argomento: Osservatorio
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di AMEDEO ARENA
L’applicabilità della direttiva sull’indennizzo delle vittime di reato alle situazioni puramente interne: note a margine delle conclusioni dell’Avvocato generale Bobek nella causa C-129/19
Amedeo Arena
1. Il 14 maggio 2020, l’Avvocato Generale Michal Bobek ha presentato le proprie conclusioni nella causa C-129/19, Presidenza del Consiglio dei ministri c. BV, riguardante l'interpretazione della direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004, relativa all'indennizzo delle vittime di reato (in prosieguo: “la Direttiva”).
Tale causa trae origine da una richiesta di pronuncia pregiudiziale formulata dalla Corte di cassazione (v. il commento di G. Vitale, Reverse Discrimination and the Protection of Victims of Violent Intentional Crime, in Ordine internazionale e diritti umani, 2019, pp. 951-953) nell’ambito di una controversia tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e BV, residente in Italia e vittima di una violenza sessuale commessa nel territorio nazionale, sull’entità del risarcimento dovuto dal Governo italiano per la mancata trasposizione della Direttiva (sull'attuazione in Italia, v. C. Massa, Vittime di reati intenzionali violenti: principali vicende giudiziarie ed interventi legislativi dal 2004 ad oggi, in Eurojus, n. 2/2019, pp. 168-190).
L'articolo 12, par. 2, della Direttiva (in prosieguo: la “disposizione controversa”) impone agli Stati membri di far sì “che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime”.
Muovendo dal postulato che la disposizione controversa fosse applicabile alle sole fattispecie transfrontaliere (v. ordinanza di rinvio, punti 32 e ss.), la Corte di Cassazione ha richiesto alla Corte di giustizia di chiarire se il diritto dell’Unione non configurasse una responsabilità risarcitoria anche nei confronti dei soggetti che, come BV versavano in situazioni puramente interne, in quanto, pur non essendo destinatari diretti della Direttiva, avrebbero dovuto e potuto, per evitare una violazione del principio di non discriminazione, beneficiare in via di estensione dell’effetto utile della Direttiva, ossia del sistema di indennizzo ivi previsto (ibid., punto 3, lett. a).
In caso di risposta positiva a tale quesito, la Corte di Cassazione ha altresì chiesto alla Corte di giustizia se l’indennizzo stabilito dalla normativa italiana a favore delle vittime di violenza sessuale, nell’importo fisso di euro 4.800, potesse o meno reputarsi un “indennizzo equo ed adeguato delle vittime” in attuazione di quanto prescritto dalla disposizione controversa (v. ordinanza di rinvio, punto 3, lett. b)).
L’Avvocato Generale ha innanzitutto precisato che, per rispondere al primo quesito pregiudiziale, era necessario concentrarsi sul postulato ad esso sotteso, ossia l’applicabilità della disposizione controversa alle sole situazioni transfrontaliere, con esclusione delle situazioni puramente interne (in prosieguo: la “tesi dell’applicazione transfrontaliera”; in dottrina, v. R. Mastroianni, La responsabilità patrimoniale dello Stato italiano per la violazione del diritto dell'Unione: il caso della direttiva sull'indennizzo delle vittime dei reati, in Giustizia Civile, n. 1/2014, pp. 312-318).
A tale interpretazione, sostenuta innanzi alla Corte di giustizia anche dalla Presidenza del Consiglio e dalla Commissione, si contrapponeva quella di BV, secondo la quale la disposizione controversa doveva ritenersi applicabile a tutte le vittime di reati violenti commessi nel territorio di uno Stato membro, comprese le vittime abitualmente residenti in tale Stato membro (di seguito: la “tesi dell’applicazione generalizzata”; in dottrina, v. S. Peers, Reverse discrimination against rape victims: a disappointing ruling of the CJEU, in EU Law Analysis, 24 marzo 2014).
Quale interpretazione doveva ritenersi corretta? Per rispondere a tale domanda, l’Avvocato Generale ha operato un'approfondita disamina del testo dell’architettura interna della Direttiva (punti 33-47), dei suoi obiettivi (punti 48-66) e lavori preparatori (punti 67-84), della sua base giuridica (punti 85-90) e della sua interpretazione nelle precedenti sentenze della Corte di giustizia (punti 91-99).
Per quanto riguarda il dato testuale, l’Avvocato Generale ha evidenziato che “nulla” nella formulazione della disposizione controversa ne limitava l’ambito applicativo “alle sole situazioni transfrontaliere” (punto 38). La tesi dell’applicazione generalizzata trovava inoltre conforto nell’architettura interna della direttiva, che prevedeva un primo capo, volto a facilitare l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, ed un secondo capo, composto solo dall’articolo recante la disposizione controversa, relativo ad un sistema nazionale di indennizzo, applicabile anche nelle situazioni puramente interne (punto 42). Il carattere autonomo ed indipendente della disposizione controversa risultava inoltre confermato dalla previsione di un autonomo termine di trasposizione per tale disposizione, laddove il resto delle norme contenute della Direttiva dovevano essere recepite entro un termine successivo (punto 43).
Volgendo lo sguardo agli obiettivi della Direttiva, l’Avvocato Generale non ha ritenuto determinanti i numerosi riferimenti alle situazioni transfrontaliere contenuti nei considerando, alcuni dei quali si riferivano al sistema di cooperazione istituito dal primo capo della Direttiva, risultando quindi inidonei a chiarire l’interpretazione del capo recante la disposizione controversa (punto 54). Inoltre, secondo l’Avvocato Generale, la tesi dell’applicazione transfrontaliera sottendeva una nozione di “situazione transfrontaliera” relativa unicamente alle fattispecie in cui la vittima del reato si avvalga della libertà di circolazione, non esaurendo così il novero delle “situazioni transfrontaliere” che, “alla luce della sua ratio, potrebbero essere disciplinate dalla Direttiva” (punto 55).
Per quanto attiene ai lavori preparatori della Direttiva, l’Avvocato Generale ha ricordato che la proposta iniziale della Commissione prevedeva, da un lato, norme minime per il risarcimento alle vittime dei reati commessi ovunque all’interno dell’Unione Europea, dall’altro, norme armonizzate per facilitare l’accesso al risarcimento nelle situazioni in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima ha la sua residenza (punti 70-71). Peraltro, in seno al Consiglio si era raggiunto un accordo soltanto con riferimento a queste ultime disposizioni, confluite nel primo capo della Direttiva, laddove le norme minime sono state sostituite da un’unica previsione, di cui al secondo capo della Direttiva, comprendente la disposizione controversa (punto 73). Pertanto, l’Avvocato Generale ha ritenuto che i lavoratori preparatori fornissero sostegno la tesi dell’applicazione transfrontaliera (punto 74).
Con riferimento alla base giuridica della Direttiva, vale a dire la c.d. clausola di flessibilità di cui all’art. 308 CE (divenuto art. 352 TFUE), l’Avvocato Generale ha opinato che tale disposizione avrebbe consentito l’adozione tanto di una direttiva applicabile alle sole situazioni transfrontaliere quanto di una direttiva applicabile anche alle situazioni puramente interne (punto 85). A suo avviso, difatti, non è in linea di principio possibile “limitare (o ampliare, nel caso) l’ambito di applicazione di un atto di diritto derivato sulla base dei suoi fondamenti di diritto primario” (punto 88), a fortiori in ragione della specificità della clausola di flessibilità (punto 90).
Del pari, nessuna indicazione in ordine alla fondatezza di una o dell’altra interpretazione della Direttiva poteva trarsi, secondo l’Avvocato Generale, dalla precedente giurisprudenza della Corte di giustizia. In particolare, le sentenze pronunciate da sezioni ristrette della Corte di giustizia nelle cause Dell'Orto, Giovanardi e Paola C andavano nella direzione della tesi dell’applicazione transfrontaliera (punti 93-95). In quest’ultima occasione, in particolare, la Corte di giustizia si era dichiarata incompetente a statuire in sede pregiudiziale, in quanto il reato era stato commesso nello stesso Stato membro di residenza e “non rientra[va”, perciò “nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/80, bensì solo del diritto nazionale” (ordinanza Paola C, punto 13).
Peraltro, nella recente sentenza Commissione c. Italia (vittime di reato) la Grande Sezione aveva affermato di non poter escludere che la disposizione controversa “imponga ad ogni Stato membro di adottare […] un sistema nazionale che garantisca l’indennizzo delle vittime di qualsiasi reato intenzionale violento sul proprio territorio” (ibid., punto 49). Secondo l’Avvocato Generale, tale affermazione chiariva che la portata della disposizione controversa “non era stata determinata dalla giurisprudenza precedente” e lasciava “aperta tale questione”, in quanto non necessaria ai fini della definizione del procedimento d’infrazione (punto 98).
All’esito di tale approfondita valutazione, pertanto, risultava che il testo e la logica interna della direttiva sostenevano la tesi dell’applicazione generalizzata, mentre i lavori preparatori sostenevano la tesi dell’applicazione transfrontaliera (punto 101). L’Avvocato Generale ha inoltre ritenuto che la base giuridica e la finalità della Direttiva fossero “agnostiche” rispetto ad entrambe le soluzioni (punto 101) e che la giurisprudenza sul punto non fosse risolutiva (punto 98).
A fronte di tale situazione di “parità” tra le due tesi interpretative, l'Avvocato Generale ha fatto ricorso a tre criteri per lo “spareggio” di “carattere più ampio e costituzionale” (punti 104-105), che hanno risolto l’impasse ermeneutica a favore della tesi dell’applicazione generalizzata.
In primo luogo, l’Avvocato Generale ha invocato la Carta dei diritti fondamentali e ha rilevato che, così come i diritti “involabili e indivisibili” alla dignità umana ed alla sicurezza delle persone, di cui agli artt. 1 e 6 della Carta, sono garantiti a “chiunque”, anche il diritto all’indennizzo previsto dalla disposizione controversa deve essere assicurato a tutte vittime dei reati commessi nel territorio di uno Stato membro, senza distinzioni fondate sulla residenza (punti 107-108).
In secondo luogo, AG ha sostenuto che la tesi dell’applicazione transfrontaliera avrebbe dato origine ad una discriminazione tra due diversi scenari transfrontalieri (punto 110): quello in cui la vittima ha esercitato il proprio diritto alla libera circolazione ("vittima itinerante") e quello in cui il l'autore del reato ha fatto uso di tale libertà ("autore del reato itinerante") (punto 111). Considerando che, in entrambi i casi, la vittima deve affrontare ostacoli aggiuntivi per ottenere un risarcimento dall'autore del reato, le due situazioni dovrebbero essere trattate in maniera analoga (punto 112). Tale risultato è conseguito dalla tesi dell’applicazione generalizzata, che riconosce il diritto all’indennizzo a tutte le vittime, a prescindere dal fatto che sia la vittima o l'autore del reato ad esercitare il diritto alla libera circolazione (punto 115).
In terzo luogo, criticando la deferenza accordata nella prassi interpretativa del diritto dell’Unione nei confronti della volontà del legislatore storico (punto 119), l’Avvocato Generale ha affermato che "una volta adottato, uno strumento legislativo del diritto dell’Unione deve godere di vita propria" (punto 122) e deve essere interpretato “dal punto di vista di un normale destinatario" (punto 123), piuttosto che da quello dell’autore dell’atto, che aveva la “responsabilità morale […] di indicare chiaramente che cosa intendesse”, in quanto è “problematico farlo successivamente in via interpretativa”, attraverso “uno scavo quasi archeologico su chi abbia detto cosa diversi decenni prima, allo scopo di sistemare, o meglio rifare, un testo legislativo mal redatto” (punto 121).
L’Avvocato Generale ha quindi concluso che la disposizione controversa debba essere interpretata nel senso che gli Stati membri devono istituire sistemi di indennizzo nazionali che prevedano un indennizzo “a favore di qualsiasi vittima di un reato intenzionale violento commesso nei rispettivi territori, indipendentemente dal luogo di residenza della vittima” (punto 124).
2. Passando alla seconda questione, relativa all’obbligo di garantire un “indennizzo equo e adeguato”, l’Avvocato Generale ha precisato di poter fornire soltanto “un orientamento generale” al riguardo, lasciando al giudice remittente, alla luce di tutte le circostanze del caso di specie, il giudizio sulla congruità dell’importo riconosciuto alle vittime di violenza sessuale dalla normativa italiana.
Quanto alla nozione di “indennizzo equo e adeguato”, l’Avvocato Generale ha affermato che, siccome il legislatore dell'Unione ha deciso di non adottare le norme minime in materia di indennizzo contenute nella proposta iniziale della Direttiva, gli Stati membri continuano a godere di “un margine di manovra particolarmente ampio” nella quantificazione dell’indennizzo (punto 136).
In particolare, l’Avvocato Generale ha respinto la tesi secondo cui l’indennizzo concesso in base della Direttiva dovrebbe essere pari ai risarcimento che l'autore del reato sarebbe stato obbligato a pagare in base alla disciplina nazionale sulla responsabilità civile (punto 137), in quanto il risarcimento segue la logica della “riparazione o del rimborso integrali” (punto 138), laddove l’indennizzo previsto dalla Direttiva mira a garantire “un’assistenza (pecuniaria) pubblica (generalizzata) alle vittime di reato” (punto 139).
L’Avvocato Generale ha inoltre rifiutato la prospettazione secondo la quale la nozione di “indennizzo equo ed adeguato” sarebbe “strutturalmente incompatibile con una somma forfettaria o con importi standardizzati” (punto 141), ritenendo sufficiente la sussistenza di “una certa correlazione tra il pregiudizio e la perdita causati dal reato e l’indennizzo previsto” (punto 142).
L’Avvocato Generale ha perciò proposto alla Corte di giustizia di rispondere alla seconda questione pregiudiziale nel senso che l'indennizzo deve fornire “un contributo significativo alla riparazione del danno subito dalla vittima” e che il suo importo “non può essere talmente esiguo da divenire puramente simbolico, né da far sì che l’utilità e il conforto che la vittima ne trae siano, in pratica, trascurabili o marginali” (punto 142).
3. L'analisi della prima questione da parte dell’Avvocato Generale Bobek è piuttosto peculiare, e ciò per due ordini di ragioni.
In primo luogo, l’Avvocato Generale non ha, a ben vedere, risposto al quesito pregiudiziale come formulato dal giudice del rinvio, ma si è soffermato sul postulato ad esso sotteso, ossia l’applicabilità della disposizione controversa alle situazioni puramente interne. E ciò, nonostante la Corte di Cassazione ritenesse la questione del tutto pacifica, nel senso dell’inapplicabilità della Direttiva a dette situazioni, al punto da invocare la teoria dell’atto chiaro (v. ordinanza di rinvio, punti 32 e ss.).
In secondo luogo, non è comune, per un Avvocato Generale, presentare due possibili interpretazioni di una norma di diritto derivato senza propendere per una di esse, sulla base del testo, del contesto, della finalità, dei lavori preparatori, o della giurisprudenza precedente. Tale singolare impasse ermeneutica sembra imputabile ad un compromesso politico imperfetto, dal quale è scaturito un testo normativo non scevro di ambiguità, che la Corte di giustizia europea ha interpretato in modo non sempre uniforme.
Del resto, non c’è una regola fissa per quanto riguarda l'applicabilità del diritto derivato alle situazioni puramente interne. Le disposizioni del TFUE sulla libera circolazione sono soggette alla c.d. regola dell'internalità: vale a dire che, di norma, tali disposizioni non si applicano alle situazioni puramente interne, ad eccezione delle specifiche ipotesi individuate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (si veda la “sentenza decalogo” Ullens de Schooten, punti 50-53; per una panoramica della giurisprudenza in materia si rinvia a A. Arena, The Wall Around EU Fundamental Freedoms: the Purely Internal Rule at the Forty-Year Mark, in Yearbook of European Law, 2019, 153–219).
Peraltro, la regola dell'internalità non vale per il diritto derivato: vi sono atti dell'Unione che si applicano solo alle situazioni transfrontaliere (ad esempio le disposizioni della direttiva 85/384 sul reciproco riconoscimento dei diplomi, come chiarito nella sentenza Ordine degli Ingegneri di Verona, punto 34) e atti dell’Unione che trovano applicazione anche nei confronti delle situazioni puramente interne (ad esempio, le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123 sui servizi nel mercato interno, come accertato nella sentenza Burgemeester, punto 110). Tutto si risolve in una questione interpretativa che, come nel caso di specie, può rivelarsi particolarmente complessa.
Per quanto riguarda i tre criteri per lo “spareggio” impiegati dall’Avvocato Generale Bobek, merita particolare attenzione quello relativo alla Carta dei diritti fondamentali. Finora, la Corte di giustizia ha dato l'impressione che il campo di applicazione della Carta sia il “riflesso” dell'ambito applicativo del diritto dell’Unione. Pertanto, per stabilire se una data fattispecie sia o meno soggetta alla Carta, occorre innanzitutto verificare se essa ricade o meno nell’ambito di applicazione del (resto del) diritto dell’Unione (cfr. la sentenza Fransson, punto 31).
L’Avvocato Generale Bobek ha percorso tale iter logico-argomentativo in senso inverso, prendendo spunto dalla portata della Carta dei diritti fondamentali per pervenire alla delimitazione dell’ambito applicativo della Direttiva. Il che equivale a dire che, se un oggetto non può essere osservato direttamente, si può comunque distinguerne la forma esaminando la sua immagine riflessa. Si tratta, indubbiamente, di un mutamento di prospettiva, peraltro inquadrato in una categoria concettuale ben consolidata come quella dell’interpretazione del diritto derivato alla luce della Carta.
Nel caso in cui la Corte di giustizia accogliesse l'argomentazione dell’Avvocato Generale Bobek, vale la pena chiedersi fino a che punto la stessa possa essere estesa ad altri atti di diritto derivato. Dato che la maggior parte dei diritti sanciti nella Carta dei diritti fondamentali sono applicabili a “ogni persona”, ne consegue che tutti gli atti dell'Unione riconducibili al contenuto della Carta sono applicabili alle situazioni puramente interne? In altre parole, si può trarre dalla Carta una sorta di “regola dell'internalità al rovescio” per il diritto derivato?
Sembra di no. Il percorso argomentativo dell’Avvocato Generale Bobek, difatti, si giustifica unicamente in ragione della particolare situazione di incertezza interpretativa che caratterizzava la portata della Direttiva. Peraltro, se l’applicabilità alle situazioni puramente interne di un determinato atto di diritto dell’Unione dovesse dare luogo ad analoghi dubbi ermeneutici, non è escluso che la Carta dei diritti fondamentali possa venire nuovamente in rilievo come criterio risolutivo.
4. L’approccio dell’Avvocato Generale Bobek alla soluzione della seconda questione pregiudiziale differisce nettamente rispetto a quello riservato alla prima questione. Mentre l’Avvocato Generale ha propugnato un’ampia interpretazione della Carta dei diritti fondamentali e dell’ambito applicativo della Direttiva, ha assunto un atteggiamento piuttosto cauto nel definire il concetto di “indennizzo equo e adeguato” contenuto nella disposizione controversa. Inoltre, mentre l’Avvocato Generale non ha dato alcun peso ai lavori preparatori nell’analisi della prima questione pregiudiziale, ha espressamente fatto riferimento alla mancata adozione degli standard minimi contenuti nella proposta iniziale della Commissione per sostenere che la Direttiva avrebbe lasciato agli Stati membri un’ampia discrezionalità nella quantificazione dell’indennizzo.
Tale apparente discrasia potrebbe in realtà sottendere una logica compensativa. Com’è noto, il campo di applicazione della Carta dei diritti fondamentali è tradizionalmente un “nervo scoperto” per gli Stati membri (cfr. A. Knook, The Court, the Charter, and the vertical division of powers in the European Union, in Common Market Law Review, 2005, pp. 397-398), sicché l’Avvocato Generale potrebbe aver ravvisato l’esigenza di contemperare l’estensione della disposizione controversa alle situazioni puramente interne con un’interpretazione minimalista della portata preclusiva di tale disposizione. Nelle Conclusioni si legge infatti che la nozione di “indennizzo equo e adeguato” non circoscrive in misura apprezzabile il margine di manovra degli Stati membri nella determinazione del quantum poiché “sembrerebbe che il legislatore dell’Unione abbia voluto lasciare tale spazio aperto” (punto 144).
Nella giurisprudenza della Corte di giustizia non mancano altre manifestazioni di tale logica compensativa. Nella celebre sentenza Costa c. ENEL, ad esempio, i giudici comunitari hanno (ri)affermato con forza il principio del primato, ma hanno adottato un’interpretazione restrittiva dell’effetto diretto e della portata preclusiva delle disposizioni del Trattato in materia di stabilimento, aiuti di Stato, distorsioni della concorrenza e monopoli commerciali, facendo così sostanzialmente salva la legge istitutiva dell’ENEL (sia consentito il rinvio a A. Arena, From an Unpaid Electricity Bill to the Primacy of EU Law: Gian Galeazzo Stendardi and the Making of Costa v. ENEL, in European Journal of International Law, 2019, pp. 1030-1031).
In definitiva, l’Avvocato Generale Bobek ha sostenuto un’interpretazione estensiva della portata della Direttiva, suffragata dalla Carta dei diritti fondamentali e, al contempo, rispettosa dell'autonomia normativa degli Stati membri. Peraltro, il riconoscimento, da parte della Corte di giustizia, di un diritto all’indennizzo a vantaggio di tutte le vittime di reato, a prescindere dallo Stato membro di residenza, potrebbe dare luogo ad un nutrito contenzioso a livello nazionale.