Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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La codificazione del diritto dell'Unione europea e i suoi strumenti (di Paola Mori, Ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università “MagnaGraecia” di Catanzaro.)


Il lavoro affronta la tematica della codificazione del diritto nell’ordinamento giuridico del­l’Unione europea inquadrandolo nel contesto dell’obiettivo di semplificazione della legislazione dell’Unione allo scopo di renderla chiara, comprensibile, aggiornata e accessibile.

Nella prima parte sono esaminate le procedure di codificazione ufficiale, consolidamento e rifusione. Viene evidenziato che nell’ordinamento giuridico dell’Unione tali procedure sono strettamente limitate alla codificazione di una specifica disciplina quale formalizzata in un atto giuridico già vigente e negli atti successivi che l’hanno specificamente modificato o integrato.

Nella seconda parte del lavoro l’A. si interroga sulla possibilità di individuare nell’or­dinamento dell’Unione forme di codificazione del suo diritto ulteriori rispetto a quelle ufficiali appena esaminate. Sono infatti numerosi gli atti normativi dell’Unione che, pur non adottati con le procedure ufficiali di codificazione, hanno una finalità, spesso anche esplicitamente, codificatoria di determinate discipline. Anche queste forme di “codificazione” sono soggette alle regole generali di funzionamento del sistema, in particolare a quelle sancite nell’art. 13, par. 2, TUE per quanto riguarda la scelta della base giuridica dell’atto e delle procedure di adozione, e nell’art. 296, primo comma, TFUE per quanto riguarda la scelta del tipo di atto. La “codificazione” così realizzata dà vita forme diverse di codificazione: l’una – quella da regolamento – produttiva di norme uniformi e autoapplicative, l’altra – quella da direttiva – operante attraverso norme nazionali, seppur armonizzate nel quadro dei confini indicati dalla direttiva.

Viene poi dato conto dell’esistenza di forme di codificazione realizzate per mezzo di atti di soft law o atipici.

Nell’ultima parte del lavoro viene infine esaminato il caso della Carta dei diritti fondamentali che rappresenta una forma particolare di codificazione, a livello di diritto primario, dei diritti fondamentali.

The Codification of European Union Law and its Instruments

The article addresses the codification within the European Union legal system, in the context of the objective of legislative simplification aimedat securinga clear, understandable, up-to-date and user-friendly body ofEU secondary law.

The first part examines the procedures of official codification, consolidation and recasting of legislation. It highlights that, within the EU legal system, these procedures are limited to the codification of a specific issue contained in a legal act already in force and in the following acts that modify or integrate it.

The second part aims at verifying the possibility to identify further forms of codification. Many are, in fact, the normative acts of EU law, which are not adopted through the official codification procedures but that, nevertheless, have a clear – and sometimes explicit – aim of codification of certain issues. These forms of “codifications” are subject, as well, to the general rules and, in particular, to Article 13, para. 2, TEU as regards the choice of legal basis of acts, and Article 296(1) TFEU on the choice of the type of act to be adopted. Different are, therefore, the forms of “codification” so realized: one is achieved through regulations, which establish uniform and directly applicable rules; another one, which makes use of directives, operates through the harmonization of the laws of Member States. In addition, forms of codification are also the ones realized through the use of soft law acts or atypical acts.

The final part of the article examines the European Charter of fundamental rights, which represents a particular form of codification of primary law on human rights.

Keywords

Codification – Consolidation – Recast of legislation – Uniform Law – Harmonization of national legislation – Charter of Fundamental Rights.

SOMMARIO:

I. Considerazioni introduttive - II. La codificazione nel diritto dell'Unione europea: la codificazione ufficiale. - III. Segue: il consolidamento - IV.Segue: La rifusione. - V. La codificazione ufficiale nel contesto del programma - VI. Di altre forme di codificazione. - VII. Gli strumenti normativi di codificazione: diritto uniforme e armonizzazione delle legislazioni. - VIII. Il problema della base giuridica degli atti di codificazione. - IX. Di alcuni tentativi di codificazione uniforme. - X. I codici di autoregolamentazione e i codici di soft law. - XI. La Carta dei diritti fondamentali. - XII. Conclusioni. - NOTE


I. Considerazioni introduttive

Una riflessione sugli strumenti di codificazione nell’Unione europea appare particolarmente complessa per la difficoltà di individuare un concetto unitario di codificazione, un concetto, questo, che si rivela invece mutevole a seconda degli ordinamenti giuridici in cui interviene e degli strumenti che utilizza. Ulteriori elementi di difficoltà derivano dalle caratteristiche dell’or­dinamento giuridico dell’Unione europea; ordinamento caratterizzato da una struttura non statale, non sovrana, ma sopranazionale, ente di governo di un processo di integrazione tra gli Stati europei, fortemente dinamico e in continua evoluzione. Com’è emerso anche dalle relazioni svolte nella prima sessione di questo Congresso, la nozione di codificazione assume diversi significati a seconda del sistema entro il quale essa viene utilizzata. E questi diversi significati sono anche funzione delle caratteristiche di ciascun sistema, delle norme che sono oggetto di codificazione all’interno di essi, degli strumenti utilizzati e delle finalità cui risponde di volta in volta o in ognuno di essi la codificazione. Senza contare che anche all’interno di uno stesso sistema, la codificazione può assumere diversi significati, forme e modalità. Negli ordinamenti nazionali la codificazione nasce allo scopo eliminare il particolarismo giuridico e il pluralismo di fonti normative che caratterizzavano le società europee nel periodo precedente la Rivoluzione francese. Essa era legata ai caratteri dell’unitarietà, della coerenza sistematica e della stabilità nel tempo e ha accompagnato i processi di unificazione giuridica degli Stati nazionali [1]. Strumento di elezione della codificazione è quindi la legge. Tanto che nella codificazione nazionale il suo prodotto principale, il codice, si presenta come un sistema di norme strutturato in modo organico (per riguardare un intero settore dell’esperienza giuridica) e sistematico (per il co­ordinamento logico che lo sorregge), così realizzando una semplificazione nel rinvenimento della disciplina da applicare; insomma un testo, ordinato ed ordinante di regole e principi, che abbandona tradizionali privilegi e particolarismi giuridici. E tuttavia anche negli stessi diritti nazionali non è dato individuarne un concetto univoco, in quanto la codificazione è stata caratterizzata o ha finito con [continua ..]


II. La codificazione nel diritto dell'Unione europea: la codificazione ufficiale.

Ebbene, venendo all’oggetto proprio di questa relazione, la codificazione nel diritto dell’Unione europea e i suoi strumenti di realizzazione, e prendendo in considerazione l’uso che di questo termine è fatto in tale diritto, la prima conclusione che verrebbe da trarreè che la codificazione europea differisce nettamente da quella di diritto internazionale. Nel sistema dell’Unione il termine codificazione ha infatti un significato tecnico ben preciso che la identifica formalmente solo con una codificazione strettamente compilativa [3]. Ciò si spiega con le ragioni storiche che portarono alla sua comparsa nel panorama giuridico dell’Unione: quelle, evocate dal Consiglio europeo del 1992 prima a Birmingham [4] e poi a Edimburgo [5], di rendere la legislazione comunitaria più accessibile, semplice e chiara e, grazie a ciò, la “Comunità più aperta” e vicina ai cittadini [6]. Ciò facendo il Consiglio europeo dava seguito alle sollecitazioni del Parlamento europeo, il quale, in una risoluzione del 1989, aveva sottolineato come la semplificazione, la trasparenza e la codificazione del diritto comunitario fossero essenziali allo scopo di rendere più semplici ed efficaci le relazioni giuridiche tra i cittadini degli Stati membri e di poter quindi «realizzare la “Comunità di diritto” propugnata dai trattati costitutivi» [7]. Fatto sta che con un Accordo interistituzionale del 1994 su un “Metodo di lavoro accelerato ai fini della codificazione ufficiale dei testi legislativi”, ancora oggi attuale, si è specificato che nell’Unione europea, «per codificazione ufficiale si intende la procedura volta ad abrogare gli atti oggetto della codificazione e a sostituirli con un atto unico che non contenga alcuna modificazione sostanziale di detti atti» [8]. Nello specifico, l’Accordo disciplina una procedura legislativa accelerata e semplificata per l’adozione di un atto giuridico nuovo che integri in un testo unico, senza cambiarne la sostanza, un atto di base precedente con le sue successive modifiche. Il nuovo atto sostituisce e abroga il precedente, eliminandone tutte le disposizioni obsolete. La codificazione può riguardare un singolo atto di base e le sue successive modifiche (codificazione verticale) oppure due o più atti di base paralleli [continua ..]


III. Segue: il consolidamento

Le finalità di maggior trasparenza e accessibilità per il cittadino cui la codificazione ufficiale principalmente assolve fanno sì che essa possa in realtà esplicarsi anche in una forma giuridicamente più semplice e proceduralmente ancor più rapida di quella ufficiale. Risponde alla stessa finalità di maggior trasparenza e accessibilità per il cittadino la prassi ormai sistematica dell’Ufficio interistituzionale delle pubblicazioni dell’Unione di procedere autonomamente a una codificazione informale periodica degli atti legislativi, o almeno di una gran parte di essi, che siano stati oggetto di modifiche successive; e il risultato è reso pubblico attraverso il sito eur-lex. L’eser­cizio, comunemente noto come “consolidamento”, dà luogo a un prodotto sostanzialmente analogo a quello della codificazione ufficiale, di cui sovente rappresenta una sorta di anticipazione [15]. Il consolidamento è stato sollecitato anch’esso, e per le stesse finalità, dal Consiglio europeo di Edimburgo del 1992 che ha portato all’Accordo interistituzionale del 1994 sulla codificazione. In quell’occasione, anzi, il Consiglio europeo precisò espressamente che «le due impostazioni possibili – il consolidamento non ufficiale e la codificazione ufficiale – vanno perseguite parallelamente». Nelle conclusioni il consolidamento non ufficiale era definito come «composizione editoriale, al di fuori di qualsiasi procedura legislativa, delle parti sparse di una legislazione relativa ad una specifica materia, che è priva di effetti giuridici e lascia in vigore tutte le parti in questione». Ed infatti esso non si svolge attraverso percorsi e strumenti ufficiali e quindi non porta, a differenza della codificazione ufficiale, all’abrogazione degli atti consolidati, i quali rimangono quelli unicamente vigenti.


IV.Segue: La rifusione.

In taluni casi la codificazione formale del diritto dell’Unione può anche assumere, assoggettandosi però di conseguenza al normale iter legislativo, una veste non esclusivamente ricognitiva. Sulla base di un altro Accordo interistituzionale del 2001 [16], l’Unione fa molto spesso ricorso alla tecnica legislativa della c.d. rifusione degli atti normativi, tecnica che consente, come recita tale Accordo, «di codificare e modificare gli atti in un unico testo legislativo» [17]. Attraverso la rifusione si procede all’adozione di un nuovo atto legislativo che codifica sì le disposizioni di uno o più atti precedenti, abrogandoli, ma vi integra al tempo stesso delle modificazioni sostanziali che si intendono apportare alla disciplina oggetto di codificazione [18]. Così come la codificazione anche la rifusione può essere «verticale», quando il nuovo atto sostituisce un solo atto precedente (e le relative modifiche), oppure «orizzontale», quando il nuovo atto sostituisce più atti che disciplinano la stessa materia [19]. Lo stretto legame comunque esistente tra la rifusione e la codificazione è dimostrato dal fatto che lo stesso Accordo istituzionale del 2001 esclude che si possa riportare alla tecnica della rifusione l’ipotesi in cui si modifichi la sostanza di tutte le disposizioni precedenti che sono oggetto di rifusione, quando cioè l’intervento legislativo finisce per essere nei fatti totalmente innovativo. Ciò non impedisce però che, a differenza di quanto abbiamo detto per la codificazione, la rifusione possa realizzarsi, proprio perché non esclusivamente ricognitiva, anche attraverso uno strumento giuridico diverso da taluni degli atti che ne sono oggetto. Si possono, infatti, trovare casi di regolamenti di rifusione che hanno codificato, modificato e abrogato, accanto a precedenti regolamenti, una decisione del Consiglio [20] o di direttive dello stesso tipo che hanno fatto altrettanto rispetto a un precedente regolamento [21]. È da pensare, però, che questa possibilità non possa essere spinta fino al punto di modificare la natura giuridica non di alcuni soltanto, ma di tutti gli strumenti oggetto della rifusione, come ad esempio nel caso della prospettata riforma del diritto d’asilo, che porterebbe alla sostituzione della direttiva [continua ..]


V. La codificazione ufficiale nel contesto del programma

Dando seguito alle conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Lisbona e al suo Libro bianco sulla governance europea [25], nel 2001 la Commissione ha lanciato un imponente progetto di codificazione dell’acquiscommunautaire, che si è chiuso nel 2009 [26]. La circostanza che dalla fondazione delle Comunità europee la normativa comunitaria non fosse mai stata sottoposta ad un riesame della sua organizzazione, struttura o presentazione e che la nuova legislazione o le modifiche degli atti normativi venissero aggiunte ai testi già esistenti, rendeva indispensabile il riordino sistematico della normativa. E ciò a un duplice scopo: da un lato fornire ai cittadini e alle imprese degli Stati membri e degli Stati candidati (si era alla vigilia del grande allargamento) un quadro legislativo più accessibile e trasparente; dal­l’altro lato, «eliminare “i rami secchi”, vale a dire i testi normativi e antiquati», così da ridurre il volume della normativa e realizzare in tal modo significativi risparmi nelle spese di revisione, sia linguistica sia giuridica, e di stampa nella Gazzetta Ufficiale [27]. L’esigenza di agevolare l’applicazione e accrescere la leggibilità della legislazione comunitaria, aveva poi determinato le tre istituzioni politiche ad avviare un processo di aggiornamento e di riduzione del suo volume. Con un Accordo interistituzionale del 2003 [28] si stabiliva che tale processo sarebbe stato tra l’altro effettuato «tramite l’abrogazione degli atti non più applicati nonché la codificazione o la rifusione degli altri atti». In particolare, la semplificazione legislativa doveva essere effettuata mediante la rifusione degli atti vigenti oppure tramite nuove proposte legislative, preservando nel contempo il contenuto delle politiche comunitarie. Nell’ultima legislatura la Commissione Junker ha posto tra le priorità del proprio programma politico quella di legiferare meglio [29] e ha promosso la conclusione di un nuovo Accordo interistituzionale con l’obiettivo di «produrre una legislazione dell’Unione di qualità elevata e garantire che tale legislazione si concentri sui settori in cui apporta il massimo valore aggiunto ai cittadini europei, consegua gli obiettivi politici comuni dell’Unione nel modo più efficiente ed efficace [continua ..]


VI. Di altre forme di codificazione.

Vista la varietà di forme che la codificazione ha assunto nei diversi ordinamenti, ci si può però chiedere se in quello dell’Unione sia comunque possibile individuare delle forme di codificazione del suo diritto ulteriori rispetto a quelle ufficiali appena esaminate, ed eventualmente quali ne siano gli strumenti. Da questa ricerca escluderò alcune fattispecie che, pur se più o meno comunemente ricondotte a un fenomeno codificatorio, non ritengo appropriato trattare in questa sede. Mi riferisco, da un lato, ai numerosi casi in cui in occasione dell’esercizio di revisione dei Trattati istitutivi si è proceduto alla positivizzazione o formalizzazione di prassi delle istituzioni o di principi enunciati nella giurisprudenza della Corte di giustizia [38]. E, dall’altro lato, mi riferisco a quegli ancora più numerosi atti legislativi che l’Unione ha adottato e adotta in alcuni dei settori di sua competenza per regolare aspetti più o meno ampi e di sistema di ciascuno di tali settori; talvolta, anche qui, “codificando” principi enunciati nella giurisprudenza della Corte di giustizia [39]. In tutte e due le ipotesi è in effetti possibile rintracciare da parte dell’U­nione un intento codificatorio. Nella prima ritroviamo, infatti, quel superamento del diritto non scritto che è uno degli obiettivi tipici della codificazione, e non solo nel diritto internazionale, anche se qui tale superamento sembra aver risposto, per la sua forte episodicità e mancanza di sistematicità, più a una volontà di “costituzionalizzazione” nei Trattati delle relative prassi e giurisprudenze, che ad un obiettivo di vera e propria codificazione. Per la seconda l’assimilabilità ad un’azione di codificazione è ancora più fondata, visto che al suo interno è possibile in effetti ritrovare atti che, per quanto settoriali, possono legittimamente essere assimilati a strumenti di natura codificatoria. I più tipici di questi sono sicuramente alcuni di quegli atti che l’Unione ha adottato nel settore del diritto internazionale privato o processuale e che vengono comunemente ricondotti dalla gran parte della dottrina al più vasto ambito della codificazione di origine non statale di questa materia [40]. E altrettanto si può dire di talune iniziative legislative [continua ..]


VII. Gli strumenti normativi di codificazione: diritto uniforme e armonizzazione delle legislazioni.

Quanto in particolare agli strumenti utilizzati, la scelta è caduta talvolta su direttive, talaltra su regolamenti. A parte il caso in cui è la stessa base giuridica a imporre specificamente il ricorso a uno di questi atti, l’art. 296 TFUE stabilisce che le istituzioni effettuino tale scelta nel rispetto delle procedure applicabili e del principio di proporzionalità. Ciò nondimeno le ragioni della scelta dell’uno piuttosto che dell’altro atto non sempre sono chiare. Certo è che nei due settori dove l’attività legislativa dell’Unione è stata più attiva in una direzione di carattere codificatorio, la cooperazione giudiziaria in materia civile e la cooperazione giudiziaria in materia penale, la scelta ha finito per tipizzarsi per settore. Nella cooperazione giudiziaria in materia civile si è fatto ricorso quasi esclusivo allo strumento del regolamento, nonostante che l’art. 81, par. 2, TFUE parli genericamente di “misure”. Per la cooperazione giudiziaria in materia penale e per la cooperazione in materia penale, invece, lo strumento utilizzato in via quasi altrettanto esclusiva è la direttiva (prima della riforma di Lisbona la decisione-quadro) [44]. Certo, il ricorso a questo secondo tipo di atto è espressamente imposto dal­l’art. 82, par. 2, e dall’art. 83 TFUE per alcuni aspetti di questa cooperazione in cui l’Unione è richiesta di stabilire norme minime di armonizzazione; ma si è fatto ricorso allo stesso tipo di strumento anche per atti adottati sulla base dell’art. 82, par. 1, che fa genericamente menzione invece, al pari del già citato art. 81, del termine “misure” [45]. Fa eccezione il regolamento relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e confisca [46], per l’appunto basato sull’art. 82, par. 1, TFUE. Considerato che «per garantire l’efficacia del riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e dei provvedimenti di confisca è opportuno che le norme in materia di riconoscimento ed esecuzione di tali provvedimenti siano stabilite da un atto dell’Unione giuridicamente vincolante e direttamente applicabile», il legislatore europeo ha però avuto cura di precisare che «la forma giuridica del presente atto non dovrebbe costituire un precedente per i futuri [continua ..]


VIII. Il problema della base giuridica degli atti di codificazione.

Se da questo punto di vista queste forme di codificazione si differenziano dalla codificazione ufficiale, quando le si guardi sotto il profilo dei contenuti anch’esse danno vita, al pari di quella ufficiale, a una codificazioneepisodica o comunque priva di sistematicità, anche quando le sue norme esprimano principi di ordine più generale o siano il risultato della loro applicazione. Ciò non deve stupire, visto che per le sue caratteristiche il sistema dell’U­nionenon si presta in linea di principio ad una codificazione “codicistica”, ovvero generale e sistematica. L’Unione opera infatti sulla base di un rigido principio di attribuzione, che fa sì che la sua azione si svolga per singole basi giuridiche materiali e non si presti ad una regolamentazione trasversale di sistema, anche perché il negoziato europeo avviene anch’esso per specifiche materie finendo così per far prevalere, anche rispetto ai profili più generali di esse, soluzioni specifiche e settoriali, perché strettamente legate agli interessi impostisi nel singolo negoziato. A ciò si aggiunga che tranne i rari casi in cui i Trattati riconoscono a uno specifico atto da adottare dalle istituzioni un carattere per così dire supralegislativo, in ragione della funzione che esso è chiamato ad assolvere nel quadro del funzionamento dell’Unione o della procedura con cui è adottato, tra gli atti delle istituzioni non esiste un rapporto gerarchico [48]. Tutto ciò introduce un importante limite di carattere contenutistico e sistematico ad una possibile attività di codificazione, di unificazione o di armonizzazione. L’ipotesi di una codificazione generale che intervenga in modo orizzontale in un ambito relativamente ampio rischia infatti di riguardare più basi giuridiche e di porre quindi il problema di individuare l’appropriato fondamento normativo in un’unica norma di base. Ciò perché, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, laddove esiste nei Trattati una disposizione specifica idonea a costituire il fondamento giuridico dell’atto da adottare, questo deve basarsi su tale disposizione a preferenza di altre disposizioni di portata più generale a cui possano ugualmente ricondursi il contenuto e lo scopo dell’atto [49]. Un eventuale cumulo di basi giuridiche nell’adozione di un [continua ..]


IX. Di alcuni tentativi di codificazione uniforme.

Queste osservazioni trovano conferma anche nell’esito non positivo che hanno avuto sinora alcuni tentativi di realizzare codificazioni di questo tipo. Tra questi ricordo l’iniziativa del Parlamento europeo per la codificazione dei procedimenti amministrativi dell’Unione europea [54], a cui però la Commissione ha deciso di non dar corso evidenziando una serie di problemi. Nella sua risposta al Parlamento europeo essa ha infatti sottolineato la difficoltà di ricondurre ad un unico strumento legislativo di portata generale e orizzontale procedure e regole altamente specializzate e settoriali che trovano regolamentazione negli atti che disciplinano la specifica materia [55]. La Commissione ha in particolare osservato come una codificazione unitaria dei procedimenti amministrativi comporterebbe inevitabilmente la necessità di rivedere una gran quantità di atti legislativi vigenti e potrebbe far sorgere problemi di delimitazione tra le norme generali e quelle specifiche [56]. Difficoltà per ora non superate ha incontrato anche l’eventuale codificazione del diritto privato sostanziale. L’iniziativa dell’elaborazione di un «co­dice europeo comune del diritto privato» venne lanciata dal Parlamento europeo nel 1989, nel contesto di «un’azione volta a ravvicinare il diritto privato degli Stati membri», con l’obiettivo di partire dall’attività di unificazione delle «numerose branche del diritto privato d’importanza capitale per lo sviluppo del mercato unico, come ad esempio il diritto delle obbligazioni, senza per questo esaurire le possibilità di procedere ad altre unificazioni» [57]. Allo scopo venne istituita una apposita commissione composta da studiosi della materia, la Commissione sul diritto contrattuale europeo, i cui lavori non hanno però trovato seguito a livello istituzionale [58]. Dal canto suo, la Commissione europea ha predisposto vari documenti in materia e lanciato ampie consultazioni pubbliche [59]. Nel 2011 la Commissione ha prodotto una proposta di regolamento contenente un «corpus autonomo e uniforme di norme di diritto dei contratti, comprensivo di norme a tutela del consumatore – il diritto comune europeo della vendita – da considerarsi alla stregua di un secondo regime di diritto dei contratti nell’ambito dell’ordinamento [continua ..]


X. I codici di autoregolamentazione e i codici di soft law.

La difficoltà di individuare una base giuridica pertinente, se non addirittura la mancanza di una competenza specifica, ha spesso portato all’adozione di codici che definirei genericamente di soft law. Si tratta di atti di origine, portata e contenuti eterogenei. Alcuni fra questi costituiscono strumenti di autoregolamentazione delle istituzioni. Tra questi ricordo il Codice di condotta congiunto del Consiglio e della Commissione del 1993 che regolamentava l’accesso al pubblico dei documenti delle istituzioni, poi riconosciuto come diritto fondamentale nel­l’art. 42 della Carta dei diritti fondamentali e disciplinato organicamente dal regolamento del PE e del Consiglio 1049/2001 [65]. Ed ancora, il Codice europeo di buona condotta amministrativa proposto dal Mediatore europeo e adottato il 6 giugno 2001 con risoluzione del Parlamento europeo e il Codice di buona condotta amministrativa per il personale della Commissione nei rapporti con il pubblico, che è allegato al Regolamento interno della Commissione [66]. Tra questi vale anche la pena, poi, di menzionare il Codice di buone prassi per lo svolgimento delle procedure di controllo sugli aiuti di Stato recentemente adottato con una comunicazione dalla Commissione [67]: il Codice fornisce alla Commissione, agli Stati membri, alle imprese e alle altre parti interessate degli orientamenti riguardanti la gestione di tali procedure, volti a migliorare l’efficienza, la trasparenza e la prevedibilità delle stesse, ma non modifica in alcun modo la normativa vigente in materia. Altri codici, infine, sono stati adottati come strumento facoltativo e non vincolante di regolamentazione uniforme di una data materia [68]. In molti casi questo è avvenuto con l’adozione di risoluzioni del Consiglio, talvolta del Consiglio e degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, spesso su iniziativa della Commissione [69]. Questi codici di condotta non hanno carattere vincolante, limitandosi a delineare i principi e gli obiettivi di un’azione ai margini, se non al di fuori delle competenze comunitarie, e in quanto tale da sviluppare sia a livello nazionale sia a livello dell’Unione. E ciò dà conto del motivo per cui talora tali atti sono adottati congiuntamente dal Consiglio e dai rappresentanti dei Governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, in una formula «mista».


XI. La Carta dei diritti fondamentali.

Un’ulteriore e ultima conferma della difficoltà di ricostruire nell’or­dinamento dell’Unione in modo unitario e coerente il processo di codificazione, e i suoi strumenti giuridici, viene anche da quella che si può considerare l’unica codificazione “codicistica” effettuata: la Carta dei diritti fondamentali. La Carta è nata infatti al di fuori del sistema dei Trattati, con una procedura assolutamente particolare e con un atto di valore giuridico non definito, e ha potuto esprimere pienamente il suo potenziale normativo solo grazie ad una modifica dei Trattati. Adottata per consensus dalla “Convenzione” [70] appositamente istituita su mandato del Consiglio europeo di Colonia del giugno 1999, la Carta è stata poi approvata nelle conclusioni del Consiglio europeo di Biarritz dell’otto­bre 2000, per essere infine solennemente proclamata con la firma congiunta dei Presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione il 7 dicembre 2000 a margine del Consiglio europeo di Nizza [71]. La sua originaria veste formale era dunque quella di una dichiarazione interistituzionale, proclamata dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione; non riconducibile quindi né alla tipologia delle fonti del diritto primario – le norme dei Trattati –, né a quelle del diritto derivato – gli atti tipici delle istituzioni. Questa sua peculiarità, l’assenza di formale valore vincolante, ha fatto sì che la Corte di giustizia vi facesse inizialmente riferimento soltanto a fini interpretativi per la ricostruzione dei diritti fondamentali in quanto principi generali di diritto. È dopo la riforma del Trattato di Lisbona che la Carta ha acquisito rango di diritto primario. Come ricordato dalla Corte di giustizia nel parere 2/13, «al centro della costruzione giuridica» nata dai Trattati «si collocano proprio i diritti fondamentali, quali riconosciuti dalla Carta– che, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, TUE, ha lo stesso valore giuridico dei Trattati» [72]. Tale “costituzionalizzazione” ha consentito alla Corte di utilizzarla come canone interpretativo e parametro di legittimità degli atti delle istituzioni e degli Stati membri nell’attuazione del diritto dell’Unione [73], ma anche di riconoscere l’efficacia diretta, perfino [continua ..]


XII. Conclusioni.

In conclusione non resta che constatare come allo stato attuale nel­l’or­dinamento giuridico dell’Unione il processo codificatorio sembri dunque limitarsi, per le ragione esposte nel corso di questo lavoro, ad interventi che, pur rivestendo un ruolo molto significativo nello sviluppo del processo di integrazione europea e del coordinamento degli ordinamenti giuridici degli Stati membri, da un lato hanno un’impronta settoriale, restando pur sempre «modelli normativi parziali» [80]; dall’altro lato utilizzano tecniche e strumenti giuridici di diversa natura ed efficacia normativa. E questo non mi sembra possa essere smentito dalla considerazione che la componente forse principale del processo di integrazione europea sia quella di superare le diversità tra le legislazioni degli Stati membri attraverso il loro coordinamento, con l’adozione vuoi di norme europee uniformi destinate ad applicarsi negli ordinamenti nazionali, vuoi di norme europee che dettano principi e standard comuni, così da armonizzare, in vario grado, le normative nazionali nella prospettiva di un’in­tegrazione graduale, sì, ma sempre più stretta tra popoli europei [81].


NOTE