The present paper deals with the actions for damages against the EU in a specific area of application concerning the damage sustained by natural and legal persons following their inclusion in antiterrorism black lists. The different EU acts containing such restrictive measures have been the object of numerous and successful applications before the Court of Justice of the EU to obtain the annulment of those acts and the consequent delisting of the applicants’names. At the same time, quite often, the applicants have also been willing to seek compensation for material and non-material damages sustained following the illegal freezing of their own funds and financial resources. The paper highlights how the vast majority of those damages actions have been rejected by the Court of Justice of the EU through the application of a more traditional and rigid approach with regard to non-contractual liability of the EU, which, however, did not prevent the General Court, in particular, to undertake, in specific circumstances, an innovative approach, more willing to compensate at least the non-material damage sustained by the applicant; whereas, there are still some difficulties in the award of material damage, because the applicants have still not been able to establish a credible causal link between the conduct complained and the damage pleaded.
I. Le misure restrittive antiterrorismo dell’UE. - II. Il controllo giurisdizionale delle misure restrittive da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea. - III. La responsabilità extra-contrattuale dell’Unione per il danno cagionato dalle misure restrittive: il tradizionale orientamento conservativo della giurisprudenza UE. - IV. (Segue). Un orientamento più innovativo della giurisprudenza UE aperto al risarcimento. - V. Conclusioni. - NOTE
Le misure restrittive nei confronti di persone fisiche e giuridiche sono divenute, nel corso degli ultimi quindici anni, uno strumento di fondamentale importanza per la lotta al terrorismo internazionale e per il raggiungimento degli obiettivi della Politica estera e di sicurezza comune dell’UE, ai sensi del combinato disposto degli artt. 21 e 23 del Trattato sull’Unione europea (TUE). Tali misure, adottate autonomamente dall’Unione europea o in applicazione di una precedente risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sono previste all’interno di atti giuridici, solitamente regolamenti [1], che il Consiglio UE adotta nei confronti di uno o più Stati terzi o di persone fisiche e giuridiche, rispettivamente ai sensi dell’art. 215, parr. 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) [2]. Tale disposizione, infatti, costituisce la base giuridica mediante la quale l’Unione adotta materialmente sanzioni di natura economico-finanziaria nei confronti di Stati terzi (par. 1), persone fisiche e giuridiche (par. 2) [3]. L’art. 215 TFUE, in sostanza, formalizza il doppio livello decisionale già affermatosi nella prassi e consistente in una previa decisione adottata dal Consiglio UE nell’ambito della Politica estera e sicurezza comune (PESC), conformemente al Capo 2 del Titolo V del TUE, la quale determina il contenuto e gli obiettivi delle misure restrittive, seguita dall’adozione di un successivo atto vincolante di attuazione materiale e concreta delle misure in questione da parte dello stesso Consiglio a maggioranza qualificata e su proposta congiunta dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e della Commissione, prevedendo solo un obbligo di informazione del Parlamento europeo. La decisione PESC adottata dal Consiglio costituisce il presupposto giuridico per l’adozione delle sanzioni ma non il loro fondamento giuridico, costituito invece dall’art. 215 TFUE [4]. In mancanza di una decisione PESC, la legittimità di un regolamento adottato ai sensi dell’art. 215 TFUE potrebbe essere contestata dinanzi al giudice UE. Infatti, la presenza di una tale decisione comporta un obbligo di agire per le istituzioni competenti, che sarebbero così private di ogni discrezionalità riguardo l’attuazione o meno dell’atto PESC in questione, [continua ..]
Una base giuridica specifica per i ricorsi alla Corte di giustizia dell’UE avverso i regolamenti contenenti tali misure restrittive è stata introdotta con il Trattato di Lisbona, in particolare all’art. 275, co. 2, TFUE [18]. Tale disposizione, infatti, affida alla Corte di giustizia dell’Unione (il Tribunale, in primo grado) la competenza a pronunciarsi sui ricorsi riguardanti il controllo di legittimità degli atti che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche adottate dal Consiglio nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (titolo V, capo 2 del TUE). Allo stesso tempo, però, la disposizione in questione precisa che le condizioni per tali ricorsi sono quelle di cui all’art. 263, co. 4, TFUE, per cui le persone fisiche e giuridiche devono provare un interesse diretto ed individuale all’annullamento dell’atto impugnato. La dimostrazione di tali condizioni, tuttavia, non è sembrata particolarmente insormontabile per i soggetti in questione, visto che l’innegabile produzione diretta di effetti nella sfera giuridica del ricorrente e la specifica designazione del suo nome all’interno degli elenchi contenuti negli atti in questione appaiono più che evidenti [19]. La Corte di giustizia, a tal proposito, ha più volte ricordato che essa, nell’ambito delle misure restrittive in oggetto, garantisce un controllo in linea di principio completo della legittimità di tutti gli atti dell’UE con riferimento alla tutela dei diritti fondamentali, che costituiscono parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione [20]. Il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, sancito all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, costituisce di certo uno dei diritti di cui la Corte di giustizia dell’UE deve garantire il rispetto nei confronti dei soggetti coinvolti da parte delle istituzioni UE competenti ad adottare misure restrittive. Proprio a tutela dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva di tali soggetti, nelle procedure di adozione delle decisioni di inserimento o mantenimento di nominativi negli elenchi delle misure restrittive antiterrorismo le autorità competenti dell’Unione devono comunicare alle persone interessate gli elementi a loro carico di cui dispongono per [continua ..]
Il controllo giurisdizionale in linea di principio completo nei confronti degli atti contenenti le misure restrittive adottate dall’Unione, sia autonomamente sia in applicazione di precedenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle NU [35], insieme ad un obbligo di motivazione di ampia portata gravante sulle istituzioni UE competenti, hanno prodotto l’effetto di rimuovere non pochi nominativi dagli elenchi, attraverso l’annullamento anche parziale degli atti che li prevedevano da parte del giudice UE. Nonostante ciò, i soggetti rimossi da tali elenchi non hanno avuto molte possibilità di veder sanato il pregiudizio derivante dalla loro inclusione. Infatti, nella maggior parte dei casi in cui i ricorrenti non si erano limitati alla richiesta di annullamento dell’atto UE in questione ma avevano anche lamentato di aver subìto un danno, patrimoniale e non, in seguito al loro coinvolgimento in tali vicende e soprattutto all’inclusione nelle c.d. “liste nere” o black lists, essi non sono quasi mai riusciti ad ottenere un risarcimento del danno conseguente alla constatazione di una responsabilità extra-contrattuale dell’Unione per le azioni poste in essere dalle proprie istituzioni, ai sensi degli artt. 268 e 340, co. 2, TFUE. I motivi per cui ai ricorrenti è stato quasi sempre negato il ristoro del pregiudizio subìto per effetto dell’inclusione nelle black lists sono principalmente due [36]. In primo luogo, in un numero piuttosto cospicuo di casi il giudice UE non ha ritenuto la violazione del diritto dell’Unione come sufficientemente seria o sufficientemente qualificata da accordare un risarcimento pecuniario conseguente a tale violazione [37]. In secondo luogo, i ricorrenti non sono quasi mai riusciti a dimostrare il nesso di causalità tra l’inserimento dei loro nominativi negli elenchi e il danno effettivamente lamentato. Sotto il primo profilo, la Corte ha sottolineato la necessità che sussistano alcune condizioni specifiche affinché possa accordarsi un risarcimento pecuniario conseguente alla violazione del diritto UE; in particolare, occorre che quest’ultima si caratterizzi per la sua gravità e riguardi una norma superiore intesa a tutelare i singoli [38]. La stessa Corte ha giustificato una tale concezione restrittiva della responsabilità dell’Unione [continua ..]
(Segue). Un primo, seppur timidissimo e indiretto, segnale di apertura nei confronti della risarcibilità del c.d. “danno da listing” potrebbe scorgersi nella sentenza della Corte di giustizia, resa dalla Grande Sezione, nella causa Abdulrahim. In tale occasione, il giudice UE sembra aver riconosciuto al ricorrente il diritto ad una certa forma di riparazione del danno morale, in particolare alla reputazione, subìto in conseguenza dell’imposizione di misure restrittive. Tuttavia, nel caso di specie, tale riparazione consiste nella mera riabilitazione derivante al ricorrente dall’accoglimento dell’azione di annullamento dell’atto pregiudizievole adottato nei suoi confronti, e non da un ristoro a carattere monetario. Infatti, secondo la Corte, l’inserimento negli elenchi allegati agli atti UE contenenti misure restrittive nell’ambito della lotta al terrorismo internazionale avrebbe conseguenze negative importanti ed un’incidenza significativa sui diritti e sulle libertà delle persone interessate. Tali misure, oltre a sconvolgere la vita professionale e familiare delle persone interessate, susciterebbero riprovazione e diffidenza, a causa della pubblica designazione delle persone interessate come legate ad un’organizzazione terroristica. Il riconoscimento dell’illegittimità di un atto impugnato contenente misure restrittive, sempre secondo la Corte, sebbene non possa riparare un danno materiale o patrimoniale o un pregiudizio alla vita privata, può nondimeno riabilitare il ricorrente o costituire una forma di riparazione del danno morale dallo stesso subìto in conseguenza di tale illegittimità [59]. La sentenza nella causa Abdulrahim sembra aver lasciato dunque la porta aperta ad un effettivo riconoscimento del risarcimento del danno da listing da parte del giudice UE nei confronti dei soggetti inclusi nelle liste nere antiterrorismo, sebbene non abbia operato poi in concreto alcuna valutazione al riguardo. D’altro canto, la Corte non avrebbe potuto operare in modo diverso, in quanto la questione principale sollevata dinanzi ad essa consisteva solo nel permanere o meno dell’interesse ad agire in capo ad un ricorrente nonostante la sopraggiunta abrogazione dell’atto impugnato [60]. Infatti, oggetto della causa dinanzi alla Corte era un’ordinanza del Tribunale in cui [continua ..]
Il controllo giurisdizionale esercitato dal giudice UE nei confronti degli atti contenenti misure restrittive antiterrorismo adottate dalle istituzioni dell’Unione ai sensi dell’art. 215 TFUE consiste in un controllo, in linea di principio completo, della loro legittimità con riferimento alla tutela dei diritti fondamentali. Ciò implica, come si è sottolineato, che il controllo sulla motivazione degli atti in questione non si limita ad una valutazione finalizzata alla verifica delle forme sostanziali, ma si spinge fino alla verifica della fondatezza della motivazione dell’atto, andando così a sconfinare nella valutazione della legittimità nel merito dell’atto controverso. Come si è avuto modo di vedere, tuttavia, un tale controllo giurisdizionale nei confronti degli atti contenenti misure restrittive antiterrorismo e i loro non infrequenti annullamenti da parte della Corte di giustizia dell’Unione sono stati accompagnati da un atteggiamento rigido dello stesso giudice UE nei confronti delle richieste di risarcimento del danno patrimoniale e non, da parte dei soggetti coinvolti, che ha portato al rigetto della quasi totalità di tali richieste. Le prime aperture in tal senso, sebbene limitate al solo danno non patrimoniale e caratterizzate da non poca timidezza o eccessiva cautela, si sono avute con le sentenze Kadi e Abdulrahim, prima che il Tribunale, con la sentenza Safa Nicu Sepahan, deliberasse per la prima volta un risarcimento pecuniario del danno non patrimoniale, ritenendo che l’annullamento dell’atto impugnato possa costituire per il ricorrente un risarcimento solo parziale del danno morale subìto in seguito all’illegittima presenza del proprio nome in una black list. L’apertura del Tribunale in quest’ultima sentenza ha certamente costituito un passo in avanti per quanto riguarda il risarcimento del danno morale da listing, timido nei risultati, vista l’esigua quantificazione, ma pur sempre un passo in avanti, considerando che si tratta del primo esempio di risarcimento a carattere pecuniario. Proprio in funzione di tali elementi, tuttavia, sarà interessante vedere come si pronuncerà la Corte di giustizia, dinanzi alla quale la Safa Nicu Sepahan ha impugnato la sentenza del Tribunale con ricorso presentato il 4 febbraio 2015 [78]. Nell’impugnazione, la ricorrente ha [continua ..]