Il lavoro analizza il regime UE sul diritto d’autore nel mercato unico digitale dopo l’adozione della direttiva 2019/790 nella prospettiva, in particolare, di verificare il punto di bilanciamento identificato dal legislatore dell’Unione europea tra tutela della proprietà intellettuale e diritti di informazione ed espressione.
Per far ciò l’Autore analizza il contesto in cui la direttiva è stata adottata (dal caso Cambridge Analytica alle ricadute delle regole esaminate sul regime europeo sulla protezione dei dati) e la pertinente giurisprudenza di Corte di giustizia e della Corte europea dei diritti dell’uomo, per poi esaminare le norme relative alla protezione delle pubblicazioni giornalistiche contro gli usi non autorizzati e l’utilizzo di contenuti protetti nel caso di condivisione online e, in particolare, le nuove norme sulla responsabilità del provider per violazione del copyright.
The paper analyzes the EU copyright regime in the digital single market after the adoption of the 2019/790 directive with a view, in particular, to verify the balancing point between intellectual property protection and rights of information and expression traced by the European Union legislator.
To do this, the Author analyzes the context in which the directive was adopted (from the Cambridge Analytica case to the repercussions of the examined rules on the European data protection regime) and the pertinent Court of Justice and European Court of Human Rights case-law, to then examine the provisions relating to the protection of journalistic publications against unauthorized use, and those about online sharing of protected contents and, in particular, the new rules on the liability of the provider for copyright infringements.
KEYWORDS: Intellectual Property – Copyright – Balancing – Digital Single Market – Data Protection
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I. Premessa: la direttiva 2019/790 sul diritto d'autore nel contesto del mercato unico digitale. - II. Il caso Cambridge Analytica sul trattamento automatizzato delle informazioni e il suo impatto sulla direttiva 2019/790. - III. Il rapporto tra tutela della proprietà intellettuale e diritti d'informazione ed espressione nella giurisprudenza europea: alcune brevi considerazioni. - IV. La protezione delle pubblicazioni giornalistiche contro gli usi online non autorizzati. - V. L'utilizzo di contenuti protetti in caso di condivisione online e la responsabilità del provider/host per le violazioni di copyright. - VI. Conclusioni. - NOTE
Il 17 maggio 2019 è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea la direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale (d’ora innanzi, direttiva digital copyright, DC). Il testo finalmente approvato all’esito di una tormentata procedura legislativa ordinaria, era già stato esaminato dalla Commissione giuridica del Parlamento europeo il 20 giugno 2018 e quindi, in una versione parzialmente modificata, il 12 settembre 2018, e prendeva le mosse da una proposta avanzata dalla Commissione nel 2016 [1], la quale si inseriva nel contesto delle misure ispirate dalla Comunicazione “Verso un quadro normativo moderno e più europeo sul diritto d’autore”, pubblicata nel dicembre 2015 [2], che suggeriva appunto azioni mirate e una visione a lungo termine per l’aggiornamento delle norme UE in materia di copyright [3]. A causa dei mutamenti apportati al mercato dei contenuti protetti dalla diffusione globale delle tecnologie dell’informazione, il diritto d’autore in generale sta vivendo la sua “stagione nell’abisso” [4]: esso è infatti stato tacciato di essere uno dei maggiori ostacoli giuridici allo sviluppo delle imprese digitali proprio mentre, al contempo, gli autori e i creatori di contenuti protetti si lamentano di essere scarsamente remunerati per il riutilizzo in ambito digitale dei loro lavori. Ciò – assieme all’aumentata frequenza dell’utilizzazione online di contenuti protetti da copyright per un verso, e al fatto che lo stesso rimane comunque uno strumento di tutela essenziale di qualunque attività o processo industriale che si basi sulla creatività – ha imposto la necessità, non solo in Europa, di riformarne la disciplina al fine di adattarla alle esigenze del digitale [5]. È in questo contesto, quindi, che va collocata la direttiva DC, la quale trova la sua base giuridica nelle norme relative al ravvicinamento delle legislazioni, in particolare nell’art. 114 TFUE, il quale, come noto, fissa le procedure per l’adozione delle misure necessarie all’instaurazione e al funzionamento del mercato interno di cui all’art. 26 TFUE [6], e si inserisce tra quelle volte a perfezionare il mercato unico [continua ..]
Le posizioni contrapposte emerse nel corso del dibattito politico, pubblico e scientifico intorno al testo proposto dalla Commissione, alle quali abbiamo appena fatto cenno, hanno rappresentato una manifestazione della dialettica che lega da tempo, in particolare nei Paesi industrializzati, il regime giuridico del diritto d’autore ad alcune libertà fondamentali: è difatti ormai acclarato come il rapporto fra queste ultime, e in particolare le libertà d’espressione e d’informazione, e il primo sia caratterizzato, al contempo, da punti di contatto e di conflitto. Se, difatti, le suddette libertà rappresentano senz’altro mezzi di promozione e di sviluppo della personalità umana, di cui la creazione costituisce un’importante forma di manifestazione, il copyright mira a favorire, promuovere e garantire proprio tale creazione (senza la quale non vi potrebbe essere alcuna circolazione dei prodotti che la creazione sfruttano commercialmente), e quindi costituisce un mezzo di applicazione delle medesime libertà, nonché un presupposto della libertà di impresa. D’altro canto, deve essere pure considerato come la diffusione massiva delle tecnologie digitali (con la conseguente possibilità, tra l’altro, nel caso di creazioni già originariamente in formato digitale, di infinite copie identiche all’“originale”, espressione che in contesti siffatti perde addirittura di significato) abbia accelerato la trasformazione del copyright, dalla sua originaria funzione di protezione dell’autore della creazione, in uno strumento di tutela degli interessi economici delle industrie che tale creazione sfruttano economicamente [14]. Ciò ha comportato, già da tempo, la polarizzazione della contrapposizione di cui abbiamo detto, spesso però elaborata, anche dalla letteratura scientifica, sulla base di presupposti aprioristicamente “ideologici” [15]: tra libertà di espressione e copyright, quindi, non vi sarebbe più neppure una parziale comunanza di intenti, dal momento che essi rappresenterebbero e tutelerebbero, anzi, interessi fra loro in patente conflitto [16]. In particolare, con riguardo ad una prima versione del testo della direttiva DC, contenuta nell’originaria proposta della Commissione, molte critiche aveva subito l’obbligo – [continua ..]
Quanto poi ai rapporti tra i sistemi di tutela del copyright e le libertà di espressione e informazione va ricordato come l’ordinamento dell’Unione europea contempli tra i diritti fondamentali di cui garantisce il rispetto, anche la proprietà intellettuale, di cui all’art. 17, par. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, il quale dà quindi rilevanza primaria alla protezione degli autori e fornisce così un’importante base giuridica per le relative misure di diritto derivato. Il riferimento alla proprietà intellettuale come a un diritto fondamentale, difatti, equiparandone il rango rispetto ad altri diritti con essa potenzialmente confliggenti parimenti contemplati nella stessa Carta, esclude la possibilità di far ricorso a criteri gerarchici per la soluzione delle antinomie e impone, in linea di principio, operazioni di bilanciamento tra diritti fondamentali [20]. Il conflitto in parola e la connessa necessità di procedere a un bilanciamento sono stati esaminati, con approcci per molti versi analoghi, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e, per aspetti anche differenti e di cui diremo anche più avanti, dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) [21]. Per quanto concerne la prima, ricordiamo che il diritto al rispetto della vita privata e familiare, la libertà di pensiero e di coscienza e, soprattutto, quelle di espressione e informazione hanno natura relativa, cioè derogabile in presenza di interessi contrapposti ed eventualmente preminenti nel caso specifico: tra questi può rientrare, in presenza di particolari situazioni, il diritto d’autore il quale, peraltro, è a sua volta protetto ai sensi dell’art. 1 del Protocollo 1 alla CEDU ed è anch’esso derogabile [22]. Nei casi Ashby, Donald e altri [23] e Neij e Sunde Kolmisoppi [24], ad esempio, la Corte ha esaminato proprio il rapporto tra libertà di espressione, comprensiva del diritto d’accesso alla cultura e alle informazioni, e tutela della proprietà intellettuale, e, pur non riscontrando alcuna violazione della Convenzione, ha però tracciato alcune considerazioni generali utili a individuare la tecnica di bilanciamento da applicare. In particolare la Corte ha tendenzialmente posto sullo stesso piano le opposte posizioni [continua ..]
La direttiva DC si inserisce in questo contesto giuridico e va a toccare quel nevralgico punto d’incrocio tra la disciplina UE del diritto d’autore, la fornitura di servizi sul mercato digitale e la tutela dei (o almeno di alcuni) diritti fondamentali. Essa individua quindi, come vedremo meglio più avanti, un punto di bilanciamento tra gli interessi contrapposti dei titolari di diritti di proprietà intellettuale (occupandosi anche, come vedremo subito, in particolare di alcune specifiche categorie come gli editori di giornali e gli autori di pubblicazioni giornalistiche), i fornitori di servizi nella società dell’informazione, e la generalità dei cittadini, fruitori di siffatti servizi. A tal fine essa contiene sia disposizioni del tutto innovative sia disposizioni che vanno parzialmente a modificare ed integrare le pregresse direttive 96/9/CE [28] e 2001/29/CE [29]. La necessità di trovare un punto di equilibrio tra vari interessi contrapposti è espressa nel considerando 70 della direttiva, che prevede esplicitamente la possibilità, per i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online, di adottare misure volte a tutelare i diritti d’autore, di cui parleremo più avanti; tali misure, però, dovranno tener conto anche della possibilità di eccezioni e limitazioni al diritto d’autore, in particolare «quelle intese a garantire la libertà di espressione degli utenti». Ciò «al fine di raggiungere un equilibrio tra i diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare la libertà di espressione e la libertà delle arti, e il diritto di proprietà, inclusa la proprietà intellettuale. Le suddette eccezioni e limitazioni dovrebbero pertanto essere obbligatorie onde garantire che gli utenti beneficino di una tutela uniforme nell’Unione». Tuttavia, come vedremo, il punto di bilanciamento individuato non sempre tiene opportunamente conto degli orientamenti di Corte EDU e Corte di giustizia. È certamente peculiare – nonché quanto meno eccentrico rispetto alla base giuridica utilizzata per adottare l’atto, che abbiamo visto essere l’art. 114 TFUE, relativo al ravvicinamento delle legislazioni – che uno strumento come una direttiva, per sua natura volto [continua ..]
L’altra disposizione della direttiva copyright sulla quale intendiamo concentrare la nostra attenzione è l’art. 17, il quale regolamenta l’«Utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi di condivisione di contenuti online». Esso, in primo luogo, provvede a qualificare come atti «di comunicazione al pubblico» o «di messa a disposizione del pubblico» tutte le attività con le quali un prestatore di servizi di condivisione di contenuti concede al pubblico l’accesso a opere protette dal diritto d’autore o ad altri materiali protetti, caricati online dai suoi utenti (si tratta, come noto, dei servizi di c.d. hosting). Ricordiamo pure che con quest’ultima espressione si fa riferimento a tutti quei servizi Internet in cui una macchina, detta server, offre la sue risorse per conservare e mettere a disposizione per l’accesso online, contenuti caricati dagli utenti; più in dettaglio, si è soliti distinguere il c.d. web hosting – il quale permette ad individui e organizzazioni di rendere il proprio sito web accessibile tramite il c.d. world wide web (www), da altre forme di hosting, come possono essere quelle video di YouTube o Vimeo o quelle audio di Soundcloud o quelle di condivisione di testi di Scribd, per fare qualche esempio. Ora, perché siffatta operazione di messa a disposizione sia legittima è necessario che il prestatore ottenga, ai sensi dell’art. 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2001/29/CE che abbiamo già più volte citato, un’autorizzazione dai titolari di tali diritti, ad esempio mediante la conclusione di un accordo di licenza. Al fine di tutelare alcune forme di esercizio delle libertà di espressione e informazione, tale autorizzazione non è necessaria nel caso in cui il contenuto abbia natura di mera citazione, di critica, sia inglobato in una rassegna o, ancora, sia utilizzato a scopo di caricatura, parodia o pastiche (art. 17, par. 6; si pensi al caso dei c.d. meme o delle GIFs). Peraltro, al fine di promuovere lo sviluppo del mercato unico digitale, la nuova direttiva esclude da tale regime autorizzatorio i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online che operino nell’Unione da meno di tre anni e abbiano un fatturato annuo inferiore a 10 [continua ..]
Alla luce di tutto quello che abbiamo fin qui detto, ci pare di poter affermare che la direttiva DC segni per alcuni aspetti un cambio di approccio nel regime del copyright dell’Unione europea, e in particolare nel rapporto/bilanciamento tra quest’ultimo e, in particolare, diritti e libertà d’espressione. Mediante la restrizione della limitazione di responsabilità del provider di cui all’art. 14, par. 1 della direttiva sul commercio elettronico, di cui abbiamo detto, infatti, il legislatore dell’UE ha ristretto il margine d’apprezzamento e discrezionalità che fino ad oggi era stato appannaggio della giurisprudenza nella valutazione casistica di tale rapporto. Ciò, di conseguenza, ha in qualche misura de-relativizzato (o, se si vuole, assolutizzato) il rapporto tra diritti di proprietà intellettuale e altri diritti ad essi formalmente pari ordinati. La norma in parola, infatti, sostanzialmente, impedendo il bilanciamento caso per caso, effettuato “d’autorità” da parte del legislatore europeo, evidenzia una precisa scelta valoriale di quest’ultimo in favore della proprietà intellettuale, scelta che, peraltro non ci pare aver compiutamente tenuto conto della giurisprudenza di Corte di giustizia e Corte EDU che abbiamo esaminato, relativa alla necessità di un approccio case by case. La scelta in parola, anche se suscettibile di critiche, appare però – va detto – quanto meno comprensibile, se si pensa all’obiettivo che il legislatore europeo si poneva con l’adozione della direttiva DC, che era quello di completare il mercato unico digitale. Peraltro, la limitazione dell’esenzione di responsabilità segna anche la nascita di una sorta di doppio standard, fino ad oggi inedito, del trattamento delle violazioni online del copyright rispetto a quelle dei diritti della personalità [53], le quali, almeno per quanto concerne la responsabilità del provider, restano ancora, in presenza dei necessari requisiti, coperte dall’esenzione di cui alla direttiva e-commerce. Ne consegue una ulteriore scansione di gerarchia di posizioni giuridiche individuali. Quanto agli obblighi gravanti sugli Stati membri, ricordiamo, infine, che la direttiva fissa al 7 giugno 2021 il termine ultimo entro il quale gli stessi sono tenuti a recepirla e [continua ..]