L’articolo analizza concezioni concorrenti del diritto europeo. Contro la prevalente concezione, tutta incentrata sul diritto dell’UE, esso favorisce un concetto ecumenico di diritto europeo, il quale comprende il diritto dell’UE, gli strumenti internazionali supplementari, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e, segnatamente, i diversi diritti nazionali che attuano o reagiscono al diritto transnazionale, ai quali si affianca il diritto comparato europeo. Al fine di mantenere il concetto in sincronia con la politica europea, esso presenta una nuova idea che tiene unite le varie componenti, ossia quella di procedere verso uno spazio giuridico europeo, piuttosto che verso un’ulteriore integrazione (l’unione sempre più stretta). Questa idea può inoltre costituire l’equivalente funzionale di diritto europeo per la formazione di un ordinamento giuridico. Così concepito, il diritto europeo permette di dare un senso al sorprendente complesso di sistemi giuridici interdipendenti presenti in Europa, istituisce una cornice comune per i corrispondenti processi costruttivi (costruzioni europee composite, pluralismo giuridico, teorie della rete, federalismo o intergovernamentalismo) e fa sì che forze con differenti visioni si incontrino in un campo giuridico, su una piattaforma disciplinare più neutrale. All’interno di questo contesto, il diritto comparato europeo trova una nuova missione nonché un solido fondamento giuridico.
The article investigates competing understandings of European law. It supports, against the prevailing EU-centred understanding, an ecumenical concept that embraces EU law, supplementing international instruments, the European Convention on Human Rights and, importantly, various domestic laws enacting or responding to such transnational law, as well as European comparative law. To keep the concept in sync with European politics, it posits a new idea that binds the parts together: to provide for a European legal space rather than further European integration (the ever closer union). This idea can also serve as European law’s functional equivalent to forming one legal order. European law thus conceived grasps the puzzling complex of interdependent legal orders, sets a common frame for corresponding reconstructions (European composite constructions, legal pluralism, network theories, federalism or intergovernmentalism) and allows forces with diverging outlooks to meet in one legal field, on one more neutral disciplinary platform. Within this framework, European comparative law finds a new mission as well as a sound legal basis.
Articoli Correlati: divulgazione delle ricerche
I. Diritto europeo: molto più che un nome. - II. L’evoluzione della materia e la sua dimensione comparata: l’ambito originario del diritto comparato. - III. (Segue): come la trasformazione dell’UE ha ampliato l’ambito del diritto comparato. - IV. (Segue): la logica comparativa delle reti orizzontali. - V. La riforma del concetto di diritto europeo: europeità e interconnessione. - VI. (Segue): emancipare l’unità europea dall’idea di integrazione. - VII. (Segue): pensare in termini di spazio giuridico, non di ordinamento giuridico. - VII. (Segue): pensare in termini di spazio giuridico, non di ordinamento giuridico. - VIII. La comparazione nello spazio giuridico europeo: la sfida metodologica. - IX. (Segue): perché il diritto comparato europeo è differente. - X. Piccoli e grandi passi. - NOTE
Cosa si intende con “diritto europeo”? La definizione del concetto è dibattuta sin dagli anni ’60. Già nel 1967 il Consiglio d’Europa [2] si oppose all’equiparazione del diritto comunitario al diritto europeo così come operata dall’art. 1 dello Statuto del Federation Internationale pour le Droit Européen [3]. Un anno più tardi Hermann Mosler, consigliere giuridico di Konrad Adenauer e Walter Hallstein, [4] elaborò una sua definizione secondo la quale il diritto europeo sarebbe l’unione di vari elementi: non solo il diritto comunitario – l’attuale diritto dell’UE – ma anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (d’ora in poi CEDU), i diritti nazionali che rispondono a tale diritto transnazionale e, in via complementare, il diritto comparato europeo [5]. Per Mosler il collante era rappresentato dell’impulso comune verso l’integrazione europea. L’idea dell’autore non va certamente considerata come un argomento per sminuire il ruolo del diritto comunitario. Il presente lavoro proporrà una definizione ampia come quella di Mosler [6], sebbene vi siano due aspetti nei quali riteniamo che il concetto di diritto europeo debba superare la costruzione mosleriana. In primo luogo, gli elementi di diritto nazionale e comparato nel diritto europeo acquistano ancora più importanza. Secondariamente, l’idea centrale del diritto europeo non è più l’integrazione europea (“un’unione sempre più stretta”), ma piuttosto l’idea di uno spazio giuridico comune, coerente con i valori dell’art. 2 TUE . Tale concetto di diritto europeo persegue tre obiettivi: identificare l’insieme di ordinamenti giuridici interdipendenti ed interattivi; teorizzarlo e, infine, inquadrare le rispettive ricostruzioni dottrinali. Esso fornisce uno strumento analitico utile a ricomprendere i diversi elementi nazionali, sovranazionali e internazionali. Allo stesso tempo, ha una finalità normativa: il concetto di diritto europeo non è un descrittore neutro; al contrario, è un concetto che riflette una posizione e svolge un ruolo “performativo”. In primo luogo, l’approccio del “diritto europeo” persegue l’unità europea, come espresso nel preambolo del [continua ..]
L’analisi comparativa del diritto nazionale non è affatto estranea al diritto transnazionale (inteso come diritto sopranazionale e internazionale). La comparazione ha trovato una base giuridica nel diritto internazionale moderno da quando Édouard Descamps ha enucleato quello che oggi è l’art. 38, par. 1, lett. c), dello Statuto della Corte internazionale di giustizia [8]. Il diritto comparato, tuttavia, non è molto importante per il diritto internazionale. Inoltre, il diritto nazionale resta per il diritto internazionale un “fatto” e non è considerato parte di esso. Lo studio del diritto europeo, nonostante si sia ancorato inizialmente al diritto internazionale, è stato sempre più inclusivo. È normale studiare anche quelle parti della legislazione nazionale che implementano e rispondono alle matrici transnazionali del diritto europeo. Molte ricerche in quest’ambito si estendono anche al diritto nazionale. Naturalmente, gli studiosi spesso guardano al diritto interno che conoscono meglio, ma è chiaro che il diritto europeo richiede una maggiore apertura. Il confronto delle legislazioni e delle giurisprudenze nazionali, da sempre, svolge funzioni specifiche per il diritto transnazionale: nella creazione dei principi comuni che (a) contribuiscono a interpretare il diritto transnazionale, (b) aiutano le istituzioni ad adottare norme giuridiche e (c) aiutano ad identificare un ordre public comune che si incentri sui diritti individuali, sullo Stato di diritto e su un governo democratico [9]. Rispetto al diritto internazionale, tradizionalmente orientato al diritto privato comparato [10], il diritto europeo è nato con un forte radicamento nel diritto pubblico comparato [11]. Le Corti europee sono un esempio molto studiato di questi meccanismi. Sia la Corte di giustizia europea (CGUE) che la Corte europea dei diritti umani (Corte EDU) hanno unità speciali di ricerca in materia di diritto comparato. La comparazione viene utilizzata, per esempio, per determinare il c.d. consenso europeo, strumento argomentativo utilizzato dalla Corte EDU per sviluppare il diritto convenzionale [12]. Allo stesso modo, la CGUE utilizza la “comparazione valutativa” a supporto di decisioni critiche [13]. Numerosi studi sul diritto comunitario e, successivamente, sul diritto dell’UE hanno [continua ..]
(Segue). Tenendo conto della trasformazione che l’integrazione ha comportato, la componente di diritto comparato nel diritto europeo deve andare oltre tali primi approdi. Molta della prassi giuridica odierna in Europa, infatti, supera di gran lunga quanto immaginato anche dalla più visionaria delle dottrine sul finire degli anni ’80 [15]. Può sembrare paradossale a prima vista, ma il successo della costruzione di un nuovo sistema di governo, implica una posizione preminente dei diritti nazionali e della loro comparazione. Oggi, lo studio dei diritti nazionali e il loro confronto ha superato abbondantemente il ruolo che era stato loro assegnato negli anni ’60, quando si qualificava il diritto interno come mera Hilfswissenschaft (scienza complementare), riecheggiando il ruolo subalterno di un Hilfsarbeiter [16]. Richiamare alla mente alcuni degli aspetti più importanti della trasformazione europea e dello sviluppo del diritto europeo ci aiuta a vedere più chiaramente quale sia il ruolo ulteriore della comparazione. All’inizio degli anni ’60 ha avuto avvio una prima dinamica trasformativa che ha individuato gli elementi fondamentali del diritto europeo: le istituzioni comunitarie hanno acquisito autorità e il diritto comunitario ha cominciato ad essere integrato tanto nelle pratiche istituzionali, quanto nei dibattiti giuridici nazionali [17]. Questi elementi si intrecciano nell’evoluzione della narrativa europea creando una comunità europea di diritto [18]. In termini più teorici, il diritto comunitario è diventato la “libertà concreta” di Hegel, le “istituzioni” di Hauriou o di Santi Romano, l’“ordine concreto” di Schmitt, parte dei “rapporti di classe” marxisti o un “campo giuridico” di Bourdieu. Attualmente, vi sono pochi dubbi sul fatto che l’appartenenza all’UE abbia trasformato il diritto interno degli Stati membri in modo profondo, a partire dal diritto pubblico, tradizionalmente considerato il simbolo della sovranità nazionale. È emerso un diritto pubblico transnazionale che in dottrina è stato concettualizzato come un processo di “costituzionalizzazione” del diritto comunitario. Si è formato un diritto amministrativo europeo e, inoltre, si sono andati configurando un diritto privato europeo e un [continua ..]
(Segue). Un’altra dinamica che sta trasformando il diritto nazionale nasce dalla creazione di reti tra istituzioni nazionali [27]. In passato, il diritto nazionale costituiva un sistema assai chiuso, un sistema autosufficiente di comunicazione giuridica; i rapporti con le istituzioni pubbliche in altri paesi erano gestiti dal Ministero degli Affari Esteri. Oggi le cose sono diverse: è normale che i membri del Governo e i parlamentari, ma anche i funzionari, gli amministratori e i giudici interagiscano con i loro colleghi di altri paesi nella fase preparatoria all’esercizio dei propri poteri, spesso attraverso reti istituzionalizzate [28]. Anche altre istituzioni come le corti supreme e costituzionali, di solito sole al vertice del potere giudiziario, hanno formato reti istituzionalizzate. Solo raramente si tratta di un requisito stabilito dalla normativa UE; più spesso questa attività tra le istituzioni nazionali è autonoma (e gestita in via di prassi). Buona parte delle dinamiche politiche e giuridiche in Europa ha origine e si evolve in queste reti orizzontali, e non nelle istituzioni sovranazionali. L’apertura orizzontale o permeabilità [29] degli spazi giuridici interni va oltre le fondamenta originarie del diritto europeo e costituisce una trasformazione giuridica di grande importanza. Viene accentuata la dimensione comparativa del diritto europeo, che diventa così una pratica di routine per molti professionisti europei. Diviene quindi necessario acquisire una certa comprensione dei diversi ordinamenti, in primo luogo perché le reti istituzionalizzate spesso portano ad un controllo reciproco, a una peer review. La conoscenza di altri ordinamenti e il ragionamento comparativo possono aiutare avvocati, funzionari pubblici o giudici che agiscono nello spazio giuridico europeo per capire i loro colleghi e per calibrare le argomentazioni anche su quelle altrui. Gli uffici giudiziari sono l’esatta esemplificazione di questa nuova esigenza “comparativa”. Sempre più spesso hanno personale dedicato alla ricerca di diritto comparato [30] dal momento che la giurisprudenza nazionale desta interesse a livello europeo. Le Corti vogliono essere ascoltate anche fuori dai confini nazionali e per questo traducono sempre più spesso le proprie decisioni in inglese [31]. Questo fenomeno mette in rilievo la dimensione [continua ..]
Promuovere una riconsiderazione del concetto di diritto europeo non è semplicemente un’esigenza terminologica o meramente definitoria. Il diritto è una costruzione sociale; le costruzioni, quando sono complesse e razionali, si fondano su concetti; i concetti aiutano quindi nella costruzione della realtà, nel nostro caso, del complesso giuridico europeo. Tali concetti non emergono autonomamente dai testi giuridici. È necessario uno sforzo teorico: se le parole “diritto europeo” devono indicare un concetto, dovrebbero individuare qualcosa in modo qualificato, collegando diversi fenomeni, esperienze, concezioni teoriche o dati in maniera da generare una conoscenza al di là di una mera descrizione [36].
Quindi, come concettualizzare l’“europeità” del diritto europeo? Il termine “europeo” rievoca, in tutta la sua vaghezza [37], un’associazione che si propone di organizzare un continente, una regione, uno spazio. È con questo obiettivo che il diritto europeo come concetto collega fenomeni giuridici diversi, in particolare il diritto dell’UE, ai sistemi giuridici nazionali, alla CEDU e agli altri strumenti internazionali complementari (come il Trattato MES). Questo collegamento è fondamentale per il nostro concetto di diritto europeo, in quanto ne potenzia la forza distintiva. L’analisi dei fenomeni giuridici sulla base di esso si distingue dal pensiero giuridico tradizionale perché mette assieme lo studio di norme che sono solitamente attribuite a ordinamenti giuridici diversi [38]. Questa prospettiva è un elemento centrale del concetto che cerca di articolare le molte esperienze di interazione dei diversi fenomeni giuridici. Le teorie rilevanti, come ad esempio “il costituzionalismo multilivello” europeo, la costruzione europea composita, il pluralismo giuridico europeo nelle sue varianti o le teorie sulle reti europee e, ovviamente, il federalismo europeo, ma anche l’intergovernalismo liberale sono una parte essenziale del campo in cui si inserisce questo concetto [39]. Anche se queste teorie divergono tra loro in molti aspetti, le accomuna l’idea per la quale questi ordinamenti siano così profondamente collegati che l’interconnessione è parte della loro identità. Questa è considerata una caratteristica distintiva e specifica del fenomeno europeo [40]. Il concetto di diritto europeo, poi, non rinnega il pensiero in termini di ordinamenti giuridici. Ogni decisione sulla validità, sulla legalità, sulla legittimità e sugli effetti giuridici di un atto richiede che l’atto sia riconducibile a un ordinamento giuridico specifico. Il diritto europeo non mira ad eliminare le differenze, ma a preservare la complessità (dal momento che molti di questi atti dipendono da un contesto più ampio, essendo compresi nello spazio giuridico europeo). È, infatti, meglio articolare questo contesto in termini di spazio giuridico europeo piuttosto che di ordine giuridico, per le ragioni che si diranno a breve. Ciò, come si diceva, [continua ..]
(Segue). Il concetto di spazio giuridico europeo ha radici profonde. Come suggerisce lo stesso termine “europeo”, la dimensione spaziale accompagna il diritto europeo da sempre. Questa dimensione spaziale presuppone l’esistenza di un qualche confine [50], il che la distingue, nonostante la sua indeterminatezza, dal concetto di spazio globale che, per definizione, implica l’assenza di qualsiasi confine esterno [51]. Il riferimento di base richiama la somma dei territori degli Stati membri (art. 52 TUE, art. 355 TFUE), a partire dal 1952 con i sei paesi fondatori, come nucleo dello spazio europeo. In tal senso, il primo progetto di integrazione importante era un’unione doganale per stabilire una frontiera comune visibile e fornire una prima distinzione concreta tra interno ed esterno, con riferimento ad uno spazio comune: l’autorizzazione delle merci all’ingresso nel territorio comune. Ci è voluto tempo perché questa dimensione si sviluppasse dal punto di vista normativo nei Trattati. L’Atto unico europeo del 1987 fu la svolta: ha definito il mercato interno e quindi l’obiettivo più importante allora come uno “spazio senza frontiere”, così come oggi enunciato dall’art. 26 TFUE. Le voci critiche considerano questo passaggio come un tentativo di stabilire una “fortezza europea”; espressione dotata di un’enorme carica evocativa, visto che era usata nella Germania nazista per indicare la difesa dall’invasione alleata [52]. Tale critica sulla terminologia spaziale, però, non ha scoraggiato né i redattori del Trattato né i parlamenti nazionali che lo hanno ratificato. Al contrario, la dimensione spaziale è diventata sempre più importante. Oggi, la norma cardine è rappresentata dall’art. 3 TUE, che prevede uno spazio di movimento senza frontiere come primo riferimento spaziale dell’UE. Come concetto dottrinale, lo spazio giuridico europeo ha solide fondamenta nel diritto positivo. Anche se la versione in lingua inglese dei Trattati usa areainvece di spazio, le versioni in altri lingue utilizzano termini equivalenti a spazio, espressione più puntuale: Raum, espace, espacio, spazio. Per le ragioni che indicheremo di seguito, l’idea di spazio pare essere quella più indicata. Il riferimento allo spazio [continua ..]
(Segue). Il concetto di spazio giuridico europeo ha radici profonde. Come suggerisce lo stesso termine “europeo”, la dimensione spaziale accompagna il diritto europeo da sempre. Questa dimensione spaziale presuppone l’esistenza di un qualche confine [50], il che la distingue, nonostante la sua indeterminatezza, dal concetto di spazio globale che, per definizione, implica l’assenza di qualsiasi confine esterno [51]. Il riferimento di base richiama la somma dei territori degli Stati membri (art. 52 TUE, art. 355 TFUE), a partire dal 1952 con i sei paesi fondatori, come nucleo dello spazio europeo. In tal senso, il primo progetto di integrazione importante era un’unione doganale per stabilire una frontiera comune visibile e fornire una prima distinzione concreta tra interno ed esterno, con riferimento ad uno spazio comune: l’autorizzazione delle merci all’ingresso nel territorio comune. Ci è voluto tempo perché questa dimensione si sviluppasse dal punto di vista normativo nei Trattati. L’Atto unico europeo del 1987 fu la svolta: ha definito il mercato interno e quindi l’obiettivo più importante allora come uno “spazio senza frontiere”, così come oggi enunciato dall’art. 26 TFUE. Le voci critiche considerano questo passaggio come un tentativo di stabilire una “fortezza europea”; espressione dotata di un’enorme carica evocativa, visto che era usata nella Germania nazista per indicare la difesa dall’invasione alleata [52]. Tale critica sulla terminologia spaziale, però, non ha scoraggiato né i redattori del Trattato né i parlamenti nazionali che lo hanno ratificato. Al contrario, la dimensione spaziale è diventata sempre più importante. Oggi, la norma cardine è rappresentata dall’art. 3 TUE, che prevede uno spazio di movimento senza frontiere come primo riferimento spaziale dell’UE. Come concetto dottrinale, lo spazio giuridico europeo ha solide fondamenta nel diritto positivo. Anche se la versione in lingua inglese dei Trattati usa areainvece di spazio, le versioni in altri lingue utilizzano termini equivalenti a spazio, espressione più puntuale: Raum, espace, espacio, spazio. Per le ragioni che indicheremo di seguito, l’idea di spazio pare essere quella più indicata. Il riferimento allo spazio [continua ..]
Lo spazio giuridico europeo fornisce un terreno fertile per argomentazioni comparative, dal momento che il diritto europeo comprende vari ordinamenti giuridici. Le modalità di comparazione, però sono al centro di un intenso dibattito metodologico [75]. Quali sono i criteri per una buona comparazione? Vi è un ampio consenso sul fatto che la comparazione nel diritto pubblico si trovi di fronte a una sfida più importante rispetto alla comparazione privatistica, in cui il metodo funzionale è ben consolidato [76]. Nessun avvertimento è più famoso di quello di Antonin Scalia: «to invoke alien law when it agrees with one’s own thinking, and ignore it otherwise, is not reasoned decision-making, but sophistry» [77]. L’uso della comparazione risponde normalmente a uno di questi tre obiettivi: o si usa per sostenere un’interpretazione concreta, o per sviluppare un quadro concettuale che sostenga una posizione o, anche se di rado, per spiegare dei contrasti [78]. Da un punto di vista giuridico, l’argomento comparativo è particolarmente delicato quando supporta la formazione di un concetto [79] con un impatto nel diritto positivo o, ancor più, quando è usato direttamente per interpretare il diritto. Come osserva acutamente Michal Bobek, i problemi sorgono quando sono i giudici a utilizzare la comparazione. Spesso, infatti, sembra essere più un’invocazione di autorità estere (a sostegno delle proprie tesi) che un confronto metodologicamente controllato [80]. Queste sfide possono però essere affrontate alla luce di modelli affermati di argomentazione giuridica [81]. Di solito l’ostacolo all’uso della comparazione non è la redazione della disposizione. La vera sfida è rappresentata dal contesto normativo da cui la norma proviene quale risultato della Gestalt specifica (forma concreta) di un ordinamento giuridico. Focalizzarsi sulla soluzione giuridica specifica data a un determinato problema sociale è spesso un’opzione troppo limitata per la comparazione, soprattutto nel diritto pubblico [82]. Il primo passo è stabilire la comparabilità a livello sistemico [83]. È necessario stabilire se esiste la comparabilità necessaria; la verifica di tale requisito pone spesso problemi complessi. Si dubita se esista [continua ..]
(Segue). Nello spazio giuridico europeo, ci sono i presupposti sistemici per argomentazioni giuridiche di natura comparata. In questo spazio, il confronto avviene tra ordinamenti giuridici che, a differenza di altri ordinamenti giuridici, sono interconnessi da due vincoli di natura costituzionale. Tutti gli atti giuridici di qualsiasi autorità pubblica nello spazio giuridico europeo sono soggetti ai principi comuni di cui all’art. 2 TUE, integrati dalle garanzie apprestate dalla CEDU. L’art. 2 TUE, come noto, definisce i valori (principii) costituzionali su cui si fonda l’UE, ovvero «sul rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani». Essi si applicano a qualsiasi esercizio di pubblici poteri nello spazio giuridico europeo, sia da parte dell’UE che degli Stati membri. Come indicato all’art. 7 TUE, tutte le attività degli Stati devono rispettare tali norme [85]. Questi requisiti sono anche supportati dal diritto nazionale, in linea con la dipendenza reciproca dei sistemi europei [86]. Questi non sono principi solo teorici, vi è infatti un insieme di istituzioni responsabili dell’attuazione e del rispetto di questi standard [87]. Simili, anche se molto più deboli, sono le garanzie applicate all’interno del Consiglio d’Europa, come dimostra l’art. 8 del suo Statuto. Il rispetto di tali principi è una questione di interesse comune nello spazio giuridico europeo. È un altro corollario della dipendenza reciproca: la legittimità di ogni atto deriva non solo dal suo ordinamento giuridico costitutivo, ma anche dal rispetto delle norme sovranazionali. Come conseguenza, i problemi di legittimità di un’autorità influenzano negativamente la legittimità di altre autorità, come dimostrano i dibattiti sulla crisi in corso nello spazio giuridico europeo, sia in relazione al sostegno finanziario ad alcuni Stati membri, che alla riforma dei sistemi nazionali di welfare, all’organizzazione dei flussi migratori o all’applicazione del mandato d’arresto europeo. Questa è la ragione per la quale le carenze sistemiche sono diventate questioni cruciali del diritto europeo [88]. Vi è un ulteriore elemento a sostegno di questa ricostruzione teorica: il riconoscimento [continua ..]
L’espressione diritto europeo può sembrare a prima vista blanda e desueta. Eppure, essa può aiutare ad affrontare le sfide del nostro tempo. Il concetto appare particolarmente adatto se il telos originario di una sempre maggiore integrazione è sostituito con quello di articolare uno spazio giuridico europeo che promuove obiettivi comuni sulla base di un insieme di valori condivisi. Rimodulando così il telos, si offre una cornice sia concettuale che normativa in grado di unire numerose linee di pensiero e guidare verso un’idea aggiornata di unità europea. Inoltre, così si permette di superare i limiti del pensiero giuridico basato sull’idea di ordinamento, senza tuttavia disfarsi completamente degli elementi utili che queste dottrine apportano. Se il concetto di diritto europeo rimane aperto in vari aspetti, questo rispecchia il terreno nel quale ci si muove, dove si incontrano forze con obiettivi divergenti o addirittura contrastanti. Far sì che queste forze si incontrino in un unico campo giuridico e su una piattaforma disciplinare comune è un punto centrale della nostra costruzione: mentre la CGUE decide sul diritto dell’UE e la Corte suprema svedese sul diritto svedese, entrambe decidono sul diritto europeo tutte le volte che le loro decisioni influiscono sullo spazio giuridico europeo, nei confronti del quale sono comunque responsabili. Questo concetto di diritto europeo richiede una maggiore comparazione, e non per se né come disciplina indipendente; ma piuttosto deve convertirsi in uno strumento quotidiano per teorici e pratici del diritto. Non vi è dubbio che sono molte le persone che hanno unito i loro sforzi in questo senso: basta ricordare il lavoro della Commissione di Venezia nel campo costituzionale [96]. Nonostante ciò, il cammino verso un discorso comparativo convincente in Europa rimane lungo e arduo; una indicazione, anche se certo non una vera e propria mappa, per questo viaggio è proposta dal diritto romano della Europa moderna, che ai suoi tempi fu il contesto comune di riferimento del pensiero giuridico in tutto il continente [97]. All’inizio del XX secolo, in questa funzione si considerava il diritto comparato quale naturale sostituto di un diritto romano moderno ormai moribondo [98]. La storia del fallimento del diritto comparato in questa prospettiva deve ancora essere raccontata [continua ..]