Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

26/09/2018 - La Corte di giustizia esclude che l'eventuale appello contro il rigetto di un ricorso di primo grado avverso la decisione di rimpatrio a seguito del rigetto di una domanda di protezione internazionale debba necessariamente comportare un effetto sospensivo automatico di tale decisione.

argomento: Giurisprudenza - Unione Europea

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Rispondendo a due rinvii pregiudiziali del Raad van State (Consiglio di Stato) del Belgio, la Corte di giustizia (26 settembre 2018, C-180/17, X e Y c. Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, e C-175/17, X c. Belastingdienst/Toeslagen) ha precisato che l’art. 46 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 (recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale), l’art. 39 della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005 (recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato) e l’art. 13 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 (recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare), letti alla luce dell’art. 18 e dell’art. 19, par. 2, nonché dell’art. 47 della Carta europea dei diritti fondamentali, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale la quale, pur prevedendo un appello contro le sentenze di primo grado confermative di decisioni che respingono domande di protezione internazionale e impongono un obbligo di rimpatrio, non dota tale mezzo di impugnazione di effetto sospensivo automatico, anche quando la persona interessata invochi un grave rischio di violazione del principio di non respingimento.