Article 23 TFEU provides for the right of EU citizens to diplomatic and consular protection by Member States other than the State of nationality in the territory of a third country. After an overview on the evolution of legal sources, the present paper focuses on some issues concerning the scope and the effectiveness of Article 23 TFEU, with special emphasis on the consular assistance. In particular, the study addresses the question of whether the EU citizen’s right to assistance abroad is limited to an application of the principle of non-discrimination based on nationality. Moreover, attention is paid to the eventual and future diplomatic protection established by Article 23 TFEU. As final remarks, the paper analyses the potential impact, on consular and diplomatic practice, of the new institutional settings in the domain of EU external representation and the growing empowerment of the Union in international relations after the entry into force of the Lisbon Treaty.
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I. Considerazioni introduttive - II. L’evoluzione del quadro normativo in materia di tutela diplomatica e consolare - III. Il senso e la portata delle disposizioni contenute nell’art. 23 TFUE - IV. Segue: l’assistenza consolare di cui all’art. 23 TFUE. – V. Segue: verso la realizzazione della protezione diplomatica sulla base dell'art. 23 TFUE? - V. Segue: verso la realizzazione della protezione diplomatica sulla base dell'art. 23 TFUE? - VI. Tutela consolare e protezione diplomatica alla luce delle innovazioni introdotte dal Trattato di Lisbona in tema di azione esterna dell'Unione - VII. Osservazioni conclusive. - NOTE
Nella sfera dei diritti connessi alla cittadinanza dell’Unione europea [1] rientra il diritto del cittadino di ricevere tutela, da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, nel territorio di un Paese terzo in cui lo Stato membro di appartenenza del cittadino non sia rappresentato. Tale diritto, sancito all’art. 23 TFUE, oltre che all’art. 20, par. 2, lett. c), TFUE e all’art. 46 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, implica una tutela “delegata”, che rimanda ad uno status giuridico ben noto nell’ordinamento internazionale [2], vale a dire quello della rappresentanza, secondo cui uno Stato, nell’ambito delle relazioni internazionali, interviene non direttamente, ma attraverso l’operato di un altro Stato che agisce nell’interesse e per conto di tale Stato [3]. Nella fattispecie, rileva una rappresentanza limitata, ove lo Stato rappresentante si sostituisce al rappresentato solo in alcuni rapporti giuridici e nei confronti di taluni soggetti [4]. Quella appena descritta è una tutela “sussidiaria”, ossia esercitata da uno Stato membro qualora un altro Stato membro si trovi nell’impossibilità di agire in favore di un proprio cittadino. Tale impossibilità si realizza non soltanto nell’ipotesi dell’assenza sul territorio di uno Stato terzo di una sede di rappresentanza dello Stato membro, ma anche quando quest’ultimo non possieda in quel territorio un’ambasciata, un consolato o un console onorario che sia in grado di fornire efficacemente tutela consolare in un caso specifico; ad esempio, qualora la sede non sia posta ad una distanza adeguata e raggiungibile dal richiedente tutela entro un tempo ragionevole [5]. Va aggiunto che si tratta, in sostanza, di un meccanismo di tutela “reciproca” [6] affidato agli Stati membri, chiamati a determinare le modalità di realizzazione della tutela mediante accordi tra gli stessi Stati, nonché con gli Stati terzi sul cui territorio è esercitata la tutela medesima [7]. Si deve peraltro rimarcare che, ai sensi dell’art. 23 TFUE, è riconosciuto al cittadino dell’Unione il diritto di godere della tutela esercitata dalle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro «alle stesse condizioni dei cittadini di [continua ..]
Volendo ripercorrere i passaggi principali del processo che ha condotto alla consacrazione del diritto in esame nell’ordinamento dell’Unione europea, si deve ricordare che, sebbene le sue radici affondino in un periodo antecedente all’entrata in vigore del Trattato di Maastricht [10], è quest’ultimo a prevedere espressamente l’inserimento di una norma, contenuta nell’art. 8 C TCE, avente ad oggetto tale diritto, la cui genesi s’intreccia strettamente alla nascita dell’istituto della cittadinanza dell’Unione ad opera del medesimo Trattato [11]. Per meglio dire, il diritto in questione discende automaticamente da tale istituto, considerato che è proprio lo status di cittadino europeo ad attribuire la titolarità del diritto di godere della tutela diplomatica e consolare [12]. Peraltro, è noto che non esiste una nozione europea di cittadinanza, come si ricava dalla lettera dell’art. 20 TFUE, par. 1, secondo cui «è cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro» [13]; ed infatti, la tutela de qua deve essere assicurata dagli Stati membri. In questa ottica, si comprende bene il rigetto di proposte che, in occasione dei lavori preparatori del Trattato di Maastricht e con specifico riguardo alla formulazione del testo dell’art. 8 C TCE, miravano ad ampliare i margini della tutela da assicurare ai cittadini, assegnando un ruolo particolarmente incisivo alla stessa Unione [14]. Quanto alle modalità di realizzazione della tutela in discorso, l’art. 8 C TCE indicava il 31 dicembre 1993 quale termine entro cui gli Stati membri avrebbero dovuto stabilire tra loro le disposizioni necessarie per garantire la tutela e avviare i negoziati internazionali richiesti. Detto termine è stato disatteso e, a seguito delle modifiche apportate dal Trattato di Amsterdam, nel nuovo art. 20 TCE non ne è stato indicato un altro [15]. Il Trattato di Nizza ha riprodotto testualmente l’articolo in esame, mentre, nella Carta sui diritti fondamentali allegata al medesimo Trattato, l’art. 46 riprende parzialmente il dettato dell’art. 20 TCE, non contenendo la previsione secondo cui gli Stati membri stabiliscono tra loro le disposizioni necessarie per assicurare la tutela in oggetto e i negoziati con gli Stati terzi. L’art. 23 TFUE, che [continua ..]
Nel novero dei diritti connessi alla cittadinanza europea, il diritto sancito all’art. 23 TFUE sembrerebbe rivestire, per sua stessa natura, un forte valore simbolico nell’instillare e nel consolidare il senso di appartenenza ad una comunità rispetto alla quale spesso si avverte una certa distanza [33]. Eppure, è stato efficacemente definito come il diritto «più problematico e meno realizzato tra quelli enunciati» [34]. Invero, le difficoltà che si registrano nella realizzazione di tale diritto riflettono, in un certo senso, le incertezze e le divergenze che si riscontrano nel tentativo di delineare compiutamente il contenuto e la portata del diritto medesimo. In particolare, il tenore letterale dell’art. 23 TFUE, nel punto ove si afferma la «tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro», è oggetto di interpretazioni contrastanti e pure la Commissione riconosce che «non è stata ancora raggiunta una posizione univoca» sul contenuto di detto articolo [35]. Taluni, poi, non hanno mancato di sottolineare l’ambiguità della formulazione, che potrebbe indurre a mettere sullo stesso piano protezione diplomatica e tutela consolare, notoriamente marcate da vistose differenze. Ad esempio, nel corso dei lavori della 58ˆ sessione della Commissione di diritto internazionale, il Relatore Speciale John Dugard ha sostenuto che le disposizioni di cui si discute potrebbero generare «a particular source of confusion of diplomatic protection and consular assistance» [36]. Ma, è la questione dell’ampiezza della tutela prevista a dividere maggiormente la dottrina tra coloro che ritengono la sola tutela consolare oggetto delle disposizioni in esame e coloro che a detta tutela affiancano la protezione diplomatica [37]. Peraltro, pur aderendo alla tesi secondo cui tali disposizioni contemplerebbero sia la protezione diplomatica sia la tutela consolare, dagli strumenti di diritto derivato prima esaminati si evince che finora ci si è orientati unicamente verso la realizzazione di quest’ultima [38]. In altre parole, il diritto riconosciuto al cittadino dell’Unione si sostanzia, perlomeno allo stato attuale, in forme di assistenza e di aiuto che le autorità diplomatiche e consolari solitamente forniscono ai propri cittadini all’interno [continua ..]
(Segue). Una disamina degli atti adottati e delle iniziative intraprese rivela che gli ostacoli maggiori nell’attuazione della tutela in discorso riguardano, da un canto, le difficoltà a specificare il contenuto e i limiti della stessa tutela e, dall’altro, la scarsissima conoscenza da parte dei cittadini del diritto loro riconosciuto. In realtà, quest’ultimo ostacolo è strettamente collegato al primo, dal momento che un’informazione corretta e adeguata presuppone una compiuta definizione dei contorni della tutela in oggetto. Provvedere a ciò, peraltro, appare piuttosto complicato in ragione delle notevoli divergenze esistenti fra le legislazioni e le prassi amministrative degli Stati membri [45]. Basti pensare che in alcuni ordinamenti non sono presenti norme sulla tutela consolare al di là di quelle di attuazione della Convenzione di Vienna del 1963, mentre alcuni Stati membri non considerano la tutela consolare alla stregua di un diritto da riconoscere ai propri cittadini [46]. La questione appena accennata rappresenta, com’è facilmente intuibile, il nodo centrale del problema della realizzazione della tutela in esame nell’ambito dell’Unione europea. Infatti, se la tutela deve essere assicurata, ai sensi dell’art. 23 TFUE, «alle stesse condizioni dei cittadini» dello Stato membro che la esercita, è evidente come la sua portata si configuri differente da uno Stato membro all’altro in presenza di regole di protezione molto eterogenee tra loro, finendo, in alcuni casi, per limitare profondamente, se non compromettere, l’effettività del diritto riconosciuto ai cittadini dell’Unione. In sostanza, è difficile ammettere che un cittadino di uno Stato membro possa godere della tutela da parte di un altro Stato membro qualora quest’ultimo non accordi la medesima tutela ad un proprio cittadino [47]. Non sembrano pertanto condivisibili le posizioni di coloro che considerano il diritto di cui all’art. 23 TFUE come una situazione giuridica soggettiva nei confronti della quale non sono ammesse valutazioni discrezionali da parte dello Stato membro chiamato ad esercitare la tutela. È vero che a favore di tali posizioni militerebbe l’inserzione del diritto in esame nella Carta dei diritti fondamentali, soprattutto alla luce dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona [continua ..]
(Segue). Si deve notare che, nell’ambito dell’Unione, l’aver trascurato finora la protezione diplomatica non esclude che in futuro si provveda ad attuarla e, in effetti, la stessa Commissione ha ammesso di orientare i suoi sforzi verso il miglioramento della tutela consolare dei cittadini dell’Unione nei paesi terzi «ferma restando la possibilità di azioni future nel campo della tutela diplomatica» [71]. Tralasciando gli sviluppi del regime giuridico di tale istituto nell’ordinamento internazionale [72], si rammenta che esso si concreta nella possibilità per uno Stato di invocare la responsabilità di un altro Stato per un pregiudizio causato da un fatto internazionalmente illecito di quest’ultimo Stato nei confronti di una persona fisica o giuridica in possesso della nazionalità del primo Stato [73]. Originariamente concepita con riferimento agli Stati, la protezione diplomatica è stata poi estesa alle organizzazioni internazionali, per le quali, dalla prassi, emergono limitazioni all’esercizio del diritto in parola, derivanti naturalmente dal piano differente su cui le organizzazioni si situano rispetto agli Stati. Esse, infatti, possono agire a seguito di lesioni subìte da propri agenti e funzionari nella persona e/o nei beni, potendo reclamare tuttavia una riparazione soltanto per i danni causati alla funzione e non per quelli arrecati all’individuo in quanto tale [74], per i quali una riparazione può comunque essere richiesta dallo Stato di appartenenza dell’agente o del funzionario lesi. Passando a considerare la protezione diplomatica di cui all’art. 23 TFUE, va detto che, qualora fosse realizzata, verrebbe esercitata dagli Stati membri e non dall’Unione. Ciò non esclude che quest’ultima possa agire sul piano internazionale a difesa dei propri agenti o funzionari operanti in Stati terzi, ma tale ipotesi fuoriesce dall’ambito di applicabilità dell’articolo in esame. Inoltre, la stessa protezione presenterebbe caratteri peculiari e nuovi rispetto all’istituto contemplato nell’ordinamento internazionale. Il principale elemento innovativo è sicuramente l’affievolimento della rilevanza del criterio della cittadinanza quale presupposto esclusivo per l’azione in protezione diplomatica; più precisamente, non [continua ..]
Si è già avuto modo di osservare che la tutela prevista all’art. 23 TFUE conferisce una dimensione esterna alla cittadinanza dell’Unione europea e, in tal senso, dovrebbe contribuire ad assegnare alla stessa cittadinanza una sorta di visibilità e di concretezza nei confronti degli Stati terzi. Di più, nella realizzazione effettiva della tutela in discussione vi è chi intravede un passo importante verso il rafforzamento del ruolo dell’Unione europea nella vita di relazione internazionale in veste di “attore globale”; e ciò soprattutto a seguito di talune innovazioni derivanti dal Trattato di Lisbona. In specifiche disposizioni in materia di politica estera e di sicurezza comune (PESC) si coglie, invero, l’intento di valorizzare il naturale legame tra tutela sancita all’art. 23 TFUE e alcuni profili dell’azione esterna dell’Unione [81]. Rileva in primis l’art. 3, par. 5, TUE, secondo cui l’Unione, nelle relazioni con il resto del mondo, afferma i suoi valori ed interessi «contribuendo alla protezione dei suoi cittadini». Ma, è l’art. 35, comma 3, TUE, a richiamare espressamente l’art. 23 TFUE e a stabilire un nesso tra cittadinanza dell’Unione e politica estera e di sicurezza comune [82], prevedendo che le missioni diplomatiche e consolari degli Stati membri e le delegazioni dell’Unione nei paesi terzi e nelle conferenze internazionali, così come le rispettive rappresentanze presso le organizzazioni internazionali, «contribuiscono all’attuazione del diritto di tutela dei cittadini dell’Unione nel territorio dei paesi terzi di cui all’articolo 20, paragrafo 2, lettera c) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e delle misure adottate in applicazione dell’art. 23 di detto trattato». Va peraltro segnalato che la disposizione era già contemplata nell’art. 20 TUE pre-Lisbona, ma, nell’attuale formulazione, il riferimento non è alle delegazioni della Commissione, bensì alle delegazioni dell’Unione, che, composte da funzionari della Commissione, del Segretariato generale del Consiglio dell’Unione e dei servizi diplomatici dell’Unione, sono confluite nel Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) [83]. Rileva altresì l’art. 221, par. 2, TFUE, che, [continua ..]
Come si è cercato di mostrare nel corso della presente indagine, la complessità e la delicatezza delle questioni in esame hanno reso e rendono lento e tortuoso il processo finalizzato alla piena realizzazione del diritto riconosciuto al cittadino dell’Unione di godere della tutela sancita all’art. 23 TFUE [104]. Ad oggi, l’attenzione degli Stati membri e delle istituzioni dell’Unione si è incentrata soltanto sulla tutela consolare, nella forma specifica dell’assistenza ai cittadini, ma ciò non significa che anche la protezione diplomatica non possa essere attuata in futuro. In via generale, la tutela diplomatica e consolare prevista in seno all’Unione europea, innovando rispetto al diritto internazionale, sembra sostanziarsi in un diritto soggettivo del cittadino più che dello Stato [105]; eppure, il richiamo al principio del trattamento nazionale ridimensiona, in un certo senso, la portata di tale innovazione, dal momento che gli Stati membri, ancorché tenuti al rispetto dell’obbligo di non discriminazione fondato sulla nazionalità, restano liberi di determinare il contenuto sostanziale di detta tutela. Ne deriva che il diritto sancito all’art. 23 TFUE continua ad essere “il meno realizzato” tra i diritti connessi alla cittadinanza dell’Unione, ma ciò non deve sorprendere, data la peculiarità del diritto in esame, che mette direttamente in relazione il cittadino dell’Unione con gli Stati membri, rispetto agli altri diritti enunciati all’art. 20 TFUE. Va appena notato che, con riguardo sia all’art. 23 TFUE sia all’art. 46 della Carta dei diritti fondamentali, la versione in lingua inglese utilizza l’espressione «every citizen of the Union shall ... be entitled to protection» piuttosto che quella «shall have the right to» – così come quella in lingua francese utilizza l’espressione «bénéficie» e non quella «a le droit» – adottata con riferimento agli altri diritti correlati alla cittadinanza [106]. In definitiva, l’obiettivo ambizioso perseguito dall’Unione europea di proteggere i cittadini al di là delle proprie frontiere è ancora lontano dall’essere pienamente raggiunto, a motivo, da un canto, della riluttanza degli Stati membri a concedere [continua ..]