Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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La crisi del 'Sistema Europeo Comune di Asilo' (SECA) fra inefficienze del sistema Dublino e vacuità del principio di solidarietà (di Chiara Di Stasio, Ricercatrice di Diritto Internazionale, Università degliStudi di Brescia.)


Scopo del contributo è quello di mettere in luce le cause della recente crisi che sta attraversando il sistema europeo comune di asilo (SECA).

L'indagine muove da una analisi delle disfunzioni del sistema Dublino. Come ha messo in luce la recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia dell’Unione europea, assegnando la competenza a trattare la domanda di asilo allo Stato di primo ingresso, il regolamento Dublino (III) finisce per accollare il maggior peso, in termini di gestione dei flussi migratori, agli Stati dell’Unione che sono collocati lungo i confini dell’UE e, quindi, naturalmente più esposti alle ondate migratorie. Sebbene la concreta applicazione del sistema Dublino determini serie difficoltà, soprattutto in ordine alla tutela del di diritto di asilo, esso non è stato mai oggetto di riforme, nemmeno nella recente proposta di un regolamento “Dublino IV”.

Il sistema Dublino finisce per minare anche l’applicazione del principio di solidarietà che, ai sensi dell’art. 80 TFUE, dovrebbe ispirare tutte le misure in materia di asilo.

La relazione propone una serie di misure che potrebbero, da un lato, consentire all’Unione europea di uscire dalla recente crisi e, dall’altro, aiutare il sistema europeo comune di asilo a funzionare in maniera più efficiente"

The crisis of the 'Common European Asylum System' (CEAS) between the failures of the Dublin system and the emptiness of the solidarity principle

The aim of the paper is to highlight the roots of the current crisis of the Common European Asylum System (CEAS). The paper moves from an analysis of the dysfunctions of the Dublin SystemAs recent judgments of the European Court of Human Right and the European Union Court of Justice have stressed tooby assigning the competence to deal with the asylum application to the Country of first entry, the Dublin Regulation bears the greater responsibility in managing migration to Member States located along the EU borders, of course most affected by migration flows because of their geographic location. Even if the Dublin system causes many problems, especially in relation to the protection of asylum, it has not yet been modified, even in the recent proposal of the Dublin regulation IV”. The Dublin System also ended by undermining the principle of solidarity which should inspire all the measures on asylum in accordance with art. 80 TFEU. The paper proposes a series of legal measures that could allow both the EU to overcome the recent migration crisis and the CEAS to work better.

SOMMARIO:

I. Le disfunzioni del “sistema Dublino” nell’attuale crisi del SECA. - II. Dal regolamento Dublino II al regolamento Dublino III: la sopravvivenza di alcune criticità. - III. Le condanne del SECA rese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei casi M.S.S, Hirsi, Sharifi, Tarakhel e Khlaifia. - IV. Le pronunce rese dalla Corte di giustizia dell’Unione europea sui “casi Dublino”. - V. Le misure di natura emergenziale adottate finora dall’Unione europea per fronteggiare la crisi: in particolare il ricollocamento dei richiedenti asilo. - VI. Verso un regolamento Dublino IV: la proposta della Commissione del 4 maggio 2016. - VII. La vacuità del principio di solidarietà e la perdurante assenza di “un’equa ripartizione delle responsabilità” fra gli Stati membri nel SECA. - NOTE


I. Le disfunzioni del “sistema Dublino” nell’attuale crisi del SECA.

Negli ultimi tempi, l’Unione europea sta attraversando una delle maggiori crisi umanitarie della sua storia: migliaia di migranti si stanno riversando lungo i suoi confini marittimi e terrestri in fuga da guerre civili, da conflitti armati o da altre forme di oppressione, nonché da condizioni ambientali avverse. Anche se il numero di questi migranti è di gran lunga inferiore rispetto a quello di altri Paesi extra UE (pensiamo al Libano, alla Giordania e alla Turchia), le recenti ondate migratorie generano una situazione di pressione nei confronti di quegli Stati membri dell’Unione europea che, a causa della loro posizione geografica, sono maggiormente esposti ai crescenti flussi. Allo stesso tempo, la politica di asilo europea viene di continuo giudicata inappropriata e incapace di affrontare le sfide poste dall’aumentato afflusso di migranti. L’attuale sistema europeo comune di asilo (SECA), lan­ciato nel 1999, è sempre di più sotto accusa a causa delle significative caren­ze normative ed inefficienze dal punto di vista economico e, per questo, è oggetto di continui tentativi di riforma. In particolare, per far fronte all’emergenza migratoria degli ultimi tempi, le istituzioni dell’UE hanno compiuto alcuni sforzi giuridici e politici nel tentativo di migliorare l’assetto attuale: si è cercato di portare l’armonizza­zione delle normative nazionali in materia ad un livello più avanzato, mediante l’approvazione del c.d. “Pacchetto asilo di seconda generazione” [1]; è stato creato l’Ufficio europeo di sostegno all’asilo (EASO) [2] con sede a Malta; sono stati aumentati i finanziamenti attraverso l’istituzione del Fondo Asilo, migrazione e integrazione [3]; è stato avviato un piano di ricollocazione dei richiedenti asilo tra gli Stati membri. Da ultimo, nel corso del 2016 la Commissione ha avanzato alcune proposte volte a rivedere l’intero sistema europeo comune di asilo. Parallelamente all’adozione da parte delle istituzioni europee di siffatti provvedimenti, per altro poco produttivi sul piano dei risultati, alcuni Stati membri hanno tentato di arginare l’aumentato flusso migratorio adottando un approccio “repressivo”, volto a privilegiare il controllo e l’allontanamen­to degli stranieri, se non addirittura la chiusura delle frontiere, in [continua ..]


II. Dal regolamento Dublino II al regolamento Dublino III: la sopravvivenza di alcune criticità.

Nonostante siano state avanzate, nel corso degli anni, diverse proposte di modifica, il sistema Dublino non è stato interessato da alcun emendamento né si è pensato di eliminarlo. Nemmeno il regolamento Dublino III (n. 604/2013) ha modificato la regola della competenza dello Stato di primo arrivo. Eppure, l’applicazione rigorosa delle norme previste dal sistema Dublino rischia di ledere i diritti dei richiedenti asilo quando questi ultimi sono rinviati verso Stati membri di primo arrivo che non sono in grado di offrire loro sostegno e protezione, come hanno messo in luce diverse sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo [15] e della Corte di giustizia dell’Unione europea [16], che verranno esaminate nel prosieguo. Soffermandosi sul regolamento Dublino III, tra le novità introdotte con la riforma del 2013, va segnalato l’inserimento dell’art. 27, che prevede il “diritto a un ricorso effettivo”. Come precisato nel considerando 19, tale ricorso dovrà riguardare non soltanto la situazione di fatto e di diritto nel Paese di destinazione, ma anche l’esame dell’applicazione del regolamento Dublino, dunque anche la correttezza dell’applicazione dei criteri che permettono di individuare lo Stato competente. In altri termini, se, da un lato, il regolamento Dublino III non consente certamente al richiedente asilo di scegliersi il suo “Stato responsabile” né di avere “voce in capitolo” in merito a tale decisione, essendo questa una prerogativa degli Stati, dall’altro gli consente quantomeno di pretendere che i criteri che permettono di individuare lo Stato competente siano applicati in maniera corretta. Salvo il caso, sempre possibile, in cui uno Stato decida, in deroga all’individuazione dello Stato competente attraverso i criteri e seguendo la procedura prevista dall’art. 17 del regolamento Dublino III, di esaminare una domanda di protezione anche se questa non gli compete (c.d. “clausola di sovranità” [17]). Oltre al diritto ad un ricorso effettivo, una delle riforme più significative, introdotte nel 2013, riguarda l’inserimento, nel testo normativo, di alcuni suggerimenti provenienti dalla giurisprudenza dei giudici europei in materia. È stata infatti inserita una norma che, ora, espressamente impedisce di [continua ..]


III. Le condanne del SECA rese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei casi M.S.S, Hirsi, Sharifi, Tarakhel e Khlaifia.

Come si diceva, le disfunzioni di fondo del SECA sono state messe in luce, negli ultimi anni, in un dialogo a distanza fra la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte di giustizia [22], a partire dal 2011. Il confronto tra le due Corti si è incentrato su due questioni principali: innanzitutto sulla circostanza per cui il SECA poggerebbe la sua credibilità sull’esistenza di norme realmente armonizzate, tal che l’esame delle domande venga condotto nella maniera più uniforme possibile fra tutti gli Stati membri, circostanza questa ampiamente smentita nella prassi; in secondo luogo, sull’inidoneità della presunzione di sicurezza ad escludere una responsabilità dello Stato non competente secondo Dublino, qualora il richiedente sia trasferito verso lo Stato membro competente che non risulta essere sicuro. La Corte europea dei diritti dell’uomo è la prima a pronunciarsi sulle discrasie del sistema europeo comune di asilo, dapprima evidenziando una serie di violazioni [23], per arrivare a condannare alcuni Stati per la messa in atto automatica del meccanismo previsto dal regolamento “Dublino II”. La prima sentenza viene pronunciata il 21 gennaio 2011, nel celeberrimo caso M.S.S. contro Belgio [24]. Si tratta di una decisione storica perché per la prima volta la Corte condanna un Paese membro dell’UE, cioè il Belgio, per aver automaticamente trasferito i ricorrenti in Grecia, nonostante i numerosi richiami rivolti dall’UNHCR sulle enormi carenze del sistema di asilo ellenico. Secondo la Corte europea, il Belgio e la Grecia hanno violato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo: la Grecia, perché non possiede un sistema di asilo funzionante e, avendo detenuto il ricorrente in condizioni degradanti, ha violato l’art. 3 della Convenzione; il Belgio perché, trasferendo il ricorrente verso la Grecia, ha violato il principio di non-refoulement (divieto di rinvio di una persona verso un Paese in cui potrebbe essere a rischio di subire gravi violazioni dei diritti umani). Tale sentenza è molto rilevante giacché, innanzitutto, la Corte conferma che gli Stati membri continuano ad essere responsabili nei confronti delle norme della Convenzione europea dei diritti del­l’uomo anche quando vengono effettuati trasferimenti di richiedenti all’in­terno dell’UE. Pur [continua ..]


IV. Le pronunce rese dalla Corte di giustizia dell’Unione europea sui “casi Dublino”.

Come si diceva, sui casi Dublino si è sviluppato un dialogo a distanza tra la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte di giustizia dell’Unione europea. Analizzando le pronunce rese dai due organi giurisdizionali si avverte la loro diversa impostazione, laddove la prima si muove da un approccio tipico di una Corte specializzata nella tutela dei diritti umani, mentre la seconda persegue gli obiettivi posti dal Trattato dell’Unione europea, nel rispetto di tali diritti e cercando di preservare il quadro normativo europeo. Tra le più significative sentenze della Corte di giustizia dell’UE in tema, non si può non ricordare quella resa il 21 dicembre 2011, nel caso N.S. and others c. SSHD [41], in riferimento ai trasferimenti di richiedenti asilo dal Regno Unito e dall’Irlanda verso la Grecia. Nella pronuncia in esame, la Corte premette la centralità e l’inviolabilità del divieto di refoulement dichiarando che «nessuno sarà rispedito in un luogo in cui rischia di essere nuovamente perseguitato». Successivamente, nel tentativo di mitigare gli effetti “demolitori” della sentenza M.S.S. della Corte di Strasburgo e al fine di salvaguardare il sistema europeo e i suoi obiettivi, arriva ad operare una distinzione fra le singole disposizioni delle direttive del sistema europeo e le carenze sistemiche nel sistema di asilo di un determinato Stato membro per giungere a concludere che, solo in questo secondo caso, si può verificare il rischio di un trattamento inumano e degradante che renderebbe incompatibile il trasferimento con l’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e con l’art. 3 della CEDU. Il ragionamento della Corte dell’UE ruota intorno al concetto di presunzione di sicurezza e al principio di mutua fiducia. Quest’ultimo si giustifica alla luce del fatto che tutti gli Stati hanno l’obbligo di garantire la tutela dei diritti umani. Tale presunzione, secondo la Corte dell’UE, non è assoluta, ma relativa dal momento che non possono escludersi alcune situazioni in cui il meccanismo possa subire fasi di stallo. La reciproca fiducia, dunque, non deve risolversi in fiducia “cieca” nella tutela dei diritti da parte degli altri Stati membri. Essa è condizione necessaria ma non sufficiente per escludere i rischi di [continua ..]


V. Le misure di natura emergenziale adottate finora dall’Unione europea per fronteggiare la crisi: in particolare il ricollocamento dei richiedenti asilo.

Negli ultimi anni, le istituzioni hanno così tentato di calibrare le conseguenze nefaste derivanti dall’applicazione del meccanismo Dublino, per cercare di far fronte al meglio all’aumentata pressione dei flussi migratori. Nella c.d. “Agenda europea sulla migrazione” [49], presentata il 13 maggio 2015, sono state proposte le linee di azione da intraprendere a breve e medio termine, fra le quali spicca la proposta di introdurre un meccanismo temporaneo di redistribuzione dei richiedenti protezione internazionali e un programma di reinsediamento volto ad offrire 20.000 posti negli Stati UE, per rifugiati con evidente bisogno di protezione internazionale. Accogliendo l’invito contenuto nella Agenda è stato introdotto un sistema di ricollocamento dei richiedenti asilo. Tuttavia, si tratta di provvedimenti che non si muovono lungo la linea di riforme strutturali del sistema di asilo, ma si collocano nell’area di provvedimenti di natura emergenziale. Tali misure hanno trovato, infatti, la loro base giuridica nell’art. 78, par. 3, TFUE che mira ad aiutare gli Stati membri interessati da un afflusso improvviso di migranti [50]. Si tratta di una norma che prevede la possibilità di derogare alla procedura legislativa ordinaria, consentendo al Consiglio, su proposta della Com­missione, previa consultazione del Parlamento europeo, di adottare le necessarie misure temporanee [51]. Le misure adottate sono insufficienti in quanto guardano all’immediato futuro, ma non sono in grado di andare oltre. Sarebbe stato probabilmente più efficace un approccio a lungo termine che contemplasse anche una strategia a monte, mediante la previsione di misure nei Paesi di origine e di transito dei migranti [52]. In particolare, in relazione al problema del sovraffollamento dei sistemi di asilo di alcuni Stati come l’Ita­lia e la Grecia, Stati di primo arrivo, si è preferito non modificare il mec­canismo Dublino, ma si è operato nell’ambito di una c.d. “redistribuzione dei richiedenti asilo”, sulla base, come si diceva, dell’art. 78, par. 3 TFUE. Su tali misure è stato tra l’altro molto difficile trovare un consenso unanime. L’intervento delle istituzioni europee sulla ricollocazione ha portato all’a­dozione di due decisioni, la n. 2015/1523/UE del 14 settembre 2015 [53] e n. [continua ..]


VI. Verso un regolamento Dublino IV: la proposta della Commissione del 4 maggio 2016.

Oltre alle misure emergenziali esaminate, nel corso degli ultimi tempi, la Commissione ha avanzato diverse proposte, rimaste tuttavia lettera morta, con l’intento di introdurre riforme più incisive nel sistema Dublino, in grado di far fronte in maniera più efficace alla crisi migratoria [58]. L’ultima, quella del 4 maggio 2016 [59], ha un più ampio respiro ponendosi, insieme alla proposta di riforma del regolamento n. 603/2013 (Eurodac) [60] e del regolamento n. 439/2010 che istituisce l’Ufficio per il sostegno per l’asilo (EASO) [61], come il primo passo verso la modica dell’intero sistema europeo comune di asilo che è stato completato, in una seconda fase, il 13 luglio 2016, grazie alla presentazione delle proposte di rifusione della “direttiva accoglienza” [62] e di trasformazione della “direttive qualifiche” [63] e della “direttiva procedure” [64] in due regolamenti. Nella relazione inziale [65], che precede la proposta di revisione del regolamento Dublino, la Commissione evidenzia la necessità di riformare il sistema Dublino al fine di conseguire tre obiettivi principali: migliorare la capacità di determinare, in modo efficiente ed effettivo, un singolo Stato membro responsabile; assicurare l’equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati, obiettivo questo nuovo perché non è mai stato inserito finora in nessuna proposta di riforma; scoraggiare l’abuso, nonché i movimenti secondari fra gli Stati membri. Nonostante gli obiettivi siano ambiziosi e condivisibili, la Commissione tenta di raggiungerli preservando il sistema Dublino come “pietra angolare” dell’intero SECA, quindi mantenendo invariato il criterio dello Stato di primo ingresso. Tale criterio non solo non viene eliminato ma risulta rafforzato dall’obbligo posto in capo al richiedente di formalizzare la domanda di asilo nello Stato di primo arrivo, a pena di un esame accelerato della stessa, ai sensi dell’art. 31 della “direttiva procedure” (n. 2013/32/UE). Inoltre, uno degli obiettivi principali della proposta è quello di scoraggiare i movimenti secondari e i rifugiati in orbita. Pertanto è previsto che il richiedente, il quale si sposta senza autorizzazione da uno Stato membro al­l’altro, può subire [continua ..]


VII. La vacuità del principio di solidarietà e la perdurante assenza di “un’equa ripartizione delle responsabilità” fra gli Stati membri nel SECA.

Alla luce di quanto finora rappresentato, emerge con evidenza come le cause principali della crisi dell’attuale sistema di asilo europeo siano rappresentate da un lato, dalle disfunzioni del sistema Dublino, sopra esaminate, e dall’altro, dal collegato problema che il Consiglio europeo ha sintetizzato con l’espressione “responsibility sharing” [67], ovvero l’assenza di un’a­deguata ripartizione di responsabilità fra gli Stati membri, nonostante la previsione di cui all’art. 80 del TFUE, in forza del quale il principio di solidarietà dovrebbe permeare i provvedimenti normativi in materia di asilo. Nel­l’attuale sistema, invero, proprio a causa delle regole poste dal regolamento Dublino, si finisce per accollare agli Stati di primo ingresso il peso maggiore in termini di responsabilità nei confronti dei richiedenti asilo. Diverse conclusioni dei Vertici europei, negli ultimi anni, hanno cercato di enfatizzare questo obiettivo, invitando l’Unione «a dotarsi di una politica efficace e ben gestita in materia di migrazione, asilo e frontiere, guidata dai principi di solidarietà ed equa condivisione delle responsabilità sanciti dal trattato, in conformità dell’articolo 80 del TFUE e garantendone l’effettiva attuazione» [68]. Tuttavia, prima del recente “pacchetto” del 4 maggio 2016, volto a riformare il SECA nel suo complesso, il perseguimento dell’obiettivo della solidarietà non è mai stato espressamente inserito all’interno dei progetti di riforma susseguitisi finora [69]. Va osservato che il concetto di solidarietà occupa un ruolo centrale al­l’interno del quadro giuridico dell’Unione europea. Non si tratta di un principio nuovo, anzi esso è nato con l’idea stessa di Comunità europea. Già nella Dichiarazione di Schuman del 1951 si legge che: «L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto» [70]. Con il passare del tempo, l’acquis comunitariosi è progressivamente arricchito grazie a una serie di articoli di volta in volta inseriti nel Trattato [71], a loro modo manifestazione di quel concetto di solidarietà [continua ..]


NOTE