The article analyses the role of the EU general principles on the protection of fundamental rights within the European Union after the entry into force of the Lisbon Treaty, which recognized to the Charter of fundamental rights the same legal value as the Treaties. The analysis is divided into two sections. The first one (paragraphs IV-IX) focuses on the reasons why whereby the Court of Justice still invokes unwritten law in assessing fundamental rights of individuals. To that effect, it examines the case-law after December 1st 2009 which uses, or might use, as criterion of interpretation and/or legality, the provisions of the Charter which reproduce or crystallise a general principle. The second section (paragraphs X-XV) focuses on the functions that general principles might or must have today “beside” or “beyond” the Charter, because a written legal provision cannot apply “directly” as such. In these cases, the general principle concerned does not necessarily have a corresponding provision in the Charter. Similarly its interpretation and application do not necessarily evolve in parallel with the Charter provisions. Indeed, according to Article 6(3) TEU, these principles may also, or only, have independent significance and an autonomous “legal life”, not linked to the Charter. Through this analysis, the Author tries to demonstrate the fundamental role that EU general principles still have within the Union. This role is particularly (but not exclusively) marked when they emphasize the specificities characterizing the EU legal system, and thus contribute to ensure its autonomy.
I. Il sistema attuale di tutela dei diritti fondamentali nell’Unione europea. - II. (Segue). Il rapporto tra par. 1 e par. 3 dell’art. 6 TUE: quale coordinamento tra Carta dei diritti fondamentali e principi generali di diritto inerenti ai diritti fondamentali? - III. La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ed il ruolo della fonte non scritta dopo il trattato di Lisbona: sostanziale continuità dell’approccio interpretativo ed applicativo. - IV. La fungibilità di Carta e principi generali. - V. (Segue). L’impiego di Carta e principi generali per accertare i diritti fondamentali. - VI. (Segue). L’impiego della sola Carta. - VII. (Segue). L’impiego dei soli principi generali. - VIII. (Segue). L’atteggiamento di self-restraint della Corte. - IX. Le possibili interpretazioni estensive/evolutive della (o alla luce della) fonte scritta e di quella non scritta. - X. Il ruolo dei principi generali di diritto “accanto alla” ed “oltre la” Carta. - XI. L’operatività dei principi generali quando la Carta non è applicabile ratione temporis. - XII. La funzione suppletiva e complementare dei principi generali nei casi in cui la Carta non può trovare applicazione ratione personae. - XIII. (Segue). E nei casi in cui potrebbe non trovare applicazione rispetto ad alcuni Stati membri. - XIV. La funzione supplementare e integrativa dei principi generali: lo sviluppo del-l’acquis dell’Unione. - XV. La funzione conservativa dei principi generali a garanzia delle specificità dell’ordinamento dell’Unione. - NOTE
La fonte di diritto non scritta per eccellenza dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea è costituita dai principi generali di diritto [1]. Con riguardo ai diritti fondamentali dell’individuo, tali principi – elaborati nel corso dei decenni dalla giurisprudenza della Corte di giustizia [2] – sono stati codificati, e in parte cristallizzati [3], in un catalogo scritto, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea cui – come noto – il Trattato di Lisbona ha conferito carattere giuridico obbligatorio pari a quello dei trattati (art. 6, par. 1, TUE) [4]. L’acquisizione di tale natura vincolante è unanimemente considerata un passaggio qualitativo essenziale, un vero e proprio spartiacque nel processo di integrazione europea, perché la tutela dei diritti fondamentali è posta definitivamente al centro del sistema giuridico dell’Unione [5], rappresentandone il valore identitario che diventa “parametro scritto di costituzionalità”: parametro di legittimità, oltre che di interpretazione, che vincola, insieme con il giudice dell’Unione (e ancora prima), le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione, nonché gli Stati membri nei limiti in cui attuano il diritto dell’Unione, come specificato dall’art. 51, par. 1, Carta. Si tratta di un passaggio indubbiamente rilevante dal punto di vista (almeno) della visibilità dei diritti tutelati, visibilità che, del resto, è una delle finalità perseguite con l’elaborazione della Carta dei diritti fondamentali [6]. E questo passaggio, insieme con la conseguente maggior visibilità dei diritti, è confermato dalla nuova formulazione del par. (oggi) 3 dell’art. 6 TUE. Se, infatti, nella versione pre-Lisbona, il corrispondente par. 2 dell’art. 6 TUE sanciva l’obbligo per l’Unione di rispettare i diritti fondamentali dell’individuo, quali garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (nel prosieguo: CEDU) e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, «in quanto principi generali del diritto comunitario», oggi la disposizione richiamata dispone che i diritti fondamentali, garantiti dalla CEDU e risultanti [continua ..]
A fronte di tale panorama normativo, con due strumenti vincolanti di tutela dei diritti fondamentali, uno scritto – la Carta, che riafferma i principi generali di diritto enucleati dalla Corte di giustizia, come ci ricorda (innanzitutto) il suo stesso preambolo [15], – e uno non scritto – i principi generali di diritto inerenti ai diritti fondamentali – non ci si può non interrogare su quale sia il coordinamento tra le due fonti e quale sia, dunque, il ruolo che (dopo il 1° dicembre 2009, ancora) rivestono questi ultimi nella giurisprudenza di Lussemburgo, ovvero in che modo essa impieghi (possa impiegare o debba impiegare, come si vedrà, a seconda dei casi) il diritto non scritto nell’accertamento, appunto, dei diritti fondamentali. L’unico elemento testuale che potrebbe aiutare a rispondere a siffatti quesiti è la circostanza che il nuovo art. 6 TUE menziona, come visto, prima la Carta, al suo par. 1, e poi i principi generali di diritto, al suo par. 3. Tale dato letterale non è, tuttavia, sufficiente per sostenere che la prima fonte ha (o deve avere) una rilevanza superiore, rectius prioritaria, rispetto alla seconda [16]. E, del resto, questa impostazione non trova conferma neppure in un’analisi puntuale e sistematica della giurisprudenza della Corte di giustizia, la sola che ci consente di dare una risposta, se non certa in termini assoluti (come subito si vedrà, la certezza del diritto è ben lontana dall’essere soddisfatta nel contesto in esame), almeno fondata sulla prassi preponderante seguita dal giudice di Lussemburgo [17]. Prima di esaminare tale prassi, occorre però evidenziare come l’assenza di coordinamento esplicito e diretto tra le due fonti sia del tutto peculiare, se non addirittura paradossale rispetto ad una (seconda, oltre alla visibilità dei diritti) finalità sottesa all’elaborazione della Carta, ovvero quella di assicurare (appunto) la certezza del diritto. Ciò, in particolare, in considerazione del fatto che i due strumenti, le due categorie di fonti hanno (i) la stessa natura giuridica e rango primario [18], (ii) le stesse fonti di ispirazione (in primis, benché non solo, come si vedrà [19], la CEDU e le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri) e (iii) lo stesso ambito di applicazione [20], essendo entrambe le fonti «the shadow [continua ..]
Il menzionato difetto di coordinamento tra le due fonti, scritta e non scritta, costituisce, come detto, un (primo) deficit paradossale di certezza, deficit confermato anche – in modo altrettanto poco ragionevole – dalla formulazione di molte disposizioni della Carta, specie, ma non solo, delle sue clausole c.d. orizzontali, e così dall’attività ermeneutica della Corte di giustizia. Infatti, benché essa, dopo Lisbona [24] sia formalmente vincolata al dato scritto, nei fatti continua a interpretare ed applicare con grande elasticità le previsioni della Carta (sia quelle che sanciscono diritti o principi, sia le richiamate clausole orizzontali [25]), contrariamente a o, comunque, diversamente da quanto ci si sarebbe potuti attendere, in considerazione appunto del fatto che essa ha ormai a che fare con una fonte vincolante scritta di tutela dei diritti fondamentali [26]. L’esame della giurisprudenza della Corte successiva all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona mostra, perciò, una sostanziale continuità e non reale cambiamento dell’approccio con cui il giudice dell’Unione accerta i diritti fondamentali, ovvero (i) ne rileva l’esistenza e (ii) ne definisce la portata e il contenuto, circoscrivendone i contorni. La Corte continua a seguire un metodo ermeneutico di stampo funzionalistico e la discrezionalità e flessibilità che caratterizzano il ragionamento logico-giuridico che conduce alla soluzione dei singoli casi sottoposti al suo vaglio rendono difficile reperire tracce di sicura coerenza e prevedibilità nell’analisi dei percorsi giurisprudenziali. La certezza perseguita con l’elaborazione del catalogo scritto di diritti è, dunque, solo apparente. In questo contesto – come si cercherà di dimostrare – anche nello scenario post Lisbona non si può ritenere che i principi generali di diritto svolgano una funzione meramente suppletiva e un ruolo ormai residuale [27], specie se inteso in senso riduttivo e quasi svilente, svalutativo, come sembra emergere in alcune impostazioni dottrinali, che qualificano addirittura come obsoleta la previsione di cui all’art. 6, par. 3, TUE, sostenendo che l’attività interpretativa e creativa della Corte di giustizia potrebbe comunque giustificarsi sulla base del solo art. 19 TUE [28]. In realtà, i principi [continua ..]
Con riguardo alla prima parte del lavoro, l’analisi della giurisprudenza post Lisbona – pur caratterizzata, come anticipato, da scarsa coerenza e limitata prevedibilità – ha consentito di individuare quattro diversi scenari quanto all’impiego delle due fonti oggetto di indagine, cui si può accostare un ulteriore scenario, non ancora esistente, ma prospettabile, relativo a futuri eventuali interventi della Corte di giustizia in cui essa potrebbe interpretare ed applicare in modo estensivo e/o evolutivo alcune previsioni della Carta ed i corrispondenti principi generali di diritto. In tutte le ipotesi che saranno esaminate i principi generali svolgono una funzione confermativa delle corrispettive disposizioni della Carta. Anche se, a rigore, come visto, è la Carta a riaffermare i principi generali elaborati negli anni dalla Corte di giustizia e non viceversa: quindi – capovolgendo la prospettiva di osservazione – si potrebbe in termini identici sostenere che la Carta adempie ad una funzione confermativa del previgente principio generale, con possibilità di una sua interpretazione in chiave estensivo/ evolutiva, cui far corrispondere analoga e parallela evoluzione del principio generale. Per sintetizzare, e con le specificazioni su cui ci soffermerà – nonché con le eccezioni che saranno analizzate nella seconda parte del lavoro – si può affermare che la giurisprudenza successiva al dicembre 2009, utilizza Carta e principi generali in modo sostanzialmente fungibile: poiché (rectius, nella misura in cui) le due fonti sono composte da “previsioni” corrispondenti, l’applicazione/interpretazione dell’una implica, “porta con sé” quella dell’altra e, come meglio si vedrà, anche qualora la Corte richiama ed utilizza una sola delle due fonti, anche l’altra potrebbe (in linea di principio) essere impiegata per la soluzione, negli stessi termini, del caso sottoposto alla sua attenzione. Ciò diversamente da quanto accade quando il principio generale spiega una funzione suppletiva o supplementare, integrativa o conservativa dell’ordinamento giuridico dell’Unione, ovvero nei casi che saranno studiati, come detto, nella seconda parte del lavoro.
Il primo scenario in cui fonte scritta e fonte non scritta hanno (e diversamente non potrebbe essere) una funzione confermativa l’una dell’altra e sono, quindi, fungibili, è rappresentato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia che impiega come parametro interpretativo e di legittimità entrambe le fonti; o, almeno, le richiama entrambe, anche qualora la Carta – pur ormai in vigore il trattato di Lisbona – non risulti ancora applicabile ratione temporis [31]. Tale scenario caratterizza, in particolare (ma non soltanto), le pronunce del giudice dell’Unione nel periodo tra il 1° dicembre 2009 e (almeno) la prima metà del 2012. Ciò che forse potrebbe stupire – quanto meno nei casi in cui la Carta non incontra il limite di applicazione temporale di cui si è appena detto – è il fatto che la Corte, in linea di principio, continua ad utilizzare le due fonti richiamandole nello stesso ordine con cui le richiamava prima di Lisbona [32], ovvero i principi generali in prima battuta e, a seguire, la Carta, che riafferma, ribadisce, conferma quanto sancito dal corrispondente principio generale [33]. In virtù della loro collocazione sistematica all’interno dell’art. 6 TUE e del fatto che la Carta viene resa giuridicamente obbligatoria per garantire – come visto – maggiore visibilità e certezza dei diritti in essa codificati, ci si sarebbe infatti potuti ragionevolmente attendere un cambio di rotta nell’approccio della Corte e quindi, che essa, quand’anche avesse continuato a richiamare entrambe le fonti, facesse prima riferimento a quella scritta e poi a quella non scritta. Questa inversione si riscontra, invece, soprattutto, nelle più recenti pronunce che richiamano entrambe le fonti, ovvero in quelle successive ai primi due anni e mezzo dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona [34]. Vero è poi che, pur partendo dal richiamo del principio generale volta a volta rilevante, la Corte – se la Carta è applicabile ratione temporis – procede di fatto ad analizzare la corrispondente previsione della Carta, ormai cogente, al fine di delinearne la portata ed i confini applicativi. Tuttavia, anche seguendo siffatta impostazione, l’interpretazione del giudice dell’Unione rimane sostanzialmente informata alla propria giurisprudenza sui principi [continua ..]
Il secondo scenario, riscontrabile sulla base di un’analisi sistematica della giurisprudenza del giudice di Lussemburgo successiva all’acquisizione da parte della Carta di carattere vincolante, è costituito dalle pronunce che richiamano o utilizzano come parametro di costituzionalità la sola fonte scritta e non anche il corrispondente principio generale di diritto. Benché non manchino sentenze di questo tipo anche nei primi anni di vigenza del trattato di Lisbona [45] – al pari di decisioni che, anche in tempi più recenti, continuano a richiamare, come visto, entrambe le fonti [46] – esse sono più frequenti a partire dalla seconda metà del 2012 [47]. Una ragione di questo diverso approccio della Corte potrebbe individuarsi nel fatto che la Carta, allontanandosi dalla data di entrata in vigore del trattato di Lisbona, diviene (sempre) più frequentemente applicabile ratione temporis. E, ancora, nella circostanza che i giudici di Lussemburgo hanno ormai “preso confidenza” con la fonte scritta e sono pienamente consapevoli – come dimostrano le pronunce dei primi anni successivi all’entrata in vigore del trattato di Lisbona – della corrispondenza tra le norme della Carta e i principi generali di diritto elaborati nei decenni dalla giurisprudenza “comunitaria”, che potrebbero quindi ritenere anche superfluo richiamare. Del resto, se la Carta riafferma i principi generali, anche se essi non vengono esplicitamente richiamati nelle sentenze, “vivono” comunque per il tramite del richiamo della Carta e della sua interpretazione ed applicazione. Ciò implica, altresì, che una qualunque interpretazione di una disposizione della Carta, anche un’eventuale interpretazione estensivo/evolutiva (o comunque di norme derivate in base alla Carta), deve ritenersi accompagnata dalla stessa interpretazione del (o alla luce del) corrispondente principio generale di diritto, anche se esso non è stato espressamente richiamato ed impiegato dalla Corte nel proprio ragionamento. E la stessa soluzione pare prospettabile anche qualora il richiamo alla sola previsione della Carta potesse giustificarsi in considerazione del fatto che essa cristallizza (anziché codificare) un principio generale di diritto: anche in ipotesi di questo tipo, sembra infatti corretto assicurare che, insieme con la Carta, si [continua ..]
Più limitati sono i casi, speculari a quelli appena esaminati, in cui il giudice dell’Unione richiama soltanto il principio generale e non anche la corrispondente previsione della Carta. Ciò può forse apparire comprensibile nelle ipotesi in cui quest’ultima – pur ormai cogente – non può trovare applicazione ratione temporis [52]; anche se tale atteggiamento della Corte altro non è che una ulteriore riprova della menzionata incoerenza della giurisprudenza in esame, dal momento che preferibile sarebbe comunque il richiamo ad entrambe le fonti, con la specificazione che la soluzione del caso di specie viene poi data sulla base del (solo) principio generale, in considerazione del fatto che la previsione corrispondente (e vincolante) della Carta non è applicabile, appunto, ratione temporis. Risultano, invece, difficilmente giustificabili il mancato richiamo ed impiego della fonte scritta quando non si rientra nelle ipotesi da ultimo menzionate e la Carta è dunque applicabile dal punto di vista temporale. Uno dei casi più eclatanti è quello relativo alla causa El Dridi, dove si invita il giudice a quo – nella soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente – a tenere in debita considerazione il principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, «che fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri» [53], senza in alcun modo richiamare l’art. 49, par. 1, Carta, che codifica tale principio e che sarebbe stato applicabile nel caso concreto al pari del corrispondente principio generale. Anche in queste ipotesi, così come si è detto con riguardo a quelle esaminate nei parr. V e VI, pare comunque opportuno ritenere che ad un’eventuale interpretazione estensivo/ evolutiva del rilevante principio generale (o delle norme di diritto derivato in base ad esso) corrisponda la stessa interpretazione della norma della Carta che siffatto principio generale codifica (o del diritto derivato alla luce di quest’ultima), per quanto essa – probabilmente per dimenticanza – non è stata invocata ed utilizzata dal giudice dell’Unione.
Il quarto scenario individuabile alla luce di un’analisi sistematica della giurisprudenza del giudice di Lussemburgo successiva all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona è costituito da quelle pronunce in cui esso, pur (talora comunque) assicurando in concreto la tutela del diritto quesito, decide di non fondare siffatta garanzia sulla Carta e/o il corrispondente principio generale, che pur avrebbe potuto impiegare – eventualmente ricorrendo ad una loro interpretazione estensivo/ evolutiva – per risolvere il caso sottoposto al suo vaglio. Si ricordano due ipotesi in cui la Corte di giustizia fa opera di self-restraint e non propende, come invece parrebbe possibile, per il richiamo e l’applicazione della fonte scritta (e di quella non scritta) di tutela dei diritti fondamentali. La più recente, in ordine di tempo, è la sentenza relativa al caso Kaltoft [54], dove la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla sostanziale compatibilità con il diritto dell’Unione di una normativa nazionale in tema di licenziamento che si dubitava violasse il (rectius, fosse stata applicata in violazione del) principio di non discriminazione in base alla disabilità (rectius, obesità, il ricorrente nel giudizio principale lamentando di essere stato vittima di una discriminazione di tale natura, ritenuta la causa del suo licenziamento). La Corte, escludendo (in modo peraltro non chiaro, visto che il caso viene comunque poi risolto sulla base della direttiva 2000/78/CE [55]) che si rientrasse nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, ha altresì escluso l’applicabilità della Carta, e in particolare del suo art. 21 che vieta la discriminazione fondata, tra l’altro, sulla disabilità. Tuttavia, dando prova di maggior coraggio, essa avrebbe forse potuto affermare che il diritto dell’Unione sancisce un principio generale di non discriminazione in base all’obesità patologica (rilevante nella specie), riconducendola nella nozione di disabilità di cui alla citata previsione della Carta e al corrispondente principio generale [56] (dato che poi, di fatto, ne ha ammesso comunque la configurabilità come “handicap” ai sensi della direttiva del 2000), ed eventualmente circoscrivendo la sua rilevanza (e riconducibilità alla discriminazione vietata) [continua ..]
Con riguardo alle ipotesi esaminate nel paragrafo precedente è possibile, se non addirittura auspicabile, come accennato, un revirement della Corte di giustizia, con accoglimento di un’interpretazione lata delle previsioni rilevanti della Carta e dei corrispondenti principi generali, o comunque delle norme di diritto derivato alla luce della fonte scritta e di quella non scritta. Ulteriori interventi del giudice di Lussemburgo per chiarire i contorni di previsioni della Carta e dei corrispondenti principi generali o per completarli con contenuti nuovi, sembrerebbero poi possibili con riguardo, ad esempio, alla configurazione (i) del diritto all’acqua, desumendolo dal diritto alla dignità personale e dal diritto alla vita (codificati negli artt. 1 e 2 Carta) [68], (ii) del diritto di accesso ad internet, sulla base del diritto alla libertà di espressione (codificato nell’art. 11 Carta) [69], o ancora (iii) del diritto ad un reddito minimo garantito, fondandolo sul diritto alla vita e sul diritto all’assistenza sociale quale forma di lotta contro l’esclusione sociale e la povertà (di cui agli artt. 2 e 34, par. 3, Carta) [70]. La Corte di giustizia pare quindi chiamata, a breve, a prendere posizione sulla possibile implementazione del sistema mediante l’accoglimento dell’opzione interpretativa formulata dalla Corte di Strasburgo in merito al principio del ne bis in idem. Come noto, nella pronuncia Grande Stevens e a. [71], tale Corte ha esteso l’applicabilità del principio anche ad ipotesi in cui gli stessi fatti siano oggetto di un procedimento penale e di uno amministrativo nel quale la sanzione comminata abbia di fatto natura penale in base ai c.d. criteri Engel [72]. Nel caso Akerberg Fransson, precedente alla menzionata sentenza della Corte EDU, la Corte di giustizia aveva stabilito che in base al diritto dell’Unione il principio di cui all’art. 50 Carta deve essere interpretato nel senso che vieta il secondo svolgimento di un procedimento in idem a patto che entrambi i procedimenti abbiano natura penale, senza peraltro ostare ad una applicazione più ampia del principio (che vieti anche lo svolgimento in idem di due procedimenti uno penale ed uno amministrativo, ma sostanzialmente penale) prevista dalle legislazioni degli Stati membri, a patto che tale [continua ..]
Passando ora alla seconda parte del lavoro, ci si concentrerà, come anticipato (supra, par. III), sull’esame dell’attuale ruolo dei principi generali di diritto non come fonte fungibile ed alternativa alla Carta, ma come fonte dotata di rilevanza (anche) autonoma, e quindi svincolata da quella della Carta, proprio in virtù di quanto sancito dall’art. 6, par. 3, TUE. Di tale “vita giuridica” (anche) propria dei principi generali sono individuabili cinque diverse manifestazioni, sviluppandosi essa talora accanto alla Carta, in funzione complementare, per supplire alla sua inapplicabilità ratione temporis (par. XI) o ad alcune sue lacune (reali o presunte) dal punto di vista dell’operatività ratione personae (parr. XII e XIII); talvolta invece oltre la Carta, in funzione integrativa dell’ordinamento giuridico dell’Unione (par. XIV) oppure conservativa del suo acquis (par. XV). Come si preciserà meglio analizzando le singole funzioni dei principi generali, solo rispetto ai casi in cui essi svolgono una funzione suppletiva paiono opportune, per non dire doverose (al fine di assicurare coerenza e uniformità del sistema) un’interpretazione e un’evoluzione interpretativa comunque parallele delle due fonti (o delle norme di diritto derivato alla luce di tali parametri di riferimento); laddove, invece, i principi generali spiegano una funzione integrativa o conservativa, la loro interpretazione è aggiuntiva rispetto a quanto desumibile dalla Carta o diversa rispetto a quella della corrispondente previsione scritta, con “evoluzione” interpretativa ed applicativa pertanto della fonte non scritta e di quella scritta secondo due differenti “velocità”.
La prima ipotesi in cui i principi generali svolgono una funzione indispensabile neppure, a dire il vero, accanto alla Carta, ma sostanzialmente al posto di essa – al pari di quanto accadeva prima che essa divenisse vincolante – si configura quando quest’ultima non è (ancora) operativa ratione temporis. Benché infatti abbia acquisito carattere cogente con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, se la fattispecie oggetto di valutazione da parte del giudice dell’Unione si colloca temporalmente prima del 1° dicembre 2009, la Carta non può trovare applicazione e la questione al vaglio della Corte di giustizia deve essere risolta utilizzando come parametro di legittimità e/o interpretazione i principi generali di diritto [84]. Diversamente, se la Corte è chiamata a verificare la legittimità di un atto dell’Unione o la sostanziale compatibilità di una normativa nazionale pur elaborati prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ma ancora vigenti nel momento in cui essa deve pronunciarsi, anche la Carta può (rectius, deve) servire da parametro di costituzionalità ed il principio generale ricopre il ruolo fungibile della, e complementare alla, fonte scritta di tutela dei diritti fondamentali esaminato nella prima parte del lavoro [85]. Le situazioni di inapplicabilità ratione temporis della Carta si verificano soprattutto nei primi anni di vigenza del trattato di Lisbona, poiché, più ci si allontana dalla data di sua entrata in vigore, meno frequenti saranno le fattispecie, sottoposte all’attenzione della Corte, collocate temporalmente prima del 1° dicembre 2009 e quindi “soggette” ai soli principi generali. Si tratta, dunque, di ipotesi destinate “ad esaurirsi”; e la funzione in esame dei principi generali è pertanto “transitoria”, per colmare il vuoto dato dalla temporanea inoperatività della Carta. Come visto, queste situazioni hanno caratterizzato, in particolare, la giurisprudenza della Corte di giustizia nei primi due anni e mezzo successivi all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, dove essa – pur formalmente (e correttamente) richiamando anche la Carta (in quanto ormai vincolante) – ha poi basato la soluzione del caso di specie sulla sola fonte cogente al momento applicabile, ovvero i principi [continua ..]
I principi generali sono, poi, chiamati a svolgere una funzione suppletiva rispetto alla Carta nei casi in cui le sue previsioni hanno un’applicazione circoscritta dal punto di vista soggettivo. Ciò accade (e pare la sola ipotesi che rientra nello scenario in esame) con riguardo al diritto ad una buona amministrazione, di cui all’art. 41 Carta che – specie ai suoi parr. 1 e 2 – riconosce una serie di diritti ad ogni persona vincolando espressamente al soddisfacimento del correlato obbligo le sole istituzioni, organi e organismi dell’Unione e non anche gli Stati membri, quando (evidentemente) attuano il diritto dell’Unione [86]. Si tratta di una limitazione poco comprensibile, specie in considerazione di due fattori. Il primo è costituito dal fatto che le Spiegazioni della Carta, relativamente alla previsione in parola, affermano che essa è basata «sull’esistenza dell’Unione in quanto comunità di diritto, le cui caratteristiche sono state sviluppate dalla giurisprudenza che ha consacrato segnatamente la buona amministrazione come principio generale di diritto» (corsivo aggiunto); e si tratta, tra l’altro, di uno dei pochi casi in cui tale strumento esplicativo richiama espressamente i principi generali come fondamento della norma riprodotta nella Carta [87]. Il secondo fattore è rappresentato dalla circostanza che tra la giurisprudenza citata come “base di riferimento” del principio generale codificato nell’art. 41 Carta si rinviene anche una pronuncia della Corte che ha sancito l’operatività di tale principio rispetto agli Stati membri [88]. A fronte di tale quadro normativo – ancora una volta in contraddizione con l’esigenza di certezza sottesa all’elaborazione della Carta – e delle prime pronunce della Corte di giustizia più ambigue sull’interpretazione dell’art. 41 Carta [89], parte della dottrina ha prospettato la possibilità di estenderne l’applicazione anche agli Stati membri in virtù di quanto statuito dall’art. 51, par. 1, Carta, e quindi in combinato disposto con tale norma, che vincola questi ultimi nell’attuazione del diritto dell’Unione [90]. Nelle sue più recenti pronunce, la Corte ha invece chiaramente affermato che la previsione in parola vincola soggettivamente solo [continua ..]
Un’applicazione, interpretazione e sviluppo ermeneutico “paralleli” di previsioni della Carta e dei corrispondenti principi generali e/o del diritto derivato alla luce di tali fonti primarie dovrebbero assicurarsi anche nei casi in cui la fonte non scritta dovesse necessariamente trovare applicazione al posto di quella scritta, qualora quest’ultima si considerasse non operativa sempre da un punto di vista soggettivo, ma in questo caso con riguardo non a tutti ma soltanto ad alcuni Stati membri: quegli Stati membri che godono (rectius, sembrerebbero poter godere), in relazione alla Carta, di un particolare regime di opt-out. Il condizionale è, tuttavia, d’obbligo, dal momento che, come subito si vedrà, non pare potersi concludere che – in virtù di quanto stabilito dal protocollo n. 30 allegato al TUE e al TFUE, relativo all’applicazione della Carta alla Polonia e al Regno Unito – tali Stati siano realmente svincolati dalle previsioni in essa contenute [97]. Nonostante la formulazione piuttosto ambigua (almeno ad una prima lettura) delle disposizioni che compongono tale protocollo, la non configurabilità di un opt-out rispetto alle norme della Carta è stata chiarita dal giudice dell’Unione, con riguardo al suo art. 1, par. 1 [98]. Nella causa N.S. e a., esso ha infatti affermato che siffatta previsione «esplicita l’art. 51 della Carta, relativo all’ambito di applicazione di quest’ultima, e non ha per oggetto di esonerare la [...] Polonia e il Regno Unito dall’obbligo di rispettare le disposizioni della Carta, né di impedire ad un giudice di uno di questi Stati membri di vigilare sull’osservanza di tali disposizioni» [99]. Relativamente al par. 2 del citato art. 1 e all’art. 2 [100] non si rinvengono ancora interventi interpretativi della Corte di giustizia, ma anche rispetto ad essi sembra ragionevole la tesi, pressoché unanime in dottrina, che ne esclude l’idoneità a sottrarre i due Stati membri dagli obblighi imposti dalla Carta [101]. Il protocollo in esame altro non pare, in effetti, che un «chef d’œuvre de contorsion juridique» [102], uno strumento giuridicamente inoffensivo [103], poiché si limita a ribadire quanto già desumibile dall’art. 6, par. 1, TUE e [continua ..]
Accanto alla funzione suppletiva e complementare dei principi generali di diritto finalizzata ad assicurare coerenza e uniformità del livello di tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento dell’Unione, è individuabile una loro funzione supplementare rispetto al catalogo scritto di diritti: si tratta della funzione “tipica” dei principi generali quanto ai diritti fondamentali, che essi hanno sempre svolto, anche prima che la Carta acquisisse carattere vincolante, e che continuano a (necessariamente) svolgere – in linea di continuità con il passato – ad integrazione dell’ordinamento giuridico in esame [111]; di quella funzione che più immediatamente risulta evidente dalla lettura stessa del par. 3 dell’art. 6 TUE [112]. Quest’ultima previsione conferma, infatti, (i) l’operatività anche ancora autonoma dei principi generali, come “catalizzatori” di nuovi diritti fondamentali [113] e (ii) il ruolo tradizionale, e tutt’oggi essenziale, della Corte di giustizia nell’accertamento, appunto, di nuovi diritti fondamentali «in quanto principi generali di diritto»: diritti che non potrebbero essere rilevati neppure sfruttando l’interpretazione estensivo/evolutiva che deve essere comunque assicurata alle previsioni della Carta, intrinsecamente dotata di potenzialità espansiva (v. supra, par. V); diritti che – per riprendere la definizione utilizzata dal Praesidium della convenzione del trattato costituzionale [114] – possono qualificarsi, pertanto, “addizionali” o “supplementari”. Principi generali e Carta procedono così necessariamente su binari separati, a due diverse velocità: non è infatti neppure individuabile una corrispondenza scritta del nuovo principio generale, a meno che, ovviamente, si proceda ad una revisione della Carta, inserendovi nuove previsioni riproduttive del diritto addizionale accertato dalla Corte di giustizia [115]. Qualche dubbio potrebbe forse residuare per i casi in cui quest’ultima riempisse di contenuto un principio sancito dalla Carta, “trasformandolo” in diritto e rendendolo quindi giustiziabile in quanto ormai dotato di effetto diretto: non è infatti certo se si sarebbe in presenza di un’evoluzione [continua ..]
L’ultima funzione che può riconoscersi ai principi generali di diritto è quella finalizzata ad assicurare l’autonomia dell’ordinamento dell’Unione, in virtù delle specificità che lo contraddistinguono e, quindi, del suo carattere identitario, quale da ultimo ribadito dalla stessa Corte di giustizia nel menzionato parere (negativo) sull’adesione dell’Unione alla CEDU. L’opera creativa del giudice di Lussemburgo si è sempre contraddistinta, a ben vedere, in quanto diretta a garantire sì l’implementazione dell’acquis, ma al contempo anche il rispetto del c.d. “interesse generale dell’Unione”, senza che ciò implicasse una lesione dell’essenza del diritto fondamentale volta a volta rilevante [137]. E con riguardo ai principi generali di nuova elaborazione, la funzione integrativa che essi svolgono può considerarsi quindi, di regola, anche “protettiva” delle caratteristiche dell’ordinamento dell’Unione. Accanto a tale funzione, contestualmente integrativa e protettiva, pare tuttavia delineabile anche una funzione dei principi generali meramente conservativa, che essi svolgono anche (o soprattutto) in relazione a diritti già esistenti nel sistema, rectius continuano a svolgere rispetto ai diritti già tutelati al suo interno, operando quale clausola di salvaguardia dell’ordinamento sovranazionale, come una sorta di controlimite di quest’ultimo. Un esempio relativamente recente di impiego della fonte non scritta in funzione di conservazione delle specificità dell’Unione è riscontrabile nel noto caso Kadi [138]. Qualche dubbio in merito all’operatività dei principi generali in chiave conservativa potrebbe oggi forse essere avanzato rispetto alle (vigenti) previsioni CEDU. Ancora in stallo il processo di adesione, se esse entrano nell’ordinamento dell’Unione per il tramite della Carta, occorre infatti che ciò avvenga nel rispetto della più volte richiamata clausola di omogeneità, per cui il livello di tutela dei diritti assicurato dalle norme CEDU (alla luce dell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo) rappresenta il mimimun floor di tutela (anche) per l’Unione. Si potrebbe, quindi, sostenere che la Corte di giustizia è vincolata a siffatta [continua ..]