Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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I valori dell'Unione europea ed il controllo della Corte di giustizia sulla legittimità degli atti PESC (di Pieralberto Mengozzi, Associato di Diritto dell’Unione europea, Università “Alma Mater Studiorum” di Bologna)


Dopo un sintetico richiamo dell’azione interna dell’Unione e dei meccanismi di garanzia per assicurare il rispetto dell’art. 2 TUE il lavoro analizza il ruolo svolto dalla Corte di giustizia per assicurare il suo rispetto in relazione ad atti PESC nel quadro dell’applicazione degli artt. 24 TUE e 275 TFUE. Rilevato come l’incidenza su questa del principio di tutela giurisdizionale effettiva e dell’art. 19 TUE abbia determinato una progressiva estensione della competenza in materia della Corte in relazione a misure restrittive PESC analizza come questo fenomeno potrà essere superato se la Corte in un caso attualmente pendente condividerà le conclusioni presentate da un Avvocato generale che le propone di rivedere quanto sin qui seguito circa il rapporto tra detti due articoli per interpretare l’art. 275 nella direzione di considerarlo applicabile anche in relazione a misure non restrittive per la tutela di diritti fondamentali degli individui.

The values of the European Union and the Court of Justice’s review of the legality of CFSP acts

After a brief recollection of the Union's internal action and the guarantee mechanisms to ensure respect for Article 2 TEU, the work analyses the role played by the Court of Justice in ensuring its respect in relation to CFSP acts in the framework of the application of Articles 24 TEU and 275 TFEU. Noting how the impact on the latter of the principle of effective judicial protection and Article 19 TEU has led to a gradual extension of the Court's jurisdiction on the subject in relation to CFSP restrictive measures, it analyses how this phenomenon may be overcome if the Court, in a case currently pending, agrees with the conclusions presented by an Advocate General proposing that it revise what has been done so far on the relationship between those two articles in order to interpret Article 275 in the direction of considering it applicable also in relation to non-restrictive measures for the protection of the fundamental rights of individuals.

SOMMARIO:

I. Introduzione - II. Il rilievo dei valori nei rapporti con Stati terzi - III. Il rispetto dei valori dell’Unione nel quadro della sua azione interna - IV. I procedimenti di controllo del loro rispetto: l’art. 7 TUE - V. (segue) l’accordo di monitoraggio UE Romania - VI. (segue) il Regolamento 2020/2092 - VII. (segue) il contenzioso insorto con riferimento al Regolamento 2020/2092 - VIII. La Corte di giustizia e l’attribuzione a detti valori di una forza vincolante in relazione a tutte le attività dell'Unione - IX. L'azione esterna dell'Unione, l'assenza in relazione ad essa dei meccanismi di ga-ranzia operanti con riferimento all’azione interna ed il ruolo assunto dalla Corte di giustizia - X. Gli artt. 24 TUE e 275 TFUE: la novità dell’art. 40 TUE rispetto all’art. 47 TCE - XI. (segue) il controllo della legittimità di misure restrittive ed il suo il coordinamento con l’art. 2 TUE - XII. (segue) la tutela dei valori dell’Unione prima e dopo il Trattato di Lisbona - XIII. Il rispetto da parte dell’Unione di detti valori anche nei rapporti interistituzionali - XIV. La valorizzazione dell’art. 19 TUE: le sentenze Mauritius ed Associação Sindical dos Juízes Portugueses - XV. I principi di eguaglianza e di rispetto dei diritti fondamentali: la sentenza H - XVI. La collaborazione dei giudici nazionali con la Corte di giustizia e la pronuncia Rosneft - XVII. (segue). La pace e la sicurezza internazionale come valori rilevanti nel quadro dell’azione esterna dell'Unione - XVIII. (segue) le perplessità suscitate dalla pronuncia Rosneft - XIX. La responsabilità extracontrattuale dell’Unione e la sentenza Elitaliana - XX. (segue) il rilievo dato al riguardo al principio di coerenza - XXI. La sentenza Bank Refah Kargaran e l’incorporazione delle decisioni PESC nel quadro giudiziario TFUE - XXII. La giurisprudenza della Corte sulla competenza in tema di PESC e sul rispetto dei valori UE da parte degli Stati membri: convergenze significative - XXIII. Le cause KS e KD e le conclusioni dell’Avvocato generale Ćapeta proponenti di estendere la competenza della Corte a tutte le misure PESC limitanti diritti dei singoli - XXIV. (segue). Il carattere del tutto alternativo di questa proposta rispetto all’atteggiamento sin qui seguito dalla Corte di giustizia - XXV. (segue). Il parere negativo espresso da quell’Avvocato generale nel caso Neves in relazione a domande pregiudiziali d’interpretazione - XXVI. Le reazioni suscitate dalle posizioni prese dall’Avvocato generale Ćapeta - XXVII. Il caso Venezuela e la possibilità di ricorsi alla Corte proposti da Stati terzi - XXVIII. Le posizioni assunte nel caso nel corso del procedimento - XXIX. La drastica pronuncia della Corte - XXX. La reazione espressa al riguardo - XXXI. La legittimità di decisioni PESC congelanti beni sulla base di provvedimenti giu-risdizionali di Stati terzi - XXXII. Conclusioni - NOTE


I. Introduzione

La nozione di Stato di diritto è stata espressamente inserita nei testi dei Trattati comunitari dal Trattato di Amsterdam, del 2 ottobre 1997, nel quadro di un processo che ha condotto al superamento di una concezione essenzialmente economica e mercantile delle Comunità europee. Il concetto su cui essa insiste si incentra sull’idea di una sottoposizione alla legge dei pubblici poteri e della società. Con riguardo all’Unione europea, tale concetto esprime la necessità che tutti i soggetti e gli “attori” ad essa appartenenti, quindi le Istituzioni, gli Organi e gli Organismi europei, gli Stati membri, le persone fisiche e giuridiche siano subordinati all’idea dello Stato di diritto. Secondo la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo ed al Consiglio dell’11 marzo 2014[1], che tiene conto non solo della giurisprudenza della Corte di giustizia, ma anche di quella della Corte europea dei diritti dell’uomo e dei documenti elaborati dal Consiglio d’Europa, in particolare dalla Commissione di Venezia, l’idea dello Stato discende dalle tradizioni costituzionali comuni a tutti gli Stati membri, su di essa si basa l’Unione ed è connotata da un’attitudine sensibilmente espansiva[2]. Secondo detta comunicazione dall’idea di Stato di diritto scaturiscono vari principi: i principi di legalità, della certezza del diritto, del divieto di arbitrarietà del potere esecutivo, dell’uguaglianza davanti alla legge, del controllo giurisdizionale indipendente ed effettivo, anche per quanto riguarda il rispetto dei diritti fondamentali. A questo modo la nozione di Stato di diritto dell’Unione europea si è venuta ad aggiungere ad alcune nozioni a contenuto non facilmente determinabile che hanno impegnato in modo rilevante i giuristi degli Stati membri in settori diversi della loro esperienza, quali le nozioni di principi generali, ordine pubblico e norme di applicazione necessaria. Con queste ultime il principio dello Stato di diritto dell’Unione europea ha in comune la caratteristica di essere legato ad un nucleo centrale dell’ordinamento che conduce a ritenerlo essenziale al suo funzionamento. Nel diritto UE quel principio si caratterizza per il fatto che è comune all’insieme degli Stati membri. Per la realizzazione di un sistema giuridico della Comunità, all’epoca, e dell’Unione [continua ..]


II. Il rilievo dei valori nei rapporti con Stati terzi

Quanto all’incidenza dei valori dell’Unione, ed in particolare del principio dello Stato di diritto, sull’azione esterna si è verificato un fenomeno molto significativo legato al mutamento che, a partire dalla seconda parte del secolo scorso, si è determinato sulla scena internazionale. Prima di allora il rispetto di detti valori, come risulta dalla Convenzione di Lomé[5] conclusa nel 1989 tra la Comunità Economica Europea ed i Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), si era connotato come uno strumento per legare Stati terzi bisognosi di aiuto, nel perseguimento di obiettivi di sviluppo, all’elevato standard valoriale della Comunità europea e dei suoi Stati membri al fine di concretare una condizionalità politica a cui subordinare forme di assistenza nei loro confronti. Con l’acquisizione di un orgoglioso senso di difesa della loro sovranità politica ed economica, quei Paesi hanno progressivamente desistito dal­l’accettare un tale tipo di condizionamento: sono ora essi, come vedremo in appresso si è verificato nel caso Venezuela, a pretendere che il principio dello Stato di diritto sia rispettato dall’Unione europea nei loro confronti. Il rispetto dei valori dell’Unione ha conservato rilievo solo per gli Stati terzi europei che si candidano all’ammissione nell’Unione. L’art. 49 TUE prevede che possono domandare di divenirne membri solo quegli Stati che rispettino i valori di cui all’art. 2 TUE.


III. Il rispetto dei valori dell’Unione nel quadro della sua azione interna

Se esige rispetto dei valori di cui all’art. 2 TUE ai fini dell’adesione di Stati terzi, l’Unione, come vedremo molto sinteticamente nei prossimi tre paragrafi, considera, realisticamente, anche la possibilità di involuzioni da parte di suoi Stati membri. Per far fronte a simili situazioni, che si è prospettato fossero intervenute o potessero intervenire in Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Slovacchia, sono stati chiamati ad esercitare funzioni nuove e particolari la Commissione, il Consiglio europeo, il Parlamento europeo e la Corte di giustizia dal­l’art. 7 TUE, da decisioni quali la Decisione 2006/928/CE-MCV (Meccanico di Cooperazione e Verifica) [6] e da quanto previsto dal Regolamento (UE, Euratom) 2020/2092 [7]. L’art. 7 TUE, inserito dal Trattato di Amsterdam del 1997, modificato da quello di Nizza del 2001 e poi da quello di Lisbona del 2007, ha posto in essere un procedimento di controllo sulla condotta degli Stati membri che può portare all’accertamento di una grave e persistente violazione da parte di uno di questi dei valori di cui all’art. 2 TUE. Tale accertamento, ai sensi del­l’attuale par. 2 dell’art. 7 TUE, può intervenire a seguito di una proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione, di una deliberazione unanime del Consiglio europeo (adottata senza tener conto del rappresentante dello Stato sospettato di quella violazione) e dell’approvazione da parte del Parlamento europeo. A questa constatazione può seguire l’adozione di una sanzione da parte del Consiglio che decide a maggioranza qualificata consistente nella sospensione di alcuni diritti derivanti a quello Stato dal­l’ap­pli­ca­zione dei Trattati, compresi i diritti di voto da parte del proprio rappresentante in seno al Consiglio. Il par. 1 di detto articolo, introdotto dal Trattato di Nizza, ha aggiunto una procedura preventiva detta di preallarme, volta a verificare l’esistenza di “un evidente rischio di violazione” grave di tali valori [8]- [9]. La procedura da seguire al riguardo è meno rigida rispetto a quella di cui all’art. 2 TUE perché essa, pur dovendo essere sempre adottata dal Parlamento europeo, può essere avviata, anziché dall’unani­mità del Consiglio europeo dalla maggioranza dei quattro quinti del Consiglio. Gli atti costituiti [continua ..]


IV. I procedimenti di controllo del loro rispetto: l’art. 7 TUE

L’introduzione nei Trattati europei dello Stato di diritto come un principio su cui si fonda l’Unione europea è avvenuta con una modifica del Trattato di Amsterdam all’art. F del Trattato di Maastricht, modifica che è stata accompagnata dall’istituzione di una procedura d’infrazione, distinta da quella all’epoca prevista dall’art. 226 TCE, per il caso di sua violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro che, se constatata, avrebbe consentito di sospendere i diritti derivanti a quello Stato dall’applicazione del Trattato compresi i diritti di voto in seno al Consiglio. La possibilità di una sua applicazione è stata successivamente avvertita nei primi mesi del 2000 a seguito di una reazione al coinvolgimento nella compagine governativa austriaca del partito di estrema destra Alleanza per il futuro dell’Austria, fondato da Jörg Haider[15]. L’attivazione di quella procedura nei confronti dell’Austria è stata dimenticata in ragione di un rapporto di “Tre Saggi”, appositamente nominati, che ha rilevato il sostanziale rispetto da parte di quel governo degli impegni comunitari. Essa è, invece, intervenuta a seguito dell’avvertimento di preoccupanti violazioni dei valori dell’Unione da parte della Polonia e dell’Unghe­ria, nonostante la Corte di giustizia non escluda, in costanza del suo svolgimento, il ricorso da parte delle persone interessate, per la tutela di detti valori, a procedure giurisdizionali[16]. Il ricorso allo strumento in questione è stato preferito rispetto a procedure giudiziarie e ad incontri bilaterali in quanto si è prestata fiducia ai tre principi su cui esso si basa, costituiti dall’eguaglianza tra gli Stati membri nei cui confronti è destinato ad operare, dall’obiettività con cui la Commissione è tenuta a gestirlo e dal dovere di leale cooperazione a cui gli Stati membri sono tenuti nel corso del suo funzionamento [17]. A termini dell’art. 7 TUE, il Consiglio può sospendere alcuni diritti, compreso quello di voto in seno ad esso, che i Trattati riconoscono a favore degli Stati membri dopo che sia stata accertata la violazione da parte di uno di essi dei valori fondamentali di cui all’art. 2 TUE secondo una procedura articolata in due fasi. La prima fase, disciplinata dal par. 1 di detto art. 7, e preceduta da [continua ..]


V. (segue) l’accordo di monitoraggio UE Romania

Alla luce di tali difficoltà di applicazione dell’art. 7 TUE sono stati predisposti due strumenti che si sono ritenuti capaci di svolgere un ruolo più rilevante di prevenzione: un primo volgente ad istituire un’articolata procedura di dialogo annuale tra la Commissione, il Consiglio ed il Parlamento europeo, insieme agli Stati membri, ai parlamenti nazionali, alla società civile ed altre parti interessate, denominato Meccanismo europeo per lo Stato di diritto[20]; un secondo più volto a produrre effetti vincolanti costituito dalla sopra citata Decisione 2006/928/CE-MCV[21]. Questo secondo meccanismo, mirante a verificare i progressi compiuti dalla Romania per rispettare i parametri di riferimento previsti da detta Decisione, è stato istituito il 13 dicembre 2006 nel corso della procedura che ha portato all’adesione di quel Paese ed ha evitato il blocco verificatosi nel corso del relativo negoziato determinato dall’avvertimento della necessità di un superamento in esso della corruzione e dell’insufficiente efficienza e trasparenza del suo sistema giudiziario [22]. Per perseguire un tale obiettivo è stato predisposto un accordo di monitoraggio che ha la funzione di operare anche dopo l’adesione ed è destinato a rinforzare, per quanto riguarda quel Paese, il controllo del rispetto dei valori di cui all’art. 2 TUE su di esso esercitato dall’Unione. L’applicazione di tale accordo ha dato luogo ad un contenzioso. Questo è stato occasionato dal fatto che, nonostante il par. 2 dell’art. 148 della Costituzione rumena stabilisca che, a seguito “della adesione, le disposizioni dei trattati istitutivi dell’Unione europea, nonché le altre normative comunitarie aventi valore vincolante, prevalgono sulle disposizioni contrarie della normativa nazionale nel rispetto delle disposizioni dell’atto di adesione”, la Corte costituzionale rumena, a fronte di una normativa del proprio Paese che si sosteneva fosse incompatibile con la Decisione 2006/928/CE-MCV, ha escluso che essa potesse considerarsi illegittima dato che era stata adottata prima dell’adesione della Romania. La Corte di giustizia, richiesta di pronunciarsi dalla stessa Corte costituzionale ai sensi dell’art. 267 TFUE, con sentenza del 18 maggio 2021 [23] ha qualificato quella decisione come un atto dell’Unione avente effetto diretto [continua ..]


VI. (segue) il Regolamento 2020/2092

A fronte anche del contenzioso di cui al paragrafo precedente e della prospettiva di un suo perdurare le Istituzioni politiche dell’Unione hanno perseverato nella ricerca di un cambiamento di rotta, già iniziato nel 2018. Tale sforzo ha portato all’adozione del Regolamento generale di condizionalità 2020/2092[29] basata sull’utilizzazione di uno strumento che è stato indicato come “l’arme budgétaire”, legato ai due seguenti dati: a) gli Stati membri sono beneficiari di fondi dell’Unione usualmente erogati non in un’unica soluzione ma in tempi tra loro successivi e b) subordinare l’eroga­zione di tali fondi al rispetto dei valori dell’Unione, oltre a poter essere rilevantemente incisivo, è idoneo ad evitare che la gestione finanziaria del bilancio dell’Unione sia compromessa[30]. Quel regolamento è stato adottato in occasione dell’approvazione del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 e del piano di rilancio per l’Europa Next Generation EU, in ragione della coincidenza della condizionalità che l’Unione ha previsto si debba realizzare per garantire un corretto raggiungimento degli obiettivi perseguiti dal Meccanismo europeo per lo Stato di diritto e dal Meccanismo di Cooperazione e Verifica. È entrato in vigore l’11 gennaio 2021 a) dando luogo ad una condizionalità generale orizzontale nel senso che esso deve imporre il rispetto del valore dello Stato di diritto in cui deve operare il bilancio dell’Unione in tutti i settori del­l’azione dell’Unione e b) fornendo un’indicazione dei principi rientranti in tale valore. Con questa seconda precisazione, che peraltro fornisce agli effetti della sua applicazione, riprende e dilata le specificazioni di quel principio contenute nella Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo ed al Consiglio dell’11 marzo 2014 [31]. Indica che in tale principio rientrano “i principi di legalità, in base alla quale il processo legislativo deve essere trasparente, responsabile, democratico e pluralistico; certezza del diritto; divieto di arbitrarietà del potere esecutivo; tutela giurisdizionale effettiva, compreso l’accesso alla giustizia, da parte di organi giurisdizionali indipendenti e imparziali, anche per quanto riguarda i diritti fondamentali; separazione dei poteri; non discriminazione e [continua ..]


VII. (segue) il contenzioso insorto con riferimento al Regolamento 2020/2092

Nonostante il regolamento includesse dette precisazioni, l’Ungheria e la Polonia, con due ricorsi separati, l’hanno impugnato ai sensi dell’art. 263 TFUE avanzando tre motivi principali: a) l’incompetenza del Consiglio ad adottarlo sulla base delle lettere a) e b) del par. 1 dell’art. 322 TFUE, in ragione del suo carattere sanzionatorio, b) l’elusione in tale regolamento del carattere esclusivo della procedura di cui agli artt. 7 TUE e 269 TFUE ad accertare la violazione del principio dello Stato di diritto e c) l’infrazione della certezza del diritto [38]. Qui interessa, in particolare, il primo motivo del ricorso, in ragione dell’analisi che la Corte di giustizia e l’Avvocato generale hanno compiuto nel caso. Ciò in quanto gli Stati ricorrenti hanno sostanzialmente imperniato tale motivo sull’affermazione contenuta nell’art. 4, paragrafo 2, TUE ed una invocazione di tale disposizione volgeva e volge a neutralizzare l’operare di tutte le misure capaci di essere utilizzate per reagire a violazioni dei valori dell’Unione. La risposta ad un tale argomento è stata importante non soltanto con riferimento alla competenza della Corte a pronunciarsi in relazione ad atti PESC concernenti l’azione interna dell’Unione, ma anche ad atti di tale tipo concernenti la sua azione esterna. È stata importante anche perché ha concorso, con la sentenza del 24 giugno 2014, Parlamento europeo contro Consiglio dell’Unione europea (Mauritius) [39] di cui sarà detto in appresso [40], a consolidare il rilievo che, sin dalla pronuncia Les Verts, è stato attribuito ai valori dell’Unione e cioè la loro funzione di parametro per stabilire la legittimità di atti degli Stati membri e delle Istituzioni comunitarie [41]. Con riferimento a detto primo motivo di ricorso l’esame della Corte di giustizia è partita dai dati che nel procedimento le erano stati sottoposti, concernenti l’interpretazione dell’art. 322, paragrafo 1, TFUE, secondo cui il Parlamento ed il Consiglio adottano mediante regolamenti “le regole finanziare che stabiliscono in particolare le modalità relative alla formazione ed all’esecuzione del bilancio, al rendiconto e alla verifica dei conti”. In linea con i dati sottoposti alla sua attenzione la Corte doveva tener conto del fatto che [continua ..]


VIII. La Corte di giustizia e l’attribuzione a detti valori di una forza vincolante in relazione a tutte le attività dell'Unione

L’Avvocato generale Campos Sánchez-Bordona aveva, però, accompagnato questa sua posizione indicando che quel regolamento aveva un intento assimilabile a quello del regolamento finanziario previsto da detto art. 322 TFUE [43]. Ciò ha evidentemente indotto la Corte a considerare che vi fosse la necessità di svolgere una ricerca ulteriore sulla funzione del regolamento in questione, capace di integrarne la legittimità rispetto alla sua qualificazione come regolamento finanziario. Procedendo al riguardo essa ha ricordato che, quando uno Stato candidato all’adesione aderisce ad una costruzione giuridica, come quella dell’Unione, che poggia sulla premessa fondamentale secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri i valori contenuti nell’art. 2 TUE, ritiene questi valori atti a definire l’identità stessa dell’Unione [44]. Si è ritenuto che il linguaggio usato dalla Corte abbia un valore “epocale” rilevando che l’art. 2 TUE non costituisce “una mera enunciazione di orientamenti e di intenzioni di natura politica” [45], ma contiene valori, compresi la solidarietà e lo Stato di diritto, destinati ad operare con riferimento a tutto l’ambito d’applicazione del diritto dell’Unione [46]. Nella sentenza del 15 luglio 2021, Repubblica federale di Germania c. Commissione europea (OPAL) [47] la Corte di giustizia aveva invocato il valore della solidarietà, per sostenerne la portata vincolante, unicamente in relazione all’applicazione dell’art. 194 TFUE concernente il funzionamento del mercato dell’energia [48]. Ora, invece, essa fa riferimento a tale articolo come ad uno dei valori di cui all’art. 4, paragrafo 2, TUE che fanno parte dell’identità stessa dell’Unione quale ordinamento giuridico comune, e sono concretizzati in principi che comportano obblighi giuridicamente vincolanti per gli Stati membri [49]. È evidente come con ciò la Corte ha, non solo consolidato il rilievo attribuito, a partire dalla sentenza Les Verts e, come vedremo, con la sentenza Mauritius, al principio dello Stato di diritto, ma l’ha rinforzato. Ha precisato, da un lato, che esso vincola l’Unione in relazione a tutta la sua attività inclusa quella svolta nel quadro della PESC e, dall’altro, che esso [continua ..]


IX. L'azione esterna dell'Unione, l'assenza in relazione ad essa dei meccanismi di ga-ranzia operanti con riferimento all’azione interna ed il ruolo assunto dalla Corte di giustizia

L’art. 25 TUE stabilisce che l’Unione conduce la politica estera e di sicurezza comune a) definendo gli orientamenti generali e b) adottando decisioni che definiscono i) le azioni che l’Unione deve intraprendere, ii) le posizioni che l’Unione deve assumere, iii) le modalità di attuazione delle decisioni di cui ai punti i) e ii) e c) rafforzando la cooperazione sistematica tra gli Stati membri per la conduzione della loro politica. Per quanto riguarda le decisioni di cui alla lett. b) il potere decisionale è riservato unicamente alle due Istituzioni intergovernative, Consiglio europeo e Consiglio, che lo esercitano, per regola, all’unanimità e con atti esplicitamente non legislativi. Il Trattato di Lisbona provvede a coordinare atti emanati nel quadro della PESC ed atti “ordinari”. In proposito l’art. 215, par. 1, TFUE dispone che quando il Consiglio abbia deciso, ai sensi delle disposizioni della PESC, l’interruzione o la riduzione, totale o parziale, delle relazioni economiche e finanziarie con uno o più Paesi terzi (come misure d’embargo commerciale), lo stesso Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, su proposta congiunta dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza e della Commissione, adotta le misure adatte a dare loro adeguata attuazione all’interno dell’ordinamento dell’Unione, informandone il Parlamento europeo. Tali misure sono oggetto di atti “tipici” dell’Unione quali previsti dall’art. 288 TUE, in specie di regolamenti idonei ad assicurare un’obbligatorietà integrale e diretta delle misure restrittive in questione [51]. Mentre per quanto riguarda i regolamenti di cui immediatamente sopra operano tutti i rimedi giurisdizionali relativi agli altri atti dell’Unione, non operano in alcun modo in relazione alle decisioni PESC i meccanismi che nei paragrafi precedenti si è visto agiscono per assicurare il rispetto dei valori di cui all’art. 2 TUE nel rapporto tra le Istituzioni dell’Unione e gli Stati membri. Il Trattato di Lisbona, con l’art. 23 TUE, stabilisce che l’azione del­l’Unione sulla scena internazionale si fonda sui principi, persegue gli obiettivi ed è condotta in conformità delle disposizioni generali di cui al Capo I. In questo, al primo paragrafo dell’art. 21 TUE, si precisa [continua ..]


X. Gli artt. 24 TUE e 275 TFUE: la novità dell’art. 40 TUE rispetto all’art. 47 TCE

L’applicazione degli artt. 24 TUE e 275 TFUE si è collocata in un quadro che include elementi costituiti a) dal superamento della distinzione in pilastri dell’azione dell’Unione, b) dalla sostituzione dell’art. 40 TUE al precedente art. 47 TCE, c) dall’attribuzione all’Unione di una personalità giuridica unica[54], d) dall’operare in relazione alla stessa di un unico ordinamento integrando le disposizioni relative alla PESC nell’ambito generale del diritto dell’Unione[55], e) dall’imporsi, anche in relazione all’Unione, dei valori di cui all’art. 2 TUE, e del rilievo particolare tra essi assunto dai principi della tutela giurisdizionale effettiva desumibile dall’art. 19 TUE e di coerenza ed f) dal fatto che la politica di sicurezza è soggetta a norme e procedure specifiche. Per quanto riguarda il rilievo che l’art. 40 TUE [56] ha con riferimento all’azione esterna dell’Unione è importante evidenziare che esso si differenzia dal precedente art. 47 TCE per due distinte ragioni. In primo luogo l’art. 40 non è contenuto, come l’art. 47, nelle disposizioni finali del TCE e non importa una subordinazione dell’azione esterna ai “Trattati che istituiscono le Comunità europee” ed ai Trattati ed agli atti successivi che li hanno modificati o completati. Prevede soltanto che l’attuazione della politica estera e di sicurezza comune lascia impregiudicata l’applicazione delle procedure e la rispettiva portata delle attribuzioni previste dai Trattati per l’esercizio delle competenze esclusive dell’Unione, delle sue competenze concorrenti, delle sue competenze di coordinamento delle politiche occupazionali e sociali degli Stati membri e di quelle volte a sostenere, coordinare o completare in altri settori l’azione degli Stati membri previste dagli artt. da 3 a 6 TFUE. L’art. 40, poi, dando al sistema che esso prevede un carattere bidirezionale, stabilisce che l’applicazione delle procedure e delle attribuzioni operanti con riferimento al funzionamento di politiche diverse dalla PESC lascia “impregiudicata l’applicazione delle procedure e la rispettiva portata delle istituzioni previste dai trattati per l’esercizio delle competenze dell’Unione” relative alla politica estera e di sicurezza comune [57]. Questo, anche se fa [continua ..]


XI. (segue) il controllo della legittimità di misure restrittive ed il suo il coordinamento con l’art. 2 TUE

L’ultima parte del secondo comma dell’art. 24 TUE dopo avere previsto che la Corte di giustizia non è competente riguardo alle disposizioni dell’Unione in materia di affari esteri e di sicurezza comune a cui tale ultima parte si riferisce, stabilisce che la Corte è abilitata a “controllare la legittimità di talune decisioni come previsto dall’art. 275, secondo comma, TFUE”. Si ritiene generalmente che i redattori del Trattato di Lisbona abbiano inserito quest’ultima disposizione allo scopo di aumentare i poteri della Corte in quanto prima essa era competente a pronunciarsi sulle misure restrittive solo e nei limiti in cui la decisione PESC che le stabiliva veniva attuata attraverso un regolamento che, in quanto tale, rientrava nella sua piena giurisdizione[69]. E questo nonostante l’adozione di misure restrittive di solito richiedesse l’emanazione di due atti: un primo, costituito dalla decisione PESC con la quale si dava vita al regime sanzionatorio e si stabilivano le misure restrittive; un secondo, precisante la disciplina necessaria per dare dettagliatamente attuazione alla decisione e adottato anche quando le misure previste nella decisione non rientravano nelle competenze PESC e dovevano essere attuate direttamente dagli Stati membri[70]. Dopo il Trattato di Lisbona l’adozione di misure restrittive continua ad avvenire attraverso l’adozione di detti due atti. Con la differenza, però, che il controllo di legittimità delle decisioni PESC da parte della Corte di giustizia, nei limiti dell’applicabilità del combinato disposto dell’art. 24 TUE e dell’art. 275 TFUE, è possibile. Quanto alla concreta determinazione della nuova competenza della Corte di giustizia prevista da detti due articoli del Trattato di Lisbona si pone il problema di un coordinamento di questi [71] con i valori di cui all’art. 2 TUE ed in particolare con il principio dello Stato di diritto [72]. L’analisi del modo in cui questo coordinamento si è sin qui realizzato costituisce l’obiettivo principale di questo lavoro in quanto la limitazione del­l’immunità dalla giurisdizione della Corte di decisioni PESC, determinata dall’applicazione di detto art. 2 rispetto all’operare degli artt. 24 TUE e 275 TFUE, è venuta a conoscere un fenomeno di sua crescente estensione. È proprio [continua ..]


XII. (segue) la tutela dei valori dell’Unione prima e dopo il Trattato di Lisbona

Per quanto riguarda le relazioni esterne, la tutela dei valori del­l’Unione è stata, per un certo tempo, prima del Trattato di Lisbona, perseguita in accordi che prevedevano benefici a favore di Stati terzi. Per la prima volta la Convenzione di Lomé ha legato la cooperazione tra le parti contraenti al rispetto dei diritti e delle liberà fondamentali dell’uomo. Gli accordi successivi del 1992 contenevano una clausola sugli “elementi essenziali”, ricomprendenti il rispetto dei diritti umani la cui osservanza è indicata come necessaria ai fini dell’esecuzione dell’accordo. Un impegno da parte di Stati terzi a rispettare detti diritti era pure contenuto in un atto unilaterale dell’Unione costituito dal Regolamento (CEE) 1309/71 [73]. Con esso l’Unione aveva accordato un accesso tariffario preferenziale al proprio mercato a Paesi in via di sviluppo, classificati dalla Banca mondiale come Paesi a reddito medio-basso o basso, destinato a sostenere le responsabilità speciali che discendono loro dall’applicazione delle principali convenzioni internazionali (un impegno, questo, che si differenzia dai precedenti in quanto dà luogo ad una forma di condizionalità economica che agevola il loro percorso di diversificazione economica e d’integrazione nel sistema commerciale internazionale). I condizionamenti concretati da quelle previsioni a favore di Stati terzi non pervengono mai ad assumere un rilievo vincolante. Si limitano ad avere un carattere politico ed esortativo in grado di occasionare dialogo tra le parti [74]. Con il Trattato di Lisbona gli artt. 24, ultima parte del secondo comma del suo primo paragrafo, TUE e 275, comma 2, TFUE, hanno previsto un controllo della Corte di giustizia sull’azione esterna dell’Unione. Hanno previsto, come indicato sopra, che questa “non è competente per quanto riguarda le disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune, né per quanto riguarda gli atti adottati in base a dette disposizioni”, ma lo è per controllare la legittimità di alcune decisioni. Hanno precisato che essa è abilitata “a controllare il rispetto dell’articolo 40 del trattato sull’Unione europea e a pronunciarsi sui ricorsi, proposti secondo le condizioni di cui al­l’articolo 263, quarto comma [TFUE], riguardanti il controllo della [continua ..]


XIII. Il rispetto da parte dell’Unione di detti valori anche nei rapporti interistituzionali

Stante che, in relazione alla tutela dei valori dell’art. 2 TUE nel quadro della disciplina dell’azione esterna dell’Unione, non poteva operare il meccanismo di cui all’art. 7 TUE, si è potuto procedere, inizialmente, ad un’invocazione di quei valori nel contesto di una procedura avviata dal Parlamento europeo contro il Consiglio davanti alla Corte di giustizia e successivamente, come sarà visto nel paragrafo XVII, nel quadro della collaborazione dei giudici nazionali con la Corte di giustizia [75]. Il ricorso che il Parlamento europeo ha avanzato contro il Consiglio, e sul quale la Corte si è pronunciata il 24 giugno 2014, concerneva il non rispetto da parte del secondo della procedura prevista dal par. 10 dell’art. 218 TFUE per la conclusione di un accordo tra l’Unione europea e la Repubblica di Mauritius sulle condizioni del trasferimento a detta Repubblica delle persone sospettate di atti di pirateria e dei relativi beni sequestrati da parte di una forza navale gestita dall’Unione europea [76]. Tale ricorso è risultato molto importante innanzitutto per il fatto, che decidendo per il suo accoglimento, la Corte ha rilevato che la procedura da seguire al riguardo è prevista dall’art. 218, par.10, TFUE “al fine di garantire che il Parlamento sia messo in condizione di esercitare un controllo democratico sulla azione esterna del­l’Unione” [77]. Dato che quella disposizione volge a soddisfare il principio democratico, vale a dire uno dei valori di cui all’art. 2 TUE, la Corte ha mostrato di ritenere che l’Unione è tenuta al loro rispetto, non solo nei confronti degli Stati membri e delle persone fisiche o giuridiche, ma anche nei rapporti interistituzionali [78]. La pronuncia è, peraltro, non meno rilevante per un cospicuo ulteriore elemento di novità che essa contiene. La Corte non ha, infatti, trascurato quanto stabilito dal Trattato di Lisbona il quale non le consente di pronunciarsi in merito alle disposizioni relative alla PESC nonché agli atti adottati sulla loro base. Ha, tuttavia, con forza, evidenziato che gli “articoli 24, paragrafo 1, secondo comma, ultimo periodo, TUE e 275, primo comma, TFUE introducono una deroga alla regola della competenza generale che l’articolo 19 TUE” le conferisce “per assicurare il rispetto del diritto [continua ..]


XIV. La valorizzazione dell’art. 19 TUE: le sentenze Mauritius ed Associação Sindical dos Juízes Portugueses

La sentenza Mauritius ha valorizzato il principio della tutela giurisdizionale effettiva in ragione del fatto che il Trattato di Lisbona lo esprime all’art. 19 TUE, stabilendo al primo comma del suo primo paragrafo che la Corte di giustizia assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati, ed al secondo comma che gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione. Questo principio garantisce il rispetto del diritto previsto dall’art. 2 TUE, sia per quanto riguarda l’azione interna, sia per quanto riguarda l’azione esterna, del­l’Unione. Sotto il primo profilo ha costituito il punto di partenza della giurisprudenza sui valori che è stata posta in essere a partire dal caso Associação Sindical dos Juízes Portugueses [91] ed ha proseguito ad avere rilievo in casi riguardanti violazioni sistemiche dello Stato di diritto che hanno coinvolto la Polonia e l’Ungheria. Per quanto riguarda l’azione esterna il principio dello Stato di diritto ha inciso rilevantemente sulla competenza della Corte di giustizia a pronunciarsi, tra l’altro, sulla validità di misure restrittive per la gestione del personale nell’ambito di missioni civili PESC. L’utilizzazione da parte della Corte di giustizia dei valori del­l’Unione di cui all’art. 2 TUE, per la determinazione della sua competenza in materia PESC, ha avuto inizio con la pronuncia resa il 19 luglio 2016 nel caso H contro Consiglio dell’Unione europea, Commissione europea, e Missione di polizia dell’Unione europea (EUPM)[92], in cui si è posto il problema di un ricorso di annullamento di un atto PESC presentato da una magistrata italiana che era stata distaccata dal proprio Governo a Sarajevo dove era divenuta capo dell’ufficio legale della missione di polizia dell’Unione europea (EUPM). Nel marzo 2010 il Governo italiano aveva esteso il suo distacco sino al dicembre 2010. Poco dopo, il 7 aprile 2010, il capo di quella missione – come capo del personale – l’aveva riassegnata al posto di consigliere-procuratore in materia di giustizia penale presso l’ufficio regionale di Banja Luka (Bosnia-Erzegovina). A seguito di un reclamo di quella magistrata alle autorità italiane il [continua ..]


XV. I principi di eguaglianza e di rispetto dei diritti fondamentali: la sentenza H

L’utilizzazione da parte della Corte di giustizia dei valori del­l’Unione di cui all’art. 2 TUE, per la determinazione della sua competenza in materia PESC, ha avuto inizio con la pronuncia resa il 19 luglio 2016 nel caso H contro Consiglio dell’Unione europea, Commissione europea, e Missione di polizia dell’Unione europea (EUPM)[92], in cui si è posto il problema di un ricorso di annullamento di un atto PESC presentato da una magistrata italiana che era stata distaccata dal proprio Governo a Sarajevo dove era divenuta capo dell’ufficio legale della missione di polizia dell’Unione europea (EUPM). Nel marzo 2010 il Governo italiano aveva esteso il suo distacco sino al dicembre 2010. Poco dopo, il 7 aprile 2010, il capo di quella missione – come capo del personale – l’aveva riassegnata al posto di consigliere-procuratore in materia di giustizia penale presso l’ufficio regionale di Banja Luka (Bosnia-Erzegovina). A seguito di un reclamo di quella magistrata alle autorità italiane il capo della missione aveva confermato la sua riassegnazione adducendo la necessità di una consulenza giudiziaria nell’ufficio di Banja Luka. Allora quella magistrata ha presentato un ricorso contro l’EUPM davanti al TAR del Lazio per l’annullamento della sua ricollocazione e per una compensazione del danno da essa sofferto. Nel contempo ha avanzato un ricorso dello stesso tenore davanti al Tribunale dell’Unione europea. Il Tribunale dell’Unione europea ha dichiarato l’irricevibilità del suo ricorso seguendo, in sostanza, l’argomento del Consiglio e della Commissione che avevano sostenuto che le decisioni contestate erano azioni operative poste in essere nel quadro della PESC cosicché, alla luce dell’esclusione della competenza giurisdizionale prevista dalla prima parte del secondo comma del paragrafo 1 dell’art. 24, TUE e del primo comma dell’art. 275 TFUE, il Tribunale non era competente a conoscere del ricorso. Avendo la ricorrente, dal canto suo, obiettato che ciò corrispondeva ad un diniego di un rimedio effettivo come previsto dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il Tribunale ha replicato che la legittimità delle misure contestate poteva essere controllato a livello nazionale. La Corte, nel decidere sul ricorso presentatole dalla ricorrente, si è [continua ..]


XVI. La collaborazione dei giudici nazionali con la Corte di giustizia e la pronuncia Rosneft

La Corte di giustizia si è pronunciata per la prima volta in relazione ad una richiesta di pronuncia pregiudiziale con riferimento al caso Rosneft sottopostole dalla High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Divisional Court). In questo caso una società, la PJSC Rosneft Oil Company, iscritta nel registro delle imprese in Russia, chiedeva al giudice del Regno Unito di annullare le norme di quel Paese che avevano dato attuazione alla Decisione 2014/512/PESC [103] ed al Regolamento (UE) 833/2014 [104], riguardanti misure restrittive del Consiglio dell’Unione nei confronti di esportazioni di prodotti di tecnologia sensibile destinati al settore petrolifero in Russia. Dato che il ricorso interessava, oltre detta decisione PESC, un regolamento adottato sulla base dell’art. 215 TFUE, avente un contenuto sostanzialmente coincidente con la decisione, il giudice del rinvio avrebbe potuto limitarsi a decidere esprimendosi sull’attuazione nel suo Paese del regolamento. Esso, però, ritenendo che la validità di quell’atto, che era stato adottato su tale base giuridica, necessitasse che a monte la decisione PESC fosse valida, aveva effettuato un rinvio pregiudiziale per ottenere un accertamento della sua validità. Gli constava che quella decisione fosse intesa diversamente negli Stati membri e riteneva di doversi esprimere, non secondo il relativo intendimento da parte di uno di quegli Stati, ma alla luce del significato uniforme attribuibile dalla Corte di giustizia. La questione implicava l’interpretazione dell’eccezione sancita dall’art. 275 TFUE alla generale incompetenza della Corte di giustizia a conoscere di disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune e di atti adottati in base a tali disposizioni che aveva già compiuto nella causa Mauritius, ma presentava una particolarità nuova. Nel precedente caso si trattava di una richiesta del Parlamento europeo di dichiarare l’illegittimità di una decisione del Consiglio di concludere un accordo violando la sua competenza in materia. La Corte, come indicato sopra, ha affermato che la sua incompetenza nella sfera della PESC, prevista dall’art. 24 TUE, costituiva un’eccezione alla sua generale competenza ad assicurare il rispetto del diritto nel­l’in­ter­pretazione e nell’applicazione dei Trattati (art. 19 TUE) e, in quanto [continua ..]


XVII. (segue). La pace e la sicurezza internazionale come valori rilevanti nel quadro dell’azione esterna dell'Unione

Dalla decisione di rinvio emergeva che Rosneft lamentava che talune disposizioni degli atti controversi violassero l’accordo di partenariato UE-Russia. Questo profilo del contenzioso insorto davanti ai giudici del Regno Unito, anche se può, a prima vista, sembrare che fuoriesca dall’oggetto specifico di questo lavoro e comunque la Corte di giustizia abbia escluso la necessità di pronunciarsi su di esso in quanto non appariva contrario all’art. 99, punto 1, lettera d) di tale accordo, può meritare di essere considerato. Ciò perché, come rilevato dalla stessa Corte [118], il tenore letterale di detta disposizione non prevede che la guerra o le gravi tensioni internazionali non assumano rilievo quando coinvolgono direttamente il territorio dell’Unione. E, pertanto, eventi che si producono in un Paese ad essa limitrofo, come quelli verificatisi in Ucraina, possono giustificare misure volte alla tutela degli interessi fondamentali della sicurezza dell’Unione nonché a preservare la pace e la sicurezza internazionale, conformemente all’obiettivo assegnato, a norma dell’art. 21, paragrafo 1, primo comma e paragrafo 2, lettera c), TUE, alla sua azione esterna, nel rispetto dei principi e delle finalità della Carta delle Nazioni Unite. Ritenendo che si fosse dato un evento di tal genere i capi di Stato e di Governo dell’Unione avevano condannato la violazione ingiustificata della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. Avevano rilevato che la situazione era grave ed era opportuno adottare misure restrittive, in risposta alle azioni di detta Federazione destabilizzanti la situazione in quel Paese, miranti a promuovere una soluzione pacifica della crisi da essi determinata. Tenuto conto di ciò la Corte ha considerato che il Consiglio a) abbia ragionevolmente ritenuto che l’adozione delle misure restrittive in questione fosse necessaria per la tutela degli interessi fondamentali della sicurezza dell’Unione nonché per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale e b) abbia affermato che “dall’esame degli atti controversi alla luce [di questo] accordo non è emerso alcun elemento che possa inficiar[e] la validità” delle misure restrittive in questione. Questa considerazione anche se, per le ragioni indicate all’inizio di [continua ..]


XVIII. (segue) le perplessità suscitate dalla pronuncia Rosneft

La pronuncia Rosneft ha destato un duplice ordine di perplessità. Da un lato, si afferma che la Corte di giustizia sembra aver colto l’occasione offerta da questo caso per estendere la sua giurisdizione nel campo della PESC a scapito della volontà degli Stati membri [119]. D’altro lato, si lamenta che in essa la Corte pare aver ritenuto di doversi pronunciare non in relazione a misure restrittive di carattere generale ma soltanto in relazione a misure nei confronti di persone fisiche o giuridiche [120]. Quanto al primo ordine di perplessità si può ritenere che la posizione assunta dalla Corte sia giustificata alla luce dell’attenzione che essa ha prestato al punto 62 delle conclusioni presentate nel caso dall’Avvocato generale Melchior Wathelet. In esso si fa perno sull’ultima frase del secondo paragrafo dell’art. 275 TFUE in cui si prevede la competenza della Corte a decidere della “legittimità” delle misure restrittive decise dal Consiglio e si chiarisce come funzionale alla determinazione di tale legittimità sia non solo la procedura di cui all’art. 263 TFUE ma anche quella di cui all’art. 267 TFUE [121]. La Corte ha così fatto riferimento a quanto precisato dall’Avvocato generale, richiamando ciò che essa aveva affermato nella pronuncia Foto-Frost, in cui aveva sottolineato che le pronunce pregiudiziali sono volte ad accertare la validità di un provvedimento e costituiscono, come i ricorsi di annullamento, un mezzo per controllare la legittimità degli atti dell’UE. In linea con questo richiamo, infatti, essa ha rilevato, innanzitutto, che la “caratteristica essenziale del sistema di tutela giurisdizionale dell’Unione si estende al controllo della legittimità delle decisioni che prevedono l’adozione delle misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche nell’ambito della PESC” [122]; e, poi, “non risulta […] né dal Trattato UE né dal Trattato FUE che il ricorso di annullamento proposto dinanzi al Tribunale, in applicazione del combinato disposto degli articoli 256 e 263 TFUE, rappresenti l’unica modalità per il controllo di legittimità di decisioni che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche, con l’esclusione, in particolare, del rinvio pregiudiziale per [continua ..]


XIX. La responsabilità extracontrattuale dell’Unione e la sentenza Elitaliana

La Corte ha prestato attenzione al problema della possibilità di pronunciarsi su azioni di responsabilità extracontrattuale dell’Unione con la pronuncia del 12 novembre 2015 Elitaliana c. Eulex Kosovo. Nel caso la società Elitaliana aveva impugnato davanti al Tribunale una decisione della Eulex Kosovo di aggiudicazione di un appalto di servizi di supporto elicotteristico per la quale era stata qualificata come seconda. Il Tribunale con propria sentenza aveva respinto il ricorso ritenendo che l’Eulex Kosovo fosse privo di legittimazione passiva in quanto non era dotato di personalità giuridica e la sua attività doveva essere imputata alla Commissione. Elitaliana ha proposto impugnazione davanti alla Corte chiedendo l’annullamento del provvedimento con cui in quel procedimento era stata qualificata come seconda ed il risarcimento del danno subito al riguardo. La Corte ha ritenuto che gli atti posti in essere nel quadro della missione Eulex Kosovo, ancorché adottati nel contesto della PESC, inerissero ad una missione civile le cui spese era previsto fossero a carico del bilancio del­l’Unione e che il provvedimento che la riguardava, concernente l’aggiu­di­cazione di un appalto pubblico generativo di spese a carico dell’Unione, rientrasse nell’ambito di applicazione delle disposizioni del regolamento finanziario dell’Unione [130]. Tenuto conto di queste circostanze la Corte ha ritenuto che la sua incompetenza a pronunciarsi, ai sensi dell’art. 24, par. 1, secondo comma, ultima frase TUE non si può considerare si estenda fino ad escludere la sua competenza ad interpretare ed applicare le disposizioni del regolamento finanziario in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici [131]. Essa si è ritenuta competente a decidere sul ricorso ancorché la questione riguardasse regole di diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici. Si osserva che la Corte non ha escluso la sua competenza a decidere, nonostante si trattasse di applicare il regolamento finanziario dell’Unione per la ragione che le decisioni in questione erano state adottate nel settore della PESC. Ha ritenuto che escludere la sua competenza in tale situazione “avrebbe costituito un’interpretazione eccessivamente restrittiva della limitazione della sua competenza in tale settore politico dell’Unione” [132].


XX. (segue) il rilievo dato al riguardo al principio di coerenza

La Corte è tornata a pronunciarsi sulla questione della responsabilità extracontrattuale dell’Unione in termini più articolati nella sentenza Bank Refah Kargaran del 6 ottobre 2020. Vi è pervenuta dopo che l’Avvocato generale Wathelet aveva negato tale possibilità nelle conclusioni presentate il 31 maggio 2016 nel caso Rosneft[133] e dopo che il Tribunale aveva assunto un identico atteggiamento nel caso Jannatian[134]. In questo nuovo caso la Bank Refah Kargaran aveva chiesto all’Unione il risarcimento dei danni extracontrattuali subiti facendo seguito ad un ricorso di legittimità, che aveva portato all’annullamento (per insufficienza di motivazione) del suo inserimento in un elenco di destinatari di misure restrittive relativo ad attività iraniane nel campo della proliferazione nucleare accluso ad una decisione PESC. La Corte, per riconoscere una propria competenza a pronunciarsi, ha ribadito quanto già in precedenti casi aveva affermato circa la necessità d’interpretare restrittivamente, alla luce dell’art. 19 TUE, le disposizioni dell’art. 24 TUE e dell’art. 275 TFUE e d’intendere estensivamente la propria competenza. A questa ragione ha, innanzitutto, aggiunto che è vero che una competenza in materia di responsabilità extracontrattuale dell’Unione, in virtù della sua autonomia, non può essere ricondotta, assieme alla competenza pregiudiziale ed a quella di legittimità, ad “un sistema completo di rimedi giurisdizionali e di procedimenti inteso a garantire il controllo di legittimità degli atti dell’Unione”, quale quello che ha portato alla pronuncia Rosneft [135]. Una competenza in materia di responsabilità extracontrattuale, però, costituisce una componente integrante del sistema dei rimedi giuridici dell’UE nonché del diritto ad un ricorso effettivo, in quanto lo Stato di diritto, che costituisce il fondamento dell’Unione, ed il diritto delle persone ad effettivi rimedi giurisdizionali, sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, richiedono che le persone destinatarie di un atto dell’Unione abbiano accesso ad un’effettiva tutela giurisdizionale. La Corte si è, poi, riferita al fatto che l’adozione di misure per dare attuazione a restrizioni di natura economica e finanziaria, avviene [continua ..]


XXI. La sentenza Bank Refah Kargaran e l’incorporazione delle decisioni PESC nel quadro giudiziario TFUE

Con riferimento agli effetti significativi che si possono riconoscere sul piano generale a quanto concluso dalla Corte di giustizia nella sentenza Bank Refah Kargaran, si rileva che l’estensione del sistema di tutela giurisdizionale, prevista in quest’ultima sentenza, alle decisioni della PESC che prevedono sanzioni ha l’effetto d’incorporare tali decisioni nel quadro giudiziario del TFUE. Si considera che l’art. 215 TFUE costituisca un meccanismo giuridico che collega due atti autonomi, istituendo un sistema sanzionatorio unitario. Esso non può essere considerato un semplice ponte tra la PESC e le altre competenze sostanziali, ma una sorta di clausola d’integra­zione che stabilisce un regime integrato, sebbene sui generis, in cui le decisioni ed i regolamenti PESC sono interdipendenti l’uno dall’altro. A fronte di questa ricostruzione del pensiero della Corte non si trascura, però, che il Trattato di Lisbona, conferendo all’Unione europea un’unica personalità giuridica sancita dall’art. 47 TUE, ha posto sì fine alla distinzione tra la Comunità europea e l’Unione europea, ma la PESC continua ad essere diversa dalle altre politiche in quanto è soggetta a procedure e norme proprie. Nonostante ciò si conclude acutamente ritenendo che la sentenza in questione, pur se la PESC è comunque soggetta a norme e procedure specifiche, attesti la creazione di un “crogiolo” [140] che ha dato luogo, in relazione al settore delle misure restrittive, ad un sottosistema unitario soggetto ad un controllo giurisdizionale omogeneo.


XXII. La giurisprudenza della Corte sulla competenza in tema di PESC e sul rispetto dei valori UE da parte degli Stati membri: convergenze significative

L’estensione del sistema di tutela giurisdizionale dell’Unione ad atti PESC prevedenti sanzioni che, come visto, dà segno di incorporare tali atti nel quadro giudiziario del TFUE, si riflette in un metodo argomentativo che si ritrova ricorrente nelle pronunce che a tale estensione hanno contribuito. Ne sono esempio significativo quelle che sono state adottate, prima ancora della sentenza Bank Refah Kargaran, nel caso Mauritius, nel caso H e nel caso Rosneft. Nel caso Mauritius la Corte ha evidenziato che gli artt. 24, paragrafo 1, secondo comma, ultimo periodo, TUE e 275 TFUE devono essere interpretati restrittivamente. Per chiudere il proprio ragionamento ha, comunque, assunto con forza l’impossibilità di “sostenere che la portata della limitazione a carattere derogatorio della [sua] competenza […], prevista [da tetti articoli], si estenda fino ad escludere che [essa] sia competente ad interpretare ed applicare una disposizione come l’articolo 218 TFUE, la quale non ricade nell’ambito della PESC, pur disciplinando essa la procedura sulla base della quale è stato adottato un atto rientrante nella PESC” [141]. Nella sentenza H, dopo aver ritenuto che i principi di uguaglianza, di tutela dei diritti fondamentali delle persone e di coerenza la conducevano a ritenere accoglibile il ricorso sottoposto alla sua attenzione, ha confermato questa sua posizione in modo ben preciso. Ha affermato l’impossibilità di ritenersi che “la portata della limitazione in deroga alla competenza della Corte” di cui a detti articoli “si estenda fino ad escludere che la competenza del giudice dell’Unione a controllare atti di gestione del personale relativi a membri del personale distaccati dagli Stati membri aventi l’obiettivo di rispondere alle esigenze di detta missione a livello di teatro delle operazioni, mentre il giudice dell’Unione è, in ogni caso, competente a sindacare siffatti atti allorché questi riguardino membri del personale distaccati dalle istituzioni dell’Unione” [142]. Nella sentenza Rosneft, dopo aver affermato che, quando si tratta di misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche, la Corte è competente a ricevere richieste di pronunce pregiudiziali perché l’Unione è dotata di un ordinamento che richiede di essere applicato in modo centralizzato con coerenza e [continua ..]


XXIII. Le cause KS e KD e le conclusioni dell’Avvocato generale Ćapeta proponenti di estendere la competenza della Corte a tutte le misure PESC limitanti diritti dei singoli

Dopo la pronuncia adottata nel caso Bank Refah Kargaran si è posto il problema di stabilire se la competenza della Corte di giustizia dovesse considerarsi ulteriormente estesa in relazione alle due cause riunite, KS e KD [146] in relazione ad una richiesta rivoltale a pronunciarsi a proposito, non di misure restrittive, ma di una pretesa responsabilità extracontrattuale dell’Unione per violazione di diritti fondamentali. Nel caso Bank Refah Kargaran si poneva un problema di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale nei confronti dell’Unione europea poiché quest’ultima aveva adottato delle misure restrittive che erano risultate illegittime. Nel caso KS e KD si era in presenza di un ricorso promosso dai familiari di persone scomparse in Kosovo nel 1999 che chiedevano un risarcimento danni lamentando una violazione di diritti fondamentali a motivo del fatto che funzionari dell’Unione europea, incaricati d’indagare su assassinii e sparizioni nel quadro di una missione civile UE, la missione Eulex Kosovo sullo Stato di diritto in quel Paese, erano accusati di non aver svolto indagini adeguate. Il ricorso, basato sugli artt. 268 e 340, secondo comma, TFUE era stato respinto dal Tribunale UE che si è dichiarato incompetente a conoscere di esso con ordinanza del 10 novembre 2021 [147]. Detta ordinanza è stata impugnata non solo dagli interessati ma anche dalla Commissione [148]. Per procedere alla considerazione del problema così postosi l’Avvocato generale Ćapeta è partita dall’interpretazione restrittiva che la Corte di giustizia, sulla base dell’art. 19 TUE, come sopra già visto [149], ha fatto degli artt. 24 TUE e 275 TFUE richiamando quanto da essa affermato nella sentenza Mauritius secondo cui detti articoli “introducono una deroga alla regola della competenza generale che quell’articolo conferisce alla Corte per assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati”. Ha ritenuto tale posizione confermata nella sentenza Bank Refah Kargaran ed in tutte le altre sentenze considerate nei precedenti paragrafi di questo lavoro. Dette sentenze, a suo avviso, hanno potuto essere adottate dopo il cambiamento della struttura dell’Unione che ha posto “fine alla dissociazione tra la vecchia Comunità e l’Unione [continua ..]


XXIV. (segue). Il carattere del tutto alternativo di questa proposta rispetto all’atteggiamento sin qui seguito dalla Corte di giustizia

Quanto alla posizione presa dall’Avvocato generale nei confronti della precedente giurisprudenza, si osserva che “la “modifica” all’art. 275 TFUE, travestita da interpretazione” (che s’intende determinata dalla progressiva estensione per via giurisprudenziale del riconoscimento di una competenza della Corte di giustizia in materia imperniata sul coordinamento di detto articolo con l’art. 24 TUE), “ha come prezzo il parziale snaturamento di alcuni elementi intergovernativi della PESC” [156] ed ha attribuito alla Corte di giustizia un maggior ruolo rispetto a quello riservatole dagli Stati membri con il Trattato di Lisbona. Al riguardo non si può trascurare che con il primo comma del par. 1 dell’art. 19 TUE gli Stati membri hanno conferito alla Corte di giustizia il compito di assicurare il rispetto del diritto nell’inter­pretazione e nell’applicazione dei Trattati. Questa attribuzione ha costituito la fonte dell’applicazione del principio di tutela giurisdizionale effettiva da cui la Corte ha desunto quanto affermato sin dalla sentenza Mauritius, secondo cui, come visto ai paragrafi 14 e seguenti ha stabilito che gli artt. 24 TUE e 275 TFUE “introducono una deroga alla regola della competenza generale che quell’articolo conferisce alla Corte”. Il richiamo a ciò trascura, però, un dato che è fondamentale per quanto riguarda la presa di posizione dell’Avvocato generale Ćapeta che, come visto, è costituito dal fatto che tutta la giurisprudenza precedente ad essa è stata espressa con riferimento a misure restrittive mediante un’interpretazione estensiva di quanto previsto dall’art. 275, secondo comma, TFUE e a degli aggiustamenti in un modo o in un altro giustificante detta estensione. La posizione dell’Avvocato generale, invece, prescinde completamente da casi relativi a misure restrittive e da aggiustamenti di tal genere. Ne consegue che se la Corte si esprimerà nella stessa direzione di ritenere sussistente la sua competenza a pronunciarsi in tutti i casi in cui si ponga un problema d’incompatibilità con i diritti fondamentali di atti PESC dovrà necessariamente attribuire anch’essa all’art. 24 TUE una rilevante incidenza sull’interpretazione dell’art. 275 TFUE. Riguardo alla posizione presa dall’Avvocato generale sul [continua ..]


XXV. (segue). Il parere negativo espresso da quell’Avvocato generale nel caso Neves in relazione a domande pregiudiziali d’interpretazione

Nel caso Neves il Tribunale regionale di Bucarest, nel quadro di una controversia tra la società rumena Neves 77 Solutions SRL ed il Dipartimento di frode fiscale dell’Agenzia nazionale rumena per l’ammini­stra­zio­ne fiscale, ha, come visto, chiesto alla Corte di giustizia se fosse possibile estendere la competenza che gli artt. 24 TUE e 275 TFUE le attribuiscono, ammettendo una sua competenza pregiudiziale d’interpretazione. Ha, al riguardo, presentato una domanda di pronuncia pregiudiziale sul­l’interpretazione della Decisione 2014/512/PESC in relazione ad un’im­pugnazione di un atto nazionale di esecuzione di misure restrittive prese sulla base di quella decisione in considerazione delle azioni della Russia destabilizzanti la situazione in Ucraina dopo l’attacco russo alla Crimea. Quelle misure avevano autorizzato la confisca integrale delle somme risultanti da un’operazione d’intermediazione interessante beni russi mai materialmente importati nel territorio di uno Stato membro [158]. Il giudice del rinvio ha posto alla Corte tre questioni pregiudiziali. Secondo la riformulazione che ne ha fatto l’Avvocato generale, con la prima questione quel giudice ha chiesto se i principi di certezza del diritto, nulla poena sine lege e rispetto del diritto di proprietà, dovessero essere interpretati nel senso che essi ostino a misure nazionali prevedenti la confisca di cui sopra. Con la seconda questione ha chiesto se tali diritti e principi del­l’Unione debbano essere interpretati nel senso che essi ostino a misure nazionali prevedenti che una siffatta confisca sia automatica e risulti dalla violazione di un obbligo di notifica derivante dall’art. 2, par. 2, lett.a a) della decisione in questione. Con la terza ha posto una questione d’interpretazione della nozione di servizi d’intermediazione vietati dalla stessa decisione. Ćapeta è partita dal dato secondo cui la Corte sarebbe competente a pronunciarsi ove la Decisione 2014/512/PESC avesse imposto la confisca come misura da attuare da parte degli Stati membri. In questo caso un rinvio da parte del giudice nazionale sarebbe stato un rinvio per accertare la validità di una misura PESC, in relazione alla quale la competenza della Corte non è esclusa dall’art. 24, paragrafo 1, TUE e dall’art. 275 TFUE. L’Avvocato generale si è domandata, [continua ..]


XXVI. Le reazioni suscitate dalle posizioni prese dall’Avvocato generale Ćapeta

Proprio per le conseguenze rilevate dall’Avvocato generale, da un lato si è sottolineato che le conclusioni a cui essa è pervenuta con riferimento al caso Neves costituiscono il punto costituzionalmente più significativo delle sue conclusioni [159]. D’altro lato, con una non meno rilevante riflessione, si è osservato che la situazione apparentemente contraddittoria che appare risultare dalle diverse posizioni assunte nelle sue due conclusioni discende dal fatto che con queste essa, e con essa la Corte in tutta la giurisprudenza relativa alla sua competenza in materia, hanno posto la tutela giurisdizionale effettiva all’apice dell’ordinamento dell’UE, tralasciando di preservare la natura degli atti PESC alla luce della loro caratteristica peculiare [160]. Quest’ultima osservazione non può passare sotto silenzio, stante che tutta la giurisprudenza considerata in questo lavoro, a partire dalla pronuncia resa dalla Corte di giustizia nel caso Mauritius, è stata imperniata sul rilievo dato all’art. 19 TUE e sull’inversione che nel caso Mauritius è stata compiuta rispetto alla lettera degli artt. 24 TUE e 275 TFUE per ritenere che questi costituiscono un’eccezione alla regola generale della competenza della Corte di giustizia a conoscere anche degli atti PESC. Negandosi ora il ruolo fondamentale che in materia è stato assunto da detto articolo e dal principio di tutela giurisdizionale effettiva, bisogna chiedersi se sia sufficiente richiamare che la Corte di giustizia a) ha individuato all’interno dell’ordinamento UE “una serie di principi di natura strutturale che, sebbene non codificati nei trattati UE, rivestono un’importanza pari ai valori ex 2 TUE” ricomprendenti il principio della tutela giurisdizionale effettiva e b) tra questi principi di natura strutturale ha compreso la dottrina Melloni, che ha consentito di prevenire “che l’art. 53 CEDU possa permettere agli Stati membri di mantenere standard di tutela dei diritti umani più elevati in presenza di norme UE completamente armonizzate”, ed il principio di mutua fiducia “che vincola gli Stati membri anche quando questi ultimi potrebbero assicurare una maggiore protezione dei diritti umani”[161]. Al riguardo, in attesa del seguito che la Corte darà su un tanto incisivo rilievo, ci si può limitare ad [continua ..]


XXVII. Il caso Venezuela e la possibilità di ricorsi alla Corte proposti da Stati terzi

Un’ulteriore applicazione estensiva della competenza della Corte di giustizia a conoscere azioni contro atti PESC è avvenuta a fronte di un ricorso del Venezuela al Tribunale dell’Unione europea per l’annullamento di atti, ricomprendenti il Regolamento (UE) 2017/2063 [162], imponenti proibizioni di esportazioni relative a servizi o beni, che avrebbero potuto essere usati per repressioni interne o altri scopi analoghi. A detto annullamento quel Paese sosteneva di essere interessato ai sensi dell’art. 263, comma 4, TFUE. Il Tribunale aveva dichiarato quel ricorso irricevibile perché: a) le proibizioni non erano state imposte nei confronti del Venezuela ma di operatori e persone fisiche degli Stati membri, b) quel Paese non era nominato negli atti oggetto del ricorso, c) il Venezuela, come Stato sovrano, non si trovava in una situazione corrispondente a quella di un operatore economico sottoposto a sanzioni dell’Unione e d) non era accettabile quanto sostenuto dal Venezuela, secondo cui il suo diritto ad una protezione giurisdizionale effettiva sarebbe stato violato se gli fosse stato negato il potere di agire in giudizio [163]. Il Tribunale si è pronunciato in questo modo in quanto, a suo avviso, il diritto ad un’effettiva protezione giurisdizionale non può annullare le condizioni di ricevibilità di ricorsi che l’art. 275 TFUE prevede siano proposti secondo le condizioni di cui al quarto comma dell’art. 263 TFUE, a termini del quale “qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre‚ alle condizioni previste al primo e secondo comma, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione” [164]. Contro tale pronuncia il Venezuela ha avanzato un ricorso sostenendo unicamente che il Tribunale aveva errato considerando che gli atti in questione non lo riguardassero direttamente. La Corte, invece, ha considerato importante la questione di stabilire se gli Stati terzi possano essere assimilati alle persone giuridiche legittimate ad agire in giudizio ai sensi del quarto comma dell’art. 263 TFUE – che le era sottoposta per la prima volta – e l’ha sollevata d’ufficio trattandola per prima. Essa si è pronunciata sul caso il 22 giugno [continua ..]


XXVIII. Le posizioni assunte nel caso nel corso del procedimento

L’Avvocato generale, riprendendo la questione che la Corte ha sollevato d’ufficio a proposito della qualificabilità del Venezuela come persona giuridica, è partito da un richiamo di precedenti posti in essere, ad esempio, dalla Corte Suprema degli Stati Uniti (nella causa Banco Nacional de Cuba c. Sabbatino) e dalla Corte internazionale di giustizia (Germania contro Italia – Grecia interveniente). Pur affermando che l’espressione “persona giuridica” possiede un significato autonomo a livello del diritto dell’Unione, la cui determinazione spetta, in ultima istanza, alla Corte, quei precedenti orientano l’interpretazione dell’espressione dell’art. 263, quarto comma, TFUE. Ne ha desunto, sia pure sinteticamente, l’opportunità che il giudice dell’Unione si conformi alla prassi consolidata di diritto internazionale pubblico nonché al principio connesso di cortesia. A suo avviso tale prassi e tale principio esigono, pertanto, che i giudici dell’Unione possano pronunciarsi su ricorsi proposti da altri Stati sovrani non membri dell’Unio­ne nella loro qualità di persone giuridiche. Ha, peraltro, corroborato questa sua presa di posizione richiamando tre pronunce che il Tribunale del­l’Unio­ne europea ha adottato a) con ord. 10 settembre 2020, Cambogia e CFR c.Commissione [168] in cui ha ritenuto che l’espressione “persona giuridica” debba essere intesa nel senso che ricomprende anche gli Stati non membri dell’Unione, b) con la sentenza 10 giugno 2009, Polonia c. Commissione [169] in cui ha dichiarato che la Polonia godeva di legittimazione a proporre un ricorso di annullamento ai sensi dell’art. 263, quarto comma, TFUE perché, all’epoca non ancora Stato membro, godeva dello status di preadesione e c) con l’ordinanza 14 luglio 2005 [170] in cui ha ritenuto che la Confederazione svizzera avesse il diritto di instaurare una procedura di annullamento ai sensi di detto art. 263 perché godeva di un legame particolarmente stretto con l’UE. A questi dati ha aggiunto che a favore della legittimazione ad agire di un Paese terzo dinnanzi agli organi giurisdizionali dell’Unione europea opera “il rispetto dello Stato di diritto e del principio della tutela giurisdizionale effettiva”, che costituiscono i tratti distintivi della tradizione democratica [continua ..]


XXIX. La drastica pronuncia della Corte

La Corte, pronunciandosi, ha fatto sostanzialmente propria la proposta concretamente avanzata, a proposito della ricevibilità del ricorso del Venezuela, dall’Avvocato generale [175]. Ha anch’essa accolto una nozione larga di persona giuridica. È partita da un’interpretazione testuale dell’art. 263, comma 4, TFUE per applicare l’adagio ubi lex non distinguit nec nos distinguere debemus per desumerne che, non avendo tale disposizione esclusi gli Stati terzi dalle categorie delle persone giuridiche, non si può escluderne la legittimazione ad agire in giustizia. Ma data l’importanza del caso ha inteso corroborare questa interpretazione dell’art. 263 TFUE con un suo intendimento contestuale e teleologico basato sull’art. 2 TUE e sugli artt. 21 e 23 TUE volgenti a tutelare il principio dello Stato di diritto [176], che ha indicato come costituenti gli argomenti principali del suo ragionamento. La Corte si trovava di fronte all’argomento che, come visto, il Consiglio aveva avanzato, secondo cui riconoscere agli Stati terzi la legittimazione ad agire contro gli atti delle Istituzioni UE avrebbe posto l’Unione in una situazione di svantaggio dato che con ciò a) gli operatori comunitari avrebbero potuto non essere abilitati a contestare le decisioni politiche e commerciali di quegli Stati davanti ai loro giudici e b) si sarebbe rischiato di compromettere il buon mantenimento delle relazioni reciproche. A fronte di questo argomento essa ha affermato che l’esistenza stessa di un controllo giurisdizionale effettivo destinato ad assicurare il rispetto delle disposizioni del diritto dell’Unione è inerente all’esistenza di uno Stato di diritto. Infatti dall’art. 2 TUE deriva che l’Unione si fonda su valori, quali lo Stato di diritto, che, come ha rilevato con la sentenza Repubblika [177] con riferimento alla propria competenza giurisdizionale in relazione all’azione interna dell’Unione, sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata, in particolare, dalla giustizia. In tali circostanze un’interpretazione dell’art. 263, quarto comma, TFUE, a suo avviso, depone a favore della considerazione che uno Stato terzo dovrebbe avere la legittimazione ad agire, in quanto persona giuridica, ai sensi dell’art. 263, quarto comma, TFUE, quando siano soddisfatte le altre condizioni previste da detta [continua ..]


XXX. La reazione espressa al riguardo

Sulla decisione così adottata dalla Corte un autore [186] ha avanzato un rilievo che non può essere trascurato. In relazione alla nozione di persona giuridica quell’autore rileva che mentre i privati non hanno alcuna possibilità di contestare la legalità di misure restrittive diverse dall’avanzare un ricorso d’annullamento, al contrario, nell’area PESC, i Paesi terzi possono direttamente negoziare con i soggetti che li hanno sanzionati. La decisione d’imporre quelle misure nei confronti di un Paese terzo ha natura politica ed è presa sulla base dei principi e degli obiettivi dell’art. 21 TUE: uno Stato terzo può direttamente chiedere al­l’Unione europea di revocare quelle misure. Questa è la ragione per cui è fuori luogo per la Corte ritenere sia in linea con il principio dello Stato di diritto che i Paesi terzi siano legittimati ad agire in giudizio davanti alla Corte. Nella pronuncia con cui hanno espresso la loro competenza a conoscere del ricorso presentato dal Venezuela i giudici del Lussemburgo hanno fatto riferimento alla sentenza PKK [187] in cui hanno ritenuto che il sig. Osman Ocalan fosse legittimato per conto del Kurdistan Workers’Party (PKK) ad impugnare le misure restrittive previste da una decisione destinata a dare attuazione al Regolamento n. 2580/2001 [188]. In questo caso quei giudici avevano affermato che la “Comunità europea è una comunità di diritto, le cui istituzioni sono soggette al controllo della conformità dei loro atti al Trattato CE e ai principi generali del diritto, tra i quali rientrano i diritti fondamentali. Pertanto, i singoli devono poter beneficiare di una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti riconosciuti loro dall’ordinamento giuridico comunitario, poiché il diritto a detta tutela fa parte dei principi generali del diritto che derivano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri” [189]. Hanno, poi, puntualizzato che “ne deriva che, se, con la decisione 2002/460 il legislatore comunitario ha ritenuto che il PKK continui ad avere “un’esistenza” sufficiente per essere oggetto delle misure restrittive previste dal regolamento n. 2580/2001, la coerenza e la giustizia impongono di riconoscere che detta entità continua a godere di un’esistenza sufficiente per contestare tale provvedimento. [continua ..]


XXXI. La legittimità di decisioni PESC congelanti beni sulla base di provvedimenti giu-risdizionali di Stati terzi

L’applicazione estensiva della competenza della Corte di giustizia a conoscere di azioni di persone di Stati terzi iscritte in liste nere del­l’Unione è stata caratterizzata dall’esercizio, da parte della Corte stessa, di una delicata funzione politica di protezione dei diritti di leaders espulsi o fuoriusciti da Stati terzi e da questi accusati di essere responsabili del­l’ap­propriazione indebita di fondi pubblici. Con azioni di questo tipo, presentate particolarmente negli anni tra il 2018 ed il 2020, Capi di Stato o di Governo e membri delle loro famiglie di Ucraina, Tunisia ed Egitto, chiedevano di essere cancellati da liste nere (black lists) implicanti il congelamento di beni posto in essere da autorità dell’Unione, e spesso rinnovato anno per anno, sulla base di procedimenti giudiziari aperti nei loro confronti nei Paesi d’origine. Ne costituisce esempio quanto occorso nel caso riguardante Mykola Yanovych Azarov, primo ministro dell’Ucraina dall’11 marzo 2010 al 28 gennaio 2014, accusato nel suo Paese per il coinvolgimento in reati relativi all’appropriazione indebita di fondi pubblici ed al loro trasferimento illegale all’estero. Destinatario nell’Unione europea di una decisione e di un regolamento di esecuzione del Consiglio congelante i beni riguardati da detto procedimento, successivamente rinnovati, Mykola Yanovych Azarov aveva impugnato detti atti davanti al Tribunale dell’Unione europea che il 7 luglio 2017 aveva confermato la loro validità [195]. La Corte, il 19 dicembre 2018, ha annullato questa pronuncia [196]. Ha ritenuto che il Consiglio sia incorso in errore procedendo al congelamento senza prima aver verificato che i diritti della difesa ed il diritto ad una protezione giurisdizionale effettiva fossero stati rispettati al momento dell’adozione della sua decisione. Questa verifica, secondo la Corte, avrebbe dovuto essere comunque compiuta prima del rinnovo delle misure restrittive, cosa che non risultava chiara dalla motivazione che l’aveva accompagnato. Ha così, sul piano giudiziario, cooperato con uno Stato terzo anche in assenza di un accordo al riguardo con esso; ma l’ha fatto subordinando detta cooperazione al rispetto, nel contesto di procedure riguardanti comportamenti fraudolenti di cittadini di quello Stato, al rispetto dei diritti della difesa e del diritto ad una protezione [continua ..]


XXXII. Conclusioni

Quanto rilevato nel presente lavoro conduce a due osservazioni finali. Una prima osservazione attiene al fatto che il secondo comma dell’art. 24 TUE sancisce che la politica estera e di sicurezza comune è soggetta a norme e procedure specifiche ed il Consiglio si sente legittimato a tenerne conto in ragione delle funzioni ad esso riconosciute in relazione alla gestione della politica estera. Il secondo comma del terzo paragrafo dell’art. 21 TUE stabilisce, però, che “l’Unione assicura la coerenza tra i vari settori dell’azione esterna e tra questi e le altre politiche”. La Corte ne tiene conto e tende a farlo in modo progressivamente crescente anche in ragione degli importanti sviluppi che, in relazione all’azione interna dell’Unione, l’hanno portata ad una sensibile tutela dei valori dell’Unione di cui all’articolo 2 TUE. Non a caso, in una puntuale ed efficace analisi della giurisprudenza con cui la Corte di giustizia ha preso posizione sulla tutela dei diritti di persone fisiche destinatarie di misure quali quelle considerate nel caso Mykola Yanovych Azarov, si è evidenziato il cambiamento, verificatosi in un breve lasso di tempo tra il 2017 ed il 2019. Si è passati da una subordinazione della legittimità delle decisioni con cui il Consiglio ha adottato tali tipi di misure, previa sua verifica del fatto che esse fossero state adottate in un Paese terzo nel quadro di un mero accertamento formale dell’effettuazione di procedimenti giudiziari svolti nei confronti dei loro destinatari, ad una verifica da parte dello stesso Consiglio della loro adozione a seguito di uno svolgimento di un procedimento concretamente caratterizzato da un rispetto dei diritti di difesa dei loro destinatari e del loro diritto ad una protezione giurisdizionale effettiva [198]. Sottolineare tale cambiamento è stato importante, non solo perché esso tende ad essere significativo di un’alterazione dell’equilibrio stabilito dai Trattati nel distribuire le competenze tra le diverse Istituzioni [199], ma anche perché è avvenuto significativamente nell’arco di detti due anni, in cui la Corte di giustizia ha conferito ai diritti di difesa ed al principio di protezione giurisdizionale effettiva un carattere decisivamente crescente nella propria giurisprudenza relativamente alla tutela dei valori nell’area interna, di cui [continua ..]


NOTE