argomento: Osservatorio - Unione Europea
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di Paola Mori
La questione si inseriva nel più ampio contesto normativo dell’Accordo euromediterraneo che istituisce l’associazione tra l’UE e il Marocco (entrato in vigore nel 2000) e nel cui ambito sono stati adottati ulteriori accordi, vari Protocolli e atti annessi.
Il ricorso all’origine della sentenza era stato introdotto dal Fronte Polisario, quale rappresentante del popolo saharawi, per ottenere l’annullamento della citata decisione di conclusione dell’accordo in quanto, non essendo prevista alcuna clausola di esclusione, questo si applica anche al territorio del Sahara occidentale o almeno alla maggior parte di esso che è quella controllata dal Marocco [per analoghe azioni con riferimento alla decisione 2013/785/UE del Consiglio relativa alla conclusione del Protocollo all'Accordo di partenariato nel settore della pesca fra l'Unione europea e il Marocco, v. T-180/14; inoltre, Western Sahara Company UK v. HMRC and DEFRA [2015] EWHC 2898 (Admin) (19 October 2015); per una ricostruzione del relativo contesto negoziale, v. E. Milano, Il nuovo Protocollo di pesca tra Unione europea e Marocco e i diritti del popolo sahrawi sulle risorse naturali, in DuDi, 2014, p. 505 ss.].
Il Fronte Polisario ha addotto undici motivi di ricorso, relativi a violazioni del diritto dell’Unione e del diritto internazionale. Il Tribunale ha respinto i singoli motivi di ricorso prospettati, rilevando come in realtà essi ponessero la questione dell’esistenza o meno di un divieto assoluto di concludere a nome dell’Unione un accordo internazionale applicabile ad un territorio controllato di fatto da uno Stato terzo, senza che la sovranità di questo Stato sul tale territorio sia riconosciuta dall’Unione e dai suoi Stati membri o, più in generale, dagli altri Stati (un «territorio conteso»); e, nel caso in cui tale divieto non sussista, la questione dell’esistenza di un potere di apprezzamento delle istituzioni dell’Unione al riguardo, dei limiti di tale potere e delle condizioni del suo esercizio. Secondo la sentenza, infatti, è da escludere l’esistenza, nel diritto dell’Unione o nel diritto internazionale, di un divieto assoluto di concludere con un Stato terzo un accordo che sia suscettibile di essere applicato su un territorio disputato.
Tuttavia il Tribunale ha comunque annullato la decisione impugnata. A suo avviso, considerato che «la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale non è riconosciuta né dall’Unione né dai suoi Stati membri, e neppure, più in generale, dall’ONU, nonché alla luce dell’assenza di qualsivoglia mandato internazionale atto a giustificare la presenza marocchina sul detto territorio», il Consiglio, nell’esercizio del suo ampio potere discrezionale in merito alla conclusione o meno di un accordo con il Regno del Marocco atto ad applicarsi anche al Sahara occidentale, «era tenuto ad accertarsi esso stesso che non vi fossero indizi di uno sfruttamento delle risorse naturali del territorio del Sahara occidentale sotto il controllo marocchino che potesse svolgersi a danno dei suoi abitanti e che potesse arrecare pregiudizio ai loro diritti fondamentali, non potendo limitarsi a ritenere che spetti al Regno del Marocco garantire che non si verifichi uno sfruttamento siffatto» (punto 241).
La sentenza, che ha formato oggetto di impugnazione da parte del Consiglio, ha prodotto immediate conseguenze politiche (il ricorso è stato iscritto a ruolo C-104/16P; su richiesta del Consiglio la Corte ha deciso, tenuto conto che «l’annulation d’un acte tel que la décision litigieuse, sans maintien dans le temps de ses effets, est susceptible d’avoir des conséquences négatives importantes sur les relations de l’Union avec l’État tiers concerné», di trattare la causa con procedura accelerata, ord. 7 aprile 2016). Tra l’Unione europea e il Marocco intercorrono infatti relazioni strategiche che, disciplinate dall’Accordo euromediterraneo di associazione, si sono ulteriormente approfondite nel quadro della Politica Europea di Vicinato. Nel 2008 è stato riconosciuto al Paese africano il c.d. Status Avanzato, status che lo qualifica come Partner prioritario dell’Unione. Per l’attuazione della cooperazione avanzata prevista dal citato Status Avanzato, è attualmente in vigore il Piano d’Azione 2013-2017. Ciò ha comportato, tra l’altro, un rafforzamento del dialogo politico tra le due Parti, la volontà di concludere un Accordo di libero scambio completo e approfondito, cooperazioni settoriali rafforzate.
Era pertanto inevitabile che, inserendosi in un contenzioso internazionale che vede fronteggiarsi da circa mezzo secolo il Marocco al Fronte Polisario, la conclusione cui è arrivato il Tribunale suscitasse una dura reazione da parte del Governo marocchino. Questo ha infatti sospeso per protesta le relazioni diplomatiche con l’Unione europea (Marocco: governo, sospese relazioni con Unione Europea).
Per la verità, nel suo noto parere consultivo del 16 ottobre 1975 la Corte internazionale di giustizia, negando che il territorio conteso costituisse, prima dell’epoca d’inizio della colonizzazione spagnola, un territorio nullius, aveva da un lato ammesso, non senza ambiguità, l’esistenza di «liens juridiques d’allégeance» tra il Sultano del Marocco e alcune tribù che vivevano nel territorio sahariano, così come l’esistenza «de droits, y compris certains droits relatifs à la terre, qui constituaient des liens juridiques entre l'ensemble mauritanien… et le territoire du Sahara»; ma, dall’altro lato, essa aveva escluso l’esistenza di alcun legame di sovranità territoriale tra tale territorio, da una parte, e il Marocco o la Mauritania, dall’altra. Pertanto, di fronte alle rivendicazioni territoriali del Marocco e della Mauritania, il parere aveva concluso ribadendo la necessità di rispettare il principio dell’autodeterminazione dei popoli attraverso la libera manifestazione di volontà della popolazione locale.
Tuttavia, all’indomani della pronuncia del parere il Marocco organizzava la c.d. Marcia verde, durante la quale circa trecentocinquantamila civili e venticinquemila militari marocchini oltrepassavano il 27° parallelo, linea di confine con il territorio del Sahara occidentale. E come conseguenza, la situazione è sfociata in un conflitto armato che ha visto opporsi il Fronte Polisario, il Marocco e la Mauritania e che, conclusosi nel 1979 con la Mauritania con la stipula di un trattato di pace, si è prolungato con il Marocco fino al cessate il fuoco, controllato dalla United Nation Mission for the Referendum in Western Sahara (MINURSO), nel 1991.
Dal canto suo, già nel 1976 il Fronte Polisario aveva proclamato la Sahrawi Arab Democratic Republic (SADR) il cui Governo in esilio è basato presso il campo profughi (circa novantamila persone) di Tindouf, in Algeria, e che afferma di controllare la c.d. Free Zone, abitata da circa trentamila persone. La SADR, riconosciuta da un certo numero di Stati tra i quali nessuno membro dell’Unione europea, non è parte delle Nazioni Unite (eventualmente come osservatore), mentre è membro dell’Organizzazione dell’Unità Africana (di cui non è invece parte il Marocco).
In questo contesto, il referendum per l’autodeterminazione previsto dalla risoluzione 690(1991) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non è stato ancora espletato, non da ultimo in ragione dei contrasti sorti sull’individuazione degli aventi diritti al voto. Ancora recentemente, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, prendendo nota della proposta marocchina e «des efforts sérieux et crédibles faits par le Maroc pour aller de l’avant vers un règlement » e prendendo ugualmente nota della proposta presentata dal Fronte Polisario ha ribadito la necessità di un ulteriore impegno negoziale tra le parti (Ris. 2285 del 29 aprile 2016).
La situazione sul terreno è così che, attualmente, il territorio del Sahara occidentale, desertico e complessivamente abitato da circa 500 000 persone, è in gran parte (circa l’85%), occupato dal Marocco che ne pretende la sovranità, mentre il Fronte Polisario, che rivendica di essere « riconosciuto come rappresentante del popolo saharawi (...) dagli organismi dell’ONU, dell’Unione europea e dal [Regno del] Marocco, ai fini dei negoziati» (punto 37 della sentenza), afferma di governarne un’estensione minima, la citata Free Zone, senza peraltro averne il controllo effettivo (nel senso che, a quanto risulta dalla stessa sentenza del Tribunale dell’Unione, il Marocco amministra de facto tutto il territorio del Sahara occidentale: v. punto 58, nonché i punti 79, 84-85). Muri di sabbia e pietre, costruiti e controllati militarmente dal Marocco, dividono le due zone.
La legittimazione ad agire a tale titolo del Fronte Polisario è stata non a caso fermamente contestata dal Consiglio e dalla Commissione. Sul punto il Consiglio ha sostenuto in particolare che il Fronte Polisario non può essere considerato come un soggetto internazionale di pieno diritto, assimilabile a uno Stato. Anche a voler ammettere che il ricorrente sia stato riconosciuto quale movimento di liberazione nazionale e che disponga quindi della personalità giuridica, ciò non implica automaticamente, secondo il Consiglio, una capacità processuale ad agire dinanzi ai giudici dell’Unione: il riconoscimento del ricorrente da parte dell’ONU come rappresentante del popolo del Sahara occidentale non gli conferirebbe altro che la capacità a partecipare ai negoziati relativi allo status di quel territorio conteso. Questo riconoscimento non comporterebbe invece alcuna capacità processuale davanti a giudici che si trovano al di fuori del contesto delle Nazioni Unite, i quali non sono competenti in merito alla controversia tra Fronte Polisario e Marocco. E anche la Commissione ha sottolineato i forti dubbi esistenti circa la stessa natura della personalità giuridica del Fronte Polisario: in quanto rappresentante del popolo saharawi, essa ha osservato, «può presumersi che esso disponga al massimo di una personalità giuridica funzionale e transitoria».
Il Tribunale ha superato queste eccezioni, affermando di non dover di affrontare la questione se il Fronte Polisario possa essere qualificato come «movimento di liberazione nazionale» e se tale qualificazione sia di per sé idonea a conferirgli la personalità giuridica. In realtà, e di tutta evidenza, nello sviluppo della sua motivazione il Tribunale confonde i piani, riferendosi indifferentemente a elementi tipici della soggettività internazionale e a elementi propri della personalità giuridica di diritto interno, derivata da un ordinamento statale.
Per contro, il ricorrente, rispondendo alle questioni postegli dal Tribunale nell’ambito di una misura d’organizzazione del procedimento, ha affermato in termini inequivocabili di essere un «soggetto di diritto internazionale pubblico», precisando che « il Fronte Polisario non è costituito in forma di persona giuridica secondo il diritto di alcuno Stato, internazionalmente riconosciuto o meno. Al pari di uno Stato estero o della stessa Unione europea, il Fronte Polisario non può trarre la propria esistenza giuridica dal diritto interno di uno Stato».
Rilevando che ai sensi dell’art. 263, comma quarto, TFUE solo le persone fisiche e quelle giuridiche (ancor più esplicitamente l’art. 44, par. 5, del regolamento di procedura del Tribunale usa l’espressione «persona giuridica di diritto privato») possono ricorrere per l’annullamento di un atto, il Tribunale ha superato la questione dell’individuazione di un ordinamento statale a cui ricollegare l’attribuzione della personalità giuridica dell’ente sulla base della constatazione che il Fronte Polisario possiede un proprio statuto e una struttura interna che gli permette l’autonomia necessaria ad agire come entità responsabile nei rapporti giuridici. Questa constatazione sarebbe suffragata dalla circostanza che il Fronte Polisario ha partecipato a negoziati sotto l’egida dell’ONU e ha anche firmato un accordo di pace con la Mauritania.
Secondo il Tribunale è infatti consentito ritenere che in casi specifici sia possibile concludere che anche un ente il quale non possiede la personalità giuridica secondo il diritto di uno Stato membro o di uno Stato terzo, possa comunque essere considerato come legittimato a ricorrere. Questo può in particolare avvenire quando l’Unione e le sue istituzioni agiscano trattando l’ente in questione come un soggetto distinto, titolare di propri diritti e obblighi (punto 52). A sostegno di questa tesi il Tribunale richiama la giurisprudenza in cui la Corte di giustizia ha evidenziato come la nozione di persona giuridica di cui all’art. 263, quarto comma, TFUE non coincide necessariamente con la corrispondente nozione dei vari ordinamenti giuridici degli Stati membri (v. C. Iannone, Art. 263 TFUE, in A. Tizzano (a cura di), Trattati dell’unione europea, Milano, 2014, p. 2055 s. e giurisprudenza ivi citata). Ed effettivamente dalla giurisprudenza europea si ricava una nozione di persona giuridica molto ampia, non legata alla natura pubblica o privata del soggetto; una nozione, cioè, che consente, in situazioni eccezionali, di adattare le regole di procedura che disciplinano la ricevibilità di un ricorso di annullamento alle circostanze del caso di specie, evitando così «un formalismo eccessivo» (Corte giust. 18 gennaio 2007, C-229/05P, PKK e KNK c. Consiglio, punto 114)
Va però rilevato che tale giurisprudenza si riferisce sì a entità che per l’ordinamento nazionale di riferimento non hanno formalmente personalità giuridica, ma che sono però comunque centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive, diritti o interessi protetti, di diritto interno, riferibili a soggetti non statali. E anche nei casi in cui l’attore in giudizio è un organo di uno Stato straniero, questo agisce in quanto destinatario di misure restrittive che, pur finalizzate a colpire una determinata attività dello Stato (come, ad esempio, le misure restrittive istituite al fine di esercitare pressioni sull’Iran affinché esso ponesse fine al programma di proliferazione nucleare), colpiscono persone o entità che sostengono tale attività statale nelle loro attività di diritto privato (congelamento dei fondi e delle risorse economiche) (v. Trib. 8 settembre 2015, T-564/12, Ministry of Energy of Iran c. Consiglio).
Non si ricordano invece casi di ricorsi di annullamento ex art. 263, quarto comma, TFUE introdotti da Stati terzi (in proposito si ricordano alcuni ricorsi introdotti dal Governo di Gibilterra: va tuttavia osservato che formalmente Gibilterra è una dipendenza d’oltremare del Regno Unito e difficilmente potrebbe essere qualificato come uno Stato sovrano terzo, quanto piuttosto come un ente territoriale dotato di un particolare status di autonomia con relazioni speciali con l’UE. A questo proposito si noti che secondo giurisprudenza costante gli enti territoriali degli Stati membri possono agire in giudizio esclusivamente ai sensi dell’art. 263, quarto comma, TFUE in quanto “persone giuridiche”, v. Corte giust. ord. 21 marzo 1977, C-95/97, Régione wallone c. Commissione; nonché, più recentemente, Trib. 26 novembre 2015, T-462/13, Comunidad Autónoma del País Vasco e Itelazpi c. Commissione ).
Ma il problema non è in realtà tanto se uno Stato terzo, ovvero un soggetto internazionale, possa agire in giudizio ai sensi dell’art. 263, quarto comma TFUE, quanto piuttosto in quale veste esso agisce, se cioè lo fa quale ente di governo di un soggetto internazionale, portatore degli interessi generali dell’ente, ovvero come soggetto di diritto interno, portatore, quindi, di interessi individuali. Su questo punto si ritornerà nel paragrafo successivo.
Ora, e senza voler entrare nel merito di delicate valutazioni politiche e giuridiche circa la natura dell’ente e la sua effettività, sembra proprio che nel caso in esame, il Fronte Polisario abbia inteso agire come soggetto internazionale o, se si preferisce, come un movimento di liberazione nazionale, cioè un soggetto particolare e a capacità limitata: comunque in quanto centro di riferimento degli interessi generali di una comunità territoriale dallo status internazionale controverso.
Del resto è lo stesso Tribunale a considerare «che il ricorrente è una delle parti della controversia riguardante il destino di tale territorio non autonomo» (punto 57) e che il «Regno del Marocco amministra de facto praticamente tutto il territorio del Sahara occidentale» ….«situazione di fatto cui il Fronte Polisario si oppone e che è appunto all’origine della controversia tra questo e il Regno del Marocco, controversia che l’ONU mira a risolvere» (punto 58). Dunque, secondo il Tribunale, il Fronte Polisario sarebbe una delle parti di una controversia internazionale a carattere territoriale, presupponendone quindi una qualche sorta di soggettività internazionale.
E tuttavia lo stesso Tribunale, dopo aver preso atto «come fa la Commissione, che il Regno del Marocco amministra de facto praticamente tutto il territorio del Sahara occidentale» (punto 58), rileva che, non potendosi pretendere che il Fronte Polisario acquisti la personalità giuridica in forza del diritto di uno Stato terzo, esso potrebbe «disporre di una personalità siffatta solo in conformità al diritto del Sahara occidentale, che tuttavia non è attualmente uno Stato riconosciuto dall’Unione e dai suoi Stati membri e non dispone di un proprio diritto». Pertanto, «alla luce di tali circostanze assai peculiari, deve concludersi che il Fronte Polisario deve essere considerato come una “persona giuridica”, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE» (punto 59).
Il salto logico è brusco e poco chiaro: il fatto di essere parte di un contenzioso territoriale con il Marocco e che «proprio l’ONU … considera il Fronte Polisario come un partecipante essenziale di un simile processo» di definizione dello status definitivo del territorio contestato, portano il Tribunale a qualificare il Fronte Polisario come una persona giuridica di diritto interno (peraltro non individuato) e a considerare quindi il ricorso ricevibile.
A questo proposito il Tribunale ha innanzitutto richiamato la giurisprudenza della Corte di giustizia nel caso INUIT (3 ottobre 2013, C‑583/11 P, punti 60 e 61), secondo la quale la nozione di atto regolamentare riguarda tutti gli atti a portata generale ad esclusione di quelli legislativi, per poi negare che la decisione impugnata possa essere considerata come un atto regolamentare ai sensi dell’art. 263, quarto comma, ult. frase, in quanto è stata adottata con una procedura legislativa speciale (art. 218, par. 6, lett. a), TFUE). Da ciò il Tribunale ha tratto la conseguenza che condizione di ricevibilità del ricorso introdotto dal Fronte Polisario è che la decisione lo riguardi direttamente e individualmente.
Su tale punto il Tribunale, rifacendosi alla giurisprudenza della Corte di giustizia, ha ricordato che «la condizione secondo cui una persona fisica o giuridica dev’essere direttamente interessata dall’atto che costituisce oggetto del ricorso richiede la compresenza di due criteri cumulativi, vale a dire che il provvedimento contestato, in primo luogo, produca direttamente effetti sulla situazione giuridica del soggetto interessato e, in secondo luogo, non lasci ai propri destinatari alcun potere discrezionale quanto alla sua applicazione, la quale ha carattere meramente automatico e deriva dalla sola normativa dell’Unione, senza intervento di altre norme intermedie» (punto 105).
A questo proposito il Tribunale ha ritenuto che le disposizioni dell’accordo contestato producono effetti diretti sulla situazione giuridica dell’insieme del territorio al quale si applica l’accordo stesso, e quindi anche sul territorio del Sahara occidentale controllato dal Marocco, nel senso che determinano le condizione a cui i determinati prodotti agricoli e della pesca possono essere esportati da tale territorio verso l’Unione o, viceversa, possono esser importati dall’Unione in questo. Viene in particolare rilevato che l’accordo tra l’Unione e il Marocco contiene disposizioni implicanti obblighi chiari e precisi, non subordinati nel loro adempimento o nei loro effetti all’intervento di alcun atto ulteriore, tra cui, ad esempio, disposizioni che prevedono l’eliminazione dei dazi doganali alle importazioni nell’Unione di prodotti agricoli e della pesca originari del Marocco così come anche disposizioni tariffarie applicabili alle importazioni nel Marocco dei prodotti agricoli e della pesca originari dell’Unione. Il Tribunale ha quindi sottolineato come tali disposizioni producano effetti sulla situazione giuridica di tutto il territorio al quale si applica l’accordo (e, pertanto, anche al territorio del Sahara occidentale controllato dal Regno del Marocco), nel senso che esse stabiliscono le condizioni alle quali taluni prodotti agricoli e della pesca possono essere esportati da tale territorio verso l’Unione, ovvero possono essere importati dall’Unione nel territorio in questione.
Da queste considerazioni i giudici europei traggono la conseguenza che tali disposizioni producono effetti che «riguardano direttamente non solo il Regno del Marocco, ma altresì il Fronte Polisario, dal momento che, ….lo status internazionale definitivo di tale territorio non è stato ancora definito e dovrà esserlo nell’ambito di una procedura negoziale, sotto l’egida dell’ONU, tra il Regno del Marocco e, appunto, il Fronte Polisario» (punti 108-110). Per questo stesso motivo il Fronte Polisario deve essere considerato come individualmente interessato dalla decisione impugnata (punto 111).
Il ragionamento del Tribunale non sembra andare oltre una mera petizione di principio. Ammesso infatti che l’ambito territoriale di applicazione delle disposizioni dell’accordo si estenda al territorio del Sahara occidentale e che esse producano effetti diretti, non vengono però identificati i soggetti, persone fisiche o giuridiche, destinatari delle situazioni giuridiche da esse previste. Per rimanere al caso esemplificato dal Tribunale, il Fronte Polisario non viene individuato né come soggetto/operatore economico che ha diritto a non versare un eventuale dazio, né (stante l’asserita mancanza di effettività del potere di governo su quel territorio) come ente percettore dello stesso.
Infine, il Tribunale richiama la giurisprudenza Plaumann (Corte giust. 15 luglio 1963, 25/62), per sottolineare come le specifiche circostanze del caso rappresentano effettivamente una situazione di fatto che caratterizza il Fronte Polisario rispetto a chiunque altro e che gli conferisce una particolare qualità: «infatti, il Fronte Polisario è il solo altro interlocutore che partecipa ai negoziati condotti sotto l’egida dell’ONU, tra esso e il Regno del Marocco, ai fini della definizione dello status internazionale definitivo del Sahara occidentale» (punto 113).
E dunque, ancora una volta, il Tribunale argomenta equiparando il Fronte Polisario al Marocco, in quanto entrambi destinatari degli effetti dell’accordo contestato e in quanto entrambi parti di una procedura negoziale sotto l’egida dell’ONU, relativa allo status definitivo del territorio del Sahara occidentale. In buona sostanza, il Fronte Polisario viene preso in considerazione come ente di riferimento degli interessi generali del territorio e della popolazione saharawi. Non è chiaro però quale possa essere l’incidenza individuale dell’atto impugnato (nel senso che «l’intérêt général qu’une région, en tant qu’entité compétente pour les questions d’ordre économique, social ou environnemental sur son territoire, peut avoir à obtenir un résultat favorable pour la prospérité de celui-ci ne saurait, à lui seul, suffire pour la considérer comme étant concernée, au sens de l’article 263, quatrième alinéa, TFUE» e che di conseguenza il ricorrente non può essere considerato «individuellement concerné par la décision attaquée», Trib. ord. 11 aprile 2011, T-478/10, Département du Gers / Commissione, punto 25 ss.)
In ultima analisi gli argomenti addotti dal Tribunale per riconoscere la legittimazione ad agire del Fronte Polisario suscitano perplessità proprio laddove lo identificano come una delle parti di una controversia (internazionale?) su un territorio conteso e come l’ente portatore degli interessi di quel territorio e della sua popolazione, incentrando cioè la questione sul piano delle relazioni politico-internazionali. Ma se così è, ci si può chiedere se l’art. 263, quarto comma, TFUE costituisce lo strumento d’azione adatto.
Ora, è ben vero che non ammettere la ricevibilità di un simile ricorso avrebbe potuto configurarsi come un diniego di giustizia nei confronti del Fronte Polisario, mentre è noto che la Corte di giustizia considera il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva come un diritto fondamentale dell’ordinamento dell’Unione di cui debbono godere tutti i soggetti. A ciò va aggiunto che la Corte ha ritenuto che anche entità statali debbano poter godere delle garanzie e delle tutele dei diritti fondamentali (v. Corte giust. 18 febbraio 2016, C-176/13P, Consiglio c. Bank Mellat, punto 49).
E tuttavia rimane il dubbio che l’art. 263, quarto comma, TFUE possa rappresentare lo strumento procedurale idoneo a incardinare la competenza del giudice dell’UE su una questione di tale natura (resta il fatto che «anche se i singoli devono poter beneficiare di una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che traggono dall’ordinamento giuridico comunitario …., invocare il diritto a tale tutela non può rimettere in causa le condizioni poste all’art. 230 CE [attuale 263 TFUE], Corte giust. 10 settembre 2009, cause riunite C- 445/07P e C-455/07P, Commissione c. Ente per le Ville Vesuviane e Ente per le Ville Vesuviane c. Commissione). Per quanto la decisione annullata riguardi la conclusione di un accordo di natura prettamente commerciale, non si può non notare, infatti, come la sentenza del Tribunale abbia finito per avere essa stessa un impatto sulle relazioni di politica estera dell’Unione (Mogherini heads to Morocco after EU ties suspended).