Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Bundesverfassungsgericht e Corte di giustizia dell'UE: quale futuro per il dialogo sul rispetto dell'identità nazionale? (di Giacomo Rugge, Ricercatore presso Max Planck Institute for Comparative PublicLaw and International Law, Heidelberg.)


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This article elaborates on the nature and meaning of the preliminary ruling procedure in cases concerning alleged conflicts between EU law and the “national identity” of a Member State. In particular, in the light of two judgments by the Bundesverfassungsgericht and by the ECJ, this article argues that European Treaties might be so construed that, if a conflict between EU law and national constitutional principles arises, constitutional courts be under an obligation to request a preliminary ruling. So, before setting aside EU law, constitutional courts should first give the opportunity to the ECJ to solve the conflict between supranational and national provisions. Only in the (highly) unlikely case that the Court of Justice’s answer proves unsatisfactory, constitutional courts might decide to set aside EU law and apply their constitutions. By so doing, national courts would (1) respect the exclusive competence of the ECJ to adjudicate on matters concerning the interpretation and application of the Treaties, (2) fulfil their duty of sincere cooperation and, from a strategic perspective, (3) pass on to the ECJ the difficult task to reach a compromise between EU law and national constitutional values.

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SOMMARIO:

I. Introduzione. - II. I rinvii pregiudiziali delle Corti costituzionali: i numeri. - III. La decisione Europäischer Haftbefehl II del Bundesverfassungsgericht. - IV. Profili critici sollevati dalla decisione Europäischer Haftbefehl II. - V. La risposta della Corte di giustizia: la sentenza Aranyosi e Căldăraru. - VI. A mo’ di conclusione: il significato assiologico del “dialogo pregiudiziale” e il caso Taricco. - NOTE


I. Introduzione.

Il dialogo tra Corti costituzionali e Corti sovra/internazionali è uno dei grandi temi del diritto contemporaneo [1]. Nell’autorevole ed estesa letteratura dedicata al tema quel dialogo viene rappresentato in modi e con sfumature diverse. Vi è chi, con specifico riguardo allo spazio europeo, parla di «dialogo circolare» [2]. Con ciò s’esprime l’idea che le relazioni tra giudici configurino un costante, sempre rigenerantesi, strutturato concorso nella creazione di indirizzi e pratiche interpretative. In virtù di tale concorso, questi indirizzi e pratiche possono trovare maggiore accoglimento sia a livello nazionale che a livello sovranazionale. V’è poi chi sostiene che la relazione dialogica tra Corti abbia assunto una dimensione così strutturata da aver dato vita a un vero e proprio “europäischer Verfassungsgerichtsverbund”, vale a dire un’associazione di Corti costituzionali [3]. Nelle parole di colui che ha coniato il termine, «Verfassungsgerichtsverbund refers to the cooperative, non-hierarchical handling of multilevel constitutional issues by several constitutional courts, i.e., a composite multilevel structure of constitutional jurisdictions which entertain complementary and cooperative relationships» [4]. V’è inoltre chi, con afflato globale, ha tentato di dimostrare che i giudici, indipendentemente dall’organo giudiziario di cui sono membri e dalla giurisdizione in cui esercitano le loro funzioni, stanno diventando vieppiù consapevoli di essere partecipi di una “impresa giudiziaria comune”: infatti, affrontano problemi comuni di natura istituzionale o sostanziale, si confrontano con l’esperienza dei loro omologhi, cooperano, addirittura su scala planetaria, per risolvere controversie specifiche [5]. Certamente, l’area geografica in cui il tema del dialogo tra Corti costituzio­nali e Corti sovra/internazionali ha assunto particolare significato pratico è l’U­nione europea. La circostanza per cui, al suo interno, coesistono più sistemi giu­ridici (quelli nazionali e quello dell’Unione europea, cui, a rigore, si aggiunge quello della CEDU), formalmente autonomi e indipendenti, pone il problema di evitare conflitti e divergenze tra ordinamenti. Ciò vale soprattutto per quanto riguarda il livello di [continua ..]


II. I rinvii pregiudiziali delle Corti costituzionali: i numeri.

Come noto, le Corti costituzionali sono sempre state piuttosto restie ad avvalersi del rinvio pregiudiziale. E ciò non solo per ragioni teoriche, ma anche – e, forse, soprattutto – per ragioni “psicologiche” [14]. Le ragioni teoriche erano legate all’incertezza di poter considerare le Corti costituzionali alla stregua di organi giurisdizionali ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 267 TFUE (ex art. 177 TCEE). Tali ragioni paiono oggi definitivamente superate dalla prassi [15]. Sembra, invece, residuare una certa resistenza di natura psicologica: infatti, alcune Corti costituzionali europee temono che l’esercizio del rinvio pregiudiziale possa comportare una menomazione delle loro funzioni a vantaggio della Corte di giustizia, e quindi una loro parziale “esautorazione”. La resistenza cui si fa cenno trova conferma nei numeri. Infatti, le Corti costituzionali europee [16] hanno effettuato complessivamente quarantuno rinvii, di cui ventisei sono stati effettuati dalla Corte costituzionale belga, cinque dalla Corte costituzionale austriaca e due dalla Corte costituzionale italiana; altre otto Corti costituzionali hanno presentato un rinvio pregiudiziale ciascuna [17]. Se si considerano i dati sotto il profilo dinamico, va certamente riconosciuta una tendenza positiva. Pare, infatti, che nell’atteggiamento delle Corti nazionali si sia verificato abbastanza recentemente un mutamento, una sorta di sblocco [18]. Sempre di più sono le Corti costituzionali che “prendono contatto” con la Corte di giustizia UE. Negli anni 2014 e 2015, quattro Corti – quelle di Germania, Lussemburgo, Polonia e Slovenia – hanno effettuato il loro primo rinvio pregiudiziale. Va inoltre evidenziato che, tra quelle che hanno già operato un rinvio, vi sono Corti costituzionali di rilievo, ossia quella tedesca, italiana, francese e spagnola. Questa circostanza potrebbe avere un effetto emulativo sulle otto Corti costituzionali che ancora non si sono servite del meccanismo ex art. 267 TFUE. Tuttavia, è bene non farsi illusioni: infatti, dati alla mano e fatta salva l’eccezione belga, non si può certo parlare di utilizzo disinvolto del rinvio pregiudiziale da parte dei giudici delle leggi. Questo atteggiamento è sintomatico della difficoltà che i giuristi europei mo­strano [continua ..]


III. La decisione Europäischer Haftbefehl II del Bundesverfassungsgericht.

Le disposizioni sul mandato d’arresto europeo (MAE) sono al centro di un vivace dibattito, sia a livello nazionale che a livello europeo [24], e rivestono un’importanza particolare nel contesto del processo d’integrazione [25]. Esse isti­tuiscono uno strumento di cooperazione tra le autorità giudiziarie nazionali sostitutivo del tradizionale meccanismo dell’estradizione [26]. L’art. 1, par. 1, della decisione quadro sul MAE definisce il mandato d’arresto europeo come «una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà». Le disposizioni in materia di MAE mirano – come specificato nei considerando – a facilitare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri al fine di realizzare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia basato su un elevato livello di fiducia. Pertanto, l’art. 1, par. 2, della decisione quadro prevede che le autorità giudiziarie nazionali siano sempre tenute a dare esecuzione a un MAE, salvo che in eccezioni tassativamente previste [27]. In particolare, la normativa sul MAE prevede alcune ipotesi in cui le autorità giudiziarie nazionali devono rifiutarsi di dare esecuzione a un mandato d’arresto europeo e alcune ipotesi in cui esse possono rifiutarsi di farlo. Con riguardo a quest’ultime e con riferimento al tema qui trattato, è rilevante l’art. 4 bis, par. 1, lett. d), della decisione quadro. Esso riconosce agli Stati membri la facoltà di adottare una normativa d’attuazione che autorizzi le autorità giudiziarie nazionali a non eseguire un MAE qualora il diritto interno dello Stato membro che abbia condannato in contumacia la persona di cui si chiede la consegna, non garantisca al condannato il diritto a un nuovo processo o a un ricorso in appello cui l’interessato abbia il diritto di partecipare e che consenta di riesaminare il merito della causa, comprese eventuali nuove prove. Il mandato d’arresto europeo era già stato oggetto di una sentenza del BVerfG nel 2005, nella quale i giudici di Karlsruhe avevano invalidato la legge tedesca di trasposizione della [continua ..]


IV. Profili critici sollevati dalla decisione Europäischer Haftbefehl II.

Diversi sono i profili critici sollevati da questa decisione della Corte tedesca. Pare tuttavia interessante soffermarsi sulla concezione del diritto dell’Unione che informa la giurisprudenza del BVerfG. Infatti, Europäischer Haftbefehl II conferma l’impostazione ormai consolidata della Corte costituzionale federale per quanto riguarda la partecipazione della Germania al processo d’integrazione e l’efficacia del diritto dell’Unione europea nell’ordina­mento tedesco. Al riguardo, s’è detto che i giudici di Karlsruhe hanno sviluppato e consolidato un approccio di “structural congruence” [37]. Questo significa che la Corte costituzionale federale tedesca considera legittima la cessione di quote di sovranità da parte dello Stato federale in favore dell’Unione europea se, e soltanto se, esiste una certa prossimità tra i principi fondamentali del primo e quelli della seconda. Sempre secondo questa dottrina, l’Unione europea è una sorta di “meta-Stato” [38], nel senso che essa è, allo stesso tempo, al di sopra e all’interno degli Stati membri che la compongono; questi ultimi rimangono, nonostante l’autonomia dell’ordinamento europeo, gli unici depositari della sovranità e della legittimità democratica. Il risultato sarebbe un sistema di governo costituzionale condiviso, in cui l’Unione europea trae i propri poteri dalla volontaria cessione di quote di sovranità da parte degli Stati membri. L’Unione europea è tuttavia tenuta a esercitare i propri poteri in maniera tale da non mettere in pericolo l’identità costituzionale degli ordinamenti nazionali [39]. Alla luce di questa visione delle relazioni tra ordinamento europeo e ordinamento nazionale, il Bundesverfassungsgericht ha più volte ribadito che il rispetto dell’identità costituzionale degli Stati membri pone un limite al principio del primato delle norme europee e che, in casi specifici, può comportare la non applicazione del diritto sovranazionale in territorio tedesco [40]. A essere precisi, nella richiamata sentenza sul mandato d’arresto europeo, i giudici di Karlsruhe hanno affermato che il loro compito di salvaguardare i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico tedesco è incontestabilmente riconosciuto [continua ..]


V. La risposta della Corte di giustizia: la sentenza Aranyosi e Căldăraru.

A conferma dell’atteggiamento di apertura della Corte di giustizia nei confronti delle Corti costituzionali nazionali, può qui richiamarsi la recente sentenza pregiudiziale nel caso Aranyosi e Căldăraru, avente a oggetto l’ese­cuzione di due mandati d’arresto europei emessi rispettivamente dall’autorità giudiziaria ungherese e da quella rumena [56]. Con questa sentenza, la Corte di giustizia ha avuto occasione di ritornare sulla questione della derogabilità dei principi di mutuo riconoscimento e di fiducia reciproca in relazione a presunte violazioni dei diritti umani nello Stato membro d’emissione di un mandato d’arresto. La pronuncia può considerarsi una sorta di risposta alla decisione del BverfG poc’anzi commentata e alle questioni giuridiche in essa affrontate. Questo è a tal punto evidente da aver indotto i primi commentatori ad affermare che la Corte di giustizia ha voluto mandare un messaggio alla Corte costituzionale federale tedesca [57]; o ancora, che le due decisioni sono vere e proprie “decisioni parallele” [58]. La sentenza della Corte di giustizia ha tratto origine da un rinvio pregiudiziale dell’Oberlandesgericht di Brema, in cui il giudice remittente ha chiesto ai giudici dell’Unione europea se le autorità giudiziarie nazionali abbiano l’ob­bligo o la facoltà di non eseguire un mandato d’arresto europeo qualora dispongano di elementi seri e comprovanti l’incompatibilità delle condizioni detentive nello Stato membro emittente con i diritti fondamentali sanciti nei Trattati. In particolare, l’OLG di Brema domandava se fosse possibile derivare tale obbligo o facoltà dall’art. 1, par. 3, della decisione quadro sul MAE, secondo cui il vincolo «di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 del trattato sull’Unione europea non può essere mo­dificat[o] per effetto della presente decisione quadro». La Corte s’è espressa in senso affermativo. A sua detta, un’interpretazione della decisione quadro sul MAE che tenga conto del divieto assoluto di cui al­l’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali (“Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti”) comporta che i [continua ..]


VI. A mo’ di conclusione: il significato assiologico del “dialogo pregiudiziale” e il caso Taricco.

Nell’uso che ne fanno i giuspubblicisti, l’espressione “dialogo tra Corti” non assurge a dignità di nozione giuridica, ossia di una locuzione esprimente i caratteri essenziali e costanti di un fenomeno. È vero però che il termine “dialogo tra Corti” potrebbe acquisire carattere idealtipico [69], ossia quello di uno strumento analitico che, pur non offrendo una descrizione accurata della realtà, ne realizza una sua semplificazione e, pertanto, una sua più immediata comprensione [70]. Nel caso del dialogo tra Corti in ambito europeo, gli elementi di realtà dell’idealtipo sono costituiti dalle modalità – formali e informali – attraverso cui prende effettivamente forma la cooperazione tra Corti sovra/interna­zionali e Corti costituzionali. Si pensi, per l’appunto, alla procedura del rinvio pregiudiziale. Ciò potrebbe, a sua volta, indurre ad assegnare al termine “dialogo” un significato assiologico preciso. Infatti, il dialogo si configura sostanzialmente co­me uno strumento d’indagine e conoscenza critica e costruttiva. Nel dialogo il raggiungimento di un’intesa è un elemento assai importante, fortemente ricercato dalle parti, ma non costitutivo della relazione dialogica. Ovverosia, l’inte­sa non appartiene all’essenza del dialogo. Ciò che certamente vi appartiene è la predisposizione e la volontà di ascoltare l’interlocutore. Se il termine è inteso in questo senso, si potrebbe dire che il “dialogo pregiudiziale” non è altro che una delle tante espressioni del più generale obbligo di leale collaborazione di cui all’art. 4, par. 3, TUE. Per utilizzare un concetto mutuato dal diritto privato, il dialogo assomiglia a una sorta di obbligazione di mezzi: i soggetti tenuti all’adempimento dell’obbligazione (sia le Corti costituzionali nazionali che la Corte di giustizia) non promettono alcun risultato, ma sono tenuti ad apprestare dei mezzi (un rinvio e una risposta motivata) in vista di un risultato (un’intesa) che, esterno all’obbligazione, non dipende da loro [71]. Sicché, nel caso particolare in cui una corte costituzionale intenda attivare una sorta di “controllo d’identità” e limitare il primato del diritto dell’Unione, essa dovrebbe [continua ..]


NOTE