There is no contradiction between the ECJ’s Lucchini case-law of non-application of national res judicata invasive of Community competence on state aid and the principle of procedural autonomy, because the obligation of interpretation in conformity with UE law requires the interpreter to apply extensively – in similar abnormal proceedings where is involved the interest of a third party excluded from the process – the case-law of national courts concerning the ineffective (inutiliter datum) judgment.
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I. La sentenza Pizzarotti: un approccio didascalico senz'altro utile a risolvere un dubbio interpretativo dogmaticamente male impostato - II. L'effetto utile dell'effetto diretto delle norme europee e la certezza del diritto: un problema d’interpretazione conforme - III. L'autonomia processuale degli Stati membri alla prova dei fatti - IV. La giurisprudenza della Corte di giustizia sull’'autorità di cosa giudicata - V. La quadratura del cerchio (o meglio, l'interpretazione conforme): la sentenza inutiliter data - NOTE
Nuovamente sollecitata dal nostro giudice nazionale a risolvere un dubbio interpretativo in un ambito che probabilmente riteneva di avere già sufficientemente chiarito, la Corte di giustizia è da ultimo ancora intervenuta sul delicato rapporto tra il principio di autonomia procedurale degli Stati membri e l’effetto utile dell’effetto diretto del diritto europeo: unaliaison dangereuse riflessa attraverso il prisma dell’effetto preclusivo del giudicato nazionale della rivalutazione postuma di situazioni giuridiche soggettive euro-sensibili. Si trattava, nel concreto, di una controversia che impingeva sulla violazione della direttiva 93/37/CEE, a proposito della definizione di ciò che costituisce appalto pubblico di lavori, in tal modo contribuendo a individuarne il perimetro di applicazione. La peculiarità del caso controverso stava nel fatto che l’autore della trasgressione della normativa europea era il commissario ad acta nominato nell’ambito di un giudizio di ottemperanza a una sentenza del giudice amministrativo, che aveva malamente applicato il diritto degli appalti pubblici. Nello specifico, l’elemento più caratteristico della controversia era, dunque, che l’ausiliario del giudice si era fatto, in tale ambito, fedele interprete del dictum giudiziale, ma proprio perciò aveva violato la norma comunitaria. Sicché, il contrasto si realizzava, appunto, tra la sentenza passata in giudicato e il diritto europeo degli appalti pubblici. Ebbene, sull’abbrivio di questi specifici impulsi caratteristici del giudizio di ottemperanza (inteso quale giudizio a formazione progressiva), la Corte di giustizia ha tradotto nel caso concreto il principio d’interpretazione conforme attraverso la statuizione che “[se] il giudice del rinvio … può, a determinate condizioni, completare il disposto originario di una delle sue sentenze con decisioni di attuazione successive, dando luogo a quel che chiama “giudicato a formazione progressiva” … il medesimo giudice è tenuto, alla luce del principio di equivalenza, ad applicare detta modalità privilegiando, fra le “molteplici e diverse soluzioni attuative” di cui tale decisione può essere oggetto secondo le sue proprie indicazioni, quella che, conformemente al principio di effettività, garantisce l’osservanza della [continua ..]
Il primato del diritto materiale dell’Unione europea rischierebbe d’essere una mera petizione di principio se non fosse adeguatamente assistito da un’efficace norma processuale (inteso il processo in senso lato come “… l’ensemble des moyens de contrainte légale qui, dans chaque Etat membre, assure le respect du droit en cas de conflit à propos de son application”) [5]. Questa è la ragione per cui l’autonomia processuale degli Stati membri è stata conformata dalla sempre più stringente giurisprudenza della Corte di giustizia in una competenza procedurale funzionalizzata [6]: nell’ambito del cui perimetro di discrezionalità normativa l’originalità di ogni sistema nazionale di diritto processuale è fortemente condizionata dalle esigenze dell’effetto utile dell’effetto diretto della norma europea di diritto materiale, rese prescrittive dall’obbligo di interpretazione conforme. Vi sono, in effetti, diversi istituti processuali e procedurali di diritto nazionale che ostacolano il piano dispiegarsi dell’effetto utile dell’effetto diretto della norma europea di diritto materiale. L’acme di un simile attrito si registra, però, in tre collegate sfere di operatività del diritto amministrativo nazionale incidente su situazioni giuridiche soggettive di rilevanza comunitaria: l’autotutela decisoria, la disapplicazione dei provvedimenti inoppugnabili e il giudicato. Invero, così come il discrezionale rifiuto di esercitare la pubblica potestà di autotutela su provvedimenti amministrativi viziati per violazione di una norma dell’Unione europea confligge con il principio dell’effetto utile dell’effetto diretto della norma violata e quindi mette in discussione il fondamentale principio di effettività di quella norma, altrettanto è a dirsi della negazione della potestà di disapplicazione nel processo di provvedimenti amministrativi non ritualmente impugnati e nondimeno violativi di situazioni giuridiche soggettive di rilevanza comunitaria, come pure il giudicato che abbia malamente applicato la norma europea e che impedisca di rimettere in discussione una situazione giuridica soggettiva pregiudizievole di primari interessi comunitari, quali ad esempio quello del mercato unico europeo e della libera concorrenza con [continua ..]
L’Unione europea segue un approccio di tipo funzionalista [10] nell’ambito di un regime di competenze che è teleologicamente orientato al perseguimento degli obiettivi comunitari, specie (ma non solo) per ciò che concerne la realizzazione del mercato comune, acquisendo per tale sua caratteristica una formidabile potenzialità espansiva dei propri ambiti d’intervento, secondo la teoria dei così detti poteri impliciti [11]. Si giustificano così le continue incursioni del legislatore comunitario nella disciplina degli appalti pubblici, che hanno, in effetti, eroso una significativa porzione della competenza legislativa dei singoli Stati membri anche nell’ambito della disciplina processuale, che pure secondo il regime delle competenze delineato dai trattati non spetta all’Unione europea di regolamentare. Se la logica dell’approccio funzionale giustifica una lettura blanda del regime delle attribuzioni dell’Unione europea, di contro l’assetto istituzionale dei rapporti tra gli Stati membri, nell’attuale fase storica di evoluzione delle istituzioni comunitarie, non consente di declinare al passato un altro dei fondamentali principi su cui si fonda la convivenza dei diversi ordinamenti nazionali all’interno della sovrastruttura ordinamentale europea: vale a dire, il principio di autonomia procedurale degli Stati membri. Al proposito, proprio a smentire coloro che, in reazione agli interventi sempre più invasivi della Corte di giustizia si erano precipitati a suonare il de profundis dell’autonomia procedurale, e in particolare di quella sua declinazione nel processo ove sono coinvolte situazioni giuridiche soggettive di rilevanza europea, acuta dottrina, all’esito di attenta esegesi della giurisprudenza comunitaria, aveva significativamente negato che si potesse volgere il pensiero all’autonomia procedurale degli Stati membri con un senso di nostalgia da paradiso perduto [12]. In realtà, l’autonomia procedurale degli Stati membri costituisce, ancora oggi, il codice genetico dello sviluppo organico di ogni sistema di giustizia amministrativa nazionale, ove i giudici che sono chiamati a tutelare chi è stato leso in una situazione giuridica soggettiva di rilevanza europea devono operare quali “giudici decentrati” del diritto comunitario [13]. Allo scopo di perseguire [continua ..]
La Corte di giustizia si è occupata in più di un’occasione del principio dell’autorità di cosa giudicata, inizialmente nel solco del principio dell’intangibilità del giudicato ancorché in violazione del diritto europeo [35]. Solo, da ultimo, si è avvertito un cambio di rotta e un’invasione dell’autonomia procedurale degli Stati membri, che a quel principio sono tradizionalmente ispirati [36]. Una prima volta, con la sentenza Köbler del 2003 [37], a fronte dell’obiezione degli Stati membri dell’incompatibilità di una loro responsabilità per le decisioni dei propri organi giurisdizionali con il principio dell’autorità della cosa giudicata, la Corte di giustizia – ancorché ribadendo che “… l’importanza del principio dell’autorità della cosa definitivamente giudicata non può essere contestata [perché], al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione” [38], e pure riconoscendo che “considerazioni collegate al rispetto del principio dell’autorità della cosa definitivamente giudicata … possono avere ispirato ai sistemi giuridici nazionali restrizioni, talvolta severe, alla possibilità di far dichiarare la responsabilità dello Stato per danni causati da decisioni giurisdizionali erronee” [39] – ha nondimeno concluso che “il riconoscimento del principio della responsabilità dello Stato per la decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado non ha di per sé come conseguenza di rimettere in discussione l’autorità della cosa definitivamente giudicata di una tale decisione” [40]. Con riguardo a questo primo arresto giurisprudenziale è, però, evidente la forzatura di chi ha avvertito come “una tale estensione del principio di responsabilità metta in discussione l’autorità del dictum e la giustezza di una pronuncia definitiva” [41]. Invero, l’affermazione giudiziaria di [continua ..]
All’esito del descritto percorso giurisprudenziale, la Corte di giustizia, con la recente sentenza Pizzarotti, ha ribadito il principio dell’intangibilità del giudicato. E la sentenza Lucchini, allora? Quell’apparente [63] eresia [64] si svela ora in tutta la sua inoffensività. La Corte di giustizia nella sentenza Pizzarotti si è fatta altresì carico di spiegare quell’apparente contraddizione, affermando che quanto ora da essa statuito non contraddice quel suo precedente, perché “è stato in una situazione del tutto particolare … che la Corte ha statuito, in sostanza, che il diritto dell’Unione osta all’applicazione di una disposizione nazionale, come l’art. 2909 del codice civile italiano, che mira a consacrare il principio dell’intangibilità del giudicato, nei limiti in cui la sua applicazione impedirebbe il recupero di un aiuto di Sato concesso in violazione del diritto dell’Unione e dichiarato incompatibile con il mercato comune da una decisione della Commissione europea divenuta definitiva. La presente causa, invece, non solleva simili questioni di ripartizione delle competenze” [65]. Questa conclusione era del resto già stata anticipata da autorevole dottrina [66], che aveva, infatti, evidenziato come la pronuncia in questione si inquadrasse nel contesto specifico della giurisprudenza comunitaria in tema di recupero di aiuti illegittimi, e soprattutto aveva sottolineato come la ragione giustificatrice di una sentenza (solo) apparentemente eversiva fosse in realtà da individuare nella peculiarità della controversia, che era appunto caratterizzata dalla contraddizione fra la sentenza del giudice nazionale e la decisione incontrovertibile della Commissione: che cioè, per dirla con le parole della Corte di giustizia, si trattasse primariamente di una questione di “ripartizione delle competenze” [67]. Si è con ciò chiarito l’equivoco, ma il problema permane, ed è bene rivelato dalla concorrente statuizione della Corte di giustizia, sempre nel caso Pizzarotti, ove essa appunto precisa che, fermo l’effetto preclusivo del giudicato, “se le norme procedurali interne applicabili glielo consentono, un organo giurisdizionale nazionale, come il giudice del rinvio, che abbia statuito in ultima [continua ..]