La Com­missione rivendicava “un potere uniformatore” nell’elaborazione dei piani nazionali, discendente dal principio di equality e tale da imporre un metodo di valutazione comune, basato su dati e parametri provenienti dalla medesima fonte, e non da fonti diversificate per ogni Stato [102]. La Corte respinge l’argomento ritenendo che la parità di trattamento non possa modificare la ripartizione delle competenze prevista dalla direttiva sulle quote di [continua ..]


IX. Ritorno alle origini: l'uguaglianza in funzione (ri)costituente come argine alle regressioni dello Stato di diritto e dei valori fondamentali

Il principio di uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati è stato chiamato in causa anche nel recente contenzioso in materia di tutela dello Stato di diritto e indipendenza dei giudici. In questo ambito, l’uguaglianza viene riproposta dalla Corte nella sua funzione più incisiva, in sostegno e rinforzo del principio del primato del diritto dell’Ue. Così, a decenni di distanza dalla fase costituente dell’ordinamento, il principio di uguaglianza ritorna con funzione “ri-costituente”, per ribadire e difendere i capisaldi giuridici su cui poggia il diritto dell’Ue, soggetto agli attacchi frontali di alcuni Stati membri “obiettori”. È un contenzioso alimentato prevalentemente da rinvii pregiudiziali e ricorsi per annullamento, che si inserisce nel quadro del deterioramento dello Stato di diritto (c.d. rule of law backsliding) in Romania e Polonia, con riguardo alla compressione dell’indipedenza delle magistrature nazionali da parte degli esecutivi[119]. La Corte se ne occupa dapprima in un trittico di pronunce relative alla compatibilità con il diritto dell’Ue della normativa romena sullo status dei giudici. Nel caso Euro Box Promotion e altri, relativo agli effetti delle sentenze della Corte costituzionale romena in rapporto ai principi di indipendenza dei giudici e dello Stato di diritto, si poneva la questione dell’inci­denza del principio del primato del diritto dell’Ue sull’obbligo dei giudici nazionali di attenersi alle sentenze del giudice costituzionale [120]. In forza della Costituzione rumena, gli organi giurisdizionali ordinari risultavano vincolati alla giurisprudenza costituzionale, essendo esposti a responsabilità disciplinare in caso di inosservanza. Di conseguenza, i giudici romeni si trovavano nell’impos­sibilità di disapplicare la giurisprudenza costituzionale nazionale, anche laddove essi ne ritenessero la contrarietà al diritto dell’Unione, derivante, in particolare, da una sentenza resa in via pregiudiziale dalla Corte di giustizia. La Corte afferma che il primato del diritto dell’Unione osta a una simile prassi, in quanto idonea ad impedire, o anche solo inibire, dietro la minaccia di procedimenti e sanzioni disciplinari, il ruolo di giudice dell’Unione proprio del giudice nazionale, in quanto soggetto primariamente incaricato di applicare il diritto [continua ..]


X. Considerazioni conclusive

L’uguaglianza permea, sin dalle sue origini, il percorso di integrazione europea e ne costituisce un indispensabile fattore trainante e di sviluppo. Riferita agli Stati membri, nella specifica accezione di pari condizione di soggezione al diritto dell’Unione, l’uguaglianza ha trovato ingresso nell’or­dinamento in via giurisprudenziale, venendo coniata dalla Corte di giustizia nel corso della seconda fase costituente, a completamento dei fondamentali principi del primato e dell’effetto diretto. Ha poi ricevuto consacrazione nel diritto dell’Ue, venendo positivizzata nelle fonti di rango primario. Anche la dottrina ne ha riconosciuto l’importanza, qualificando l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati come “principio strutturale”[130], “principio costituzionale”[131] o “fondativo” [132], ovvero come componente essenziale del diritto dell’Unione da leggere in combinato disposto con altri suoi caratteri fondamentali [133]. Da questo ultimo punto di vista, l’uguaglianza viene considerata come causa ed effetto del primato del diritto dell’Ue, nonché come garanzia di uniforme applicazione delle norme dell’ordinamento [134]. Essa interagisce direttamente anche con il principio di fiducia reciproca che, insieme al primato, rappresenta concreta espressione della posizione di parità degli Stati membri nell’ordinamento [135]. La Corte di giustizia inoltre, come si è visto, ha posto l’uguaglianza davanti ai trattati in collegamento con il principio di leale cooperazione, richiamando la necessità di rispettare obblighi di condotta che consentono il mantenimento dell’uguaglianza di tutti gli Stati membri davanti al diritto dell’Unione. L’uguaglianza formale riferita agli Stati membri, pertanto, si pone quale principio cardine dell’ordinamento, informa l’appartenenza e la partecipazione ad esso, governando la “vita sociale” del sistema, nei rapporti tra i suoi soggetti. Da un punto di vista funzionale, essa è declinata in modo differente a seconda del suo impiego nel contesto dei particolari meccanismi di contenzioso previsti dall’ordinamento. Così, come emerge dall’esame del suo utilizzo nella giurisprudenza, l’uguaglianza assume, fin dall’origine, un triplice connotato: garanzia di non-discriminazione; [continua ..]


NOTE