argomento: Giurisprudenza - Unione Europea
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Chiamata ad interpretare le disposizioni della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (c.d. “direttiva qualifiche”; oramai abrogata e sostituita, in forma di rifusione, dalla direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011), con una sentenza del 31 gennaio 2017, resa nel caso Lounani (causa C‑573/14), la Corte di giustizia ha affermato che tale direttiva comporta che, per poter ritenere sussistente la causa di esclusione dallo status di rifugiato prevista all’art. 12, par. 2, lett. c) della stessa direttiva (ossia, per il richiedente tale status, l’essersi reso colpevole di “atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite quali stabiliti nel preambolo e negli articoli 1 e 2 della Carta delle Nazioni Unite”), non è necessario che lo stesso richiedente protezione internazionale sia stato condannato per un “reato terroristico” (di cui alla decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, sulla lotta contro il terrorismo). In estrema sintesi, la Corte riconosce che, in particolare sulla scorta delle disposizioni rilevanti di diritto internazionale, la nozione di “atti contrari alle finalità e ai principii delle Nazioni Unite” non è limitata alla “commissione di atti di terrorismo”, ma ha necessariamente una portata più ampia, che ricomprende tutte le attività prodromiche o comunque collegate a tali atti.
Sempre secondo la Corte, ai sensi della direttiva in questione, atti di partecipazione alle attività di un gruppo terroristico possono giustificare l’esclusione dallo status di rifugiato, sebbene non sia stato stabilito che l’interessato abbia commesso, tentato di commettere o minacciato di commettere un atto di terrorismo, quale precisato nelle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ai fini della valutazione individuale dei fatti che consentono di determinare se sussistono fondati motivi per ritenere che una persona si sia resa colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite, abbia istigato la commissione di atti del genere o vi abbia altrimenti concorso, la circostanza che tale persona sia stata condannata dai giudici di uno Stato membro per partecipazione alle attività di un gruppo terroristico assume particolare importanza, al pari dell’accertamento che detta persona era membro dirigente di tale gruppo, senza che sia necessario stabilire che tale persona abbia essa stessa istigato la commissione di un atto di terrorismo o che vi abbia altrimenti concorso.