argomento: Giurisprudenza - Unione Europea
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Secondo la Corte di giustizia l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in combinato disposto con l’art. 9, par. 2 e 4, della Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, sottoscritta ad Aarhus il 25 giugno 1998 e approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005, in quanto sancisce il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, in condizioni che garantiscono un ampio accesso alla giustizia, dei diritti che un’organizzazione per la tutela dell’ambiente, che soddisfi i requisiti prescritti dall’art. 2, par. 5, di tale convenzione, ricava dal diritto dell’Unione, nella specie dall’art. 6, par. 3, della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, come modificata dalla direttiva 2006/105/CE del Consiglio, del 20 novembre 2006, in combinato disposto con l’art. 6, par. 1, lett. b), di detta convenzione.
La Corte ha quindi concluso, in una sentenza dell’8 novembre 2016 in causa C-243/15, che l’articolo in questione della Carta dei diritti fondamentali deve essere deve essere quindi interpretato nel senso che esso osta a un’interpretazione delle norme di diritto processuale nazionale secondo la quale un ricorso contro una decisione recante diniego a un’organizzazione del genere della qualità di parte nel procedimento amministrativo di autorizzazione di un progetto che deve essere realizzato su un sito protetto ai sensi della direttiva 92/43, come modificata dalla direttiva 2006/105, non deve necessariamente essere esaminato nel corso dello svolgimento di quest’ultimo procedimento, che può essere concluso in via definitiva prima che sia adottata una decisione giurisdizionale definitiva sulla qualità di parte, ed è automaticamente respinto non appena tale progetto è autorizzato, costringendo in tal modo tale organizzazione a proporre un ricorso di altro tipo per poter ottenere tale qualità e sottoporre a controllo giurisdizionale il rispetto da parte delle autorità nazionali competenti dei loro obblighi derivanti dall’art. 6, par. 3, di detta direttiva.