This essay shows how the Court of Justice pays attention to Member States’ procedural law and substantive law. As far as procedural law is concerned, the Court of Justice is bound, due to the principle of conferral, to respect the procedural autonomy of the Member States and to restrictively apply the limits that it sets to that principle. Consequently, the Court of Justice only exceptionally considers that respect of the res judicata in the Member States may not be applied. As far as substantive law is concerned, the Court operates in the opposite way: i.e., it deems the respect of the Member States’ constitutional identity as an exceptionally admitted justification of the violation of the EU rules on free movement. After having recalled that the Court’s position has recently faced strong disapproval, the author stresses that such disapproval is shared by the Bundesverfassungsgericht in its order in Gauweiler. In addition, the author indicates the reasons why, in the light of the ruling delivered by the Court of Justice in the same case, the German Constitutional Court should not persist in maintaining the position taken in its order.
I. L’attenzione bilanciata della Corte di giustizia al diritto procedurale e sostanziale degli Stati membri. - II. Il riconoscimento, in via di principio, dell’autonomia procedurale degli Stati membri. - III. Il principio generale dell’intangibilità del giudicato nazionale. - IV. Il caso By¬ankov. - V. L’integrazione portata al diritto processuale degli Stati membri dalla Corte di giustizia. Le sentenze Oleificio Borelli, Transportes Urbanos e Melloni. - VI. La posizione della Corte di giustizia con riferimento al diritto sostanziale degli Stati membri e il rispetto della loro identità nazionale. - VII. Il caso Omega. - VIII. L’invocabilità del rispetto dell’identità costituzionale degli Stati membri come giustificazione della violazione di libertà di circolazione, eccezionalmente ammessa dalla Corte di giustizia. - IX (Segue). La forte recente contestazione di tale orientamento giurisprudenziale. - X. (Segue). Il riscontro che tale contestazione trova nel rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale tedesca nel caso Gauweiler. - XI. La sentenza Gauweiler e un suo possibile seguito positivo da parte della Corte costituzionale tedesca. - XII. Le conseguenze di un riscontro negativo alla sentenza Gauweiler: il rischio di annullamento del carattere eccezionale del seguito dato alla sentenza Landtovà e l’effetto a valanga che ne potrebbe derivare. - NOTE
L’atteggiamento della Corte di giustizia nei confronti del diritto degli Stati membri si è espresso distintamente a seconda che si sia trattato di diritto processuale o di diritto materiale. Vale la pena di considerare l’atteggiamento che essa ha assunto al riguardo a partire dal momento in cui la Corte costituzionale italiana, con la sentenza Granital [2], superando la precedente posizione di difesa radicale della sovranità nazionale, si è avvicinata alle affermazioni del primato del diritto comunitario sul diritto interno espresse nelle pronunce della Corte di giustizia Van Gend en Loos [3], Costa c. Enel [4] e Simmenthal [5]. Da quel momento la Corte costituzionale ha riconosciuto che le «le disposizioni della CEE, le quali soddisfano i requisiti dell’immediata applicabilità, devono, al medesimo titolo, entrare e permanere in vigore nel territorio italiano, senza che la sfera della loro efficacia possa essere intaccata dalla legge ordinaria dello Stato» [6] e ha precisato che «[n]on importa, al riguardo, se questa legge sia anteriore o successiva» [7]. L’affermazione, così fatta dalla Corte costituzionale italiana, seguita nel 1986 dalla Corte costituzionale tedesca, non è però arrivata a coincidere con la posizione della Corte di giustizia, secondo cui «in forza del principio della preminenza del diritto comunitario, le disposizioni del trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l’effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli Stati membri, non solo di rendere ipso iure [e indipendentemente dall’intervento del giudice] inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche – in quanto dette disposizioni e detti atti fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell’ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri – di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie» [8]. La Corte costituzionale, anche in questo sostanzialmente seguita, prima dalla Corte costituzionale tedesca [9], e, poi, dalla maggior parte delle altre corti supreme nazionali, ha [continua ..]
Con riferimento al diritto processuale degli Stati membri la Corte di giustizia si è espressa sia per riconoscerne, sia per limitarne o per integrarne l’applicazione in relazione a casi in cui i giudici nazionali siano chiamati a dare attuazione a norme dell’Unione o ad esprimersi in relazione a situazioni giuridiche da esse previste. La Corte di giustizia ha proceduto al riconoscimento della necessità di un’applicazione al riguardo del diritto processuale di detti Stati deducendo dal principio di attribuzione la loro autonomia procedurale. Per la Corte, stante che i trattati istitutivi e gli atti di diritto derivato adottati sulla loro base non contengono regole dirette ad armonizzare il diritto processuale degli Stati membri, i giudici nazionali, per la tutela di posizioni soggettive assicurata dal diritto UE, devono applicare il proprio diritto processuale. Ciò a meno che non siano costretti a fare diversamente dal fatto che, per effetto del processo di integrazione europea, l’esercizio di competenze processuali nazionali, quando implichi l’interpretazione o l’applicazione del diritto dell’Unione, deve necessariamente avvenire sulla base di un suo inquadramento ad opera di tale diritto e in particolare nel rispetto dei suoi principi fondamentali [11]. Una chiara manifestazione dell’attenzione che la Corte di giustizia porta all’autonomia procedurale degli Stati membri può essere chiaramente colta nel rispetto da essa prestato ai principi della certezza giuridica e della cosa giudicata nazionale nel caso Kühne & Heitz [12]. In questo caso la Corte ha affermato che i giudici nazionali potevano derogare a quei principi solo a condizione che a) l’autorità amministrativa che aveva adottato la decisione su cui i giudici nazionali si erano definitivamente pronunciati disponesse del potere di ritornare su tale decisione, b) la decisione in questione fosse divenuta definitiva in seguito ad una sentenza di un giudice nazionale statuente in ultima istanza, c) tale sentenza, alla luce di una giurisprudenza della Corte di giustizia successiva alla medesima, risultasse fondata sull’interpretazione errata del diritto comunitario adottata senza che la Corte fosse previamente adita in via pregiudiziale e d) l’interessato si fosse rivolto all’organo amministrativo immediatamente dopo essere stato informato di detta [continua ..]
La Corte di giustizia, successivamente, ad esempio nelle cause Köbler [14], Kapferer [15], e Asturcom [16], ha precisato che il principio dell’intangibilità del giudicato nazionale è stato assunto anche come principio generale dell’ordinamento giuridico comunitario puntualizzando che, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali nazionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere messe in discussione [17]. Non si può ritenere che questo generale atteggiamento di rispetto della cosa giudicata nazionale abbia trovato una deroga nelle pronunce rese dalla Corte nella causa Lucchini [18] e, successivamente, nelle cause Fallimento Olimpiclub [19] e Klausner Holz [20]. Nel caso Lucchini si era in presenza di una sentenza del Tribunale di Roma del 1991 confermata dalla Corte d’Appello con una sentenza del 1994 passata in giudicato perché non impugnata. Questa sentenza aveva ritenuto legittimo, perché conforme ad una legge italiana del 1976, un aiuto che, con una decisione del 1990 nel frattempo divenuta definitiva perché anch’essa non impugnata, la Commissione aveva dichiarato illegittimo. Dando seguito alla decisione della Commissione l’amministrazione italiana aveva chiesto con decreto la restituzione di quell’aiuto. Avendo la Lucchini impugnato questo decreto, la questione di stabilire se la decisione definitiva della Commissione del 1990 dovesse prevalere sulla pronuncia passata in giudicato della Corte d’Appello di Roma è pervenuta al Consiglio di Stato il quale, al riguardo, ha sottoposto la questione in via pregiudiziale alla Corte di giustizia. Questa vi ha dato risposta positiva trascurando che, in senso contrario, sullo stesso problema concreto si era espressa una sentenza italiana passata in giudicato. Essa, però, nella motivazione, ha messo in evidenza che, con tale atteggiamento, non ha inteso derogare al principio del rispetto della cosa giudicata nazionale, ma far fronte ad una situazione eccezionale caratterizzata dal fatto che: a) la Corte d’Appello di Roma, con [continua ..]
Una situazione diversa si è avuta nel caso Byankov [28], in cui si è posto, non un problema di riconoscimento dell’autonomia processuale degli Stati membri, ma quello di limiti ad essa posti. In quel caso si era in presenza di un provvedimento amministrativo coercitivo bulgaro che aveva sancito un divieto permanente e assoluto di espatrio per un cittadino bulgaro che aveva un debito nei confronti di un connazionale e non era in grado di prestare garanzia al riguardo. La Corte ha innanzitutto accertato che quel provvedimento, dato il suo carattere permanente, dovesse considerarsi incompatibile con la libertà di circolazione delle persone, anche perché contrario al principio di proporzionalità. In considerazione poi del fatto che, secondo una norma processuale nazionale, esso, perché non tempestivamente impugnato in sede giudiziaria, doveva considerarsi definitivo nonostante la sua illegittimità comunitaria, lo ha ritenuto contrario al principio di effettività in quanto ha ritenuto che avesse l’effetto di impedire a tempo indeterminato, ed in termini assoluti, la libera circolazione a un cittadino dell’Unione.
I casi in cui la Corte, agli effetti dell’applicazione del diritto sostanziale comunitario (oggi dell’Unione), ha integrato il diritto processuale degli Stati membri sono tanti [29]. Mi limiterò a fare riferimento, per quanto riguarda le prese di posizione meno recenti, a citare il caso Oleificio Borelli [30], interessante il diritto processuale italiano e, per quanto riguarda quelle più recenti, i casi Transportes Urbanos [31] e Melloni [32], interessanti il diritto processuale spagnolo. Nel primo caso un atto della Commissione aveva respinto una domanda dell’Oleificio Borelli di beneficiare di un contributo FEOGA in ragione del fatto che il Consiglio nazionale della Liguria aveva adottato al riguardo un parere negativo. Quell’impresa non poteva impugnarlo davanti ai giudici italiani perché in Italia i pareri, in quanto atti preparatori, non sono suscettibili di ricorso giudiziario. Impugnava allora davanti alla Corte di giustizia l’atto della Commissione ritenendolo viziato dall’illegittimità del parere della Regione Liguria sostenendo che, ove il suo ricorso non fosse stato accolto, essa sarebbe stata priva di qualsiasi tutela giurisdizionale. La Corte ha dato riscontro al ricorso statuendo che è compito dei giudici di uno Stato membro statuire sulla legittimità di un atto quale il parere in questione conformemente alle modalità di controllo giurisdizionale applicabili a qualsiasi atto definitivo di autorità di quello Stato che possa arrecare pregiudizio a terzi e che, di conseguenza i giudici nazionali devono considerare ricevibile il ricorso proposto, anche se le norme procedurali nazionali non lo prevedono in un caso del genere. Nel caso Transportes Urbanos, l’impresa Transportes Urbanos aveva perduto il diritto a domandare una rettifica della sua autoliquidazione di un debito fiscale perché era scaduto il limite di 4 anni entro i quali la legge spagnola prevedeva potesse esercitarlo. Questa legge era però stata successivamente dichiarata incompatibile con il diritto dell’Unione (VI direttiva IVA) da una sentenza della Corte di giustizia. Transportes Urbanos aveva allora promosso un’azione di responsabilità davanti al Consiglio dei Ministri il quale aveva respinto la sua richiesta in quanto, secondo la giurisprudenza spagnola, le azioni di [continua ..]
Il principio del rispetto dell’identità costituzionale degli Stati membri è stato invece invocato davanti alla Corte di giustizia, accanto a quello del rispetto delle c.d. norme imperative nazionali, come limite all’applicazione di norme di diritto sostanziale dell’UE (o come controlimite, intendendo così la sua funzione opposta alla funzione di limite che le norme dell’Unione direttamente applicabili esercitano rispetto all’applicazione di norme degli Stati membri). Rispetto a quanto visto sopra con riferimento alla considerazione da parte della Corte di giustizia del diritto procedurale degli Stati membri la situazione, per quanto concerne questa ulteriore problematica, appare, in qualche modo, rovesciata. La normativa da applicarsi in linea di principio non è più quella nazionale ma quella dell’Unione; di conseguenza, davanti a tale normativa e alle situazioni giuridiche che essa comporta con riferimento alle persone fisiche e giuridiche, l’identità costituzionale o nazionale e le norme imperative degli Stati membri sono compresse e limitate in ragione della prevalenza che in linea di principio è riconosciuta alle norme dell’Unione provviste di effetti diretti. Pertanto, è per questo che l’atteggiamento della Corte di giustizia si concreta più specificamente in un’analisi di norme o principi degli Stati membri per stabilire in quale misura alle esigenze da loro espresse debba riconoscersi un carattere più essenziale rispetto a quelle espresse dal diritto dell’Unione. Mentre nei casi in cui deve stabilire il rapporto tra il diritto processuale nazionale e il diritto comunitario, per il riconoscimento in principio dell’autonomia processuale e per il rilievo che il diritto dell’Unione può assumere eccezionalmente come limite ad essa, l’analisi della Corte deve necessariamente concentrarsi su una verifica di quanto eccezionalmente imposto dal diritto dell’Unione, nei casi in cui deve stabilire il rapporto tra diritto comunitario e diritto sostanziale nazionale la Corte deve particolarmente verificare l’attendibilità anche in un’ottica comunitaria di quanto richiesto dal diritto nazionale. Non illustrerò, in questa sede, i casi in cui la Corte ha riconosciuto che il diritto sostanziale degli Stati membri, nel rispetto del principio di proporzionalità, [continua ..]
Prima di dette due sentenze la Corte di giustizia era stata chiamata a tener conto dell’identità costituzionale degli Stati membri nella pronuncia pregiudiziale Omega [43] in cui veniva in considerazione la tutela della dignità umana a giustificazione di un provvedimento tedesco di limitazione dell’esercizio della libertà di prestazione di servizi e di circolazione delle merci per la ragione che i giudici aditi delle controversie principali avevano chiesto se, rispetto a tali libertà, potessero far prevalere l’esigenza di una tale tutela in quanto conforme a disposizioni della Costituzione tedesca. La Corte, però, non aveva dato espresso ed autonomo rilievo a queste disposizioni costituzionali agli effetti della risposta da dare alla questione sottopostale in quanto l’ordinamento giuridico comunitario è diretto innegabilmente ad assicurare tutela alla dignità umana quale principio generale del diritto, desunto dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e, pertanto, non poteva essere rilevante che in Germania tale tutela benefici di uno status particolare in quanto diritto previsto costituzionalmente. Con il provvedimento oggetto di considerazione nel caso Omega, le autorità tedesche avevano vietato i giochi che si svolgevano nei locali gestiti dalla società Omega, ritenuti un pericolo per l’ordine pubblico in quanto essi simulavano atti di omicidio attraverso un modello di gioco e di servizi forniti da una ditta britannica. Il Bundesverwaltungsgericht, chiedendo alla Corte di pronunciarsi, ha evidenziato di avere considerato necessario farlo in quanto la società Omega, a fronte del provvedimento che l’ha riguardata, ne ha eccepito l’incompatibilità con il diritto comunitario in ragione del fatto che la società britannica poteva legittimamente fornire servizi simili nello Stato membro in cui aveva sede. Secondo la società Omega quanto considerato conforme all’ordine pubblico in un Paese membro agli effetti della prestazione di servizi deve esserlo pure negli altri, stante che, come rilevato dalla Corte di giustizia nella sentenza Schindler [44], una limitazione alla libera prestazione di servizi deve essere giustificata da una nozione comune del diritto. La Corte di giustizia, in uno spirito di comprensione [continua ..]
Nel caso Sayn-Wittgenstein si era in presenza di un ricorso di una cittadina austriaca contro una rettifica dell’iscrizione nel registro dello stato civile di Vienna del cognome – comprendente un titolo nobiliare (Fürstin von), considerato in Germania quale suo elemento costitutivo – che aveva legittimamente acquisito a seguito di un’adozione in quel Paese dove da lungo tempo risiedeva. La ricorrente aveva indicato di avere usato indistintamente quel cognome, figurante da quindici anni nel proprio passaporto austriaco, nei suoi spostamenti e nell’esercizio di attività economiche svolte all’interno della Comunità e aveva fatto valere che la relativa modifica pregiudicava il suo diritto di cittadina dell’Unione di circolare in essa liberamente a norma dell’art. 21, n. 1, TFUE. La Corte ha accolto i rilievi della ricorrente nella causa principale; ha riconosciuto che il comportamento tenuto dalle autorità austriache costituiva una restrizione delle libertà attribuite dall’art. 21 TFUE ad ogni cittadino dell’Unione. Ha però considerato fondata la giustificazione avanzata dall’Austria secondo cui tale restrizione doveva considerarsi basata su una considerazione oggettiva correlata alla legge sull’abolizione della nobiltà che in Austria ha valore di una norma costituzionale e attua in tale settore il principio di uguaglianza. Considerato che tale giustificazione deve essere intesa come un’invocazione del limite dell’ordine pubblico la Corte a) ha ribadito che le circostanze specifiche atte a permetterne l’applicazione possono variare da uno Stato membro all’altro [46] e b) ha ricordato che l’Unione «rispetta l’identità nazionale dei suoi Stati membri, nella quale è inclusa anche la forma repubblicana dello Stato» [47]. Ha così confermato l’atteggiamento di comprensione nei confronti dei sentimenti e dei valori affermatisi particolarmente in uno Stato membro a differenza che in altri, espresso con la sentenza Omega. Con la sentenza Runevič-Vardyn e Wardyn la Corte si doveva pronunciare su una domanda di pronuncia pregiudiziale con cui i giudici lituani ponevano la questione della conformità al diritto comunitario di una legislazione del loro paese che imponeva la redazione degli atti di stato civile [continua ..]
(Segue). Facendo particolare riferimento alle pronunce Sayn-Wittgenstein e Runevič-Vardyn e Wardyn, nel contributo in onore di Vassilios Skouris, di cui si è detto sopra, in via prioritaria e decisiva, si sostiene che, in materia, occorre tener conto dell’obbligo dell’Unione di rispettare l’identità nazionale degli Stati membri, evidentemente implicando che anche la Corte abbia dovuto farlo, nonostante essa abbia formalmente qualificato l’invocazione dell’identità nazionale degli Stati membri in questione come una causa giustificativa del non rispetto di libertà fondamentali dell’Unione. Ad avviso dell’autore di tale contributo, la premessa di una gerarchia tra il diritto europeo e il diritto nazionale, implicata dal principio del primato, è falsa. Sempre secondo questo autore, a) la clausola di identità nazionale sancita da detto art. 4, par. 2, a suo parere, costituisce l’equivalente, al livello dell’ordinamento giuridico dell’Unione, delle disposizioni costituzionali degli Stati membri che introducono il diritto dell’Unione nell’ordinamento costituzionale nazionale e b) l’interazione tra tale clausola, che apre la porta al diritto costituzionale nazionale nel diritto dell’Unione, e le disposizioni costituzionali nazionali che permettono al diritto dell’Unione di prendere effetto negli Stati membri, costituisce il fondamento dell’insieme costituzionale europeo [49].
(Segue). Questa tesi non può essere trascurata in quanto ha trovato un puntuale riscontro nell’atteggiamento che la Corte costituzionale tedesca ha assunto facendo per la prima volta rinvio alla Corte di giustizia nel caso Gauweiler [50]. In tale caso, come noto, la Corte costituzionale tedesca ha chiesto ai giudici del Lussemburgo di pronunciarsi sulla legittimità delle decisioni con cui la Banca Centrale Europea ha varato il Programma OMT. A suo avviso, tali decisioni, in quanto adottate senza autorizzazione del Parlamento della Repubblica federale, violerebbero il principio di democrazia sancito nella legge fondamentale di quel Paese a cui corrispondono diritti fondamentali dei cittadini tedeschi da cui quel Parlamento è eletto e pregiudicherebbero, in tal modo, l’identità costituzionale tedesca, il rispetto della quale, sempre a suo avviso, costituisce un limite assoluto all’applicabilità del diritto dell’Unione in Germania. A specificazione del proprio assunto e della propria richiesta, la Corte costituzionale tedesca a) ha puntualizzato che il contrasto di dette decisioni con la Costituzione tedesca non si verificherebbe ove la Corte di giustizia affermasse che le misure BCE, per essere legittime, non devono implicare una riduzione del debito dello Stato loro beneficiario, l’acquisto di titoli di uno Stato membro in quantità illimitata e la fissazione dei prezzi di tali titoli sul mercato e b) ha precisato in modo marcato che solo la fissazione da parte della Corte di giustizia di limitazioni di tal genere le potrà evitare di considerare quelle decisioni incompatibili con l’identità costituzionale tedesca. Con questo, la Corte costituzionale tedesca non ha solo assunto una posizione coincidente con quanto sostenuto nel contributo più volte sopra citato (inesistenza di una gerarchia tra diritto europeo e diritto nazionale) ma si è riservata il diritto di avere l’ultima parola in materia, con la possibile conseguenza che, nonostante una pronuncia contraria della Corte di giustizia, essa dichiari che quelle decisioni non sono applicabili in Germania per contrasto con l’identità costituzionale di questo Paese. A fronte di questa riserva i Paesi Bassi, l’Italia e la Spagna hanno sostenuto che a) la domanda pregiudiziale della Corte costituzionale tedesca era irricevibile perché [continua ..]
A fronte del puntuale ascolto che a questo modo la Corte di giustizia ha prestato alle preoccupazioni espresse nella richiesta di pronuncia pregiudiziale rivoltale e degli elementi da essa forniti per considerarle superate, non è ragionevolmente pensabile che la Corte costituzionale tedesca non ne tenga conto. Non si può, peraltro, non condividere quanto espresso nelle conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalòn secondo cui sarebbe difficile preservare l’Unione europea se si accettasse l’idea espressa nel rinvio effettuato dalla Corte costituzionale secondo cui l’efficacia del diritto europeo in Germania e, più in generale, nei Paesi dell’Unione, è soggetta al rispetto della loro identità costituzionale inteso come un limite assoluto lasciato alla loro piena discrezione. L’inaccettabilità di quest’idea del Bundeverfassungsgericht trova peraltro conferma nei seguenti dati: 1) nel corso del procedimento davanti alla Corte di giustizia il governo tedesco non ha condiviso la posizione espressa dalla propria Corte costituzionale; 2) in una procedura pregiudiziale svoltasi davanti alla Corte di giustizia nel caso DEB [52] lo stesso governo tedesco ha ammesso che la tutela dell’effettività del diritto dell’Unione fa parte degli interessi generali che l’ordinamento tedesco ritiene necessario salvaguardare; 3) l’identità costituzionale di ciascuno Stato membro dell’Unione, grazie alla scelta di far parte dell’Unione, si è arricchita dei valori dell’integrazione europea [53]; 4) nella sua opinione dissidente espressa con riferimento alla posizione contenuta in materia nel provvedimento di rinvio alla Corte di giustizia il giudice Lübbe-Wolff ha, in modo difficilmente confutabile, osservato che appare come un’anomalia del tutto discutibile che un numero ristretto di giudici indipendenti – invocando l’interpretazione tedesca di democrazia – possano da soli adottare una decisione di incalcolabili conseguenze per la moneta euro e per le economie da essa dipendenti [54]. In linea con tali dati l’analisi sulla compatibilità di atti dell’Unione con l’identità costituzionale di uno Stato membro, anche se può presentare aspetti particolari e implicare un’attenzione specialmente [continua ..]
Ci si deve augurare che la Corte costituzionale tedesca, dando seguito alla pronuncia della Corte di giustizia, eviti quanto ha prospettato nella sua ordinanza di rinvio. Una tale sua posizione, infatti, farebbe apparire meno eccezionale l’epilogo della saga delle pensioni slovacche che è stata caratterizzata dal conflitto verificatosi nella Repubblica ceca tra la Corte costituzionale e la Corte suprema amministrativa a seguito della pronuncia resa dalla Corte di giustizia nel caso Landtovà [56]. In quel caso la Corte di giustizia era richiesta dalla Corte suprema amministrativa ceca di pronunciarsi in relazione ad una controversia tra la Signora Landtovà, cittadina ceca, residente nella Repubblica ceca, e l’Istituto di previdenza sociale ceco. La Signora Landtovà contestava che le fosse attribuita una pensione di vecchiaia nei termini previsti dal diritto slovacco in ragione di quanto previsto dall’allegato III ad un regolamento comunitario che recepisce l’art. 20 della Convenzione del 1992 che regola la scissione della Cecoslovacchia. Tale articolo avrebbe per lei comportato l’applicazione del trattamento pensionistico slovacco. In luogo di quanto così previsto dal diritto dell’Unione, la Signora Landtovà invocava una pronuncia della Corte costituzionale ceca del 2005, a lei molto più favorevole, secondo cui l’art. 20, n. 1, della Convenzione deve essere applicato nel senso che laddove un cittadino ceco soddisfi i requisiti di legge per la nascita del diritto alla pensione e tale diritto in base al diritto nazionale (ceco) sia più elevato di quello in base alla Convenzione, compete all’istituto di previdenza ceco di assicurargli quel trattamento pensionistico. La Corte suprema amministrativa ceca, a cui il caso era pervenuto, ha chiesto alla Corte di giustizia di pronunciarsi sulla compatibilità della regola risultante da detta sentenza della Corte costituzionale col diritto dell’Unione. I giudici del Lussemburgo hanno risposto in senso negativo per la ragione che la regola risultante dalla decisione costituzionale invocata dalla Signora Landtovà consente un’integrazione delle prestazioni di vecchiaia unicamente ai cittadini cechi e non a tutti i cittadini dell’Unione. Il 6 novembre 2011 il Parlamento ceco ha adottato una legge che ha ripreso quanto stabilito dall’art. 20 della Convenzione [continua ..]