argomento: Giurisprudenza - Unione Europea
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Interrogata in via pregiudiziale sulla compatibilità europea della legge greca che conferisce al Ministro del lavoro o al Prefetto il potere di impedire licenziamenti collettivi con decisione motivata, dopo aver esaminato il fascicolo e avere preso in considerazione criteri sostanziali predeterminati, la Corte di giustizia si è pronunciata, con una sentenza del 21 dicembre 2016 nella causa C-201/15, nel senso che la direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale del genere, a meno che la stessa non privi la direttiva del suo effetto utile. Ciò potrebbe in particolare accadere se, tenuto conto dei criteri applicati dall’autorità nazionale competente a pronunciarsi al riguardo, qualsiasi effettiva possibilità delle imprese di procedere a licenziamenti collettivi risultasse, in pratica, esclusa.
Quanto invece all’eventuale contrasto della normativa di cui sopra con la libertà di stabilimento di cui all’art. 49 TFUE, la Corte ha rilevato che in effetti una normativa del genere è suscettibile di creare un serio ostacolo all’esercizio di tale libertà, perché atta a rendere l’accesso al mercato greco meno attraente a fronte del rischio per un operatore proveniente da altro Stato membro, che intenda modulare la propria attività o rinunciare ad essa, di non potere separarsi, eventualmente, dai lavoratori in precedenza assunti. E una siffatta restrizione alla libertà di stabilimento può considerarsi ammissibile, se giustificata da ragioni imperative di interesse generale, a condizione che essa sia conforme ai diritti tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali; e nella fattispecie occorre constatare che una normativa nazionale come quella greca comporta una limitazione all’esercizio della libertà d’impresa sancita all’articolo 16 della Carta, la quale anche è consentita, ai sensi dell’art. 52, par. 1, della stessa Carta, solo nella misura in cui risponda effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione, o all’esigenza di proteggere di diritti e le libertà altrui, e a condizione che sia proporzionata e necessaria al perseguimento di quelle finalità.
Ebbene, ha osservato la Corte di giustizia, tra i criteri che l’autorità greca competente deve prendere in considerazione per pronunciarsi sulla legittimità di un licenziamento collettivo (condizioni del mercato del lavoro, situazione dell’impresa e interesse dell’economia nazionale), quelli attinenti al mantenimento dell’occupazione possono certamente costituire, in determinate circostanze e a certe condizioni, finalità accettabili di interesse generale, visto che, come risulta dall’articolo 3, paragrafo 3, TUE, l’Unione non soltanto instaura un mercato interno, ma si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, il quale è basato segnatamente su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale. Tuttavia, tanto tale criterio, quanto gli altri due previsti dalla legge greca, sono formulati da quest’ultima in maniera troppo generica e imprecisa per poter ritenere che essi rimangono effettivamente nei limiti di quanto necessario per conseguire gli obiettivi indicati e per soddisfare quanto esige il principio di proporzionalità.