Muovendo dalla genesi della divisio tra “diritti” e “principi” contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il contributo analizza l’iter di emancipazione dei diritti sociali (rectius, di alcuni di essi) dalla categoria dei “principi” a quella dei veri e propri “diritti fondamentali”. In particolare, esso si sofferma sulle conseguenze di siffatta qualificazione in termini di invocabilità dei diritti nelle controversie tra privati e di produzione di c.d. effetti diretti “orizzontali”, prendendo specificamente in considerazione la più recente giurisprudenza della Corte di giustizia inerente ai diritti di “matrice sociale” – specie il diritto alle ferie annuali retribuite – che mostra di incidere progressivamente sul rafforzamento, sotto il profilo dell’effettività, delle disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
By examining the genesis of the divisio between “rights” and “principles” enshrined in the Charter of fundamental rights of the European Union, this essay focuses on the process of emancipation of (some) social rights from “principles” to “fundamental rights” in themselves. It especially assesses the consequences of such quality in terms of possibility of relying directly on the provisions of the Charter in disputes between individuals (direct horizontal effect), taking into consideration the most recent case law of the Court of Justice concerning social rights – such as the right to an annual period of paid leave – which shows to progressively strengthen the enforceability of the provisions of the Charter.
Keywords
Charter of Fundamental Rights – Rights–Principles–Horizontal direct effect – Right to an annual period of paid leave.
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I. Introduzione. - II. La summa divisio tra diritti e principi contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. - III. Dalla - IV. Quale regime per le disposizioni contenute nel Titolo IV della Carta? La recente giurisprudenza della Corte di giustizia relativa al diritto alle ferie annuali retribuite che riflette un - V. Segue: La produzione di effetti diretti orizzontali oltre i limiti applicativi imposti dall'art. 51, par. 1, della Carta e la disapplicazione delle norme interne contrastanti. - VI. Considerazioni conclusive anche in ordine ai rapporti tra ordinamento europeo e ordinamento nazionale. - NOTE
Nella proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (di seguito “la Carta”) e, ancor più, nella successiva acquisizione dello “stesso valore giuridico dei Trattati” (art. 6, par. 1, Trattato sull’Unione europea così come novellato dal Trattato di Lisbona) è stato ravvisato un elemento di rafforzamento, nell’ordinamento europeo, dei diritti fondamentali secondo il principio di indivisibilità e di equiordinazione tra differenti “generazioni” di diritti, catalogati – come sono – sotto sei principi cardine che ruotano tutti intorno al valore centrale della dignità umana [1]. Come è noto, infatti, il Bill of Rights [2] dell’Unione europea coniuga i classici diritti civili e politici (contenuti precipuamente nel Titolo I “Dignità” e nel Titolo II “Libertà”) assieme ai diritti di “seconda generazione” –ossia i diritti economici, sociali e culturali (principalmente declinati nel Titolo III “Eguaglianza” e nel Titolo IV “Solidarietà”) –e ai diritti di “terza generazione”, come quelli relativi alla tutela dell’ambiente [3]. Con particolare riferimento ai diritti di matrice sociale, il loro riconoscimento all’interno di uno strumento giuridico vincolante, quale la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, è stato considerato fattore positivo per il progressivo sviluppo della “dimensione sociale europea” [4], pur nel limite di una politica sociale dell’Unione europea che riveste ancora caratteri relativamente “ancillari” [5]. Ma vi è un ulteriore limite “intrinseco” alla Carta stessa, che ridimensiona quel principio di indivisibilità rischiando di renderlo mero “miraggio” [6]: la distinzione tra “diritti” e “principi”. Se la genesi di tale distinzione è da ritrovarsi nella volontà degli Stati membri dell’UE di limitare la “giustiziabilità” dei diritti sociali, in particolare quelli contenuti nel Titolo IV dedicato alla “Solidarietà”, soprattutto a partire dalla sentenza Association de médiation sociale (AMS)del 2014 [7]è risultato chiaro che solo all’attività pretoria della Corte di [continua ..]
Fin dal Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza nel 2000, appare la summa divisio tra diritti e principi, laddove viene declinato l’impegno dell’Unione a riconoscere “i diritti, le libertà ed i principi” enunciati dalla stessa Carta. La distinzione è, poi, sottolineata nella prima delle c.d. “clausole orizzontali” [9] (l’art. 51, par. 1) contenute nel Titolo VII della Carta, che invoca, invero attraverso una formulazione non del tutto chiara, il “rispetto” dei diritti e l’“osservanza” dei principi. Nel testo della Carta dei diritti fondamentali così come novellato a Strasburgo nel 2007 [10], gli elementi di differenziazione tra i due concetti sono stati meglio delineati tramite l’introduzione di un’apposita previsione nel citato Titolo VII. Il riferimento è al par. 5 dell’art. 52 della Carta dei diritti fondamentali che così recita: «Le disposizioni della presente Carta che contengono dei principi possono essere attuate da atti legislativi e esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi dell’Unione e da atti di Stati membri allorché essi danno attuazione al diritto dell’Unione, nell’esercizio delle loro rispettive competenze. Esse possono essere invocate dinanzi a un giudice solo ai fini dell’interpretazione e del controllo di legalità di detti atti». È noto che l’inserimento di tale disposizione rappresenta il risultato di un compromesso raggiunto in seno alla seconda Convention incaricata della revisione della Carta dei diritti fondamentali, in ordine alla giustiziabilità dei diritti sociali in vista dell’equiparazione della Carta a fonte di rango primario, così come concretamente avvenuto grazie alla modifica dell’art. 6, par. 1, del TUE introdotta dal Trattato di Lisbona nel dicembre del 2007 [11]. La Carta dei diritti fondamentali contiene, dunque, diritti e principi: entrambi vincolati ma aventi una diversa portata, come risulta in maniera ancora più nitida dall’analisi delle Spiegazioni alla Carta stessa [12]. Riecheggiando la formulazione dell’art. 51, par. 1, le Spiegazioni ribadiscono, innanzitutto, che i diritti devono essere “rispettati” mentre i principi devono essere “osservati”, chiarendo poi che i primi [continua ..]
Come già accennato nel paragrafo precedente, all’individuazione di un regime differenziato tra diritti e principi è sottesa la preoccupazione riguardante la giustiziabilità dei diritti in materia di lavoro e di sicurezza sociale: dai lavori preparatori emerge in particolare che la redazione dell’art. 52, par. 5 della Carta dei diritti fondamentali è stata determinata dall’esigenza di contrastare la diretta applicazione giudiziale dei diritti sociali in assenza di un preventivo intervento normativo [27]. Le Spiegazioni relative a tale articolo mettono, inoltre, in luce la linea di continuità che tale distinzione segna sia con la pregressa giurisprudenza della Corte di giustizia sia con le tradizioni costituzionali comuni, in considerazione de «l’approccio ai “principi” negli ordinamenti costituzionali degli Stati membri, specialmente nella normativa sociale» [28]. A fronte di tale genesi, è possibile sostenere che alla categoria dei “principi” appartengano ipso facto tutti i diritti sociali contemplati nella Carta dei diritti fondamentali, o quanto meno quelli “coagulati” nel suo Titolo IV? Nelle citate Conclusioni relative alla causa AMS, l’Avvocato Generale evoca «una forte presunzione che i diritti fondamentali enunciati in detto titolo appartengano alla categoria dei “principi”» [29], retta da argomentazioni di ordine “sistematico” relative all’intero gruppo dei diritti inseriti nel Titolo IV della Carta dedicato alla “Solidarietà”. In realtà, tale presunzione è ritenuta superabile dallo stesso Avvocato Generale Villalón e di fatto non è assecondata dalla Corte di giustizia [30]. La sentenza AMS può, infatti, considerarsi emblematica dell’“affrancamento”, in prospettiva, del plenum dei diritti sociali dalla categoria dei principi. Pur senza soffermarsi sulla differenza tra diritti e principi, così come contenuta nell’art. 52, par. 5, della Carta [31] e, in particolare, sulle condizioni di operatività e di giustiziabilità dei secondi, i giudici di Lussemburgo procedono a classificare l’art. 27 della Carta quale “principio” [32] in ragione del raffronto – e in ciò va ravvisato l’elemento di “apertura” – con [continua ..]
Le aperture rinvenibili nell’analizzata giurisprudenza della Corte di giustizia sono relative ad un principio cardine del diritto dell’Unione europea [43], già coniugato – a partire dalla sentenza Mangold– in termini di “principio generale del diritto dell’Unione europea”: sviluppando poi il rilievo accordato all’art. 21 della Carta nella sentenza Kücükdeveci, la sentenza AMS rappresenta il volano per le successive aperture giurisprudenziali in relazione alla riconduzione a “diritto soggettivo” del divieto di non discriminazione ex art. 21, par. 1 della Carta anche per gli altri motivi di non discriminazione. A voler accogliere un differente punto di vista, la sentenza AMS è passibile di una interpretazione “restrittiva”, laddove ci si muove sul messaggio “rassicurante” secondo cui tutte le disposizioni che figurano nel Titolo IV della Carta dei diritti fondamentali non sono idonee ad essere invocate direttamente nel contesto di controversie tra privati [44], in ragione dell’assenza di requisiti di autosufficienza e imperatività che, nel caso dell’art. 21, viene dedotta dall’essere il divieto di non discriminazione già previamente qualificato come principio generale di diritto dell’Unione europea. Invero, il judicial activism della Corte di Lussemburgo ha, in tempi recenti, interessato anche il tanto “sensibile” Titolo IV della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, specie l’art. 31, par. 2, che sancisce, tra gli altri [45], il diritto alle ferie annuali retribuite. Vale la pena sottolineare che proprio con riferimento al diritto alle ferie retribuite, già nel 2001, l’Avvocato Generale Tizzano aveva utilizzato la qualificazione di “diritto sociale fondamentale” nelle sue Conclusioni relative alla causa BECTU [46]. Il diritto alle ferie retribuite veniva ascritto a tale categoria in virtù del suo riconoscimento in una serie di strumenti giuridici a tutela dei diritti fondamentali quali, in particolare, l’art. 24 della Dichiarazione Universale del 1948, l’art. 2, n. 3 della Carta sociale europea, l’art. 7, lett. d) del Patto sui diritti economici, sociali e culturali del 1966 e il punto 8 della Carta comunitaria dei diritti sociali dei lavoratori del 1989 (punti 23-24 delle Conclusioni). In particolare, [continua ..]
Come anticipato, le conseguenze più significative della qualificazione come “diritti” anche (di alcune) delle disposizioni contenute nel Titolo IV della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare del diritto alle ferie retribuite di cui all’art. 31, par. 2, sono connesse alla produzione di effetti diretti nei rapporti orizzontali. È ben noto che, con riferimento all’art. 12 del Trattato sulla Comunità economica europea (l’attuale art. 30 del TFUE) nella sentenza Van Gend en Loos, per la prima volta la Corte di giustizia ha fatto riferimento alla idoneità della norma comunitaria a creare diritti ed obblighi direttamente ed utilmente in capo ai singoli, sia persone fisiche sia persone giuridiche, a prescindere dalla “volontà” [66] degli Stati membri ossia senza che lo Stato eserciti quella “funzione di diaframma” [67] che consiste nel porre in essere una qualunque procedura formale per riversare sui singoli gli obblighi o i diritti prefigurati dalle norme dell’ordinamento europeo [68]. Ne consegue, poi, che siffatte posizioni giuridiche possano essere tutelate in via giudiziaria innanzi ai tribunali nazionali. Frutto di un’attività pretoria in continua evoluzione [69], come è altrettanto risaputo, la giurisprudenza successiva della Corte di giustizia ha accolto e sviluppato quanto riconosciuto nella sentenza Van Gend en Loos, estendendo il ragionamento anche al diritto derivato dell’Unione europea. In particolare, con riferimento alla direttiva – non dotata della diretta applicabilità che, ai sensi dell’art. 288 TFUE, contraddistingue il solo regolamento – la Corte ha stabilito chequalora uno Stato membro si astenga dal recepirla entro i termini fissati o non l’abbia recepita correttamente, i singoli sono legittimati a invocare contro detto Stato membro le disposizioni di tale direttiva che appaiano, dal punto di vista sostanziale, sufficientemente chiare, precise e incondizionate [70]. Le direttive che presentano siffatte caratteristiche sono produttive di effetto diretto, limitatamente alla dimensione c.d. “verticale”, conferendo così agli individui un diritto esercitabile nei confronti dello Stato membro [71]. Esse invece non determinano la disapplicazione e non possono sostituirsi alla normativa nazionale in [continua ..]
La summa divisio tra diritti e principi e la “presunzione” di appartenenza dei diritti sociali, in particolare quelli contenuti nel Titolo IV della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, alla seconda categoria – soprattutto in ragione della “genesi” di siffatta divisio – recava con sé ampie criticità in ordine alla protezione effettiva dei diritti sociali fondamentali. Esse sono emerse con vigore specie a seguito della sentenza AMS, ove la Corte di giustizia ha accertato la natura di “principio” dell’art. 27 della Carta dei diritti fondamentali, sottraendo il diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione alla possibilità di essere invocato dai privati nel contesto di controversie orizzontali. Considerato che la maggior parte dei rapporti di lavoro intercorrono tra privati, tale soluzione induceva a ritenete i diritti sociali sottratti dalla produzione di qualsiasi effetto giuridico [86]. Ma la stessa sentenza AMS covava il germe di un processo di rivisitazione che ha trovato successiva esplicitazione nella giurisprudenza della Corte di giustizia in relazione non solo al divieto di discriminazioni (art. 21, par. 1) ma anche ai diritti annoverati nel Titolo IV della Carta, in specie il diritto dei lavoratori alle ferie annuali retribuite (art. 31, par. 2). Tale riconoscimento acquisisce una valenza particolare se riferita a disposizioni contenute nel Titolo IV della Carta dei diritti fondamentali – talora declassate, come nelle celeberrime sentenze Viking e Laval, a “interessi legittimi” – non più necessariamente “confinati” nella categoria dei principi, ma suscettibili di essere alla base di pretese direttamente azionabili innanzi ai giudici nazionali. La valenza “immediatamente precettiva” di tali disposizioni contribuisce ad erodere il limite dell’invocabilità delle disposizioni self-executing delle direttive nei soli rapporti verticali, le cui criticità in maniera rilevante sorgono proprio in connessione ai rapporti di lavoro, laddove esso è suscettibile di generare un trattamento differenziato, in situazioni analoghe, in dipendenza della natura pubblica o privata del rapporto di lavoro [87]. Ciò conferisce, inoltre, un segnale di “concretezza” all’intento delle Istituzioni dell’UE, su di un piano più squisitamente [continua ..]