argomento: Osservatorio
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di FLAVIA ROLANDO
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il Green Deal europeo: una strategia articolata per raggiungere la sostenibilità ambientale. - 3. Il progresso della tutela dell’ambiente nell’elaborazione delle altre politiche. - 4. Il ruolo degli Stati membri nel perseguimento degli obiettivi: il PNRR come strumento per favorire la tutela ambientale. - 5. Conclusioni.
1. Le azioni dell’Unione e dei singoli Stati riuniti in varie organizzazioni internazionali, dal G20 al COP 26, sono oggi al centro dell’attenzione mediatica. L’urgenza di definire delle iniziative ambientali concrete è sempre più sentita dall’opinione pubblica, anche grazie alla mobilitazione di giovani e giovanissimi. Di fatto, in base all’ultimo rapporto sul clima gli ultimi sette anni stanno per essere classificati come quelli più caldi mai registrati; inoltre, l’innalzamento globale del livello del mare ha subito un’accelerazione dal 2013 fino ad avere un nuovo massimo nel 2021, con il continuo riscaldamento degli oceani e l’acidificazione degli stessi[1].
Nel 2019 la Commissione europea ha adottato una Comunicazione con la quale ha illustrato il Green Deal per l’Unione europea, ovvero la strategia per affrontare la questione ambientale attraverso un insieme di azioni. In effetti, poco dopo l’Unione europea, come il resto del mondo, è stata impegnata a fronteggiare gli effetti della pandemia da Covid-19. Per quanto la gestione della situazione emergenziale abbia inizialmente assorbito in larga parte le forze degli Stati membri e dell’Unione, è significativo notare che la questione ambientale non è stata travolta dalle altre priorità. Al contrario, la riforma green e la digitalizzazione sono considerate oggi come i migliori strumenti per uscire dalla crisi economica.
Come risposta alla crisi determinata dal coronavirus, l’Unione europea ha poi adottato il Dispositivo per la ripresa e resilienza (Regolamento (UE) 2021/241): un piano di finanziamento a favore degli Stati membri che non ha precedenti nella storia dell’integrazione europea. Il primo dei sei pilastri, ovvero degli obiettivi di questo piano, è dedicato all’ambiente ed alla transizione verde.
Il presente scritto ha l’obiettivo di valutare se il Green Deal e il Dispositivo per la ripresa e resilienza rappresentano degli effettivi passi in avanti nel percorso verso la sostenibilità ambientale.
2. Già nel discorso per la propria candidatura (Un’Unione più ambiziosa: il mio programma per l’Europa, in ec.europa.eu/info/sites/default/files/political-guidelines-next-commission_it.pdf), la futura Presidente della Commissione europea poneva il Green Deal europeo al primo punto del programma politico. Ursula Von der Leyen partiva dalla premessa che l’Unione europea aveva al momento tassi di occupazione da record e una crescita economica sostenuta, al punto da essere la superpotenza commerciale mondiale. In ragione di questa forza, la candidata alla presidenza della Commissione sosteneva l’esigenza di essere ambiziosi anche riguardo ai nuovi obiettivi politici, in particolare assumendo la guida della transizione verso un pianeta in salute e un nuovo mondo digitale.
In effetti, è significativo che la Comunicazione sul Green Deal europeo (COM(2019) 640) sia stata adottata l’11 dicembre 2019, dopo soli dieci giorni dall’insediamento. Il Green Deal costituisce la rielaborazione degli obiettivi e della strategia ambientale precedentemente pianificati e introduce una precisa tabella di marcia dell’esecutivo dell’Unione per rispondere al meglio all’urgenza di reagire al declino che osserviamo. Giova qui anticipare che tale tabella di marcia è stata sostanzialmente rispettata anche malgrado la pandemia: ci sono stati pochi e contenuti ritardi nell’emanazione da parte della Commissione delle Comunicazioni e proposte programmate.
Nei suoi auspici, il patto verde mira a trasformare l’Unione europea «in una società giusta e prospera, dotata di un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dall’uso delle risorse» (p. 2 della Comunicazione cit.). In effetti, tale strategia è funzionale alla realizzazione dell’Agenda 2030 e degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. In questo senso, l’articolazione dei propositi - che vede la componente ambientale comunque contemperata se non subordinata a quella economica - riflette le tre dimensioni della sostenibilità così come stabilite nella risoluzione delle Nazioni Unite: sostenibilità economica, sociale ed ambientale (si veda il punto 2 della Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale il 25 settembre 2015 - Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development).
L’azione dell’Unione stabilita dal Green Deal ruota intorno ad alcuni pilastri, che costituiscono delle priorità politiche. Si pensi all’obiettivo della neutralità climatica, all’approvvigionamento di energia pulita o all’economia circolare. Si tratta di ambiti in cui l’Unione europea è intervenuta da tempo con atti vincolanti che hanno spesso spinto gli Stati membri ad adeguarsi a standard più elevati. Oggi un’azione più decisa per realizzare questi obiettivi è considerata indispensabile per garantire il raggiungimento della sostenibilità ambientale. In questa sede cercheremo di sintetizzare le ambizioni e le azioni effettivamente intraprese in materia.
Per quanto concerne la neutralità climatica, è opportuno ricordare che nella Comunicazione Un pianeta pulito per tutti - Visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra (COM(2018) 773) la Commissione aveva delineato una strategia strutturata in un insieme di trasformazioni economiche e sociali da avviare per realizzare la transizione verso quota zero emissioni nette entro il 2050. Il Green Deal ha ribadito questo impegno e ha anticipato che sarebbe stata presentata una proposta della Commissione per arrivare a una Legge europea sul clima. Questa è stata effettivamente adottata nel 2021 con il regolamento (UE) 2021/1119, ai sensi del quale le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri sono tenuti a prendere le misure necessarie a livello nazionale e sovranazionale per raggiungere l’azzeramento delle emissioni, tenendo conto dell’importanza di promuovere l’equità e la solidarietà tra gli Stati membri. La legge sul clima fissa inoltre l’obiettivo intermedio di ridurre entro il 2030 le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55%, rispetto ai livelli del 1990[2]. Sono state quindi previste misure per verificare i progressi compiuti e adeguare di conseguenza gli interventi della Commissione europea. E in vista di ciò nel luglio 2021 la Commissione ha adottato una serie di proposte per riesaminare tutti gli strumenti politici necessari per conseguire le riduzioni supplementari di emissioni previste per il 2030 (ec.europa.eu/clima/eu-action/european-green-deal/delivering-european-green-deal_en).
Tra i principali strumenti per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra dobbiamo considerare innanzitutto il sistema per lo scambio di emissioni. Con la direttiva 2003/87/CE che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra è stato introdotto un meccanismo detto di cap and trade incentrato sulle quote di emissioni attribuite ad ogni impresa: ciascuna quota dà il diritto di emettere una tonnellata di CO2. Di recente, inoltre, la Commissione ha adottato delle proposte di modifica della direttiva (COM(2021) 551; COM(2021) 552 e COM(2021) 567) con le quali prospetta l’estensione del sistema ETS anche al trasporto marittimo e aereo.
L’approvvigionamento di energia pulita è invece definito come un obiettivo autonomo, sebbene funzionale a quello del raggiungimento della neutralità delle emissioni. Si consideri, infatti, che la produzione e l’uso di energia nei vari settori economici causa il 75 % delle emissioni di gas a effetto serra dell’Unione. Da un lato, dunque, si ambisce a sviluppare un settore dell’energia basato in larga misura su fonti rinnovabili, con la contestuale rapida eliminazione del carbone e la decarbonizzazione del gas. Dall’altro lato, però, l’approvvigionamento energetico deve essere sicuro e a prezzi accessibili per i consumatori e le imprese. A tal proposito, è stata al centro del dibattito politico la scelta di classificare l’energia nucleare e quella del gas come verde o meno. Questo aspetto è stato poi affrontato in un regolamento delegato della Commissione adottato per specificare i requisiti stabiliti nel c.d. Regolamento Tassonomia (regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2020, relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili, si veda l’art. 23 per la definizione dei poteri e delle condizioni per l’esercizio della delega). Detto regolamento introduce una serie di nozioni e nomenclature funzionali a definire un linguaggio comune mirato ad agevolare la fiducia degli investitori in progetti e attività economiche che hanno un sostanziale impatto positivo sul clima e sull’ambiente. Tali fonti di energia sono state definite dalla Presidente della Commissione europea come necessarie per l’approvvigionamento durante la fase di transizione (ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_21_5458). L’adozione dell’atto delegato è stata rimandata più volte per permettere il più ampio coinvolgimento degli stakeholder, con l’obiettivo di includere queste due fonti di energia nel rispetto di condizioni chiare e rigorose (il relativo progetto è stato reso pubblico il 2 febbraio 2022, https://ec.europa.eu/info/publications/220202-sustainable-finance-taxonomy-complementary-climate-delegated-act_en).
Altro grande tema, connesso a quello della riduzione delle emissioni e autonomo sotto altri aspetti, è quello della economia circolare. Di fatto, l’industria dell’Unione europea contribuisce ancora al 20% delle emissioni di gas a effetto serra ed è ancora troppo dipendente dal flusso di nuovi materiali estratti, scambiati e trasformati in merci e, infine, smaltiti come rifiuti. Soltanto il 12% dei materiali utilizzati proviene dal riciclaggio. Peraltro, occorrono circa 25 anni per trasformare un settore industriale e tutte le catene del valore. Per questo motivo, le decisioni e le azioni opportune dovranno essere prese nei prossimi cinque anni per poter avere effetto nel 2050.
Con il Green Deal la Commissione ha annunciato sostegno e accelerazione per la transizione dell’industria europea verso un modello sostenibile di crescita inclusiva, per far sì che i progressi siano diffusi ed uniformi. In effetti, è stata successivamente adottata una strategia industriale dell’Unione europea (COM(2020) 102: Una nuova strategia industriale per l’Europa) e un nuovo piano d’azione per l’economia circolare (COM(2020) 98: Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare: Per un’Europa più pulita e più competitiva). In quest’ultimo la Commissione ha tracciato i propositi per 35 azioni[3], che vanno dall’intervento in settori ad alta intensità di risorse, come quello del tessile (ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/12822-EU-strategy-for-sustainable-textiles_en), ad azioni più generali, come la revisione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile (direttiva 2009/125/CE relativa all’istituzione di un quadro per l’elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia), che attualmente riguarda solo i prodotti connessi all’uso di energia, in modo da estenderne il campo di applicazione alla più ampia gamma possibile di prodotti.
La transizione verso un sistema economico sostenibile è considerata un’opportunità per incrementare la redditività delle imprese proteggendole, nel contempo, dalle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime impiegate. In questo senso, sono state adottate anche ulteriori misure per ridurre i rifiuti e garantire il buon funzionamento del mercato interno per le materie prime secondarie di alta qualità. A tal fine la Commissione ha già adottato una proposta di modifica del regolamento sulle spedizioni dei rifiuti (COM(2021) 708: I nostri rifiuti sono una nostra responsabilità: le spedizioni di rifiuti in un’economia pulita e più circolare) che mira a introdurre regole più severe sulle esportazioni di rifiuti[4] e, nel contempo, un sistema più efficiente e semplificato per il rientro dei rifiuti nell’economia circolare.
Particolarmente innovativa appare poi l’importanza attribuita alle informazioni sulla sostenibilità dei prodotti e alla preparazione del consumatore affinché quest’ultimo possa effettuare delle scelte più consapevoli e svolgere un ruolo attivo nella transizione ecologica. Le informazioni relative ai prodotti e servizi, se affidabili, comparabili e verificabili, consentono infatti agli acquirenti di prendere decisioni più sostenibili e riducono il rischio di un marketing ambientale fuorviante (c.d. green washing). Per questo è fondamentale che le imprese che vantano le caratteristiche ecologiche dei loro prodotti debbano dimostrarle sulla base di una metodologia standard che ne evidenzi l’impatto sull’ambiente. A tal proposito, da tempo sono stati adottati i marchi europei che certificano la produzione di beni e la fornitura di servizi secondo le migliori tecnologie disponibili (ECOLABEL, EMAS) e di recente è stata adottata una raccomandazione della Commissione volta a promuovere l’uso dei “metodi dell’impronta ambientale” per misurare e comunicare il potenziale impatto che un prodotto ha sull’ambiente durante il suo ciclo di vita, sia esso un bene o un servizio (raccomandazione (UE) 2021/2279). E anche il Parlamento europeo ha chiesto un intervento in materia (risoluzione del Parlamento europeo del 25 novembre 2020 sul tema «Verso un mercato unico più sostenibile per le imprese e i consumatori», 2020/2021(INI)).
Tra le altre aree di intervento evidenziate nel Green Deal, che in questa sede verranno solo brevemente descritte, vi sono la mobilità sostenibile, la creazione di un sistema alimentare sostenibile e la tutela dell’ecosistema.
Con riferimento alla prima, si consideri che i trasporti sono responsabili di un quarto delle emissioni di gas a effetto serra e che per conseguire la neutralità climatica è necessario ridurre le emissioni prodotte dai trasporti del 90% entro il 2050. Nel 2020 la Commissione ha presentato una strategia per una mobilità intelligente e sostenibile che affronta questa sfida (COM(2020) 789: Strategia per una mobilità sostenibile e intelligente: mettere i trasporti europei sulla buona strada per il futuro) e recentemente ha adottato una proposta di modifica della direttiva 2010/40/UE sulla diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti nel settore del trasporto stradale e nelle interfacce con altri modi di trasporto. Più in generale, la Commissione ambisce a promuovere la diffusione di veicoli a emissioni zero, di carburanti rinnovabili e a basse emissioni di carbonio e delle relative infrastrutture, a creare aeroporti e porti a emissioni zero, a rendere più sostenibile e sana la mobilità interurbana e urbana oltre ad estendere il sistema per lo scambio di quote di emissioni al settore marittimo e di ridurre le quote assegnate gratuitamente alle compagnie aeree.
Infine, per quanto concerne il sistema alimentare, si consideri che la produzione alimentare provoca ancora inquinamento dell’atmosfera, dell’acqua e del suolo, oltre a contribuire alla perdita di biodiversità e ai cambiamenti climatici. Nel 2021 la Commissione ha presentato perciò la sua strategia “Dal produttore al consumatore” per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell'ambiente (COM(2020) 381) in cui, oltre a definire una serie di obiettivi entro il 2030, afferma che verrà adottata presto una proposta per un’etichettatura nutrizionale sulla parte anteriore dell’imballaggio obbligatoria e armonizzata, per consentire ai consumatori di compiere scelte alimentari salutari. Analogamente è stata pubblicata una strategia sulla tutela della biodiversità (COM(2020) 380: Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030. Riportare la natura nella nostra vita).
3. Dopo aver descritto i propositi relativi a degli specifici ambiti che costituiscono delle priorità nel perseguimento della sostenibilità ambientale, la Commissione dedica una sezione del Green Deal all’integrazione della tutela dell’ambiente in tutte le altre politiche dell’Unione. In effetti, tale forma di protezione risponde all’attuazione del principio di integrazione, sancito dall’art. 11 TFUE e dall’art. 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a norma del quale le esigenze connesse alla protezione dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche e azioni dell’Unione, per promuovere lo sviluppo sostenibile.
Il principio in esame ha segnato un punto di svolta: ha elevato la tutela dell’ambiente da obiettivo di singole azioni a clausola orizzontale, atta a condizionare ogni azione e politica dell’Unione (per una ricostruzione anche storica del principio di integrazione, si veda, tra gli altri, M. Wasmeier, The Integration of Environmental Protection as a General Rule for Interpreting Community Law, in CMLR, 2001, p. 159 ss. e J. H. Jans, Stop the Integration Principle?, in Fordham International Law Journal, 2010, p. 1533 ss.). Il principio di integrazione non impone di privilegiare sistematicamente la protezione dell’ambiente, ma determina l’obbligo di effettuare un bilanciamento tra i vari interessi, ovvero una valutazione delle esigenze connesse alla salvaguardia dell’ambiente e un contemperamento delle stesse con gli interessi economici e gli altri obiettivi che caratterizzano le politiche e l’azione dell’Unione. Dunque, a seguito di un adeguato esame dell’impatto ambientale delle possibili alternative che realizzano l’obiettivo proprio di una politica settoriale, dovrà essere scelta quella più ecocompatibile possibile. Una differente decisione dovrebbe essere giustificata dall’importanza della realizzazione dell’obiettivo principale e dovrebbero essere espressi i motivi che hanno ostacolato una scelta politica ponderata.
L’analisi effettuata prima dell’adozione di una proposta normativa è normalmente descritta nella valutazione d’impatto, il documento di lavoro che accompagna la proposta della Commissione nella forma di un SWD (Staff Working Document). L’importanza della valutazione d’impatto è stata approfondita nelle Better Regulation Guidelines (SWD (2017) 350), nelle quali è stato specificato che tale strumento ha l’obiettivo di sintetizzare le valutazioni politiche che sono alla base della proposta al fine di verificare (e permettere di verificare) se l’azione proposta costituisca la miglior soluzione. Più precisamente, per ogni opzione politica dovrebbero essere individuati sia gli effetti positivi (benefits) sia quelli negativi (the costs or adverse environmental and social impacts), tenendo presente che l’effetto positivo per una parte interessata potrebbe corrispondere ad un effetto negativo per un’altra parte interessata. Per questo motivo la Commissione ritiene che sia necessario definire con precisione i pro e i contro. Attraverso tale studio, la Commissione ritiene di poter perseguire un approccio integrato, operando la scelta migliore. Le considerazioni effettuate nella valutazione di impatto non sono, ovviamente, vincolanti per le altre istituzioni coinvolte nella procedura di adozione dell’atto, tuttavia costituiscono una base di partenza per l’instaurazione del dibattito politico in merito, nonché per un eventuale approfondimento anche scientifico delle conseguenze ambientali di una determinata opzione politica (F. Rolando, L’integrazione delle esigenze ambientali nelle altre politiche dell’Unione europea, Napoli, 2021, p. 96 ss.).
Il Green Deal dedica la sezione 2.2 all’integrazione della sostenibilità in tutte le altre politiche dell’Unione europea. A tal riguardo, la Commissione ha rimarcato l’importanza della convergenza dell’insieme delle azioni europee per realizzare la transizione verso uno sviluppo sostenibile. Secondo l’Esecutivo europeo, gli strumenti di cui esso dispone per legiferare meglio (consultazioni pubbliche, valutazioni d’impatto) rappresentano un ottimo punto di partenza. In effetti, da un raffronto tra varie valutazioni di impatto emerge che, in molti casi, in esse non vi è alcun riferimento agli effetti ambientali della proposta semplicemente perché l’azione dell’Unione non ha un impatto ambientale o per l’estraneità della materia o perché si ritiene che la disciplina nel caso specifico non determini particolari effetti. L’analisi è invece più elaborata in caso di azioni e di politiche in cui è maggiormente consolidata, anche nell’opinione pubblica, la conoscenza degli effetti ambientali (F. Rolando, op. cit., p. 235). È quindi rassicurante il proposito della Commissione di migliorare il modo in cui affronta le questioni connesse alla sostenibilità laddove ha annunciato che le relazioni che accompagnano tutte le proposte legislative e gli atti delegati includeranno una sezione specifica che illustra come viene garantito il rispetto di tale principio.
Al di là di questo proposito generale, il primo ambito in cui la Commissione ritiene che l’attuazione del principio di integrazione debba avvenire è quello dei finanziamenti e investimenti, mirando a portare al 25% l’obiettivo di integrazione degli aspetti climatici in tutti i programmi dell’Unione[5]. Come vedremo di seguito, ciò è materialmente avvenuto anche nel Dispositivo per la ripresa e resilienza, in cui il 37% delle risorse deve essere dedicato a obiettivi verdi.
Inoltre, la Commissione mira a consolidare le basi per gli investimenti sostenibili grazie alla tassonomia per la classificazione delle attività ecosostenibili.
In effetti, la Corte dei Conti europea ha espresso alcune critiche relativamente alla c.d. finanza sostenibile, invitando l’Unione ad agire in modo più coerente per reindirizzare i finanziamenti verso questa tipologia di investimenti (Relazione speciale 22/2021). La detta istituzione ha evidenziato che, ad eccezione di InvestEU[6], nei programmi di spesa dell’Unione non erano previsti dei requisiti per valutare i singoli progetti di investimento dal punto di vista sociale e ambientale, o comunque tali parametri non erano uniformi. Ciò significa che, per stabilire la sostenibilità ambientale e sociale delle medesime attività finanziate da programmi europei diversi, possono essere impiegati criteri differenti o, cosa più grave, non sufficientemente rigorosi.
4. La crisi economica determinata dalla pandemia ha avuto l’effetto di contribuire a valorizzare il ruolo degli Stati membri nella realizzazione degli obiettivi ambientali. Il Dispositivo per la ripresa e resilienza ha introdotto un piano di finanziamento imponente e senza precedenti a favore degli Stati, per far fronte alle conseguenze economiche della diffusione del COVID. Tale piano ha definito degli obiettivi, qualificati come aree di intervento, strutturate in sei pilastri. Il primo di questi è dedicato all’ambiente, più precisamente alla transizione verde (art. 3).
Nella strategia annuale per la crescita sostenibile (COM(2020) 575: Strategia annuale per la crescita sostenibile 2021), la Commissione ha evidenziato il collegamento tra la predisposizione dei vari piani nazionali e la realizzazione degli obiettivi dell’Unione, precisando che i primi debbano essere in linea con gli obiettivi delle politiche sovranazionali ed essere incentrati sulla transizione verde e digitale (p. 2). Gli Stati membri sono quindi considerati degli attori per raggiungere gli obiettivi propri del Green Deal.
Secondo i considerando del Dispositivo, la transizione verde dovrebbe essere realizzata con riforme e investimenti in tecnologie e capacità verdi, tra cui la biodiversità, l’efficienza energetica, la ristrutturazione degli edifici e l’economia circolare. In tal modo si contribuirebbe al raggiungimento degli obiettivi climatici dell’Unione e potrebbe essere promossa la crescita sostenibile (Considerando 11). In questo senso, è piuttosto marcato il collegamento tra la definizione dei vari PNRR e la realizzazione degli obiettivi del Green Deal. Il Dispositivo è infatti definito come il riflesso del Green Deal europeo quale strategia di crescita dell’Europa. A tal fine, esso stabilisce che le misure sostenute dal dispositivo che contribuiscono alla transizione verde, compresa la biodiversità, o alle sfide che ne derivano, dovrebbero rappresentare almeno il 37% dell’assegnazione totale (Considerando 23). Inoltre, negli auspici, il finanziamento dovrebbe contribuire all’integrazione nelle politiche dell’Unione tanto delle azioni per il clima e della sostenibilità ambientale, quanto dell’azione a favore della biodiversità (Considerando 24).
Occorre però chiedersi se questo strumento sia funzionale anche a raggiungere effettivamente un più generale miglioramento della tutela dell’ambiente.
Secondo quanto stabilito dall’art. 5, par. 2 del Dispositivo, possono essere finanziate unicamente le misure che rispettano il principio «non arrecare un danno significativo» (d’ora in avanti Principio DNSH - “do no significant harm”). Questa precisazione appare un’importante innovazione, che segue i suggerimenti espressi dalla Corte dei Conti europea. Tuttavia, non si può non rilevare una essenziale differenza tra questo principio e quello di integrazione delle esigenze ambientali. Mentre, infatti, il principio di integrazione ha una dimensione positiva, per la quale le esigenze connesse alla tutela dell’ambiente devono essere prese in considerazione, il principio DNSH ha una formulazione negativa: le misure non devono arrecare un danno che, peraltro, per essere scongiurato deve essere significativo.
Quanto alla definizione dell’arrecare un danno significativo, il Dispositivo rinvia al Regolamento Tassonomia, e più precisamente al suo art. 17. In effetti, nel citato articolo sono definiti sei obiettivi ambientali (la mitigazione dei cambiamenti climatici, l’adattamento ai cambiamenti climatici, l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine, l’economia circolare, la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento, la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi) e per ognuno di essi sono descritte le attività che determinerebbero il danno significativo, considerando l’impatto ambientale dell’attività stessa e l’impatto ambientale dei prodotti e dei servizi da essa forniti durante il loro intero ciclo di vita.
Per comprendere l’effettiva valutazione ambientale delle varie iniziative nazionali è necessario chiedersi chi effettuerà la valutazione sul rispetto di questo principio, a quale livello, quando e secondo quali criteri. A tal proposito, la Commissione ha emanato degli orientamenti tecnici sull’applicazione del principio DNSH a norma del regolamento sul Dispositivo per la ripresa e la resilienza (C(2021) 1054).
Nella citata Comunicazione, la Commissione si riferisce a un controllo di ogni singola misura nazionale e non a un controllo della singola attività - come stabilito nel Regolamento Tassonomia. Il controllo non viene effettuato quindi al solo livello di Piano, dato che sarebbe certamente troppo generico, né al livello di singola componente delle azioni progettate dagli Stati o al livello di singola attività economica. Quest’ultima ipotesi, probabilmente, sebbene opportuna, non sarebbe stata realmente praticabile considerati i tempi tecnici. La valutazione della misura del suo insieme appare infatti insufficiente a garantire che le singole azioni siano effettivamente sostenibili dal punto di vista ambientale.
Per quando concerne la tempistica, una prima verifica è stata effettuata dalla Commissione e dal Consiglio al momento della approvazione del Piano e ne sarà fatta un’altra al momento della chiusura nel 2026. Nella Comunicazione, la Commissione afferma che la conformità al principio DNSH dovrebbe essere integrata nella progettazione delle misure, anche a livello di target intermedi e finali. Stupisce però che una valutazione intermedia sia espressa al condizionale e non sia stata invece programmata una verifica nelle singole fasi di attuazione dei programmi nazionali.
Infine, la Commissione ha precisato che gli Stati membri non sono tenuti a fare riferimento ai «criteri di vaglio tecnico» (criteri quantitativi e/o qualitativi) stabiliti a norma del Regolamento Tassonomia per corroborare l’ecosostenibilità delle attività economiche. Per questo motivo, l’entrata in vigore degli atti delegati contenenti detti criteri di vaglio tecnico non dovrebbe incidere sugli orientamenti tecnici predisposti dalla Commissione. Agli Stati membri è solo suggerita la possibilità di avvalersene. Una simile scelta è resa necessaria dal fatto che i regolamenti contenenti i criteri di ecosostenibilità non erano ancora stati adottati al momento della definizione dei Piani. Tuttavia, anche in questo caso poteva essere programmata una fase intermedia in cui cercare di integrare una valutazione degli stessi e un eventuale adeguamento concertato.
5. Il Green Deal continua a rappresentare la road map della Commissione europea per affrontare i problemi legati al clima ed all’ambiente. La diffusione del coronavirus e l’adozione delle necessarie contromisure non hanno impedito la realizzazione delle tappe fondamentali, sebbene vi siano stati dei comprensibili ritardi. Per alcuni dei grandi obiettivi ambientali vi è già stata l’adozione di atti vincolanti, si pensi alla già ricordata Legge europea sul clima. In altri casi la Commissione ha avviato l’iter legislativo adottando delle proposte di modifica, anche ambiziose, quali le proposte per l’estensione del sistema ETS anche al trasporto marittimo e aereo per conseguire le riduzioni supplementari di emissioni per il 2030. In altri settori sono state adottate, per il momento, delle strategie o avviate delle consultazioni, come nel caso della Strategia per una mobilità intelligente e sostenibile, della Strategia industriale dell’Unione europea e del nuovo Piano d’azione per l’economia circolare. In effetti queste iniziative hanno comunque il pregio di avviare un serio dibattito sulle azioni da intraprendere in questi settori (sull’attuazione del Green Deal e sullo sviluppo dell’azione dell’Unione in materia ambientale, si veda anche F. Ferraro, L’evoluzione della politica ambientale dell’Unione: effetto Bruxelles, nuovi obiettivi e vecchi limiti, in aisdue.eu).
Inoltre, appare un importante passo in avanti l’adozione del Regolamento Tassonomia, che introduce delle definizioni univoche relative agli investimenti ecosostenibili. Proprio la centralità di quest’atto rende invisi alla pubblica opinione i ritardi e le difficoltà legate alla definizione degli atti delegati con i quali arricchire le nozioni dell’atto generale. In effetti, sarebbero necessari ulteriori sforzi volti a regolamentare le informazioni relative ai prodotti e servizi che vantano caratteristiche ecologiche e ad accrescere l’informazione dei consumatori per effettuare delle scelte consapevoli. La partecipazione attiva dei cittadini – e consumatori – è, infatti, una componente essenziale per un progresso effettivo.
Sul piano dell’integrazione delle esigenze ambientali in tutte le altre politiche, la Commissione ha affermato di voler eseguire delle valutazioni di impatto più articolate, riportate nella relazione di accompagnamento delle proposte normative. È invece già stato realizzato il proposito di integrare gli obiettivi ambientali in tutti i programmi di finanziamento. Ne è una prova il Dispositivo per la ripresa e resilienza, che destina alla transizione verde una importante percentuale. Tuttavia, per far sì che questo strumento sia funzionale anche a raggiungere un effettivo e più generale miglioramento della tutela dell’ambiente, sarebbe opportuno che per ogni singola azione sia adottata una scelta che tenga conto delle esigenze ambientali. Un simile obbligo non è previsto, sebbene nel dispositivo sia stato stabilito che ogni misura deve rispettare il principio «non arrecare un danno significativo». Ad oggi la valutazione della Commissione su questo punto è stata effettuata solo al livello di misura e seguendo criteri piuttosto generici. Sarebbe auspicabile la definizione anche di una fase intermedia di controllo, in cui cercare di integrare una valutazione anche alla luce dei “criteri di vaglio tecnico” che verranno man mano adottati. Diversamente, l’attuazione di questo strumento potrebbe non essere all’altezza delle potenzialità e delle aspettative.
In definitiva, il Green Deal e il Dispositivo per la ripresa e resilienza rappresentano degli strumenti in grado di tracciare una strada ben definita e di accelerare il percorso verso la sostenibilità ambientale, se ben attuati.
[1] Si veda lo State of Global Climate 2021 WMO provisional report, elaborato dal World Meteorological Organization, disponibile in public.wmo.int/en/media/press-release/state-of-climate-2021-extreme-events-and-major-impacts.
[2] La legge prevede inoltre un processo per la definizione di un obiettivo climatico per il 2040 e un impegno sulle emissioni negative dopo il 2050.
[3] Le varie azioni ed iniziative della Commissione possono essere monitorate nella pagina dedicata ec.europa.eu/environment/strategy/circular-economy-action-plan_en.
[4] Le esportazioni di rifiuti verso paesi non OCSE saranno limitate e consentite solo se i paesi terzi sono disposti a ricevere determinati rifiuti e sono in grado di gestirli in modo sostenibile. Le spedizioni di rifiuti verso i paesi OCSE saranno invece monitorate e potranno essere sospese se generano gravi problemi ambientali nel paese di destinazione. Secondo la proposta, tutte le aziende dell’Unione che esportano rifiuti al di fuori del territorio europeo dovrebbero garantire che gli impianti che ricevono i loro rifiuti siano sottoposti a un audit indipendente che dimostri che gestiscono questi rifiuti in modo ecologicamente corretto.
[5] La Commissione ha anche precisato che il bilancio contribuirà alla realizzazione degli obiettivi climatici dell'UE anche sul piano delle entrate: tra i nuovi flussi di entrate ("risorse proprie") proposti dalla Commissione, uno è basato sui rifiuti non riciclati degli imballaggi in plastica e un altro potrebbe scaturire dall'assegnazione al bilancio del 20 % dei proventi delle aste nell'ambito del sistema per lo scambio di quote di emissioni dell'UE.
[6] Con il Regolamento (UE) 2021/523 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 marzo 2021 che istituisce il programma InvestEU, è stato previsto il fondo InvestEU, che fornisce una garanzia dell’Unione europea per sostenere le operazioni di finanziamento e di investimento nelle politiche interne dell’Unione; il polo di consulenza InvestEU, che sostiene lo sviluppo di progetti, e il portale InvestEU, che promuove la visibilità dei progetti in cerca di finanziamenti e fornisce informazioni sulle opportunità di investimento.