argomento: Giurisprudenza - Unione Europea
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La direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche (direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002) prevede che gli Stati membri possano limitare i diritti dei cittadini qualora tale restrizione costituisca una misura necessaria, opportuna e proporzionata, all’interno di una società democratica, per la salvaguardia della sicurezza nazionale, della difesa, della sicurezza pubblica, e per la prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati ovvero dell’uso non autorizzato del sistema di comunicazione elettronica.
Con una sua sentenza del 2 ottobre 2018 (causa C-207/16, Ministerio Fiscal), la Corte di giustizia, dopo aver ricordato che l’accesso delle autorità pubbliche nel contesto della fase istruttoria di un procedimento penale ai dati personali conservati dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica (quali quelli che mirano all’identificazione dei titolari di carte SIM attivate con un telefono cellulare) rientra nell’ambito di applicazione della direttiva, ha affermato che l’accesso ai tali dati non può essere qualificato come un’ingerenza «grave» nei diritti fondamentali delle persone i cui dati sono oggetto di attenzione, poiché questi dati non permettono di trarre conclusioni precise sulla loro vita privata. La Corte ne trae la conclusione che l’ingerenza che un accesso a tali dati comporterebbe può quindi essere giustificata dall’obiettivo di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di «reati» in generale, senza che sia necessario che tali reati siano qualificati come «gravi», visto che la formulazione della direttiva non limita tale obiettivo alla lotta contro i soli reati gravi, ma si riferisce ai «reati» in generale.