argomento: Giurisprudenza - Unione Europea
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Con sentenza del 6 settembre 2017, la Corte ha respinto integralmente i ricorsi della Slovacchia e dell’Ungheria volti ad ottenere l’annullamento della decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio, del 22 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia. Tale decisione prevede la ricollocazione, a partire da questi due Stati membri e su un periodo di due anni, di 120.000 richiedenti protezione internazionale verso altri Stati membri dell’Unione. A sostegno dei ricorsi, la Slovacchia e l’Ungheria sollevano una serie di motivi, vertenti, in sostanza: sull’inidoneità dell’art. 78, par. 3, TFUE come base giuridica della decisione; sulla presunta irregolarità della procedura di adozione; e sulla violazione di vari principi fondamentali, tra i quali il principio di proporzionalità. La Corte ha anzitutto chiarito che le misure adottate sulla base dell’art. 78, par. 3, TFUE costituiscono atti non legislativi, che possono derogare, entro certi limiti, a delle disposizioni di atti legislativi. Inoltre, essa ha giudicato che l’art. 78, par. 3 TFUE costituisce una base giuridica adeguata per l’adozione della decisione impugnata, posto che si tratta di una misura temporanea adottata per far fronte ad una situazione di emergenza.
La Corte ha poi confermato la regolarità della procedura seguita per l’adozione della decisione impugnata, e ha giudicato infondate le critiche mosse dalle ricorrenti con riferimento all’idoneità e alla necessità di detta decisione a perseguire l’obiettivo di aiutare la Grecia e l’Italia ad affrontare una situazione di emergenza, alleggerendo la pressione che grava sui regimi di asilo di questi Stati membri. A tale riguardo, la Corte ha sottolineato, in particolare, come non si possa dedurre alla luce del numero ridotto di ricollocazioni effettuate sulla base della decisione impugnata che quest’ultima fosse inadatta al raggiungimento dell’obiettivo da essa perseguito. Tale circostanza è invero dovuta, segnatamente, alla mancata collaborazione di alcuni Stati membri, e non all’inidoneità del meccanismo di ricollocazione previsto dalla decisione in parola. La stessa sorte è infine toccata alle censure fondate sulle presunte violazioni dei principi generali di diritto, tra i quali quelli di proporzionalità, di certezza del diritto e di chiarezza normativa.