L’articolo esamina la più recente prassi della Commissione in materia di applicazione degli artt. 107 e 108 TFUE agli aiuti di Stato a finalità fiscale. In effetti se la materia fiscale, e più specificamente la disciplina delle imposte dirette, rientra in massima parte nelle competenze degli Stati, ciò non li esime dall’onere di rispettare la normativa dell’Unione europea ed in particolare le disposizioni che vietano le discriminazioni, e quelle che disciplinano la concessione di aiuti di Stato.
In quest’ultimo settore, in tempi recenti, l’attenzione della Commissione si è in particolar modo concentrata sull’esame degli interpelli emanati dalle amministrazioni fiscali nazionali i quali possono essere utilizzati per attrarre sul territorio nazionale imprese straniere offrendo loro una fiscalità di vantaggio. In effetti se un’amministrazione fiscale concorda con un’impresa metodi particolarmente vantaggiosi per definire delle imposte o calcola la base imponibile in maniera riduttiva, finisce col concedere un aiuto di Stato.
Tale rischio è ancor più grande quando gli interpelli riguardano delle operazioni infra-gruppo eseguite da imprese multinazionali (accordi preventivi sui prezzi di trasferimento). In effetti tali imprese possono facilmente applicare dei prezzi artificiali al deliberato scopo di trasferire gli utili societari in Nazioni dove il livello impositivo è più basso o dove, comunque, ricevono un trattamento fiscale privilegiato.
Più specificamente, secondo la Commissione, ogni transazione che non viene eseguita in conformità con il principio di libera concorrenza costituisce un aiuto di Stato che, se non le è stato preventivamente notificato ed autorizzato, risulta essere concesso in maniera illegale e va dunque restituito.
Pur riconoscendo che il principio di libera concorrenza costituisce un parametro idoneo per valutare gli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento alla luce degli art. 107 e 198 TFUE, nell’articolo si esprimono perplessità sulle modalità attraverso le quali la Commissione è pervenuta ad affermarne la sussistenza e si contesta che, al momento, lo stesso faccia effettivamente parte dei principi generali di diritto dell’Unione europea.
Nell’articolo si mette infine in evidenza che l’esame delle prime decisioni della Commissione in materia produce un risultato inquietante: se da un lato la normativa europea è stata utilizzata in maniera particolarmente aggressiva, dall’altro ha consentito di evidenziare comportamenti disinvolti degli Stati membri dell’Unione europea che di fatto hanno agevolato lo stabilimento in territorio nazionale di imprese straniere attraverso la concessione di aiuti di Stato.
The article looks at the most recent Commission practice concerning the application of Articles 107 and 108 TFEU to State aid for tax purposes. In fact, if tax matters and mainly the regulation of direct taxation, falls largely within the competence of the Member States, that does not exempt them from the obligation to comply with European Union legislation, and in particular the provisions prohibiting discrimination, and those governing the granting of State aids.
In the latter sector, in recent times the Commission’s attention was particularly focused on the exam of tax rulings given by the national tax authorities, which could be used to attract foreign companies by offering them a tax advantage. In fact, if a tax administration together with a private company defines advantageous methods for applying taxes, or calculates the tax base in a reductive manner, it would ultimately grant a State aid.
This risk is even greater when tax rulings concerns intra-group transactions carried out by multinational companies (advance transfer pricing agreements). In fact, these companies could easily apply artificial prices to the deliberate purpose of transferring corporate profits in Countries where the taxation level is lower.
More specifically, according to the Commission, any transaction that is not carried out in accordance with the arm’s length principle constitutes a State aid which, unless it has been previously notified and approved by the Commission, it is considered as illegally granted and must therefore be recovered.
While recognizing that the arm’s length principle constitutes a suitable parameter for assessing advance transfer pricing agreements in the light of Articles 107 and 198 TFEU, in the article concern is expressed about the way in which the Commission has come to assert the existence of the principle and disputes that, at the moment, it actually forms part of the general principles of European Union law.
Lastly, the article points out that the examination of the first Commission decisions in tax rulings gives a disturbing result. On the one hand, the European legislation has been used in a particularly aggressive way. On the other hand, it helped to highlight uninhibited practices of the Member States of the European Union that in fact, facilitated the establishment of foreign enterprises in the national territory through State aids.
Articoli Correlati: diritto della concorrenza - aiuti di Stato - riduzione della base imponibile - interpelli - discrezionalità - amministrazioni fiscali - accordi preventivi - libera concorrenza - prezzi di trasferimento
I. La nuova frontiera in materia di aiuti di Stato. - II. L’articolazione delle competenze in materia fiscale. - III. Aiuti di Stato tramite misure fiscali. - IV. La funzione degli interpelli e il rispetto della normativa in materia di aiuti di Stato. - V. Interpelli e discrezionalità delle autorità fiscali. - VI. Gli accordi di advance transfer pricing. - VII. Il principio di libera concorrenza e la modalità con cui è stato definito. - VIII. L’applicazione pratica del principio di libera concorrenza. - IX. Considerazioni conclusive. - NOTE
Da qualche anno la Commissione dell’Unione europea sta esplorando una nuova dimensione nell’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato che sembra orientata ad influire, in maniera significativa, sui sistemi fiscali degli Stati membri: quella che coinvolge l’applicazione degli artt. 107 e 108 TFUE ai singoli provvedimenti di interpello (tax ruling) emessi dalle autorità fiscali degli Stati membri ed in particolare a quelli che avallano degli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento (advance transfer pricing agreement), ovvero transazioni all’interno di imprese multinazionali. In particolare, queste iniziative della Commissione sono essenzialmente basate sulla definizione e sull’applicazione di un principio giuridico nuovo per la disciplina degli aiuti di Stato che è il principio di libera concorrenza (at arm’s length). Tale principio formalizza una metodologia usata dall’OCSE nell’ambito delle Convenzioni sulla doppia imposizione e ritenuta idonea dalla Commissione per calcolare i prezzi di trasferimento – metodologia sulla quale torneremo ampiamente in seguito – e che sostanzialmente è finalizzata a verificare se le transazioni tra imprese appartenenti allo stesso gruppo (o comunque collegate) avvengono a condizioni eque, cioè agli stessi prezzi che sarebbero stati applicati in operazioni tra imprese indipendenti, o nascondono manovre di elusione fiscale. Considerando che diversi dei concetti richiamati sono però relativamente estranei al diritto della concorrenza, sembra opportuno iniziare la presente ricostruzione precisandone il significato. In particolare, gli interpelli costituiscono dei provvedimenti emanati dalle amministrazioni fiscali della grande maggioranza degli Stati industrializzati, attraverso i quali vengono chiarite al contribuente che ne faccia richiesta, alcune delle modalità con cui gli verrà applicata la vigente normativa fiscale [1]. In buona sostanza il sistema degli interpelli costituisce un meccanismo finalizzato a favorire la compliance (il corretto adempimento agli obblighi tributari) ed il contrasto alle pratiche fiscali elusive ed abusive [2], che è capace di prevenire un contezioso tributario dai tempi e dai risultati spesso incerti [3]. Esso è ancor più utile nel caso di imprese multinazionali le quali sono spesso chiamate ad effettuare [continua ..]
Il nesso logico tra la disciplina degli aiuti di Stato e gli interpelli, in particolare gli interpelli che omologano un trasferimento di prezzi, è facilmente individuabile. Visto che attraverso un interpello le autorità tributarie nazionali definiscono le imposte applicabili alle singole imprese, esse possono anche finire col concedere un vantaggio od un aiuto ad alcune di esse. In particolare ciò è suscettibile di accadere quando gli interpelli: siano emanati secondo metodologie discrezionali o discriminatorie; omologhino dei prezzi di trasferimento troppo bassi, i quali a loro volta riducono la base imponibile per una delle imprese impegnate nella transazione. Ciononostante, l’applicazione delle norme europee in materia è resa complessa dal sistema di ripartizione delle competenze tra Unione europea e Stati membri. In effetti, se ai sensi dell’art. 3, par. 1, lett. b), TFUE, tra le competenze esclusive dell’Unione rientra l’applicazione delle norme sulla concorrenza, è al contempo da evidenziare che la materia fiscale [6], in particolare quella relativa alle imposte dirette, rientra essenzialmente nelle attribuzioni degli Stati membri [7]. Ne deriva che l’applicazione degli artt. 107 e 108 TFUE agli interpelli è suscettibile di generare una certa interferenza tra l’esercizio di differenti competenze esclusive. In particolare le competenze dell’Unione, in materia fiscale, sono definite all’art. 113 TFUE dove è stata prevista una generale facoltà dell’Unione di adottare disposizioni volte all’armonizzazione delle legislazioni nel settore delle imposte indirette, mentre in materia di imposte dirette sono richiamabili: l’art. 115 TFUE, il quale fornisce la base giuridica per l’emanazione di direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni che abbiano un’incidenza sul funzionamento del mercato interno; l’art. 116 TFUE, che attribuisce al Parlamento e al Consiglio la facoltà di avvalersi della procedura legislativa ordinaria per correggere una disparità tra normative degli Stati membri che «falsa le condizioni di concorrenza». Sulla base giuridica di queste disposizioni potrebbero essere dunque adottate norme intrinsecamente utili al funzionamento del mercato interno ed in particolare quelle finalizzate a contrastare sia la concorrenza fiscale dannosa (harmful tax [continua ..]
Non è il caso di tornare, ancora una volta, sulla nozione di aiuto di Stato [28], o sulle condizioni che, in via generale determinano l’applicabilità dell’art. 107 TFUE [29], ma sembra opportuno ricordare che, già nel 1963, la Commissione aveva chiarito che nella nozione di aiuto di Stato possono rientrare anche provvedimenti che comportano delle esenzioni da imposte e tasse [30], posizione che ha subito trovato concorde la dottrina [31] e poi è stata confermata a più riprese dalla giurisprudenza [32]. In effetti la Corte di giustizia, nella ben nota sentenza Banco Exterior de España, ha chiarito che: «un provvedimento mediante il quale le pubbliche autorità accordino a determinate imprese un’esenzione fiscale che, pur non implicando un trasferimento di risorse da parte dello Stato, collochi i beneficiari in una situazione finanziaria più favorevole di quella degli altri soggetti tributari passivi costituisce aiuto statale ai sensi dell’art. 92, n. 1, del Trattato [attuale art. 107 TFUE]» [33]. Secondo la giurisprudenza Italia c. Commissione, «del pari, può costituire un aiuto di Stato un provvedimento che accordi a determinate imprese una riduzione d’imposta o un rinvio del pagamento dell’imposta normalmente dovuta» [34]. Ancora, secondo la giurisprudenza formatasi nel caso Germania c. Commissione, una misura fiscale è suscettibile di tradursi in un vero e proprio aiuto quando si concretizza nella «rinuncia dello Stato membro alla riscossione di tributi che avrebbe normalmente percepito» [35], che comporti dunque un costo gravante sullo Stato [36] – normalmente nella forma di un mancato introito [37]– o che altrimenti si concretizzi nel ‘consumo di risorse statali’ [38]. Resta il fatto che, per costituire un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 107 par. 1 TFUE, una misura fiscale deve presentare un carattere selettivo [39], in altri termini deve trattare due situazioni simili in maniera differenziata favorendo una di esse [40]. In effetti, se la misura fiscale reca un vantaggio uniformemente applicabile alla generalità delle imprese nazionali, la nozione di aiuto non può essere considerata come integrata [41]. Stabilire la selettività dell’aiuto è [continua ..]
Come si è accennato, gli interpelli costituiscono delle misure che, in sé e per sé, hanno (o dovrebbero avere) poco a che fare con gli aiuti di Stato [53], anche se nella Decisione relativa agli utili in eccesso [54], la Commissione ha accertato la sussistenza di uno specifico regime fiscale agevolativo belga che si concretizzava attraverso degli interpelli dal contenuto predeterminato, e necessariamente agevolativo [55]. Tornando peraltro ad ipotesi più normali, è da sottolineare che, per loro struttura, gli interpelli dovrebbero definirsi in antitesi con il concetto di aiuto, costituendo espressione della volontà dello Stato di far pagare alle imprese le imposte che incombono su di loro. In effetti, anche quando vengono eseguite delle operazioni di transfer pricing, poi formalizzate in advance pricing agreement [56], le amministrazioni fiscali puntano normalmente a scoprire la sussistenza di comportamenti anomali di quelle imprese che cercano di ottenere vantaggi tributari non consentiti dagli ordinamenti giuridici interessati [57]. La funzione degli interpelli, e segnatamente degli advance pricing agreement, è pienamente riconosciuta dalla stessa Commissione UE [58], ma ciò non serve peraltro ad esonerarli dall’onere di rispettare la normativa europea ed in particolare quella applicabile agli aiuti di Stato [59]. Sotto quest’ultimo profilo va ricordato che, normalmente, le regole che governano l’emanazione degli interpelli sono formalizzate in norme dello Stato le quali, nella misura in cui si limitano a dare attuazione a disposizioni fiscali incondizionate e sufficientemente precise, applicabili alla generalità dei contribuenti, non costituiscono e non possono costituire degli aiuti di Stato. Le difficoltà peraltro sorgono quando le autorità amministrative che provvedono all’emanazione dei singoli provvedimenti di interpello vengano a disporre di poteri di natura discrezionale [60]. In dottrina Guarino e Morri, semplificando in maniera significativa il problema, affermano che: «se i tax rulings innovano il quadro normativo vigente sono strumenti di concessione di aiuti di Stato; al contrario non sono tali i tax rulings che semplicemente interpretano la normativa esistente» [61]. In realtà nessun tax ruling potrebbe mai [continua ..]
Dal quadro sopra delineato deriva che uno dei punti più delicati nel settore dell’applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato agli interpelli è dato dalla valutazione del margine di discrezionalità riservato alle autorità Statali, discrezionalità che può investire ogni aspetto della misura considerata. In effetti, secondo una giurisprudenza costante, una applicazione discrezionale di regole generali può comportare delle vere e proprie discriminazioni e correlativamente la concessione di aiuti di Stato [66]. In particolare, secondo la giurisprudenza P Oy: «per quanto attiene al potere dell’autorità competente, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, un potere discrezionale che consenta a tale autorità di determinare i beneficiari o le condizioni della misura concessa non può considerarsi avente carattere generale» [67]. Evidentemente l’uso di tali poteri discrezionali per favorire un contribuente può costituire un aiuto di Stato [68]. Finora, nel contesto delle controversie che hanno portato all’applicazione degli artt. 107 e 108 TFUE, quando l’applicazione di un’agevolazione non risultava imposta dalla struttura della norma, l’attenzione si spostava immancabilmente sulla natura giuridica dei poteri in capo all’organo emanante: quando questo fosse materialmente in grado di avvalersi di poteri discrezionali [69], anche se obbiettivi [70], di scegliere chi potesse risultare il beneficiario di una agevolazione e chi no, allora Commissione e Corte hanno ritenuto di essere in presenza di una misura selettiva capace in integrare la nozione di aiuto di Stato ai sensi dell’art. 107, par. 1, altrimenti no [71]. Riportando lo stesso ragionamento in tema di qualificazione degli interpelli alla stregua di aiuti di Stato, se attraverso un interpello si applica una misura generale secondo criteri oggettivi e non discriminatori ad una fattispecie concreta, è da ritenere che non si possa avere una misura selettiva e quindi un aiuto di Stato, mentre nel caso contrario si. Tornando alle Decisioni applicative dell’art. 107 par. 1 TFUE agli interpelli, nei casi che sinora si sono presentati, gli Stati membri regolarmente hanno cercato di escludere che le proprie autorità fiscali avessero un potere realmente discrezionale, affermando che esse erano tenute ad [continua ..]
Sempre parlando di interpelli e, più specificamente di advance pricing agreement, un secondo punto delicato concerne poi l’accettazione attraverso degli interpelli di alcune operazioni di ‘trasferimento di prezzi’, che sono effettuate a condizioni ‘non di mercato’. In effetti le operazioni di transfer pricing eseguite all’interno di gruppi di imprese, spesso multinazionali, da un lato sono particolarmente difficili da valutare e, dall’altro, possono essere utilizzate dalle multinazionali per spostare i propri profitti nello Stato dove saranno soggetti ad una tassazione inferiore [82], semplicemente alterando i prezzi ai quali vengono ceduti beni o servizi [83]. Se in questo contesto gli Stati sono legittimati a farsi una certa concorrenza fiscale, definendo delle aliquote concorrenziali e quindi attraendo lo stabilimento di imprese straniere, non possono legittimare né aliquote variabili, né il calcolo della base imponibile secondo criteri disomogenei. In effetti, quando ciò avviene la Commissione si ritiene legittimata a considerarsi in presenza di un aiuto di Stato. In proposito l’OCSE, già da molti anni, ha affrontato la questione dei prezzi di trasferimento ma sotto un profilo diverso: ha inserito nelle proprie Convenzioni modello sulle doppie imposizioni [84], delle disposizioni finalizzate a disciplinare il trattamento da riservare alle operazioni infragruppo [85]che consente alle amministrazioni fiscali interessate di rettificare i prezzi di trasferimento non ragionevoli e quindi di tassare adeguatamente le operazioni sottostanti [86], e poi dal 1979, si è più specificamente impegnata a dare una prima disciplina delle operazioni di transfer pricing fornendo delle linee guida [87] alle singole amministrazioni fiscali nazionali finalizzate ad aiutare queste ultime a gestire la specifica problematica in maniera armonizzata. Le più recenti linee guida OCSE sono state pubblicate nel 2013 e costituiscono un documento estremamente sofisticato e dettagliato che, in linea di principio, è stato accettato anche dalla Commissione [88] ma che non è finalizzato a produrre effetti vincolanti. Resta il fatto che le operazioni intercorrenti tra imprese dello stesso gruppo ed imprese autonome non sono pienamente equiparabili [89]. In particolare la determinazione dei [continua ..]
Dal canto suo la Commissione, nella prassi applicativa degli artt. 107 e 108 TFUE, ha ben chiarito che, indipendentemente dalle indicazioni fornite dall’OCSE attraverso documenti che sono e restano non vincolanti [91], la regola in base al quale le operazioni infragruppo devono essere calcolate è data dal principio di libera concorrenza. In particolare esso impone di calibrare i prezzi nelle operazioni infra-gruppo sulla base di quelli che si sarebbero registrati sul libero mercato tra imprese indipendenti [92]. Sempre secondo la Commissione, il principio di libera concorrenza costituirebbe un vero e proprio principio generale del diritto dell’Unione europea, a sua volta espressione dell’esigenza di garantire la «parità di trattamento in materia di tassazione che rientra nell’applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, del TFUE» [93]. Il principio generale di libera concorrenza si imporrebbe, in quanto tale, sia alle istituzioni europee sia agli Stati membri (e segnatamente alle loro amministrazioni fiscali) [94] . Da sottolineare che la Commissione dichiara esplicitamente di non volerlo applicare in quanto sancito nelle linee guida OCSE sui prezzi di trasferimento all’art. 7, o nella Convenzione modello OCSE all’art. 9 [95], disposizioni che non costituiscono, secondo la Commissione, atti vincolanti [96] – e comunque non costituiscono atti di diritto UE – né di voler verificare se le amministrazioni fiscali nazionali si siano discostate dall’applicazione del principio di libera concorrenza così come definito nelle normative nazionali [97]. Peraltro nelle Decisioni applicative dell’art. 107 par. 1 TFUE le linee guida OCSE vengono costantemente richiamate e la Commissione ritiene che una deviazione rispetto ad esse costituisca un indice della violazione del principio di libera concorrenza [98]. In effetti le Decisioni FIAT, Starbucks, Apple e quella Relativa agli utili in eccesso, le quali hanno tutte ad oggetto degli interpelli che omologano degli accordi di advance transfer pricing, sono fondate (almeno in via primaria) su una violazione del principio di libera concorrenza, così come sancito dal diritto dell’Unione europea, da parte delle amministrazioni fiscali di Lussemburgo, Olanda, Irlanda e Belgio [99]. Tale impostazione non sembra peraltro del [continua ..]
Tornando alle Decisioni sinora introdotte, la Commissione, a seguito di specifiche richieste inviate agli Stati membri, negli ultimi anni è riuscita a prendere visione di una serie di provvedimenti di interpello emessi dalle autorità fiscali di Stati membri che formalizzavano tutti degli advance price agreement (o dei sistemi di advance price agreement) registrando che, in diverse circostanze, venivano attribuiti consistenti utili a soggetti giuridici che, di fatto, in conformità con la normativa degli Stati di riferimento (la cui legittimità non viene contestata) non risulta sottoposta a tassazione o risulta sottoposta ad una tassazione particolarmente tenue. Nella decisione FIAT la Commissione ha contestato un interpello attraverso il quale la Administration des contributions directes del Lussemburgo riconosceva la correttezza delle metodologie con cui venivano calcolati i prezzi di trasferimento per le operazioni finanziarie intercorrenti tra la FFT Ltd (tesoriere del gruppo Fiat Chrysler Automobiles, operante in Lussemburgo) e le filiali europee dello stesso gruppo. Tali prezzi, considerati dall’amministrazione fiscale del Lussemburgo come conformi al principio di libera concorrenza, così come sancito nel diritto interno, sono stati invece considerati come calcolati in maniera arbitraria e non conforme al principio europeo di libera concorrenza, e comunque tanto riduttiva da determinare un ingiustificato aiuto di Stato in favore di FFT. Analogamente, nella decisione Starbucks, dei pagamenti di royalties effettuati dalla Starbucks Manufacturing EMEA BV in favore di Alki LP (una consociata di Starbucks con sede in Regno Unito) in cambio di uno specifico know how relativo alla tostatura del caffè, sono stati considerati non economicamente giustificati. Allo stesso modo degli acquisti di caffè fresco effettuati dalla prima società presso la Starbucks Coffee Trading SARL (una consociata svizzera) sono stati valutati come avvenuti a prezzi superiori a quelli di mercato. Entrambe le operazioni sono state quindi considerate come avvenute in violazione del principio di libera concorrenza e finalizzate a ridurre in maniera ingiustificata la base imponibile di Starbucks Manufacturing EMEA BV. Ancora, nella decisione Utili in eccesso il Belgio, presupponendo che parte degli utili realizzati da alcune imprese [continua ..]
Come evidenziato all’inizio, lascia a disagio il fatto che nel valutare le transazioni avvenute tra imprese dello stesso gruppo ed in assenza di norme di armonizzazione in materia fiscale, la Commissione abbia esercitato i propri poteri in maniera tanto imprevedibile ed invasiva. Lascia a disagio poiché il suo comportamento ricorda da un lato un’impostazione dirigista, che mal si addice ad un sistema che afferma di voler privilegiare la libertà e la libertà di concorrenza. Lascia inoltre a disagio in quanto finisce con il menomare quella sovranità fiscale degli Stati che, secondo il Trattato, può essere trasferita alle istituzioni dell’Unione solamente con il loro esplicito consenso [134]. Vi è ancora da aggiungere che le tematiche relative alle valutazioni dei transfer pricing sembrano esplicitamente rientrare tra le competenze nazionali e che gli Stati hanno dimostrato di essere intenzionati ad esercitarle in maniera piena ed autonoma. In effetti gli Stati membri dell’Unione europea, oltre ad aver concluso numerose Convenzioni bilaterali sulla doppia imposizione sulla base del modello OCSE, invece di avvalersi delle istituzioni della Comunità e dell’Unione per definire una direttiva in materia, dal 1990, hanno adottato una specifica Convenzione multilaterale concernente proprio la valutazione delle transazioni intercorrenti tra imprese associate od appartenenti allo stesso gruppo [135]. Attraverso questi strumenti gli Stati membri dell’Unione si sono dotati da un lato della possibilità di rettificare gli utili dichiarati dalle imprese impegnate in operazioni internazionali infragruppo (operazione che comporta una certa collaborazione con le autorità dello Stato membro in cui ha sede la società partner) e, dall’altro, si sono obbligati a non applicare su di loro una doppia imposizione [136]. Ne deriva quindi che la competenza a valutare la correttezza delle operazioni di transfer pricing dovrebbe risiedere in prima persona nelle autorità fiscali dei diversi Stati membri contro-interessati (in particolare in quelle che accettano la definizione dei prezzi di trasferimento e, in quelle dell’altro Stato, che non vi si oppongono), e non nella Commissione UE. È vero che in questo settore le competenze esercitate dalla Commissione UE e dalle Autorità fiscali degli Stati membri sono [continua ..]