Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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La condizionalità economica nell'azione esterna dell'Unione europea (di Giulia D’Agnone, Assegnista di ricerca in Diritto internazionale, Universitàtelematica UNITELMA Sapienza)


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The purpose of this contribution is to verify whether the European Union puts in place a policy of “economic conditionality” in its external relations with third countries, aimed at exporting its economic values, such as the social market economy principle. In particular, the investigation addresses the methods and the legal instruments through which the EU exercises such a policy and whether it has competence to do so.

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SOMMARIO:

I. Introduzione. - II. La condizionalità economica negli accordi di libero scambio. - III. Gli accordi che istituiscono zone di libero scambio “ampie e approfondite”. - IV. La condizionalità economica negli altri accordi conclusi dall’Unione europea con Paesi terzi. - V. La condizionalità economica negli strumenti unilaterali adottati dall’Unione: il sistema di preferenze generalizzate. - VI. Gli aiuti in favore di Paesi terzi. - VII. La base giuridica della politica di condizionalità economica dell’Unione europea. - VIII. Osservazioni conclusive sulla condizionalità economica nelle relazioni esterne dell’Unione europea. - NOTE


I. Introduzione.

La subordinazione dell’accesso a determinati vantaggi o benefici alla crea­zione o sussistenza di certe condizioni è una tecnica spesso utilizzata dai soggetti creditori per orientare i comportamenti dei beneficiari. In diritto internazionale, in particolare, si parla di condizionalità economica per riferirsi a quella prassi consistente nel «linking of the disbursement of a loan to understandings concerning the economic policy which the government of the borrower country intends to pursue» [1]. Il ricorso alla condizionalità economica è frequente da parte delle istituzioni finanziarie internazionali, principalmente il Fondo Mondiale Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale [2]. In particolare, per quanto riguarda l’attività creditizia del Fondo, è stato osservato che «[it] was increasingly made conditional on structural reforms […]. The sectoral and thematic coverage of structural conditionality (SC) expanded over time and covered changes in legislation policies, and the structure of economic incentives, as well as institutional reform» [3]. Il Fondo richiede dunque agli Stati beneficiari misure di aggiustamento economico come contropartita per la concessione di prestiti, misure che spesso si rivelano particolarmente incisive sulla sfera di sovranità economica degli Stati beneficiari, come la privatizzazione delle imprese, la liberalizzazione del commercio o del settore finanziario [4]. In tale contesto, la condizionalità ha assunto dunque un duplice scopo: da un lato assicurarsi che lo Stato che ha ricevuto l’aiuto sia in grado di ripagare i prestiti di cui ha beneficiato; dall’altro quello di creare le condizioni affinché lo Stato beneficiario possa superare le difficoltà che hanno fatto sì che occorressero aiuti esterni. Nell’ambito del diritto dell’Unione europea, a partire dai primi anni Novanta, si è invece affermata l’ormai nota condizionalità politica, in base alla quale l’Unione europea si è avvalsa della sua capacità negoziale in materia commerciale per promuovere nei Paesi terzi il rispetto dei diritti umani, dello stato di diritto e dei principi democratici [5]. È noto infatti che in alcuni atti unilaterali e negli accordi conclusi principalmente con i Paesi in via di sviluppo [continua ..]


II. La condizionalità economica negli accordi di libero scambio.

Gli accordi di libero scambio costituiscono uno dei principali strumenti della politica commerciale comune dell’Unione europea. Disposizioni che mirano a stabilire una zona di libero scambio sono generalmente contenute in una serie eterogenea di accordi. Alcuni, come gli accordi di associazione con i Paesi del sud-est europeo e dei Balcani occidentali, nonché con i partners della c.d. zona Euro-Med, sono stati conclusi al fine di promuovere la crescita economica e la stabilità politica degli Stati terzi e creare un’area di sicurezza intorno ai confini dell’Unione. Altri, come gli accordi di partenariato e cooperazione, si fondano invece, prevalentemente, su obiettivi di cooperazione allo sviluppo. Il sempre più frequente inserimento di disposizioni miranti a stabilire un’area di libero scambio in accordi di associazione è dettato dal fatto che questi ultimi mirano a stabilire dei vincoli privilegiati con Stati terzi, il cui contenuto esorbita dunque da una dimensione meramente economica o commerciale, potendo gli stessi perseguire una pluralità di finalità e variare nei contenuti [9]. É noto che fino alla prima metà degli anni Duemila, la scelta dei Paesi con cui intraprendere accordi commerciali era per lo più dettata da motivi di natura politica. La conclusione di accordi con i Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (i Paesi appartenenti all’area cosiddetta “ACP”) è stata inizialmente motivata dal fatto che tali Paesi costituivano, principalmente, ex colonie degli Stati membri dell’allora Comunità economica europea. Analogamente, gli accordi con i Paesi dell’Est Europa hanno trovato fondamento nella volontà di regolare le economie in transizione dopo la fine della Guerra Fredda; quelli con i Paesi del Nord Africa e del Medioriente nella necessità di creare un’area di stabilità intorno ai confini dell’Unione [10]. Si può infatti notare che «none of the regions concerned were regions of economic growth. It was the EU that provided the growth pole and not the other way around» [11]. Una serie di fattori, tra cui il fallimento dei tentativi per promuovere un nuovo round di negoziati multilaterali in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio tra il 1999 e il 2004, ed in particolare il fallimento del Doha Development Round, [continua ..]


III. Gli accordi che istituiscono zone di libero scambio “ampie e approfondite”.

A fianco ai classici accordi di libero scambio, negli ultimi anni l’U­nione europea sta negoziando anche una serie di accordi tesi alla creazione di aree di libero scambio “ampie e approfondite”, le c.d. Deep and Comprehensive Free Trade Areas (DCFTAs), accordi, cioè, che vanno ben oltre la liberalizzazione degli scambi tra l’Unione ed i Paesi partners e che puntano all’armonizzazione e all’uniformazione degli ordinamenti di tali Stati con la legislazione e gli standards europei. In merito alle DCFTAs con gli Stati del Partenariato orientale, ad esempio, la Commissione ha chiarito che esse hanno lo scopo di «cover substantially all trade, including energy, and aim at the highest possible degree of liberalisation (with the asymmetry in the pace of liberalization appropriate to the partners’economies). They will contain legally binding commitments on regulatory approximation in trade-related areas and will thus contribute to the modernisation of the economies of the partner countries» [18]. Accordi contenenti DCFTAs sono già stati negoziati, e in alcuni casi conclusi, con alcuni Paesi già appartenenti al blocco Sovietico: l’Armenia, la Geor­gia, la Moldavia e l’Ucraina [19]. È stato peraltro intrapreso un dialogo per la crea­zione di nuove deep and comprehensive free trade areas, in sostituzione degli accordi di associazione esistenti che già avevano istituito zone di libero scambio con Egitto, Marocco, Giordania e Tunisia. Data la capacità di penetrazione degli accordi di libero scambio nei sistemi economici dei Paesi partners, occorre domandarsi se, e attraverso quali stru­menti, l’Unione europea attui, per mezzo degli stessi, politiche di condizionalità economica. La forma di condizionalità economica maggiormente evidente in tali accordi è rappresentata dall’inserimento di clausole che mirano a sostenere l’a­dozione del modello economico dell’Unione da parte degli Stati terzi. Ad e­sempio, l’accordo di associazione concluso con la Georgia, all’art. 2, par. 2, rubricato “Principi generali”, stabilisce che «[t]he Parties reiterate their commitment to the principles of free market economy, sustainable development and effective multilateralism». L’inserimento [continua ..]


IV. La condizionalità economica negli altri accordi conclusi dall’Unione europea con Paesi terzi.

Elementi di condizionalità economica si riscontrano anche in accordi dell’Unione non aventi natura meramente commerciale. Il riferimento è, in particolare, agli accordi che rientrano nel settore della cooperazione con i Paesi terzi, regolata dal Titolo III della Parte V del TFUE, ed ancor più specificatamente agli accordi conclusi con i Paesi in via di sviluppo (artt. 208-211 TFUE) e agli accordi con Paesi terzi diversi dai Paesi in via di sviluppo (artt. 212 e 213 TFUE). Nell’ambito della politica di cooperazione allo sviluppo non è del tutto agevole riscontrare una uniformità delle forme di condizionalità economica, data la varietà di tecniche utilizzate per conformare le politiche economiche dei Paesi terzi a quella europea. Mentre, infatti, si rilevano delle vere e proprie clausole di condizionalità economica qualificate come clausole essenziali negli accordi di partenariato e di cooperazione conclusi alla fine degli anni Novanta con i Paesi dell’Europa orientale e del Caucaso meridionale e dell’Asia Centrale, nei successivi trattati conclusi tanto con i Paesi della stessa area geografica che di altre aree la condizionalità è di gran lunga attenuata [26]. Così, negli accordi del 1999 conclusi con Armenia, Azerbaijan, Georgia, Kazakistan, Ucraina, Uzbekistan, Kirghizistan e Moldavia, molti dei quali sono stati successivamente sostituiti da accordi di associazione – spesso contenenti DCFTAs, come evidenziato al par. III –nell’ambito della politica euro­pea di vicinato e del partenariato orientale [27], sono inserite clausole che stabiliscono che «[r]espect for democracy, principles of international law and human rights […], as well as the principles of market economy, including those enunciated in the documents of the CSCE Bonn Conference, underpin the internal and external policies of the Parties and constitute essential elements of partnership and of this Agreement» [28]. In base a tali clausole, l’attuazione di politiche economiche contrastanti con l’economia di mercato può dunque con­durre all’adozione di misure appropriate ad opera della parte adempiente: in casi di urgenza, anche senza necessità di esperire la procedura di previa infor­mazione del Consiglio di cooperazione, compresa probabilmente [continua ..]


V. La condizionalità economica negli strumenti unilaterali adottati dall’Unione: il sistema di preferenze generalizzate.

Poco evidente è la politica di condizionalità economica condotta mediante il c.d. Sistema di preferenze generalizzate (SPG). Esso costituisce una misura di politica commerciale adottata, ai sensi dell’art. 207, par. 2, TFUE, con regolamenti emanati dal Parlamento europeo e dal Consiglio mediante la procedura legislativa ordinaria. Di natura unilaterale, e dunque privo del carattere della reciprocità, il sistema di preferenze generalizzate ha lo scopo di incentivare le importazioni nel mercato dell’Unione dei beni originari dei mercati dei Paesi terzi beneficiari, abbassando o annullando i dazi doganali. Come noto, l’attuale SPG è caratterizzato da un regime generale, concesso a tutti gli Stati beneficiari, cui si affiancano due regimi speciali: uno di incentivazione allo sviluppo sostenibile e al buon governo (SPG+) per quegli Stati che intendono ratificare ed applicare alcune convenzioni internazionali, in primo luogo quelle a tutela dei diritti umani e le convenzioni dell’Organizzazione mondiale del lavoro [32]; ed uno c.d. Everything but arms (EBA) a favore dei Paesi inclusi in una lista stilata dalle Nazioni Unite. Il SPG è stato per la prima volta introdotto nel 1971, in applicazione dei principi definiti dal sistema di preferenze generalizzate elaborato dall’UNCTAD, e poi regolarmente rielaborato. Ad oggi, tale sistema è disciplinato dal Regolamento (UE) n. 978/2012 [33]. Scopo del SPG è, da un lato, quello di sostenere gli sforzi dei Paesi in via di sviluppo per la riduzione della povertà, dall’altro quello di promuoverne lo sviluppo sostenibile ed il buon governo [34]. Il sistema di preferenze tariffarie generalizzate si fonda su una logica di pre­mialità in favore degli Stati che, nonostante abbiano un’economia in sviluppo e siano dunque vulnerabili, si dichiarano disponibili ad uniformarsi ad una serie di convenzioni internazionali per la tutela dei diritti umani, lo sviluppo sostenibile ed il buon governo. La contropartita è rappresentata dal fatto che, ove gli Stati beneficiari commettano gravi e continue violazioni di tali convenzioni, l’accesso preferenziale al sistema tariffario potrà essere unilateralmente sospeso da parte dell’Unione europea. Così, ad esempio, nel 1997 il Myanmar è stato temporaneamente escluso dai beneficiari del SPG per aver acconsentito a [continua ..]


VI. Gli aiuti in favore di Paesi terzi.

Anche nel sistema degli aiuti a favore dei Paesi terzi il ricorso da parte dell’Unione europea a forme di condizionalità economica è meno evidente rispetto ad altri strumenti della sua azione esterna. L’assistenza finanziaria per tale via prestata è diretta non solo ai Paesi in via di sviluppo e ai Paesi in transizione ma anche a Paesi industrializzati. Essa unisce, quindi, aspetti della co­operazione allo sviluppo ad aspetti della cooperazione economica, finanziaria e tecnica. Come noto, esistono diverse tipologie di aiuti, in base ai vari obiettivi che l’Unione mira a conseguire: vi sono aiuti predisposti in vista dell’allargamento dei Paesi membri dell’Unione, aiuti disposti per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del Millennio, aiuti a sostegno della politica di vicinato, altri a sostegno dei processi di democratizzazione. Per verificare l’esistenza di forme di condizionalità economica nel sistema degli aiuti dell’Unione europea non si prenderà in considerazione la prima tipologia di aiuti: molto, infatti, è già stato scritto sulle dinamiche di condizionalità ai fini dell’adesione all’Unione. Al contrario, si utilizzeranno quale modello gli aiuti che l’Unione destina all’attuazione della politica europea di vicinato (PEV). La scelta è dettata dalla volontà di verificare se, e come, l’Unio­ne europea determini, o quanto meno influenzi, le politiche economiche di Paesi terzi che, invece, non hanno prospettive di adesione [39]. Esso rappresenta il banco di prova ideale per accertare se, anche in assenza di prospettive di allargamento, l’Unione miri a condizionare le politiche economiche dei Paesi terzi. Occorre preliminarmente chiarire che la PEV è realizzata attraverso una pluralità di strumenti: innanzitutto, accordi di associazione con i Paesi partners (i Paesi del sud Europa sono generalmente parti dell’Accordo di associazione Euro Mediterraneo, mentre le relazioni con i Paesi dell’Est si fondano su accordi di partenariato e cooperazione inseriti, a partire dal 2009, nella Partnership orientale). In secondo luogo, l’Unione fornisce assistenza finanziaria ai Paesi vicini sulla base dello “strumento europeo di vicinato”, ad oggi disciplinato dal Regolamento (UE) n. 232/2014 [40], che è attuato dalla Commissione mediante [continua ..]


VII. La base giuridica della politica di condizionalità economica dell’Unione europea.

Dopo aver accertato l’esistenza di forme di condizionalità economica da parte dell’Unione europea nei confronti di Stati terzi – seppur meno evidenti e strutturate rispetto a quelle impiegate nella più nota condizionalità politica –, occorre verificare se esse dispongano di una base giuridica nel sistema dei Trattati. È pertanto necessario indagare se sussista una base giuridica di diritto primario che conferisca all’Unione gli strumenti per la realizzazione della condizionalità economica, ma soprattutto che permetta di configurare tale prassi tra gli obiettivi legittimamente perseguibili nelle relazioni esterne dell’Unione con Stati terzi. L’analisi si concentrerà dapprima sulle disposizioni dei Trattati relative alle singole politiche dell’azione esterna dell’Unione ed, eventualmente, si cercherà di comprendere se sussistano altre norme di diritto primario idonee a legittimare il ricorso alla condizionalità economica da parte dell’Unione. Occorre peraltro preliminarmente ricordare che, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, norme inidonee a caratterizzare il contenuto di un atto non implicano la necessità di determinare una apposita base giuridica. In altri termini, ove le disposizioni di condizionalità economica non rappresentino una componente essenziale dell’atto, non occorrerà che que­st’ultimo trovi fondamento in una base giuridica apposita, in quanto la componente principale dell’atto farà sì che la base giuridica per la stessa delineata sia assorbente rispetto alle altre eventualmente rilevanti [45]. La necessità di identificare una idonea base giuridica sembra dunque emergere solo allorché l’accordo internazionale concluso dall’Unione contenga una clausola che preveda l’omologazione dello Stato terzo al modello dell’economia sociale dimer­cato quale elemento essenziale dello stesso. Inoltre, occorrerà valutare se tale elemento sia idoneo ad alterare il contenuto preponderante dell’atto. Al riguardo, occorre ricordare che, per quanto riguarda la cooperazione allo sviluppo (artt. 208-211 TFUE), l’art. 208, par. 1, dopo aver stabilito, al comma 1, che tale politica è condotta nel quadro dei principi e degli obiettivi del­l’azione esterna [continua ..]


VIII. Osservazioni conclusive sulla condizionalità economica nelle relazioni esterne dell’Unione europea.

A differenza della condizionalità politica e democratica, che ormai costituisce una politica non solo largamente studiata, ma anche formalizzata dalle istituzioni dell’Unione, quella economica è prevista solo raramente in modo esplicito negli atti dell’azione esterna dell’Unione. In pochissimi casi – principalmente, negli accordi del Partenariato orientale – le clausole di condizionalità economica costituiscono elementi essenziali dell’accordo, potendo quindi giustificare la sospensione dello stesso in caso di violazione. In tutti gli altri, la condizionalità economica è esercitata secondo tre diversi schemi: mediante il ricorso a norme dal valore puramente programmatico, che vedono l’economia di mercato tra i principi generali dell’accordo o tra gli elementi su cui lo stesso si basa senza tuttavia ricollegare alla inosservanza delle stesse particolari conseguenze giuridiche; mediante forme meno incisive di condizio­nalità, allorché si prevede un graduale aumento dei vantaggi concessi ai Paesi terzi via via che questi raggiungono l’obiettivo del ravvicinamento delle loro legislazioni alle regole e agli standards europei, o allorché vengono inserite negli accordi clausole modellate sulle regole di funzionamento del mercato interno dell’Unione europea; infine, mediante strumenti di soft law. Nel caso del ricorso a clausole di condizionalità economica individuate quali elementi essenziali degli accordi la motivazione politica sottostante sembrerebbe risiedere nella volontà dell’Unione di assicurarsi che Stati in precedenza appartenenti al blocco sovietico non rappresentino una minaccia alla sua sicurezza. Non è invece chiaramente individuabile la ratio che ispira le altre forme di condizionalità. Sembrerebbe, tuttavia, che la diversa incisività della politica di condizionalità economica sia funzionale al diverso grado di integrazione che l’Unione mira a realizzare con i Paesi terzi. L’assenza di una espressa base giuridica sembrerebbe giustificare la disomogeneità di forme attraverso cui la politica di condizionalità economica è condotta. Nonostante ciò, essa potrebbe trovare un fondamento allorché si adotti un approccio olistico nell’interpretazione dei fini previsti per le singole politiche [continua ..]


NOTE