argomento: Osservatorio - Unione Europea
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di Giulia D'Agnone
In una serie di atti tipici e atipici adottati recentemente, le istituzioni dell’Unione europea hanno utilizzato il termine ‘minacce ibride’, in riferimento all’impatto delle stesse sulla sicurezza dell’Unione. Comune a tali atti è la volontà di definire il concetto e individuare possibili risposte al verificarsi di tale fenomeno. Come si cercherà di argomentare – seppur succintamente – nel corso di questo Osservatorio, la nozione e, soprattutto, il quadro giuridico di riferimento del fenomeno sembrano tuttavia rimanere incerti, rendendo così auspicabile un intervento al riguardo delle istituzioni dell’Unione, affinché al possibile verificarsi di una minaccia di tal natura sia chiara la disciplina applicabile e pronta l’individuazione degli attori coinvolti nella risposta (l’Unione europea, gli Stati membri, entrambi?).
In merito al primo profilo, ovvero quello concernente l’indentificazione di quali atti costituiscano ‘minacce ibride’, occorre precisare che il termine non è nuovo, almeno per gli esperti di strategie militari. Già nel 2010, la NATO nel suo Capstone Concept “Military contribution to countering hybrid threats” – documento in cui
vengono delineati i principali aspetti e settori della difesa per il futuro – individuava tali minacce come “those posed by adversaries, with the ability to simultaneously employ conventional and nonconventional means adaptively in pursuit of their objectives”. Peraltro, già qualche anno prima gli esperti avevano posto l’accento su queste nuove forme di minacce, evidenziando il cambiamento dei moderni conflitti (F.G. HOFFMAN, Hybrid Threats: Reconceptualizing the Evolving Character of Modern Conflict, in Strategic Forum, working paper, aprile 2009). E tuttavia, nonostante anche altre organizzazioni internazionali, nonché alcuni Stati nelle proprie dottrine strategiche (Cfr. The National Military Strategy of the United States of America 2015; si veda anche lo studio condotto dalla Difesa canadese nell’agosto 2014 Hybrid warfare Implications for CAF force development) abbiano fatto riferimento alla natura ibrida che possono avere determinate minacce, una definizione univoca e chiara delle stesse sembra mancare, pur essendo possibile individuarne alcuni tratti tipici: in particolare, la non convenzionalità dei mezzi utilizzati per condurre l’offesa, il livello di intensità inferiore a quello di un attacco armato idoneo a giustificare una reazione in legittima difesa, la difficoltà di attribuzione delle condotte, generalmente facenti capo ad entità di natura non statale.
Una recente comunicazione congiunta della Commissione europea e dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la sicurezza al Parlamento europeo e al Consiglio del 6 aprile 2016, dal titolo
Quadro congiunto per contrastare le minacce ibride – La risposta dell’Unione europea ha ad oggetto proprio le minacce ibride e le possibili reazioni che l’Unione può predisporre per contrastare il fenomeno, attraverso un approccio olistico che permetterà all'Unione, in coordinamento con gli Stati membri, di contrastare in modo specifico tale tipologia di minacce. A tal fine, nella comunicazione vengono individuate una serie di azioni, di spettanza, secondo le rispettive competenze, tanto degli Stati che delle istituzioni dell’Unione.
Per quanto riguarda la determinazione della natura delle minacce ibride, la Comunicazione sembra confermare la ricostruzione sopra effettuata. Nonostante l’atto non contenga una precisa definizione, il termine sembrerebbe far riferimento ad una “combinazione di attività coercitive e sovversive, di metodi convenzionali e non convenzionali (cioè diplomatici, militari, economici e tecnologici), che possono essere usati in modo coordinato da entità statali o non statali per raggiungere determinati obiettivi, rimanendo però sempre al di sotto della soglia di una guerra ufficialmente dichiarata”. La nozione rimane però piuttosto nebulosa. Nè sembrerebbe di maggior ausilio l’ulteriore specificazione contenuta nel documento, secondo la quale “[l]’accento è generalmente messo sullo sfruttamento dei punti deboli del bersaglio, e sulla creazione di ambiguità per ostacolare il processo decisionale”.
Ciò detto, le caratteristiche delle minacce ibride individuate nella Comunicazione della Commissione, così come quelle che emergono dall’analisi dei documenti in precedenza citati, fanno sì che le stesse sembrino costituire un aspetto dello jus in bello, piuttosto che dello jus ad bellum. In altri termini, tali minacce non sarebbero idonee a giustificare il ricorso all’uso della forza da parte dello Stato offeso, o degli altri Stati agenti in legittima difesa collettiva; piuttosto, esse costituirebbero un metodo attraverso il quale può essere posta in essere una condotta violenta ai danni della sicurezza di uno o più Stati. Sembrerebbe rappresentarne conferma anche un recente documento del Parlamento europeo del giugno 2015, il quale, tra gli esempi di minacce ibride, cita gli atti di terrorismo, la cyber security, la criminalità organizzata: tutti esempi di atti che non costituirebbero di per
sé atti di aggressione, ma che indicano una modalità per arrecare una offesa alla sicurezza statale (sulla riconducibilità dei cyber crimes allo jus in bello, si veda, tra i primi, J. DÖGE, Cyber Warfare. Challenges for the Applicability of the Traditional Laws of War Regime, in Archiv des Völkerrechts, 2010, p. 486 ss. e il successivo dibattito in dottrina). Rafforzano tale convincimento gli ulteriori esempi citati nel documento, come la scarsità delle risorse (con allusione al blocco delle esportazioni di materie prime dalla Cina al Giappone a seguito dell’arresto di un peschereccio cinese nel 2010) che, rispetto ai casi precedentemente richiamati, in alcun modo sembrerebbero giustificare il ricorso all’uso della forza quale reazione agli stessi. È noto infatti che attacchi non qualificabili come attacchi armati non sono idonei a legittimare il ricorso all’uso della forza in legittima difesa (si ricordi come, durante la Conferenza di San Francisco, la proposta brasiliana di estendere il divieto dell’uso della forza anche a minacce o uso di misure economiche in modo incompatibile con la Carta ONU non trovò accoglimento; cfr. Documents of the United Nations Conference on International Organization, 1945, p. 559 ss., in partic. a p. 720 e 721).
Il concetto di minaccia ibrida parrebbe dunque alludere esclusivamente ai mezzi attraverso i quali può essere condotta una azione violenta ai danni di uno Stato (jus in bello), senza che la stessa legittimi il ricorso all’uso della forza in legittima difesa (jus ad bellum).
Sennonché, quando dalla definizione si passa ad analizzare il regime giuridico applicabile a tali minacce nel quadro dell’Unione europea – che costituisce il secondo profilo di indagine di questa riflessione – sembrano riscontrarsi ulteriori profili di incertezza piuttosto che maggiori elementi di chiarimento riguardo alla loro identificazione e alla loro natura. Infatti, tra i possibili interventi a contrasto di minacce ibride, la predetta comunicazione della Commissione, dopo aver fatto riferimento ad azioni e capacità di protezione civile da parte del Centro di coordinamento europeo di risposta alle emergenze, richiama la cd. ‘clausola di solidarietà’ di cui all’art. 222 TFUE. Com’è noto, tale clausola prevede che in caso di attacco terroristico o calamità naturale o antropica nei confronti di uno Stato membro, l’Unione agisca mobilitando tutti i mezzi a sua disposizione, compresi i mezzi militari. Tale reazione è stata oggetto di apposita disciplina di attuazione (decisione 2014/415/UE), che fa però riferimento ad una azione dell’Unione in soccorso di uno Stato membro sul suo territorio, priva dunque di una dimensione esterna. Anche gli Stati sono tenuti ad intervenire al ricorrere dei medesimi casi: ma in tale ipotesi la summenzionata decisione non si applica, e non è dunque chiaro in che modo gli altri Stati membri possano intervenire a sostegno dello Stato vittima di un atto di terrorismo o di una calamità causata dall’uomo. Sembrerebbe, verosimilmente, che il sostegno possa realizzarsi mediante misure di natura civile, economica, diplomatica. Tuttavia, l’invocabilità dell’assistenza di cui all’art. 222 TFUE sembrerebbe quantomeno dubbia, posto che la stessa comunicazione afferma che “[d]ata l’ambiguità associata alle minacce ibride, la Commissione e l’Alto rappresentante (nell’ambito dei loro rispettivi settori di competenza) dovrebbero valutare la possibile applicabilità in ultima istanza della clausola di solidarietà nel caso in cui uno Stato membro dell'UE sia oggetto di gravi minacce ibride”.
Diversamente, la comunicazione sembrerebbe aprire all’invocabilità della clausola di cui all’art. 42, par. 7, TUE, nel caso in cui “molteplici minacce ibride gravi costituiscano un’aggressione armata contro uno Stato membro dell'UE”. Tale affermazione sembra dunque alludere alla possibile natura militare delle minacce ibride che, qualora superino la “soglia di gravità” e siano quindi assimilabili ad un attacco armato, potrebbero giustificare una reazione militare a sostegno dello Stato membro che ha subito l’attacco proiettata all’esterno del territorio dello stesso. Non è pertanto suffiente una minaccia ibrida, seppur grave, per invocare la clausola di mutua assistenza: occorre, piuttosto, che ricorrano una pluralità di minacce e che le stesse superino una determinata soglia di gravità.
A differenza di quanto sopra ipotizzato, la possibilità di invocare l’art. 42, par. 7, TUE sembrerebbe dunque ricondurre le minacce ibride – a determinate condizioni – al regime dello jus ad bellum. Tuttavia, la clausola di mutua assistenza implica l’esistenza dei presupposti dell’invocazione della legittima difesa collettiva (data dal richiamo espresso all’art. 51 della Carta ONU nell’art. 42, par. 7, TUE), ovvero di un attacco armato e la attribuibilità della violazione del divieto di uso della forza a una entità di natura statale (Corte internazionale di giustizia, Attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua (Nicaragua c. Stati Uniti), sentenza del 27 giugno 1986; Attività armate nel territorio del Congo (Repubblica democratica del Congo c. Uganda), sentenza del 19 dicembre 2005). In altri termini, l’aporia del richiamo della clausola di mutua assistenza in caso di minacce ibride risiede nella circostanza che la stessa presuppone una violazione dell’uso della forza idonea a giustificare una reazione in autodifesa: quid juris se le minacce ibride ai danni di uno Stato membro dell’UE non abbiano natura militare? Una pluralità di azioni idonee ad aggravare, ad esempio, la dipendenza di risorse energetiche, potrebbe quindi “innescare” la reazione prevista dall’art. 42, par. 7, TUE? In realtà, alla luce del diritto internazionale generale, il riferimento, nel testo della Comunicazione in oggetto, a una pluralità di minacce ibride gravi, tali da costituire un’aggressione armata, sembrerebbe doversi leggere nel senso della legittimità del ricorso alla legittima difesa solo nel caso in cui le minacce ibride abbiano natura militare.
Resterebbe, comunque, da sciogliere il nodo relativo alla possibilità di una risposta armata fondata sulla clausola di mutua assistenza nei confronti di minacce ibride provenienti da entità non statali: possibilità che il riferimento sopra citato sembrerebbe non escludere, e che d’altronde è già stata confermata all’indomani degli attacchi terroristici di Parigi del 13 novembre 2015, allorchè la Francia ha espressamente invocato la clausola di mutua assistenza a seguito di attacchi provenienti da gruppi terroristici. Sembra dunque necessario, al riguardo, un maggior chiarimento circa i presupposti dell’applicabilità dell’art. 42, par. 7, TUE e le possibili azioni adottabili in forza dello stesso (la stessa Commissione, tra le azioni indicate nella Comunicazione, specifica che essa stessa e l’Alto rappresentante dovranno esaminare l’applicabilità e le implicazioni degli articoli 222 TFUE e 42, par. 7, TUE). Un tale chiarimento circa il regime giuridico applicabile sarebbe senz’altro utile a far luce anche su una più accurata comprensione delle ‘minacce ibride’.
Ove fosse confermata l’applicabilità dell’art. 42, par. 7, TUE in caso di minacce ibride, la comunicazione sembrerebbe inscriversi nella direzione della tendenza a un ampliamento della nozione di “attacco armato” ai fini del ricorso alla legittima difesa: tale disposizione sarebbe così invocabile non solo in presenza di attacchi armati perpetrati da entità non statali (E. CIMIOTTA, Le implicazioni del primo ricorso alla cd. ‘clausola di mutua assistenza’ del Trattato sull’Unione europea, in European Papers, 2016, p. 163 ss., in part. a p. 172 s.), ma addirittura in caso di violazione della sovranità degli Stati membri dell’Unione in assenza di attacchi di natura prettamente militare.
Ove tale posizione delle istituzioni dell’Unione europea fosse definitivamente avvalorata, anche a seguito della manifestazione della posizione degli Stati membri al riguardo, si sarebbe in presenza di una evoluzione non solo nell’ambito del diritto dell’Unione, ma anche della disciplina dell’uso della forza nel diritto internazionale, stante la capacità dei 28 Paesi membri di orientare il diritto internazionale generale in materia. Si ritiene dunque opportuno valutare gli sviluppi in materia, tanto ad opera delle istituzioni dell’Unione che da parte degli Stati membri.