argomento: Giurisprudenza - Unione Europea
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Con una sentenza del 2 giugno 2016, resa nel caso Bogendorff von Wolffersdorff (causa C-438/14), la Corte di giustizia ha chiarito che l’art. 21 TFUE deve essere interpretato nel senso che l’amministrazione di uno Stato membro (nello specifico, la Germania) non è tenuta a riconoscere il nome di un cittadino di tale Stato membro qualora questi possieda parimenti la cittadinanza di un altro Stato membro (nel caso di specie, il Regno Unito) nel quale abbia acquisito tale nome da lui liberamente scelto e contenente vari elementi nobiliari, non ammessi dal diritto del primo Stato membro (ossia, dal diritto tedesco), laddove sia accertato che un siffatto diniego di riconoscimento risulta giustificato da motivi connessi all’ordine pubblico, essendo opportuno e necessario per garantire il rispetto del principio di uguaglianza giuridica di tutti i cittadini di detto Stato membro.
In particolare, la Corte ha anzitutto constatato che un simile diniego costituisce una restrizione alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione. Essa ha poi precisato, tuttavia, con riguardo alle circostanze del caso in questione, che tale restrizione è suscettibile di essere giustificata da considerazioni di ordine pubblico, dato che la Costituzione di Weimar del 1919 ha abolito in Germania i privilegi e i titoli nobiliari e ha vietato la creazione di titoli che conferiscano l’apparenza di un’origine nobile, in modo da garantire così l’uguaglianza giuridica di tutti i cittadini tedeschi. La Corte ha infine precisato che, nel bilanciamento del diritto alla libera circolazione riconosciuto ai cittadini dell’Unione dal suddetto art. 21 TFUE e dei legittimi interessi perseguiti con le restrizioni all’utilizzo di titoli nobiliari posti dal diritto tedesco, devono essere presi in considerazione diversi elementi di diritto e di fatto ai fini segnatamente di valutare la proporzionalità di tali restrizioni; operazione, questa, che spetta al giudice (tedesco) del rinvio effettuare.