Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Da Pringle a Gauweiler: i tormentati anni dell'unione monetaria e i loro effetti sull'ordinamento giuridico europeo (di Francesco Munari)


This article analyses the impact of the so-called euro crisis on the rule of law value. It moves from the lack of a serious legal insight of the EMU weaknesses before the euro crisis and examines relevant ECJ case-law from Pringle to Gauweiler. The critical reading of the two judgments serves to highlight serious tensions they create in respect of many EU legal pillars: the principle of conferral of powers, the ERTA judgment doctrine, the boundaries between economic and monetary policies and the respective scope of powers of Member States and EU institutions, as well as the extent of application of fundamental rights of the individuals to the financial stability mechanisms. In particular, it is argued that, if bending of rules was anyway inevitable given the flaws in the EMU legal structure, maybe a more far-reaching option would have been to interpret the ESM Treaty as a sort of implementing measure of article 136.3 TFEU, rather than a “parallel world” to the Union, i.e. what was actually established by Pringle. The article further discusses another blow in the EU legal system deriving from the euro crisis, namely the confrontation it has determined among several Member States’supreme courts (in particular constitutional courts), and the consequent arising of different problematic approaches even regarding the constitutional traditions common to the Member States. In the end, while appreciating the attempts made by the ECJ, especially in Gauweiler, to help rescuing the EMU, and hence the EU, in particular through the strengthening of the ESCB/ECB, the author advocates a reform of the treaties also as a tool to heal the weakening of the fundamental value of the rule of law, which the euro crisis has brought about.

SOMMARIO:

I. Considerazioni introduttive: la difficile lettura dell’ordinamento dell'Unione dopo la c.d. crisi dell'euro - II. La scarsa attenzione dei giuristi di fronte alle regole dell'UEM … - III. … e i bruschi risvegli imposti da sentenze emergenziali: 'mondo MES' e 'mondo UEM' a confronto nel caso Pringle - IV. Il principio di condizionalità tra misure di politica economica e scelte di politica monetaria - V. Politica economica e politica monetaria nelle sentenze Pringle e Gauweiler: rule of law o Realpolitik? - VI. Diritti e libertà fondamentali alla prova del MES - VII. Il progressivo condizionamento del Bundesverfassungsgericht sulle regole dell'UEM e dell'U­nione. Quousque tandem? - VIII. Le contrapposte tensioni provenienti dalla sponda Sud del­l'Unione, ma non solo - IX. La sentenza Gauweiler e il suo possibile impatto sugli assetti del­l'UEM - X. Conclusioni - NOTE


I. Considerazioni introduttive: la difficile lettura dell’ordinamento dell'Unione dopo la c.d. crisi dell'euro

Sono ormai decorsi alcuni anni dalla c.d. crisi dei debiti sovrani, e dalle turbolenze caratterizzanti la UEM. Nonostante gli apprezzatissimi sforzi compiuti soprattutto dalla BCE per scongiurare derive irreversibili, e l’accordo raggiunto nell’agosto 2015 relativamente al terzo salvataggio della Grecia, credo sia pacificamente acquisita la necessità di una riforma dell’attuale assetto normativo dell’UEM, e probabilmente della stessa costituzione economica (e politica) dell’Unione. Inoltre, appare illusorio immaginare che, in assenza di riforme, sia escluso per il futuro il verificarsi di altri gravi rischi sistemici, benché apparentemente le istituzioni europee e gli Stati membri siano stati in grado, ove più, ove meno, di superare i pericoli, alcuni davvero notevoli, di una disgregazione degli assetti ordinamentali europei. Basti pensare, al di là delle vicende greche, aventi natura eminentemente politica, alla sentenza della Corte di giustizia nel caso Gauweiler [1], che ha legittimato il programma di operazioni di mercato aperto (le c.d. outright monetary transactions, in seguito OMT) della BCE, nonostante l’evidente – e forse non così elegante – tentativo della Corte costituzionale tedesca di condizionare la pronuncia della Corte con quesiti pregiudiziali costruiti in modo quasi retorico [2]. È pur vero che, anche di recente, sono stati pubblicati importanti contributi dottrinali, nei quali si sviluppa ben più di un mero tentativo di offrire un quadro ricostruttivo dell’attuale “sistema costituzionale” dell’Unione europea e dell’UEM [3]; ed è altrettanto vero che, da qualche anno, gli studi giuridici sul­l’Unione economica e monetaria occupano una parte importante delle riviste specializzate, in Italia e non solo [4], tra l’altro in netto contrasto rispetto all’as­sai meno intenso interesse di cui aveva goduto la materia per lunghi anni [5]. Tuttavia, pare indubitabile che, nello sforzo di salvaguardare l’UEM, e con essa l’Unione, il complessivo tasso di coerenza del sistema abbia subito rilevanti forzature sul piano giuridico, e che in questa prospettiva gli stessi principi della rule of law, su cui si è costruito l’ordinamento unionale in tutti questi decenni, risultino indeboliti [6]. Non è questa la sede [continua ..]


II. La scarsa attenzione dei giuristi di fronte alle regole dell'UEM …

Il punto di partenza di un ragionamento concernente le regole della governance economica dell’Unione europea deve muovere da una riflessione sulla qualità delle norme contenute nel TFUE, e comunque delle norme che diedero origine all’UEM. Forse noi giuristi ci siamo immaginati che, essendo regole volte a disciplinare processi eminentemente economici, e più precisamente macroeconomici, il nostro apporto dovesse essere esclusivamente di tipo descrittivo, e anzi narrativo: in fin dei conti, queste regole parevano concernere fenomeni molto tecnici, e insieme molto politici, rispetto ai quali gli stessi giuristi verosimilmente erano male attrezzati a compiere il lavoro normalmente richiesto loro, e cioè quello di leggere le norme, e ancora prima di scriverle, nell’ottica di regolare eventi non solo passati, ma soprattutto presenti e futuri, sulla base di un’a­nalisi di scenari prevedibili, e cioè di opzioni interpretative e applicative possibili e disponibili. Così, mentre si sezionavano (quasi) tutte le altre regole dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea, l’analisi giuridica sulle questioni economiche e monetarie appariva, in generale, più superficiale [11]. Questo approccio non risparmiava neppure alcuni aspetti davvero centrali e anzi “costituzionali” del­l’Unione europea, quali il funzionamento dell’UEM, il rapporto tra competenze esclusive dell’Unione, ex art. 3, lett. c) TFUE, e coordinamento delle competenze in materia di politica economica ex art. 5.1 TFUE, nonché gli stessi poteri attribuiti al SEBC – e alla BCE – dall’art. 127 TFUE, a tacere degli articoli 122 e 125 TFUE. Ancor più grave, quanto meno ex post, era la carenza di analisi critiche sull’esistenza di possibili rimedi – e tanto meno di rimedi appropriati – in caso di patologie del sistema. Così, e in primo luogo, ci si illudeva che l’euro fosse totalmente immune da rischi, e che l’adesione alla moneta europea fosse capace esclusivamente di garantire vantaggi per tutti, dagli Stati ai cittadini: dalla riduzione dei tassi di interesse sul debito pubblico, alla capacità di acquistare beni e servizi in modo molto più agevole rispetto a prima, alla stabilità dei prezzi ormai irreversibilmente garantita dalla moneta europea. In [continua ..]


III. … e i bruschi risvegli imposti da sentenze emergenziali: 'mondo MES' e 'mondo UEM' a confronto nel caso Pringle

Nel paragrafo precedente si è dato conto delle regole per certi versi qualitativamente inadeguate contenute nei trattati UE e FUE riguardo alle questioni economiche e monetarie, e delle altrettanto non così adeguate norme che sono state affrettatamente concepite nell’emergenza della crisi dell’euro e nei limiti del mandato politico e negoziale a disposizione dei rappresentanti degli Stati membri. Non stupisce quindi se, alla prima occasione in cui queste regole sono state portate all’attenzione della Corte, e mi riferisco al caso Pringle [23], la loro elaborazione giurisprudenziale si sia rivelata … luci ed ombre: in particolare, a fronte del sollievo per una sentenza che ha confermato la legittimità degli stru­menti normativi coi quali si era concepito il salvataggio dell’UEM, e forse della stessa Unione, non sono passate inosservate le forzature di ordine giuridico imposte alla Corte dalla necessità di acquisire questo risultato. Il primo elemento di perplessità suscitato dalla sentenza Pringle riguarda il tema delle competenze: alla Corte era richiesto di accertare se il nuovo art. 136.3 TFUE [24] travalicasse la materia della mera politica monetaria e di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri e comportasse in realtà un emendamento alle competenze attribuite in tali settori, in ragione del conferimento agli Stati membri della facoltà di istituire meccanismi di assistenza finanziaria al di fuori di quelli previsti dal TFUE medesimo, e dunque, in sostanza, in aggiunta alle (pur inadeguate) disposizioni dell’art. 122 TFUE, ovvero dell’art. 143 TFUE per i paesi non membri dell’euro [25]. Se così fosse stato, tale disposizione avrebbe tuttavia inciso non solo sulla parte terza, ma anche sulla prima del TFUE, in violazione delle norme sulle modifiche dei trattati; infatti, l’art. 136 TFUE è stato integrato mediante la procedura semplificata prevista dall’art. 48.6 TUE, in attuazione cioè delle disposizioni del TUE sulla revisione semplificata di cui all’art. 48.6, primo e secondo comma, TUE, possibili solo se le modifiche incidono esclusivamente su disposizioni della parte terza del TFUE. Com’è noto, la Corte ha risposto negativamente al quesito, chiarendo che «alla luce degli articoli 4, paragrafo 1, TUE e 5, paragrafo 2, TUE, gli [continua ..]


IV. Il principio di condizionalità tra misure di politica economica e scelte di politica monetaria

I “mondi paralleli” scaturenti dalla compresenza del MES con le norme e gli strumenti dell’UEM si prestano a ulteriori criticità sotto il profilo del­l’impatto del MES sulle regole in materia di coordinamento della politica economica stabilite a livello UE. A questo proposito, la Corte è piuttosto lapidaria nell’affermare che «il MES non ha ad oggetto il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, bensì rappresenta un meccanismo di finanziamento» [35], tale assunto servendo a escludere che, mediante il MES, si siano modificate le sfere di competenza al riguardo vigenti tra gli Stati membri, e tra essi e l’Unione. Tuttavia, meno persuasivo è il ragionamento della Corte quando qualifica i condizionamenti sulla politica economica degli Stati derivanti dall’attivazione dell’assistenza finanziaria mediante l’utilizzo del MES come semplici «conseguenze indirette» di tale strumento. Infatti, le misure di politica economica sono imposte agli Stati dal principio di condizionalità, la cui applicazione presuppone l’assistenza finanziaria: è vero che, a rigore, non c’è un coordinamento, ma, appunto, una imposizione. Ma le norme del TFUE sul coordinamento delle politiche economiche implicano una discrezionalità degli Stati membri – e quindi spazi di sovranità loro riservati – assai più intensi rispetto a quelli che residuano nei confronti degli Stati che abbiano chiesto l’attivazione dell’assi­stenza finanziaria [36]. In effetti, e in disparte di ogni considerazione sulla carenza di legittimazione democratica del sistema, ormai è chiaro a tutti – e soprattutto ai membri del­l’eurozona – che l’ordinamento si è evoluto nel senso che quelle norme sul coordinamento delle politiche economiche, di cui al sistema UEM, hanno un ambito di applicazione fino a quando la situazione è fisiologica. Quando uno Stato membro si trova invece a dover accedere a forme di assistenza finanziaria, si esce dall’UEM e si entra nel mondo MES, attivando meccanismi di con­dizionalità che di fatto commissariano quello Stato membro, limitandone fortemente la sovranità. Secondo la Corte, tutto ciò è conforme ai trattati, perché il MES è altro rispetto alla UEM, e a [continua ..]


V. Politica economica e politica monetaria nelle sentenze Pringle e Gauweiler: rule of law o Realpolitik?

Vi sono, tuttavia, altre forzature nel ragionamento giuridico della Corte, in particolare a proposito dell’ampiezza della politica monetaria. Nella necessitata impostazione volta a ridimensionare il MES e, a monte, l’art. 136 TFUE modificato, in Pringle la Corte delinea l’ambito e gli obiettivi della politica monetaria in modo marcatamente rivolto alla sola stabilità dei prezzi. Inequivoci in tal senso sono, tra gli altri, i punti 56-57 della sentenza, nei quali la Corte qualifica l’obiettivo perseguito dal MES come quello «di salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo complesso», aggiungendo poi che «esso si distingue chiaramente dall’obiettivo di mantenere la stabilità dei prezzi, che costituisce l’obiettivo principale della politica monetaria dell’Unione. Infatti, anche se la stabilità della zona euro può avere ripercussioni sulla stabilità della moneta utilizzata in tale zona, una misura di politica economica non può essere equiparata ad una misura di politica monetaria per il solo fatto che essa può avere effetti indiretti sulla stabilità dell’euro». In questa prospettiva, la Corte precisa poi anche che «la concessione di un’assistenza finanziaria ad uno Stato membro non rientra manifestamente nella sfera della politica monetaria». Anche questo ragionamento pecca tuttavia di qualche schematismo, essendo politica economica e politica monetaria assai più intrecciate di quanto la Corte non voglia dire. E infatti, come si ricordava, la BCE non è affatto estranea al sistema MES, addirittura fin dalla sua nascita, avendo persino reso un parere sulle condizioni di compatibilità dell’art. 136 novellato con l’art. 125 TFUE, prima dell’adozione della decisione 199/2011 [38]. In quest’ottica, poi, diventa anche più difficile ragionare in termini di ambito dei poteri della BCE: perché se la soluzione data dalla Corte nel caso Pringle ha senso nell’ottica del salvataggio di meccanismi e soluzioni istituzionali e interstatali dettate dal­l’urgenza, il precedente è servito alla Corte costituzionale tedesca nel rinvio pregiudiziale Gauweiler [39] per criticare il programma OMT, proprio muovendo dall’interpretazione restrittiva che in Pringle la Corte aveva dato [continua ..]


VI. Diritti e libertà fondamentali alla prova del MES

Vi è un ultimo profilo problematico da sottolineare in questo contesto, riguardante per vero solo la sentenza Pringle, ma sintomatico del … segno dei tempi in cui la c.d. crisi dell’euro ha precipitato l’Unione: nella parte finale della pronuncia, si afferma che i sistemi di governance attivati al di fuori del­l’ambito dell’Unione non sono soggetti ad alcuna verifica sotto il profilo della loro compatibilità con i diritti fondamentali previsti dalla Carta. Ciò perché «gli Stati membri non attuano il diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, allorché instaurano un meccanismo di stabilità come il MES per l’istituzione del quale … i Trattati UE e FUE non attribuiscono alcuna competenza specifica all’Unione» [43]. L’argomento è, apparentemente, ineccepibile, ed è anche logicamente consequenziale alla ratio decidendi sviluppata nella sentenza. Tuttavia, neanche stavolta è persuasivo. Se non altro nella misura in cui, dovendo per definizione MES e UEM … andare a braccetto [44], riesce difficile pensare che gli Stati mem­bri e le istituzioni che in ambito UEM adottano misure di politica economica o monetaria siano tenute al rispetto della Carta, ma ciò possa non aver luogo quando le stesse o analoghe misure vengono adottate in ambito MES, magari all’interno (com’è avvenuto proprio in occasione della crisi greca), di un unico piano di salvataggio di uno Stato membro. In tal senso, lascia un po’ perplessi la circostanza secondo cui la Corte, pur correttamente argomentando in ordine alla non applicazione della Carta, si sia ben guardata finanche di accennare alla possibilità che, almeno in teoria, il sistema MES debba essere quanto meno conforme se non altro ai principi relativi ai diritti e alle libertà fondamentali risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. L’omissione, tuttavia, non può essere casuale. Certo, il riferimento alle tradizioni costituzionali comuni – e a fortiori l’ancor più impegnativo eventuale richiamo alla CEDU – avrebbero evocato e forse “rivitalizzato” l’art. 6.3 TUE [45], smentendo il dogma dell’estraneità del MES rispetto ai Trattati UE e FUE. [continua ..]


VII. Il progressivo condizionamento del Bundesverfassungsgericht sulle regole dell'UEM e dell'U­nione. Quousque tandem?

Giova ora cercare di capire se, nei tormentati anni che stiamo vivendo, vi siano altri attori sulla scena. E a questo riguardo, credo che un contributo non secondario alle difficoltà nelle quali si dibatte da qualche anno la governance economica europea sia giunto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale tedesca: infatti, fin dal celeberrimo Lissabon-Urteil del 30 giugno 2009 essa ha affermato l’esistenza di soverchie limitazioni insite nel Grundgesetz a sviluppare ulteriori forme di integrazione europea [50]. A distanza di qualche anno, e in una prospettiva più compiuta, si può oggi ripercorrere in sequenza il percorso sviluppato dal BVG, che ha saputo cogliere il segno dei tempi e disseminare il cammino dell’integrazione europea di numerosi ingombranti ostacoli di ordine costituzionale interno, quindi fortemente condizionanti la capacità negoziale e politica internazionale della Germania, e cioè dello Stato più potente dell’Unione. Con una rilevante reviviscenza delle teorie dei c.d. contro-limiti, le quali parevano oramai un retaggio storico nell’integrazione europea, tanto più che, negli ultimi decenni, le uniche battute d’arresto erano state di ordine politico, o referendario, quindi non certamente tecnico-giuridico [51]. Ebbene, nel 2009 la crisi dei debiti sovrani era tutt’altro che manifesta in tutta la sua gravità, ma il Bundesverfassungsgericht comprende forse meglio di molti altri le crepe dell’UEM, e fissa un argine idoneo a proteggere l’ordi­namento tedesco. Nel Lissabon-Urteil si stabilisce allora in modo compiuto il funzionamento delle c.d. Einzelermächtigungen, e cioè una lettura del principio delle competenze attribuite dal punto di vista dell’ordinamento degli Stati membri, e della Germania in particolare: proprio perché le competenze sono «attribuite», l’U­nione non può aumentarle senza violare la sovranità degli Stati membri e il loro sistema costituzionale, richiedendosi quindi per tali eventualità specifiche misure attributive del potere di modificare le competenze, da esercitarsi volta per volta. Le ricadute di ragionamento sull’ordinamento dell’Unione sono evidenti, poiché impattano sulla clausola di flessibilità, di cui all’art. 352 TFUE, menomandone [continua ..]


VIII. Le contrapposte tensioni provenienti dalla sponda Sud del­l'Unione, ma non solo

Ma non è solo il Bundesverfassungsgericht a incrinare le … tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Infatti, a un’interpretazione delle proprie norme primarie funzionale a difendere una lettura e una posizione politica di massimo rigore nell’esegesi delle disposizioni europee (unionali e non) in tema di assistenza finanziaria agli Stati membri in difficoltà, si è contrapposta un’interpretazione delle norme costituzionali di tali Stati ostativa all’applicazione delle misure da essi adottate in attuazione ai meccanismi di «stretta condizionalità» imposti dai programmi di assistenza finanziaria. Così, mentre in Pringle la Corte di giustizia negava ingresso ai diritti e alle libertà fondamentali dell’individuo come parametro di legalità delle misure di assistenza finanziaria, la Corte dei conti e la Corte suprema della Grecia espri­mevano un parere di contrarietà alla propria costituzione dei “tagli” alla spesa pubblica adottati dal governo greco [62]. Pochi mesi dopo, con maggiore clamore, la Corte costituzionale portoghese dichiarava non conforme ai principi di eguaglianza e ai diritti fondamentali di ordine sociale tutelati dalla costituzione portoghese varie norme della legge finanziaria 2013 varata dal parlamento nazionale in attuazione ancora una volta delle misure di rigore rese necessarie dai «nuovi strumenti normativi» adottati per salvare l’Unione monetaria [63]. E reiterava il proprio giudizio negativo per ulteriori tre volte [64]. In questa contrapposizione tra Corti – e valori fondanti i rispettivi ordinamenti – vanno anche ricordate le sentenze n. 223/2012 e 116/2013 [65], della nostra Corte costituzionale, relatore in ambedue Giuseppe Tesauro, nelle quali si è sancita l’incostituzionalità di alcuni “tagli” rispettivamente agli stipendi dei magistrati e alle c.d. pensioni d’oro contenuti in alcune manovre varate dai governi Berlusconi e Monti nel 2010 e nella seconda metà del 2011, e cioè in piena tempesta degli spread tra titoli di Stato e Bund tedeschi [66]: benché soprattutto questa seconda sentenza sia stata variamente criticata come una difesa di talune classi di cittadini privilegiati, ai nostri fini interessa invece mettere in evidenza come anche la Corte [continua ..]


IX. La sentenza Gauweiler e il suo possibile impatto sugli assetti del­l'UEM

Nel divergente panorama di vedute sulle ricadute “costituzionali” scaturenti dalla lacune dell’UEM, l’ultima parola, almeno per ora, l’ha data la Corte di Giustizia nel più volte ricordato caso Gauweiler. Ovviamente, la prospettiva da cui muove questa sentenza è prettamente ed esclusivamente unionale. Ed è anche vero che, nel merito, pochi dubitavano che la Corte avrebbe delegittimato il programma OMT, assestando in tal modo un colpo quasi mortale al funzionamento dell’UEM. Tuttavia, al di là dell’esito, le motivazioni della sentenza fanno propendere per una lettura della pronuncia nella quale la Corte non abbia affatto puntato al risultato minimo, ma abbia coraggiosamente – e almeno sul piano “politico” persuasivamente – voluto fornire indicazioni di sistema e nel contempo abbia voluto porre un freno, forse definitivo, quantomeno dal proprio punto di vista, ai ripetuti tentativi di delegittimare e indebolire la BCE, e cioè l’istituzione che, in questi anni, più di tutte le altre si è caricata sulle spalle il peso del salvataggio dell’euro e dell’Unione, nella paralisi politica (e come abbiamo visto, per taluni anche giuridica) caratterizzante l’azione degli Stati membri. L’iter decidendi della Corte non sempre appare ineccepibile, né del tutto persuasivo è il tentativo di costruire un continuum tra questa sentenza e la Prin­gle. Anche perché, come abbiamo osservato, non era affatto semplice contrastare i quesiti pregiudiziali che sagacemente erano stati costruiti dal BVG proprio sulla base delle debolezze contenute in Pringle. La Corte ha tuttavia risposto, punto per punto, a questi quesiti, tracciando una linea di difesa strutturale sull’operato del SEBC, riassumibile in sostanza secondo i seguenti punti salienti. Innanzitutto, non è consentito un sindacato giurisdizionale “forte” sulle iniziative assunte dal SEBC e dalla BCE, posta la loro assoluta autonomia e indipendenza rispetto a qualsiasi tipo di pressione politica, e quindi l’ampio margine di discrezionalità del quale esse godono quali soggetti cui spettano decisioni di natura tecnica [72]. L’unico limite che essi incontrano nello svolgimento della propria missione è quello della motivazione delle proprie decisioni, sindacabile [continua ..]


X. Conclusioni

Al di là dei profili politici, nessun dubbio che le vistose lacune descritte nelle regole concernenti l’UEM e l’assistenza finanziaria agli Stati costituiscano anche sotto il profilo giuridico una minaccia alla complessiva tenuta del sistema europeo. Alcuni, in senso ottimistico, hanno qualificato l’attuale fase dell’integra­zione europea come caratterizzata da un metodo “semi-intergovernativo” [80]; ma è evidente l’effetto sul piano tecnico-giuridico delle prese di posizione delle corti supreme nazionali, le quali, dal punto di vista del proprio ordinamento interno, limitano gli spazi del negoziato politico, ovvero rivendicano comunque valori costituzionali (non più così comuni), a salvaguardia dell’interpre­tazione e applicazione delle regole provenienti dall’ordinamento europeo o dal sistema MES. Sotto questo profilo, vanno segnalate le iniziative legislative volte a collegare formalmente il sistema UEM con quello MES, come è il caso del regolamento 472/2013, che disciplina le condizioni alle quali sottoporre gli Stati membri in gravi difficoltà finanziarie o che abbiano richiesto assistenza finanziaria [81]. Ed è certamente interessante, e non a caso sottolineato dalla dottrina [82], dare atto della circostanza secondo cui i programmi di aggiustamento macroeconomico (i c.d. MOU) cui vengono assoggettati gli Stati membri richiedenti assistenza finanziaria nell’ambito della nota condizionalità, sono applicati dal Consiglio, dalla Commissione e dagli Stati membri tenuto conto delle «norme e … prassi nazionali e [del]l’articolo 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea» [83]. Il motivo del richiamo ai soli diritti sociali contenuti nella Carta, e cioè l’art. 28, non è del tutto chiaro, se non nel senso di riferirsi esclusivamente ad atti (i MOU, appunto), considerati tuttora fuori dal sistema dell’Unione e quindi non soggetti alla Carta ex art. 51 della stessa. Per quanto riguarda la Corte di giustizia, da Pringle a Gauweiler decisivi passi in avanti sembrano essere stati compiuti, sia pur lasciando sul terreno una serie di quesiti e di questioni irrisolte. I pericoli di impedire l’attivazione di seri meccanismi di assistenza finanziaria per gli Stati in difficoltà, e di bloccare [continua ..]


NOTE