argomento: Osservatorio - Unione Europea
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di Valeria Capuano
1. Con la sentenza del 9 marzo 2017, C-342/15, Piringer, la Corte di giustizia ha affrontato nuovamente il tema della libera circolazione dei servizi nelle professioni legali, affermando la legittimità di una normativa nazionale che riserva ai notai l'autenticazione della firma per la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari (tra i primi commenti v. G. LAURINI, in Notariato, 2, 2017 p. 183 ss.).
La controversia trae origine dal diniego opposto dal Tribunale distrettuale austriaco alla richiesta della sig.ra Piringer - cittadina austriaca - di annotazione nel libro fondiario austriaco della vendita della quota di un proprio immobile, ove tale domanda era stata previamente sottoscritta e autenticata nella Repubblica Ceca da un avvocato ivi stabilito.
In particolare, il legale aveva autenticato la firma della richiedente posta in calce alla domanda, limitandosi ad indicare - conformemente al proprio diritto interno - la data di nascita nonché i documenti presentati dalla signora Piringer per provare la propria identità. Il giudice austriaco (sia di primo, che di ultimo grado) ha respinto, pertanto, la domanda della ricorrente in quanto non autenticata da un notaio o da un tribunale, come invece richiesto dalla legislazione nazionale. Inoltre, secondo questi, la Convenzione austro-ceca sulla cooperazione giudiziaria in materia civile, il riconoscimento degli atti pubblici e il rilascio di informazioni di carattere giuridico (stipulata il 10 novembre 1961, BGB1, n. 309/1962), pure allegata dalla ricorrente, non ricomprendeva l'ipotesi di una firma autenticata da un avvocato. Infatti, ai sensi dell'art. 21, par. 2, della suddetta Convenzione, è possibile il riconoscimento reciproco alla menzione che conferma la veridicità della firma in calce ad un atto privato solo ove apposta da «un giudice, un'autorità amministrativa o un notaio austriaco».
Alla luce di tali circostanze, da ultimo, la Corte suprema austriaca ha chiesto, ex art. 267 TFUE, alla Corte di giustizia di chiarire in primo luogo se trovasse applicazione nella causa de qua l'art. 1, par. 1, 2° comma, della direttiva 77/249/CEE, del 22 marzo 1977, che mira a facilitare l'esercizio della libera prestazione dei servizi da parte degli avvocati. Tale disposizione, infatti, prevede una deroga alla libera prestazione dei servizi laddove consente agli Stati di limitare a «determinate categorie di avvocati» la possibilità di autenticare atti per la costituzione o il trasferimento dei diritti reali immobiliari. Sul punto la Corte di giustizia ha fugato subito ogni dubbio, ricordando che in termini generali la direttiva in questione potrebbe trovare accoglimento in quanto la libera prestazione dei servizi si applica non solo nel caso di spostamento del prestatore, ma altresì del beneficiario, come accade nella fattispecie. Tuttavia, essa ha chiarito che nel caso di specie tale deroga non trova applicazione, poiché la stessa non riguarda indistintamente le professioni legali ma solo gli avvocati, essendo nata essenzialmente per regolamentare le situazioni di quegli Stati membri (in particolare il Regno Unito e l'Irlanda) che riservano a talune categorie di avvocati l'autentica di alcuni atti di diritto immobiliare (es. solicitor), diversamente dagli Stati dove tale funzione è di esclusiva competenza dei notai o dei tribunali. La deroga in oggetto è stata, quindi, come evidenziato anche dall'Avvocato generale, concepita per evitare che avvocati di altri Stati membri svolgessero questo tipo di mansioni nei paesi ove erano previste diverse tipologie di avvocati. Da qui l’inapplicabilità della disposizione al caso in questione nel quale, evidentemente, la legislazione interna pone dei limiti a favore di un'altra categoria di professionisti, ovvero i notai.
Pertanto, esclusa la legittimità della normativa nazionale rispetto al disposto dell'art. 1 della direttiva 77/249/CEE, la Corte si è soffermata sul secondo quesito pregiudiziale volto a stabilire la conformità della medesima norma rispetto all'art. 56 TFUE. In altre parole, la Corte ha dovuto decidere se il principio della libera circolazione dei servizi ostasse a una normativa nazionale che riservi ai notai l'autentica delle firme per la costituzione e il trasferimento di diritti reali immobiliari, impedendo così di riconoscere una firma autenticata al medesimo fine in un altro Stato membro da parte di un avvocato.
Dapprima, il Giudice del Lussemburgo ha evidenziato che la disciplina nazionale in oggetto è certamente una misura contraria all'art. 56 TFUE, benché indistintamente applicabile, prevedendo il divieto di autenticazione non solo per gli avvocati stabiliti in altri Stati membri, ma altresì per quelli austriaci. Richiamando una consolidata giurisprudenza, la Corte ha rammentato che ostacoli alla libera prestazione dei servizi sussistono anche nelle ipotesi in cui, sebbene la restrizione si rivolga sia ai prestatori nazionali che a quelli degli altri Stati, essi costituiscano un ostacolo o di fatto impediscano la prestazione di servizi analoghi legittimamente offerti in altri Stati membri (da ultimo, sentenza 11 giugno 2015, causa C- 98/14, Berlington Hungary e a.). Nondimeno, nella sentenza in rassegna sono indicate anche le eccezioni fissate dallo stesso Trattato per derogare alle libertà fondamentali di stabilimento e di servizi ex artt. 51 e 52 TFUE, e richiamate dall'art. 62 TFUE, in caso di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, nonché le eccezioni previste dalla stessa giurisprudenza della Corte in caso di misure nazionali indistintamente applicabili. In particolare, nella pronuncia si ricorda la possibilità per gli Stati di invocare ragioni imperative di interesse generale, purché vengano applicate in modo non discriminatorio e risultino idonee e proporzionali allo scopo perseguito (v. sentenza 28 gennaio 2016, C-375/14, Laezza e la giurisprudenza ivi citata).
Trattandosi quindi di una misura indistintamente applicabile, la Corte si è soffermata sulla possibilità di accertare l'esistenza di un'esigenza imperativa, ravvisandola nella tutela della buona amministrazione della giustizia declinata, nel caso di specie, nella legalità e nella certezza del diritto degli atti conclusi tra privati con l'assistenza del notaio (principio già stabilito da una nota giurisprudenza in materia: sentenza 24 maggio 2011, C-53/08, Commissione c. Austria, punto 96).
Da questo ragionamento la Corte ne ha, infine, dedotto la compatibilità della normativa austriaca in esame con il divieto di cui all'art. 56 TFUE.
2. La sentenza in epigrafe costituisce una pronuncia, a nostro avviso, di grande interesse per chiarire la relazione - non sempre limpida - tra professione notarile e libera circolazione de servizi giuridici nel mercato comune. Infatti, in materia di libera circolazione degli avvocati alla copiosa giurisprudenza della Corte si è da tempo aggiunta un'importante disciplina di dettaglio (v. direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, sulla quale, in dottrina, v. B. NASCIMBENE -E. BERGAMINI, La Professione forense nell'Unione Europea, Milano, 2010; F. FERRARO, L'Avvocato comunitario, Napoli, 2005). Al contrario, pochi sono i casi in cui i giudici dell’Unione europea si sono dovuti occupare della circolazione dei servizi notarili nell'Unione (si ricorda in particolare le sentenze 24 maggio 2011, Commissione c. Belgio, C-47/08, Commissione c. Francia, C-50/08, Commissione c. Lussemburgo, C-51/08, Commissione c. Portogallo, C-52/08, Commissione c. Austria, C-53/08, Commissione c. Germania, C-54/08, Commissione c. Grecia, C-61/08. Per un commento a queste sentenze v. F. FERRARO, L'applicazione del diritto dell'Unione alla professione notarile: il diritto di stabilimento dei notai alla luce delle sentenze della Corte di giustizia del 24 maggio 2011, Aspetti di interesse notarile nel diritto dell'Unione europea, in Studio Immigrazione, 2012; F. SPAGNUOLO, La nozione europea di pubblici poteri, in Giornale di diritto amministrativo, 2011, p. 1289; V. MICHEL, Profession notariale, Europe, 2011, p. 353.) e tra le previsioni normative si rinvengono solo le deroghe accordate ai notai nella cd. direttiva "servizi" (direttiva 2006/123/CE, del 27 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, attuata in Italia con il decreto legislativo del 26 marzo 2010, n. 59 che all'art.7 prevede tra i "servizi esclusi" dall'applicazione della disciplina quelli forniti dai notai. Sulla direttiva, ex multiis, M. WIBERG, The EU Service Directive: law or simply policy? Legal issues of services of general interest, The Hague, 2014) e nella direttiva "qualifiche professionali" (v. il 3° considerando della direttiva 2013/55/UE del Parlamento e del Consiglio, del 20 novembre 2013. Per un commento v. F. CAPOTORTI, La nuova direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali tra liberalizzazione e trasparenza, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2015, p. 79).
Il limitato numero di pronunce sul rapporto tra notai e libera circolazione dei servizi giuridici trova la sua ragione nel principio di territorialità che caratterizza questa professione, per cui nella pratica è difficile assistere alla circolazione dei sevizi notarili, quantomeno negli Stati membri in cui vige il modello latino.
Viceversa, negli ultimi anni, è possibile riscontrare un numero crescente delle pronunce in cui la Corte di giustizia è chiamata ad intervenire per controllare la conformità delle legislazioni nazionali concernenti l'attività notarile con specifiche normative europee. Si pensi alla sentenza nella causa C-484/15, Ibrica Zulfikarpašić (tra l'altro emanata lo stesso giorno della pronuncia in rassegna), con la quale la Corte ha escluso i notai croati dalla nozione di "giudice", nell’ambito dei procedimenti di esecuzione forzata sulla base di un «atto autentico» (ai sensi dell'art. 3, par. 1, del regolamento (CE) n. 805/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati). Si ricorda, inoltre, la sentenza con cui la Corte ha sancito la conformità della normativa nazionale ungherese con gli artt. 6, par. 1, e 7, par. 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, consentendo così a un notaio di poter redigere un atto autentico riguardante un contratto concluso tra un professionista e un consumatore, di procedere all’apposizione della formula esecutiva su tale atto o di rifiutare di sopprimerla, senza esaminare il carattere abusivo delle clausole di detto contratto (sentenza del 1° ottobre 2015, causa C- 32/14, ERSTE Bank Hungary Zrt). Infine, si guardi al caso in cui la Corte ha giudicato incompatibile con la direttiva 69/335/CEE del Consiglio, del 17 luglio 1969, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, la normativa nazionale tedesca che prevedeva che l’Erario ricevesse una quota dei diritti percepiti dai notai per l’autenticazione di un atto, avente ad oggetto la trasformazione di una società di capitali in una società di capitali di tipo diverso, che non richiedesse un aumento del capitale (sentenza del 3 luglio 2014, causa C-524/13, Eycke Braun).
Ne deduciamo dunque che, sebbene quella notarile sia una professione in larga parte legata a scelte legislative nazionali, nondimeno queste ultime possono essere sottoposte ad un controllo diretto (v. sentenza Commissione c. Austria, cit.) o indiretto da parte dell'ordinamento giuridico dell'Unione (si pensi ancora all'obbligo che discende in capo alle Autorità nazionali antitrust di considerare "imprese" i notai, conformemente all'applicazione soggettiva stabilita dalla Corte di giustizia nell'applicazione del diritto della concorrenza dell'Unione. Sul punto si permetta di rinviare a V. CAPUANO, Tariffe notarili e disciplina della concorrenza: una soluzione dall’ordinamento giuridico dell’Unione Europea?, in Quaderni di Diritto Mercato e Tecnolo gia, 3, 2013, p. 6).
La sentenza in epigrafe, invece, concerne precisamente l'ipotesi in cui la legislazione nazionale impatta sulla libertà di circolazione dei servizi giuridici, fornendo ulteriore testimonianza di come quella notarile sia una professione che - pure nel rispetto del requisito della territorialità - non può più ignorare il contesto giuridico europeo che, come in questo caso, può supportare piuttosto che minacciare i tratti tipici del notariato latino.
A tale fine, particolarmente utili paiono le riflessioni svolte dalla Corte in merito alle deroghe alle misure indistintamente applicabili, ammesse da lungo tempo a seguito del caso Webb (sentenza del 17 dicembre 1981, causa 279/80, sull'argomento v. L. DANIELE, Diritto del Mercato Unico Europeo, Milano, 2016, p. 196 ss.). Come noto, secondo questa giurisprudenza gli Stati membri possono limitare la libera circolazione dei servizi qualora provino che la misura nazionale invocata rispetti quattro requisiti: che essa sia applicata in maniera non discriminatoria, sia motivata da una ragione imperativa di interesse generale e che risulti idonea e proporzionale al raggiungimento dell'obiettivo stabilito. Quello che sembra interessante è che qui, per la prima volta, la Corte ha effettuato questa verifica in maniera puntuale rispetto ai servizi notarili. Infatti, in passato, in particolare nella citata sentenza Austria c. Commissione, la Corte si era soffermata solo sulla natura dell'ufficio notarile, escludendone la qualifica di attività che partecipa all'esercizio dei pubblici poteri, ai sensi dell'art. 51, 1° comma, TFUE. In quella stessa occasione, come la stessa sentenza in commento ricorda, la Corte ha poi aggiunto che, nondimeno, la funzione notarile persegue interessi generali che possono costituire ragioni imperative volte a giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento di cui all'art. 49 TFUE, non proseguendo però in altre valutazioni. Nella sentenza in rassegna, invece, la Corte - estendendo per via analogica ai servizi le considerazioni ivi condotte in materia di stabilimento - ha potuto e dovuto soffermarsi su tutti i requisiti del test Webb.
Confermato che la normativa nazionale in esame si applica in maniera non discriminatoria, la Corte ha così proceduto all'accertamento dell'esistenza di una ragione imperativa di interesse generale attraverso l'esame di un tratto tipico del notariato latino, ovvero la tenuta del libro fondiario (punti da 58 a 60). Accogliendo le osservazioni dei governi austriaco e tedesco, la Corte ha sottolineato come l'annotazione nel libro fondiario produca in questi ordinamenti effetti costitutivi, facendo sorgere il diritto in capo al soggetto che chiede l'annotazione. In questo contesto sono parsi giustificabili disposizioni nazionali che consentano solo a professionisti qualificati o a giudici il controllo circa la veridicità e l'esattezza di quanto ivi annotato, ove la corretta tenuta del libro fondiario mira a garantire la certezza dei traffici giuridici, in particolare tra gli atti stipulati tra i privati. A seguito di queste valutazioni la Corte ha individuato nella buona amministrazione della giustizia l'esistenza di una ragione imperativa di interesse generale (conformemente a quanto già stabilito in precedenza: v. sentenza 12 dicembre 1996, C-3/95, Reisebüro Broede).
Verificate le prime due condizioni, la Corte ha, quindi, condotto l'indagine sull'adeguatezza e sulla proporzionalità della legislazione nazionale che conferisce in modo esclusivo ai notai l'attività di autenticazione degli atti per la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari. Secondo la pronuncia, la presenza del notaio è «rilevante e necessaria» per procedere all’annotazione nel libro fondiario, poiché la sua attività consiste non solo nell’identificazione della persona che ha apposto la firma, controllando questi anche il contenuto dell’atto, la regolarità della transazione, nonché la capacità della ricorrente a compiere atti giuridici (v. punti da 64 a 66) . Pertanto, secondo la Corte, riservare le attività connesse all’autenticazione degli atti relativi alla costituzione o al trasferimento di diritti reali immobiliari ai notai, «depositari della fede pubblica, e su cui lo Stato membro coinvolto esercita un particolare controllo», costituisce una misura adeguata per realizzare il buon funzionamento del sistema del libro fondiario. Tale restrizione si inserisce, quindi, nel più ampio scopo di assicurare la legalità e la certezza del diritto nel caso di atti stipulati tra privati.
Infine, la Corte ha aggiunto un'utile postilla evidenziando come l’attività svolta dagli avvocati in caso di autentica, non è assimilabile a quella posta in essere dai notai, in considerazione delle disposizioni più rigide che disciplinano il sistema delle autenticazioni notarili.
Le osservazioni della Corte appena illustrate costituiscono, secondo chi scrive, l'aspetto più significativo della sentenza in commento, poiché nel valutare la proporzionalità e l'adeguatezza delle disposizioni nazionali la Corte è di fatto entrata nel merito di una questione di diritto interno molto rilevante, quale la "giustificazione" nei sistemi di notariato di tipo latino dell'attribuzione ai notai di competenze esclusive. La Corte sembra approvare la ratio di tali disposizioni selettive, ammettendo che nell'ambito dei servizi giuridici la funzione notarile non è affatto paragonabile a quella svolta dagli avvocati. Solo i notai, infatti, in qualità di pubblici ufficiali e custodi della fede pubblica, possono effettuare la verifica e il controllo non solo dell'identità delle parti, ma altresì della regolarità delle transazioni, esercitando così, inter alia (si pensi anche al notaio come sostituto d'imposta), un'attività deflattiva del contenzioso giudiziario e di garanzia per la certezza dei traffici giuridici.
3. Il riconoscimento espresso da parte della Corte di giustizia delle peculiarità dell'ufficio notarile rappresenta un segnale molto importante, soprattutto in un momento in cui alcuni ordinamenti nazionali, tra cui quello italiano, sembrano vacillare proprio sul tema della esclusività delle competenze dei notai da affidare eventualmente agli avvocati. Appare singolare che, quasi contemporaneamente alla pronuncia in commento, due ordinanze del Tribunale di Pordenone e del Tribunale di Roma, rispettivamente del 16 e 17 marzo 2017, hanno riconosciuto che gli accordi di negoziazione nei quali sono contenuti patti di trasferimenti immobiliari possono essere trascritti nei registri immobiliari in virtù della sola certificazione degli avvocati, evitando così l'intervento del notaio (per una lettura di questi si rinvia a M. MATTIONI, Prime note ai decreti dei Tribunali di Pordenone e Roma in materia di negoziazione assistita: errore di diritto? in federnoti zie.it). Senza entrare nel merito dei provvedimenti che, in questo caso, riguardano questioni puramente interne (per uno studio dei problemi transnazionali, invece, v. C. SILVESTRI, La circolazione nello spazio giudiziario europeo degli accordi di negoziazione assistita in materia di separazione dei coniugi e cessazione degli effetti civili del matrimonio, in Rivista Trimestrale di diritto e procedura civile, 4, 2016, p. 1287), il tema della corretta distribuzione delle competenze tra notai e avvocati, di recente profilatosi anche a livello nazionale, potrebbe trovare importanti indicazioni nella pronuncia in rassegna. Infatti, come sopra evidenziato, la Corte non si limita a riconoscere le peculiarità della figura notarile, ma ne ricava anche la distinzione con la professione forense, mostrando essenzialmente come queste rimangano due attività non equiparabili, sebbene entrambe forniscano servizi giuridici (punto 66). Il rigido sistema di accesso alla professione notarile, gli oneri previsti in tema di assistenza alla sede, di vincolo territoriale, di obbligo di assistenza ai clienti, conducono la stessa Corte di giustizia ad attribuire a questa professione dei connotati distintivi che giustificano eventuali "chiusure" nazionaliste degli Stati membri. In verità, nella sentenza in rassegna la netta distinzione tra notai e avvocati emerge già in partenza escludendo l'applicazione della direttiva n.77/249, che pure avrebbe potuto giustificare la normativa nazionale, ma in quel caso si sarebbe appunto accomunato le due professioni.
4. In conclusione, ci sembra da accogliere come un dato positivo che a livello europeo si riconoscano le specificità di un servizio giuridico che, prima di ogni altro singolo soggetto, vuole rendere un beneficio alla collettività. Tuttavia resta il dato incontrovertibile che tale esigenza esiste e "resiste" solo fin quando è lo Stato medesimo a riconoscerla in prima battuta. Le esigenze imperative sono una categoria giurisprudenziale che la Corte di giustizia ha elaborato al fine di rispettare istanze nazionali che, benché non previste dai Trattati, siano giudicate meritevoli di tutela alla luce di contesti e condizioni interne fatte valere in primis dagli Stati medesimi. Pertanto esse non costituiscono vincoli europei che il legislatore nazionale è tenuto a osservare, bensì scelte legislative nazionali che la Corte di giustizia può di fatto ratificare.
Tutt'altra cosa è la possibilità per il legislatore dell'Unione di stabilire eventualmente un sistema di circolazione degli atti giuridici sicuro ed efficiente, capace di rispettare le peculiarità dei singoli ordinamenti nazionali e, al contempo, di contribuire alla creazione dello spazio di giustizia europeo. Si pensi, in particolare, alla recente riforma sulle successioni europee che ha dato vita al regolamento (UE) n. 650/2012, che ci sembra esemplifichi bene la posizione dell'ordinamento dell’Unione rispetto alla funzione notarile. Tale regolamento crea un certificato di successione europeo, dando prova della necessità di creare strumenti giuridici comuni nell'osservanza delle tradizioni giuridiche dei singoli Stati, là dove esso afferma che « dovrebbe spettare a ciascuno Stato membro determinare nella rispettiva legislazione interna quali autorità debbano essere competenti a rilasciare il certificato» (considerando 70). Risulta in definitiva chiaro che quello dell'Unione europea costituisce oggi un ordinamento pienamente integrato con quello degli Stati membri, che non possono più sottovalutare il contesto sovranazionale, neppure nelle materie di storica tradizione statale come, ad esempio, quello delle successioni (sul punto F. MAIDA, Certificato successorio europeo: ai notai la competenza al rilascio, in Europa Dir. priv., 1, 2015, p. 201).
In questo scenario ci sembra che la sentenza Piringer offra un'ottima dimostrazione del rispetto che l’ordinamento dell’Unione, attraverso in particolare la Corte di giustizia, usa al cospetto di queste fattispecie, visto che creare un mercato - nonché uno spazio di giustizia - comune non vuol dire necessariamente disconoscere ma, come in questo caso, può significare accogliere le peculiarità dei sistemi giuridici nazionali alla ricerca, non sempre agevole, di soluzioni condivise dalle quali tutti si possano sentire adeguatamente tutelati.