argomento: Giurisprudenza - Unione Europea
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Con una sentenza del 14 giugno 2016, resa nel caso Commissione c. Regno Unito (causa C-308/14), la Corte di giustizia, interpretando il (più volte modificato) regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, ha stabilito, in sostanza, che esso non osta a misure come quelle adottate dal Regno Unito, che subordinano la concessione di determinate prestazioni sociali (come gli assegni familiari ed il credito d’imposta per figli a carico) a cittadini dell’Unione economicamente inattivi alla condizione che questi ultimi dispongano di un diritto di soggiorno legale in detto Stato membro, rigettando così il ricorso per inadempimento promosso a tale proposito dalla Commissione.
In particolare, la Corte ha affermato che, sebbene l’imposizione di tale condizione sia suscettibile di costituire una discriminazione indiretta sulla base della cittadinanza (essendo più facile da soddisfare da parte dei cittadini britannici che non da quelli di altri Stati membri), una siffatta discriminazione può nondimeno essere giustificata in ragione dell’obiettivo legittimo di proteggere le finanze dello Stato membro ospitante. Quanto alla proporzionalità delle misure in questione adottate dal Regno Unito, la Corte ha altresì accertato che esse sono idonee a conseguire l’obiettivo perseguito e non vadano al di là di quanto necessario a tal fine. Infatti, la Corte ha riconosciuto che le competenti autorità britanniche procedono alla verifica della regolarità del soggiorno dei richiedenti le suddette prestazioni nel rispetto di quanto previsto dalla direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, effettuando controlli non sistematicamente, ma solo in caso di dubbio, come prescrive appunto l’art. 14, par. 2, di detta direttiva.