This article aims to shed some light on the systematic impact of the (re-)interpretation of Articles 123-125 TFEU offered by Member States and EU Institutions in the context of the crisis. The preservation of the “financial stability of the euro area as a whole” and the concept of solidarity appear key to understand the ongoing evolution of the EU legal order. The former sets the limits to financial bailouts and has also to be intended as a new constitutional value both at national and EU level: in fact, it has in some cases defined the boundaries of the acceptable restrictions both to national constitutional guarantees (especially parliamentary prerogatives) and to internal market rules. Moreover, it constitutes a new objective pursued by EU Institutions in the framework of the Economic and Monetary Union. As to the shift from negative to positive forms of solidarity we have witnessed, it is argued that it could become full and complete only with a Treaty reform.
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I. Introduzione: i pacchetti di aiuto finanziario ad alcuni Paesi della zona euro e i problemi di compatibilità col diritto primario - II. La necessità di un emendamento al TFUE per l'istituzione dell’ESM: il parere della BCE - III. (Segue): il punto di vista della Corte di giustizia nella sen-tenza Pringle - IV. (Segue): sulla reale necessità di emendare il TFUE per istituire un meccanismo permanente di stabilità - V. (Segue): brevi considerazioni sulla ricostruzione del quadro delle competenze - VI. La stabilità finanziaria dell’area dell’euro nel suo insieme: quid est? - VII. Il ruolo del principio di solidarietà. – VIII. Osservazioni conclusive - NOTE
La crisi dei debiti sovrani, malgrado fosse stata preceduta da problemi e tensioni di natura finanziaria che difficilmente potevano passare inosservati, e si abbattesse a partire dalla fine del 2009 in Europa su Paesi le cui debolezze strutturali erano in molti casi ben note, sembrò cogliere alla sprovvista le Istituzioni dell’UE e gli Stati membri [1]. Questi inoltre si ritrovarono alle prese con la rigidità delle norme di ausilio alla disciplina finanziaria scolpite nel diritto primario dell’UE: si tratta dei celebri artt. 123-125 TFUE [2]. Il primo vieta la “concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea (BCE) o da parte delle banche centrali [nazionali] (…), a istituzioni, organi od organismi dell’Unione”, nonché agli enti del settore pubblico degli Stati membri, “così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali”. L’art. 124 TFUE vieta “qualsiasi misura, non basata su considerazioni prudenziali, che offra alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione” e agli enti del settore pubblico degli Stati membri (individuati con la stessa formulazione di cui all’art. 123 TFUE), “un accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie”. Infine l’art. 125 TFUE, che contiene la c.d. no-bail out clause, impone all’UE (prima frase) e agli altri Stati membri (seconda frase) di non rispondere o farsi carico degli impegni finanziari assunti dagli enti del settore pubblico degli Stati membri (indicati con la solita formula), “fatte salve le garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione in comune di un progetto economico specifico”. Com’è evidente, tali norme ponevano ostacoli di non facile superamento alla prestazione di aiuto finanziario agli Stati membri che incontravano difficoltà a finanziarsi sui mercati. Ciò vale in particolare per gli Stati membri dell’area euro, poiché per gli altri il TFUE prevede specifiche eccezioni (cfr. art. 143). Dette norme hanno lo scopo di far mantenere agli Stati membri una sana disciplina di bilancio, lasciando che siano essi i soli responsabili dell’andamento delle proprie finanze. Sembra oggi opportuno tornare a riflettere [continua ..]
Essendosi scelta la strada di un emendamento del TFUE, possono essere posti due quesiti: gli interventi dei Paesi dell’area euro a favore di uno dei suoi Stati membri che erano stati effettuati in assenza di una tale clausola abilitativa esplicita sono da considerarsi in contrasto col diritto primario (che, stando almeno al dato letterale, non fa differenza tra meccanismi permanenti e non permanenti)? Se così non fosse, perché si è scelto di emendare l’art. 136 TFUE? Deve subito avvertirsi che non vi è un consenso unanime sulle soluzioni di tali questioni e non è semplice approdare a spiegazioni esaurienti. Si è già detto che la compatibilità col complessivo sistema dell’UEM quale edificato a Maastricht, e segnatamente col divieto di bail-out, dell’azione di salvataggio della Grecia è stata recata in dubbio [12]. È stato tuttavia notato fin dai primi mesi di dibattito come in effetti sarebbe vietata ai sensi dell’art. 125 TFUE solo un’assunzione diretta di responsabilità da parte dell’UE o di un altro Stato membro degli impegni finanziari di uno Stato membro in difficoltà. Un’azione di supporto diretta allo Stato non sarebbe di per sé incompatibile coi Trattati, in particolare qualora essa sia volta a preservare la stabilità della zona euro nel suo complesso; l’effetto-disciplina dell’art. 125 sarebbe poi da preservarsi con l’imposizione di una stringente condizionalità [13]. Per comprendere in particolare il punto di vista delle Istituzioni dell’UE, ci sembra che sia utile innanzitutto rifarsi al parere reso dalla BCE sul progetto di decisione che emenda l’art. 136 TFUE, conformemente a quanto previsto dal citato art. 48, par. 6 TUE [14], poiché in esso emergono con una certa chiarezza i principali nodi problematici della questione. In tale documento viene inizialmente chiarito come la sorveglianza macroeconomica rafforzata sia lo strumento “opportuno per minimizzare i rischi di crisi legati al debito sovrano di portata e gravità pari a quelli di cui l’UE ha recentemente fatto esperienza” (par. 1); solo nella misura in cui possibili tensioni sul debito sovrano possano permanere anche nell’ambito di tale sorveglianza economica rafforzata, risulta opportuno istituire un meccanismo di gestione delle crisi di [continua ..]
Sull’interpretazione delle norme di disciplina finanziaria è poi autorevolmente intervenuta la Corte di giustizia con la sentenza nel caso Pringle [21]. Si tratta di una pronuncia piuttosto complessa, nella quale la Corte era chiamata dalla Supreme Court irlandese, adita dal sig. Pringle, parlamentare, a statuire sulla validità della decisione 2011/199, cit. del Consiglio europeo, nonché su una varietà di questioni, che scaturivano da quesiti sull’interpretazione di diverse disposizioni di diritto primario. In particolare, sulla base delle interpretazioni fornite la Corte doveva stabilire se tali disposizioni risultassero violate dalla conclusione da parte degli Stati membri dell’area euro di un trattato come quello istitutivo del MES. Per la prima volta la Corte ha avuto modo di esaminare un atto di modifica del diritto primario, ed è stato stabilito che la relativa pronuncia venisse resa in seduta plenaria, cioè nella formazione di giudizio comprendente tutti i giudici della Corte, il cui intervento, a norma dell’art. 16 dello Statuto della Corte di giustizia, è previsto, oltre ad altri casi, quando “un giudizio (…) rivesta un’importanza eccezionale” [22]. Non si intende qui fornire una completa analisi della sentenza [23], ma solo di quei passaggi dedicati all’interpretazione degli artt. 123 e 125 TFUE. All’art. 123 TFUE la Corte dedica in effetti poche battute [24], salvo poi riprenderne subito dopo l’esame nel contesto dell’esegesi dell’art. 125 TFUE, traendo spunti dal confronto tra le diverse formulazioni letterali delle due disposizioni. Essa osserva che il divieto di cui all’art. 123 TFUE è rivolto alla BCE e alle banche centrali nazionali, non quindi agli Stati membri, ed il fatto che sia poi il nuovo meccanismo permanente a prestare assistenza finanziaria non muta i termini della questione [25]. A tali fini infatti il MES altro non è che la longa manus degli Stati dell’eurozona e, soggiunge la Corte, nulla consente di desumere che le risorse ad esso trasferite provengano dai mezzi finanziari ai quali l’art. 123 TFUE non consente di ricorrere [26]. La Corte afferma quindi che concludendo il Trattato MES gli Stati la cui moneta è l’euro non hanno violato l’art. 123 TFUE. Sulla seconda disposizione i giudici di [continua ..]
La prima osservazione riguarda la necessità di emendamento del TFUE per dare vita al meccanismo permanente di stabilità. Come risulta dall’analisi che precede, l’esistenza di tale necessità non è stata riconosciuta dalla Corte, che ha viceversa ricondotto la competenza ad intervenire in materia in capo agli Stati membri – segnatamente derivandola dalla debolezza delle competenze dell’UE in materia di coordinamento delle politiche economiche. In sostanza, i giudici di Lussemburgo hanno sconfessato la posizione del Consiglio europeo, quale espressa in particolare nelle conclusioni del vertice del 28-29 ottobre 2010. In esse si legge che “(…) i capi di Stato o di governo convengono sulla necessità che gli Stati membri istituiscano un meccanismo permanente di gestione delle crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo insieme e invitano il presidente del Consiglio europeo ad avviare consultazioni con i membri del Consiglio europeo su una modifica limitata del trattato necessaria a tal fine, senza modificare l’articolo 125 del TFUE” [41]. Ponendosi piuttosto in linea col punto di vista – richiamato supra, al par. II – della BCE e della Commissione, la Corte si è preoccupata di salvare giuridicamente le precedenti operazioni di salvataggio finanziario. Se infatti nella sentenza Pringle si discuteva solamente della competenza ad istituire l’ESM, cioè un meccanismo permanente, è anche vero, come già rilevato, che non sembra possano individuarsi elementi nei Trattati tali da distinguere l’operatività del divieto di cui all’art. 125 TFUE a seconda che gli Stati membri vogliano costituire un meccanismo permanente o provvisorio per prestare aiuto finanziario ad un Paese dell’area euro [42]. L’unico dato in questo senso si ritrova nell’art. 122, par. 2 TFUE che concerne la possibilità di prestare assistenza finanziaria puntuale ad uno Stato membro, ma – si badi bene – solo qualora si trovi nelle condizioni, più volte ricordate, previste da quella disposizione. Quando si ricorre a quella disposizione non viene in questione, come la Corte non manca di notare nel passaggio sopra riportato [43], la tutela della stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme, quanto [continua ..]
La seconda osservazione concerne il modo in cui i giudici della Corte hanno ricostruito il quadro delle competenze dell’UE nell’ambito dell’UEM. In effetti, alla nota limitatezza delle competenze dell’UE in ambito di politica economica – i cui confini sono di difficile definizione e lasciano all’interprete un certo margine di manovra nella loro delimitazione [46] – consegue una sorta di vuoto riguardante la tutela della stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme. Per la Corte tuttavia non è da escludere che un modo per colmare tale vuoto si sarebbe potuto trovare. La questione può essere sintetizzata nel modo che segue. Pur istituendo un’area monetaria e conferendo all’Unione le relative competenze, gli Stati avrebbero implicitamente trattenuto quella relativa agli interventi per la salvaguardia della sua stabilità finanziaria: in ultima analisi e da un punto di vista economico-sostanziale, si sarebbero riservati l’ultima parola sulla sua sopravvivenza. Significativamente infatti, nell’esplicitare l’approdo del suo ragionamento, e cioè l’esistenza in capo agli Stati membri della competenza ad istituire il meccanismo permanente in questione, la Corte si rifà agli artt. 4, par. 1 e 5, par. 2 TUE, che sanciscono tra l’altro che le competenze non attribuite all’Unione devono considerarsi proprie degli Stati membri. Conseguenza di ciò è il fatto che agli Stati membri la cui moneta è l’euro è rimesso anche l’apprezzamento riguardo alle condizioni in cui la stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme debba effettivamente ed attualmente considerarsi minacciata, essendo pertanto consentito un loro intervento [47]. Inoltre, la Corte non si pronuncia sulla questione dell’esistenza per l’Unione della possibilità di agire ai sensi della clausola di flessibilità di cui all’art. 352 TFUE, semplicemente prendendo atto del fatto che “l’Unione non ha esercitato la propria competenza a titolo di tale articolo e che, in ogni caso, detta disposizione non gli impone alcun obbligo di agire” [48]. Va incidentalmente ricordato che il Parlamento europeo aveva invocato l’utilizzo di quella base giuridica (congiuntamente agli artt. 133 e 136 TFUE ed in alternativa al solo art. [continua ..]
Il primo dei due approfondimenti che si propongono consiste quindi in un’indagine sul significato della locuzione “stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme”. Brevemente riprendendo la questione del possibile utilizzo dell’art. 352 TFUE, vale la pena di richiamare un elemento legato all’operatività della clausola di flessibilità che esso contiene. L’art. 352 TFUE dà la possibilità di intraprendere un’azione che appaia “necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine”. Ciò che sembra opportuno in questa sede sottolineare è che un utilizzo di questa disposizione – si ripete, senza voler esprimere qui un giudizio conclusivo sulla possibilità di tale utilizzo – imporrebbe di individuare anzitutto “uno degli obiettivi di cui ai trattati”, per il perseguimento del quale la “azione” di istituzione del meccanismo permanente di stabilità debba rivelarsi “necessaria”. Sicché, per poter ricorrere all’art. 352 TFUE, la “stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme” dovrebbe essere in effetti promossa ad obiettivo dell’UE, pur non essendo inserita nell’elenco di cui all’art. 3 TUE, ma in quanto inerente al sistema [52]. Tale lettura rovescerebbe l’assunto esposto al paragrafo precedente e fatto proprio dalla Corte, secondo cui la stabilità finanziaria dell’area euro nel suo insieme andrebbe fatta rientrare tra le competenze degli Stati membri, in quanto non attribuita all’UE. Come detto, la Corte non si è pronunciata sul punto, ma non ha in principio escluso l’utilizzo dell’art. 352 TFUE. In tale ipotesi pertanto, sarebbe stato preliminarmente necessario riconoscere e accertare che, creando un’area monetaria ed affidandola all’UE – pur con il riferito sbilanciamento delle competenze, esclusive in campo monetario e limitate in quello del coordinamento delle politiche economiche – gli Stati avrebbero implicitamente ad essa rimesso anche la tutela ultima della sua stabilità finanziaria. Il ragionamento ipotetico appena esposto è utile a sottolineare il fatto che, nel dominio della politica [continua ..]
Il secondo approfondimento riguarda il concetto di solidarietà. Com’è noto, l’idea di “solidarietà di fatto” tra Stati membri fu espressa da Robert Schuman nella sua celeberrima dichiarazione del 9 maggio 1950 e costituì così una delle idee-guida del progetto di integrazione europea sin dai suoi albori [69]. La solidarietà è tutt’ora presente nei Trattati istitutivi dell’UE: nel Preambolo del TUE, con riferimento all’obiettivo di intensificarla nei rapporti tra i popoli dell’Unione; all’art. 3, par. 3, comma 3 TUE, applicata proprio ai rapporti tra Stati membri; al già richiamato art. 122, par. 1 TFUE. Nelle vicende qui oggetto di attenzione, la solidarietà, come si è già avuto modo di rilevare in riferimento ai pareri della BCE e della Commissione al progetto di decisione del Consiglio europeo che emenda l’art. 136 TFUE [70], è rimasta sotto traccia. Inoltre, nella sentenza Pringle la Corte di giustizia ha accuratamente evitato di chiamarla in causa, ad esempio con funzione ermeneutica ausiliare per fondare la sua lettura dell’art. 125 TFUE. Si può comprendere la ritrosia dei giudici di Lussemburgo, attesa la comune percezione della solidarietà come ascrivibile al dominio delle idee filosofiche o politiche. Più coraggiosa si è però dimostrata l’Avvocato generale Kokott, la quale non ha rinunciato a riferirsi alla solidarietà e l’ha fatto, proprio ai fini dell’interpretazione dell’art. 125 TFUE, nei seguenti termini: “Dal principio di solidarietà non si può certamente desumere un dovere di assistenza finanziaria, come quella che deve essere prestata dal MES. Tuttavia, un’interpretazione teleologica estensiva dell’articolo 125 TFUE giungerebbe addirittura a vietare agli Stati membri di prestarsi volontariamente reciproca assistenza in caso di necessità, vale a dire per evitare le gravi conseguenze economiche e sociali di una bancarotta di Stato. L’assistenza in caso di necessità sarebbe così ammessa a favore di un qualsiasi Stato terzo, ma vietata nell’ambito dell’Unione. A mio avviso, un siffatto divieto metterebbe in discussione, nel complesso, la stessa ratio di una unione”. [71] Possono essere d’aiuto [continua ..]