Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Competenze puramente statali e diritto dell´Unione europea (di M. Eugenia Bartoloni)


The present contribution intends to explore the relationship between EU law and purely internal competences of Member States (MS). This specific category of national powers corresponds to fields where EU regulatory powers are non-existent, or in any case, very limited. This means that, with respect to the EU legal order, MS were free to exercise such powers as they pleased. However, the various developments of the Court’s case law are progressively altering this discretionary character, since they tend to restrict the regulatory freedom enjoyed by MS. Indeed, the ECJ has developed, as is well knows, a formula the effect of which is to circumscribe the scope of Member States’powers. This formula states that even though the field at issue falls within Member States’powers, the latter must nonetheless exercise such powers consistently with EU law.

In particular, the present article attempts to analyze the argument encapsulated in this formula and, so doing, to looks at the way in which EU law imposes negative limits upon the powers retained by the MS. This purpose is fulfilled by using twofold parameter: on the one hand, the nature of “link” or “nexus” that connects national power with EU law; on the other hand, the type of norm or principle used as criterion of lawfulness in order to assess the compliance with EU law of a national measure. The outcome of this dual examination should permit to define the scope not only of the formula, but also of the extent of the obligations imposed on the MS.

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SOMMARIO:

I. Premessa. Competenze puramente statali e posizioni giuridiche dell'Unione: un equilibrio problematico - II. Prima variabile. Il fattore di collegamento tra competenze statali e competenze dell'Unione - III. Segue. Elementi di collegamento di carattere strumentale - IV. Segue. Elementi di collegamento di carattere sequenziale - V. Segue. Elementi di collegamento di carattere sostanziale - VI. Segue. Elementi di collegamento di carattere 'intrinseco' - VII. L'incidenza del fattore di collegamento nell’assetto degli opposti interessi in gioco - VIII. Seconda variabile. Il parametro di diritto dell'Unione utilizzato per sindacare la conformità delle norme statali al diritto dell'Unione - IX. Segue. Le libertà fondamentali - X. Segue. I diritti di cittadinanza - XI. L'incidenza del parametro normativo sulla composizione degli interessi - XII. Considerazioni conclusive: un assetto a geometria variabile? - NOTE


I. Premessa. Competenze puramente statali e posizioni giuridiche dell'Unione: un equilibrio problematico

La nozione di competenza “puramente statale” non trova alcuna definizione né nell’ambito dei Trattati istitutivi, né nella giurisprudenza della Corte di giustizia. È diffusa l’opinione che in essa rientrino, presuntivamente, tutte quelle materie le quali, non essendo state assegnate alla competenza dell’U­nione, continuano ad appartenere agli Stati membri. Esse sono variamente qualificate come “competenze riservate” [1], “competenze conservate” [2], “competenze degli Stati” [3], “competenze proprie degli Stati membri” [4], “competenze di ciascuno degli Stati membri” [5], “competenze residue” [6], “competenze esclusive” [7]. Ancorché la Corte faccia costantemente riferimento soltanto ad alcune specifiche materie – ad es. l’educazione [8], la protezione sociale [9], la fiscalità diretta [10], la materia relativa allo status personale [11], la materia penale e di procedura penale [12] e, più in generale, la disciplina tout court processuale [13], ecc. – appare ragionevole ritenere che si tratti di una elencazione meramente esemplificativa, formulata caso per caso, e dunque inidonea ad escludere che anche altre materie o settori normativi possano essere inclusi in tale categoria. In questo senso sembra deporre il principio di attribuzione, secondo il quale «qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei Trattati appartiene agli Stati membri» [14]. Seguendo questa linea argomentativa, dovrebbe dunque esserci una tendenziale coincidenza tra competenze puramente interne degli Stati e competenze non devolute all’Unione [15]. Ciò premesso, nella prospettiva dell’ordinamento dell’Unione, la permanenza in capo agli Stati membri di competenze a questi riservate fa emergere due esigenze non facilmente conciliabili: da una parte, quella di preservare da ingerenze da parte dell’Unione una sfera di competenze che appartengono in via esclusiva agli Stati membri e che, in quanto tali, devono conservare un proprio statuto di autonomia e separatezza; dall’altra, quella di evitare che l’e­sercizio di competenze che gli Stati si sono riservati possa giustificare l’ado­zione di misure idonee ad interferire con posizioni [continua ..]


II. Prima variabile. Il fattore di collegamento tra competenze statali e competenze dell'Unione

 Il fattore di collegamento è quell’elemento che, caso per caso, connette la competenza statale al diritto dell’Unione. Esso, pur diverso in relazione alle singole ipotesi, ha l’effetto di determinare un fenomeno di intersezione o sovrapposizione tra discipline ricadenti nelle competenze rispettivamente statali e dell’Unione, producendo una interferenza reciproca tra le due sfere di competenza. La presenza di un nesso di collegamento tra i due ambiti di competenza, statale e dell’Unione, è condizione sufficiente per la Corte di giustizia affinché si produca una sorta di effetto di inglobazione o transito della normativa statale nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione tale, appunto, da giustificare l’obbligo per gli Stati di esercitare le competenze ad essi riservate conformemente al diritto dell’Unione [22]. In altri termini, poiché il fattore di collegamento ha l’effetto di attrarre competenze incardinate sul piano interno nell’ambito d’applicazione del diritto dell’Unione, settori e materie, o quantomeno, segmenti di settori e materie che ricadono in principio nella competenza statale non possono più considerarsi – in virtù dell’“intersezione” che si viene a creare – puramente interni, ma di rilevanza dell’Unione e per questo devono ad esso conformarsi [23]. I percorsi attraverso i quali le competenze nazionali entrano in collegamento con il diritto dell’Unione sono molteplici. I modelli che saranno qui di seguito esaminati non hanno l’ambizione di esaurire la gamma delle ipotesi circa le modalità attraverso cui le competenze statali presentano un fattore di collegamento con il diritto dell’Unione. Si tratta solo di alcuni schemi di riferimento, emersi dalla prassi giurisprudenziale, utili per la nostra indagine, ma che non escludono ulteriori ipotesi. Conviene dunque limitarsi ad un tentativo di tracciare, sulla base di alcuni casi guida, le ipotesi principali nelle quali si manifesta il fattore di collegamento.


III. Segue. Elementi di collegamento di carattere strumentale

Il collegamento di carattere strumentale, assai noto, è dato, appunto, dal carattere strumentale che la competenza statale in ambito processuale può assumere nei confronti del diritto dell’Unione. È noto che, in assenza di regole dell’Unione dirette ad armonizzare il diritto processuale degli Stati membri, la tutela di posizioni soggettive assicurata dal diritto UE viene affidata ai rimedi giurisdizionali interni [24]. In tal modo, competenze che residuano in capo agli Stati membri entrano in collegamento, per via del loro carattere strumentale, con il diritto dell’Unione e transitano, dunque, nel suo campo d’applicazione. La circostanza che la competenza processuale statale tocchi in via strumentale il diritto dell’Unione fa sorgere, tuttavia, l’esigenza che questa non interferisca con l’applicazione della normativa sostanziale o di sistema europea attenuandone o pregiudicandone l’effettività. La Corte, con una formula divenuta classica, costantemente ribadisce: se «spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti riconosciuti ai singoli in forza delle norme di diritto dell’Unione», quest’ultimo pone tuttavia dei limiti a tale competenza [25]. I limiti all’autono­mia processuale degli Stati membri, come è noto, sono individuabili nell’ob­bligo minimo di assicurare equivalenza nella tutela di posizioni dell’Unione rispetto ad analoghe di diritto interno e in quello di effettività [26]. I meccanismi processuali statali potrebbero infatti porsi in contrasto con il diritto dell’Unio­ne per il solo fatto di ostacolare o alterare la piena realizzazione delle posizioni soggettive fondate su di esso. In quest’ottica, l’effettività delle posizioni, sia individuali che di sistema, tutelate dall’Unione potrebbe essere assicurata solo attraverso una corrispondente compressione dell’autonomia processuale degli Stati membri. La prassi a tal riguardo è ricca. Ad esempio, in talune pronunce assai conosciute, la Corte ha ritenuto che la salvaguardia dei principi del primato e degli effetti diretti del diritto dell’Unione implica la necessità di disapplicare istituti processuali [continua ..]


IV. Segue. Elementi di collegamento di carattere sequenziale

 Allorché la competenza statale costituisce il presupposto per l’esercizio di competenze sovranazionali, il collegamento tra le due sfere normative, quella statale e quella dell’Unione, si instaura in conseguenza di un nesso di carattere sequenziale. Questa situazione si realizza prevalentemente nell’ipo­tesi di procedimenti decisionali che si articolano in sequenze procedimentali composte, tali per cui gli atti statali si inseriscono, secondo una varietà di combinazioni, nell’iter di adozione degli atti dell’Unione. I procedimenti decisionali in questione, in altre parole, non si realizzano interamente nella sfera nazionale o in quella dell’Unione, ma si snodano in fasi, alcune delle quali ricadono in ambito nazionale, altre in ambito sovranazionale. Solo per limitarsi alle ipotesi che verranno esaminate, l’interazione procedimentale può, ad esempio, verificarsi quando la decisione nazionale costituisce un “parere favorevole” per l’adozione di una decisione della Commissione [32]; oppure quando decisioni nazionali in materia penale sono il presupposto per l’adozione di misure restrittive individuali atte a contrastare il terrorismo internazionale [33]. Anche in questi casi, l’instaurarsi di connessioni tra ambiti normativi in principio incardinati su piani distinti e differenti pone il problema di eventuali interferenze del diritto nazionale su quello dell’Unione e, contestualmente, l’esigenza di porre dei limiti all’esercizio della competenza statale da parte dell’Unione. Il problema principale che si è posto nella prassi in relazione a competenze statali che entrano in collegamento con il diritto dell’Unione, sulla base di un nesso di tipo sequenziale, è il regime di impugnazione degli atti nazionali che concorrono a definire il contenuto di misure che poi, formalmente, sono adottate dall’Unione. Questi atti, infatti, non solo fanno parte integrante del procedimento decisionale sovranazionale, ma ancorché endoprocedimentali, possono produrre effetti giuridici, e possono dunque incidere sulla complessiva situazione giuridica disciplinata dal diritto dell’Unione. Basti pensare, ad esempio, alla categoria dei pareri nazionali “negativi” i quali, nel predeterminare automaticamente in negativo la decisione da assumere a livello di Unione, hanno l’effetto di [continua ..]


V. Segue. Elementi di collegamento di carattere sostanziale

La competenza statale entra in collegamento con il diritto dell’Unione, sulla base di un nesso di carattere sostanziale, perché il suo esercizio produce un effetto analogo, nella sostanza, a misure oggetto di disciplina da parte dell’ordinamento sovranazionale. Questa ipotesi si realizza, prevalentemente, nell’ambito del mercato interno allorché le regole sulle libertà fondamentali e sugli aiuti pubblici alle imprese non si limitano a vietare condotte specifiche – ad es. l’imposizione di dazi doganali all’importazione e all’esportazione – ma estendono il divieto anche a normative statali che producono effetti analoghi a quelle vietate – ad es. il divieto di imporre tasse d’effetto equivalente [42]. In ipotesi del genere, alla normativa nazionale ricadente in una competenza puramente interna è applicabile, in conseguenza dell’effetto prodotto, una specifica norma sostanziale di diritto dell’Unione [43]. La casistica è molto ricca e corrisponde, in principio, alle ipotesi in cui i Trattati fanno riferimento a divieti il cui oggetto è definito in relazione ad un elemento di carattere funzionale [44]. Se una misura è vietata in ragione dell’effetto che produce sulle libertà garantite, qualsiasi normativa statale, pur espressione di competenze esclusive, è idonea a ricadere nel divieto e quindi ad entrare nell’ambito d’applicazione del diritto dell’Unione, allorché produca quell’effetto [45]. In quest’ottica, l’esi­genza che l’autonomia decisionale degli Stati membri sia sottoposta ad una compressione si manifesta, potenzialmente, in relazione a tutte quelle misure che, pur riservate alla competenza degli Stati, sono idonee a restringere le libertà garantite dal Trattato in conseguenza dell’effetto realizzato [46]. La Corte ha rilevato, ad es., che normative statali in tema di fiscalità diretta, materia riservata alla competenza degli Stati membri, sono contrarie alle norme che garantiscono la libera circolazione dei capitali in quanto, riservando facilitazioni ed agevolazioni fiscali esclusivamente nei confronti di soggetti residenti, a danno di investitori non residenti, producono una restrizione ai movimenti di capitali [47]. Stessa conclusione in relazione alle agevolazioni fiscali che, se concesse [continua ..]


VI. Segue. Elementi di collegamento di carattere 'intrinseco'

Fuori dalle ipotesi prese già in considerazione, una competenza puramente interna è idonea ad entrare in collegamento con il diritto dell’Unione in ragione degli effetti che essa tout court produce su situazioni o posizioni giuridiche da questo disciplinate. Si tratta di un’ipotesi residuale perché in essa rientrano tutte quelle situazioni nelle quali la competenza statale – pur non entrando in collegamento con il diritto sovranazionale attraverso i nessi rispettivamente di carattere strumentale, sequenziale o sostanziale – produce nondimeno effetti limitativi rispetto al godimento di libertà garantite dal Trattato. Questo appare il modello più interessante da un punto di vista teorico perché, in principio, quello maggiormente articolato. In questo modello, l’interferenza non origina dalla presenza di un mero collegamento; essa, piuttosto, è determinata dalla presenza di situazioni complesse nelle quali vi sono più fattispecie tra loro collegate tali che la disciplina di una fattispecie, pur riservata alla competenza statale, può incidere sulla disciplina assegnata invece alla competenza dell’Unione. Un esempio particolarmente chiaro viene da una recente giurisprudenza la quale ha mostrato la complessa interrelazione che, in certi casi, si stabilisce tra la competenza statale in materia di immigrazione di cittadini di Stati terzi e le norme del Trattato che tutelano la libera circolazione dei cittadini dell’Unione [51]. Come la Corte ha osservato, vi possono essere fattispecie «disciplinate da normative che rientrano a priori nella competenza degli Stati membri, vale a dire le normative sul diritto di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi al di fuori del campo di applicazione delle disposizioni del diritto derivato» [52], le quali «hanno tuttavia un rapporto intrinseco [53] con la libertà di circolazione di un cittadino dell’Unione» [54]. Se lo Stato, infatti, nell’esercizio della propria competenza in materia di immigrazione, adotta una disciplina nella quale nega ai cittadini di Paesi terzi, familiari di un cittadino dell’Unione, il diritto di ingresso e di soggiorno nello Stato membro in cui risiede quest’ul­timo, siffatta disciplina può «pregiudicare la libertà di [continua ..]


VII. L'incidenza del fattore di collegamento nell’assetto degli opposti interessi in gioco

Al termine di questa analisi, si può riprendere il quesito inizialmente posto e chiedersi se, ed eventualmente in che modo, l’assetto degli interessi in gioco – quello dell’Unione a non subire interferenze in occasione dell’eser­cizio di competenze puramente interne e quello degli Stati a conservare il proprio potere discrezionale in relazione a sfere di competenza ad essi riservate – possa essere condizionato dal fattore di collegamento. A tal riguardo è forse possibile individuare una prima, provvisoria, risposta. Si è visto, in maniera pur approssimativa, che i vari fattori di collegamento che si fondano su un nesso di tipo strumentale, sostanziale o “intrinseco” sono, in principio, tutti idonei a far ricadere, in tutto o in parte, la competenza nazionale nell’ambito d’applicazione del diritto dell’Unione, ponendo contestualmente, a seconda delle circostanze, limiti di carattere sostanziale o procedimentale alla disciplina interna [57]. Gli Stati risultano così destinatari dell’obbligo di porre in essere meccanismi di adeguamento normativo e/o interpretativo allorché le proprie competenze residue, in virtù del fattore di collegamento, rischino di compromettere l’effettività del diritto dell’Unione o il suo godimento. Questo schema appare solo parzialmente applicabile nel caso in cui, invece, le competenze statali siano connesse al diritto dell’Unione sulla base di un fattore di collegamento di tipo sequenziale. Si è potuto, infatti, osservare che quest’ultimo tipo di nesso non sempre è idoneo a far transitare automaticamente la competenza statale nell’ambito del diritto dell’Unione e a limitarne, di conseguenza, l’esercizio. Il vincolo ad un esercizio conforme scatterebbe solo in presenza di una certa intensità del nesso. Questa evenienza si verificherebbe, come risulta dalla prassi, solo nel caso in cui il collegamento tra le due sfere di competenza non sia meramente occasionale – come si verifica nel caso OMPI – ma si realizzi nel quadro di una regolamentazione puntuale, nel­l’ambito della quale l’esercizio della competenza interna abbia l’effetto di vincolare, nella sostanza, l’esercizio della competenza dell’Unione – come nella sentenza sul caso Oleificio Borelli.


VIII. Seconda variabile. Il parametro di diritto dell'Unione utilizzato per sindacare la conformità delle norme statali al diritto dell'Unione

 Il secondo elemento che potrebbe condizionare il concreto assetto degli interessi in gioco è, come si è già anticipato, il tipo di norma o principio di diritto dell’Unione utilizzati come parametro al fine di verificare la conformità della normativa statale con quella europea. La discutibile formula utilizzata dalla Corte, ricordata in precedenza, nel fare riferimento ad un generico obbligo di rispettare tout court il diritto del­l’Unione, sembra indicare che l’esigenza di un esercizio conforme delle competenze statali residue si ponga in relazione ad ogni tipo di norma o posizione giuridica disciplinata dall’ordinamento dell’Unione. Sulla base della prassi, si possono identificare due modelli principali per l’inquadramento delle varie forme di coordinamento fra l’esercizio delle competenze residue degli Stati e la sfera normativa dell’Unione. Un primo modello, che trova realizzazione paradigmatica, sia pur non esclusiva, nell’ambito delle libertà fondamentali, si fonda sull’esigenza di ponderazione dei valori in gioco. Si potrebbe indicare come modello del bilanciamento. Un secondo modello, sviluppato recentemente soprattutto in riferimento ai diritti di cittadinanza, si fonda piuttosto sulla prevalenza dell’esigenza di salvaguardare il nucleo fondamentale degli interessi dell’Unione assicurando loro prevalenza rispetto alle confliggenti esigenze di garantire il libero esercizio delle competenze residue degli Stati. Lo indicheremo di seguito come modello della prevalenza.  


IX. Segue. Le libertà fondamentali

Le libertà di circolazione, in quanto fondamentali per il funzionamento del mercato interno, appaiono in grado di condizionare sensibilmente l’eser­cizio delle competenze statali idonee a produrre effetti limitativi rispetto alla loro piena realizzazione. Ciò determina per gli Stati membri l’insorgere di obblighi i quali, pur potendo assumere un contenuto variabile, si traducono, essenzialmente, nel generale dovere di rimuovere qualsiasi forma di ostacolo e restrizione suscettibile di pregiudicare la loro attuazione[58]. Le libertà fondamentali, tuttavia, incontrano, al contempo, un ostacolo alla loro piena realizzazione nell’esistenza delle c.d. esigenze imperative [59]. Questa categoria, come è noto, è stata elaborata dalla Corte al fine di individuare un criterio equilibrato atto a distinguere le misure che, pur lesive delle posizioni tutelate dal diritto dell’Unione, costituiscono un esercizio legittimo di sovranità da parte degli Stati rispetto a quelle che costituiscono un’inter­ferenza arbitraria sulla sfera delle posizioni soggettive derivanti dal Trattato [60]. Un’esigenza imperativa ricorre quando la misura nazionale, pregiudizievole per la libertà garantita dal Trattato, persegua un obiettivo di interesse generale per l’ordinamento statale, sia adeguata a garantire la realizzazione dello stesso e non ecceda quanto è necessario per raggiungerlo [61]. Dunque, solo in presenza di esigenze imperative, l’esercizio della competenza statale, pur lesiva delle libertà garantite dal Trattato, è considerata legittima e, di conseguenza, tollerata dall’ordinamento dell’Unione. Se è così, allora, la sussistenza di esigenze imperative, nel giustificare provvedimenti nazionali in grado di ostacolare o rendere meno attraente l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato, può essere vista come una sorta di contro-limite all’obbligo per gli Stati di esercitare, secondo la formula utilizzata dalla Corte, le proprie competenze residue in conformità al diritto dell’Unione [62]. E ciò per la semplice ragione che se una misura, pur lesiva di diritti e posizioni tutelate dall’ordinamento dell’Unione, è da questo considerata legittima e proporzionata, non sorgerà per lo Stato alcun obbligo di [continua ..]


X. Segue. I diritti di cittadinanza

 Questo schema – nel quale gli Stati, pur restringendo il godimento dei diritti assicurati nel Trattato, sono esonerati dall’obbligo di eliminare eventuali incongruenze che la propria normativa interna può presentare rispetto a quella dell’Unione – non appare del tutto applicabile qualora il parametro per valutare la conformità della normativa statale al diritto sovranazionale sia dato dalle norme sulla cittadinanza. Come già in parte visto [63], un recente filone giurisprudenziale ha individuato, nell’ambito dei vari diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione in ragione del possesso della cittadinanza europea, l’esistenza «di un nucleo essenziale» [64]. Vi rientrerebbero prerogative le quali, ancorché non del tutto precisate nel loro contenuto e portata [65], non sono semplicemente necessarie per la piena realizzazione dello status di cittadino europeo, ma sono connaturate all’idea stessa di cittadinanza europea e alla “dimensione costituzionale” che essa ha acquisito nel tempo [66]. Diritti, dunque, – come quello, ad es., di non essere costretti «a lasciare il territorio dell’Unione nel suo insieme» [67] – i quali, essendo non solo fondamentali, ma intrinsecamente collegati al concetto di cittadinanza dell’U­nione, sarebbero, per tal motivo, sottratti sia a qualsiasi tipo di interferenza, che a qualsiasi tipo di bilanciamento con eventuali interessi concorrenti. È infatti ragionevole pensare che un’eventuale compressione di questo nucleo dal carattere essenziale, pur giustificata dall’esigenza di salvaguardare interessi contrapposti e meritevoli di tutela, si risolverebbe, per definizione, in una lesione sostanziale dei diritti in esso inclusi e, dunque, in una negazione degli stessi – come appunto accadrebbe se il cittadino europeo fosse costretto ad abbandonare il territorio dell’Unione. Seguendo questo filo argomentativo, non appare azzardato ipotizzare che eventuali misure statali, lesive del nucleo essenziale dei diritti di cittadinanza, difficilmente potrebbero essere giustificate in ragione della loro vocazione a perseguire obiettivi di interesse generale per lo Stato. In altre parole, difficilmente lo Stato potrebbe opporre l’esistenza di esigenze imperative al fine di legittimare misure statali pregiudizievoli di [continua ..]


XI. L'incidenza del parametro normativo sulla composizione degli interessi

In relazione a questa seconda linea di indagine, sembra potersi concludere che l’assetto degli interessi in gioco plausibilmente vari anche in ragione del differente parametro normativo che la Corte, di volta in volta, utilizza per esaminare la conformità della disciplina nazionale con quella del­l’Unione. Per limitarci ai risultati dell’indagine appena condotta, lo scenario è il seguente. Se il parametro è dato dalle libertà fondamentali, l’interesse dell’Unio­ne a non subire interferenze nella propria sfera normativa, in conseguenza dell’esercizio di competenze puramente interne, va contemperato con l’oppo­sta esigenza di garantire agli Stati pienezza di poteri nella disciplina di fattispecie estranee al diritto dell’Unione. Ne consegue che misure statali, pur pregiudizievoli per la realizzazione delle libertà fondamentali, sono nondimeno tollerate in quanto perseguono obiettivi che l’ordinamento sovranazionale ritiene meritevoli di tutela, a condizioni di proporzionalità [72]. Questo primo schema è stato indicato come modello del bilanciamento. Nel caso in cui, invece, il parametro è offerto dalle norme sulla cittadinanza, un’eventuale interferenza sul diritto dell’Unione sarebbe tollerata, per esigenze imperative, fino a quando la normativa interna non si rivelasse idonea a produrre effetti pregiudizievoli sul nucleo essenziale dei diritti di cittadinanza. Il carattere essenziale di questo “nocciolo duro” impedirebbe, infatti, allo Stato di opporre la sussistenza di obiettivi di interesse nazionale, pur, in principio, meritevoli di tutela. In questa ipotesi, l’interesse dell’Unione a preservare un nucleo di diritti essenziale per la piena realizzazione dello status di cittadino europeo si configurerebbe come assoluto, non derogabile, né suscettibile di bilanciamento con opposti interessi. Lo Stato si troverebbe, dunque, nella posizione di dover necessariamente intervenire sulla propria disciplina interna al fine di eliminare, in via interpretativa o attraverso modifiche sostanziali, gli effetti restrittivi sul godimento di questo nucleo essenziale [73]. Questo sarebbe, nella classificazione adottata, il modello della prevalenza.


XII. Considerazioni conclusive: un assetto a geometria variabile?

La difficoltà di realizzare una equilibrata composizione dei due interessi in gioco – quello di conservare agli Stati membri un ragionevole ambito di discrezionalità nella disciplina di fattispecie poste fuori dalla competenza dell’Unione, da una parte; quello di assicurare effettività delle posizioni giuridiche garantite dal Trattato, dall’altra – è chiaramente evidenziata dalla prassi. Dall’analisi condotta sulla base dei criteri che fanno riferimento, rispettivamente, al fattore di collegamento e alla tipologia del parametro dell’Unione utilizzato per sindacare la normativa interna, le due contrapposte esigenze variamente si combinano tra di loro, spesso con risultati, se non contraddittori, almeno non univoci. In certi casi, sembrerebbe prevalere l’esigenza di salvaguardare le competenze statali residue. Questo accade allorché queste ultime, pur idonee ad interferire con diritti o principi dell’Unione, risultano connesse alla situazione disciplinata dal diritto europeo sulla base di un fattore di collegamento non sufficientemente qualificato. Un eventuale obbligo per gli Stati di esercitare le proprie competenze in modo conforme al diritto dell’Unione risulterebbe spro­porzionato [74]. In altri casi, indipendentemente invece dal fattore di collegamento, sembrerebbe prevalere in termini pressoché assoluti l’esigenza, diametralmente opposta, di salvaguardare posizioni giuridiche tutelate dal diritto dell’Unione. Il carattere essenziale che presentano alcuni diritti – imprescindibili per la piena realizzazione di alcune delle posizioni giuridiche attribuite dai Trattati – determinerebbe in capo agli Stati membri il dovere di adattare, senza alcuna eccezione, la propria disciplina eventualmente confliggente. In caso contrario, il godimento e la stessa sussistenza delle posizioni conferite sarebbero vanificati [75]. In altre circostanze ancora, sembrerebbe invece imporsi l’esigenza di un bilanciamento tra gli opposti interessi, statali e dell’Unione. Alla libertà dello Stato di regolamentare fattispecie che ricadono nella propria competenza esclusiva corrisponderebbe, quindi, la necessità di ponderare tale esigenza con quelle derivanti dagli obblighi imposti dai Trattati. La soluzione, in questa terza ipotesi, dipenderebbe da una valutazione caso per caso, tesa a rinvenire un equilibrio [continua ..]


NOTE