Dopo avere descritto come la proposta riforma del sistema europeo comune di asilo andrebbe ad incidere sull’attuale disciplina relativa all’accesso dei migranti alla tutela sanitaria, l’articolo si concentra sull’analisi critica della regolamentazione proposta. Anche alla luce della recente giurisprudenza della Corte di giustizia l’A. sviluppa la tesi secondo la quale un’armonizzazione della materia sarebbe oggi consentita dall’ordinamento dell’Unione e necessaria e propone l’attribuzione ad un’EASO riformata del ruolo di sovraintenderne la realizzazione; l’imputazione vincolata di fondi europei all’eliminazione delle disuguaglianze di trattamento sanitario nei diversi Stati membri consentirebbe di superare l’ostacolo relativo alla sostenibilità economica dell’armonizzazione auspicata.
After illustrating how the proposed reform of the Common European Asylum System would affect migrants’access to healthcare, the article focuses on a critic appraisal of the proposed regulation. The A. maintains that European Law already allows for an harmonization on the topic, to be superintended by the reformed EASO. Economic sustainability could be reached through the compulsory destination to the project of European funds.
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I. Note introduttive. - II. Il trattamento sanitario dovuto ai migranti in base alle norme sulla salute contenute nella disciplina europea sull’asilo. - III. Linee generali del piano di riforma del diritto di asilo europeo. - IV. Considerazioni critiche sulle disposizioni in tema di assistenza sanitaria contenute nella riforma. In particolare: sulla mancata inclusione delle cure vaccinali nell’assistenza sanitaria “necessaria” a norma della nuova direttiva accoglienza e sull’inadegua¬tezza delle norme in materia di salute a realizzare gli obiettivi della riforma. - V. Inidoneità della disciplina proposta a consentire la piena realizzazione del diritto alla salute dei migranti in quanto diritto dell’uomo. - VI. Sulla competenza del legislatore dell’U¬nione a promuovere una reale armonizzazione delle condizioni di accoglienza dei migranti anche in materia sanitaria. - VII. Sui contenuti dell’armonizzazione da realizzarsi in materia di trattamento sanitario dei richiedenti protezione internazionale. - VIII. Segue: Il ridimensionamento giurisprudenziale del limite all’armonizzazione derivante dalla primaria responsabilità degli Stati membri in materia sanitaria. - IX. Considerazioni conclusive: necessità che l’armonizza¬zione delle regole sul trattamento sanitario dei richiedenti protezione e dei migranti economici si inserisca in una più complessa strategia di gestione dei flussi migratori. - NOTE
La riforma in corso del diritto di asilo dell’Unione europea tocca, tra gli altri, un tema alquanto controverso qual è quello della differente estensione della copertura sanitaria riconosciuta alle persone migranti negli Stati membri. Va subito precisato che la materia non è centrale nel progetto di riforma, ma assume un rilievo essenzialmente strumentale rispetto ad uno degli obiettivi principali del sistema, costituito dall’eliminazione o quanto meno la riduzione dei movimenti secondari dei richiedenti asilo all’interno del territorio dell’Unione. L’approccio adottato riguardo al trattamento sanitario da accordare ai soggetti coinvolti nell’attività migratoria, nel duplice pacchetto di atti normativi destinati a riformare la materia dell’asilo [1], si presta a una serie di considerazioni critiche. Queste attengono, in primo luogo, a questioni procedurali-formali radicate nei tecnicismi dell’ordinamento dell’Unione e segnatamente all’individuazione della base giuridica dei diversi provvedimenti e ai riflessi di questa sull’ampiezza, la legittimità e l’efficacia della disciplina per quanto attiene all’accesso ai trattamenti sanitari. Risulta discutibile, inoltre, l’opportunità di alcune scelte effettuate dalla Commissione rispetto agli obiettivi da essa stessa dichiarati nei provvedimenti in esame. Sembra giustificato, infine, avanzare alcune perplessità in merito alla tenuta delle soluzioni proposte rispetto agli obblighi internazionali dell’Unione e dei suoi Stati membri in tema di riconoscimento e tutela del diritto alla salute nella sua dimensione di diritto dell’uomo. Il lavoro si propone, dunque, di portare l’attenzione su un aspetto particolarmente sensibile della proposta riforma del diritto d’asilo, che vede implicati alcuni importanti principi dell’ordinamento dell’Unione e di analizzarne i contenuti anche alla luce della recente giurisprudenza della Corte di giustizia, arrivando a formulare qualche proposta di policy. L’auspicio è che gli sforzi di sistemazione e riflessione che la dottrina italiana ed europea da anni profondono sui temi dell’immigrazione possano essere di ausilio per il legislatore dell’Unione nel difficile compito di regolare gli imponenti flussi migratori che convergono sul nostro continente non soltanto in modo [continua ..]
Molta letteratura si è soffermata sul contenuto delle prestazioni mediche riconosciute ai migranti negli Stati membri dell’Unione europea. L’approccio adottato è stato per lo più di natura comparatistica e sociologica (confronto tra i sistemi sanitari nei diversi Paesi e analisi delle conseguenze della rilevata disomogeneità di copertura sui flussi migratori e sull’efficacia della politica sanitaria nazionale e di immigrazione europea [3]). Altri lavori hanno confrontato, invece, tale quadro con l’imponente corpus di strumenti internazionali sui diritti umani che qualificano il diritto alla salute come diritto dell’uomo [4]. Poco si è riflettuto, sino ad ora, sulla disciplina giuridica dell’Unione in sé e per sé, al fine di indagarne i contenuti, la rispondenza di questi ai principi dell’ordinamento europeo e le linee evolutive [5]: da qui la scelta di assumere questa prospettiva come punto di avvio della presente analisi. Va detto che un primo disincentivo ad un simile approccio è stato fornito dallo stesso art. 168, par. 7 del TFUE: l’affermazione secondo cui «(l)’azione dell’Unione rispetta le responsabilità degli Stati membri per la definizione della loro politica sanitaria e per l’organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica» è stata di fatto interpretata come un muro preclusivo di ulteriori indagini, in quanto idoneo a collocare l’intera materia del trattamento sanitario dei migranti nell’area di competenza interna dei singoli Stati membri. In realtà, peraltro, il diritto dell’Unione si è progressivamente appropriato del tema dell’assistenza sanitaria ai migranti, arrivando a trattarlo nell’ambito della competenza a delineare una politica di immigrazione e di asilo comune. Ne è risultata una disciplina embrionale e frammentaria, di difficile ricostruzione in quanto dispersa in una pluralità di atti di diritto derivato nei quali la base giuridica dei trattati in materia di sanità pubblica – il già richiamato art. 168 del TFUE – non compare mai. Tale insieme disorganico di norme è stato più volte oggetto di interpretazione da parte della Corte di giustizia che, anche con riferimento al trattamento sanitario dei migranti – si vedano [continua ..]
Il disegno complessivo della riforma del sistema di asilo dell’Unione europea è stato presentato dalla Commissione in una comunicazione dell’aprile 2016 [14]. L’assunto da cui muove la revisione della disciplina è la presa d’atto del carattere non emergenziale del problema migratorio, destinato a persistere nei decenni futuri e a divenire, perciò, una delle questioni fondamentali per l’Europa. Da qui la necessità di intervenire, con il duplice obiettivo di assicurare l’applicazione della disciplina esistente e di migliorarla negli aspetti che la prassi ha dimostrato deficitari, il tutto in armonia con quanto già previsto nell’Agenda europea per la migrazione [15]. Più specificamente, la riforma si propone di correggere il sistema attuale nella misura in cui questo attribuisce una responsabilità sproporzionata ad alcuni soltanto degli Stati membri e non riesce ad impedire flussi migratori irregolari, introducendo, da un lato, maggiore equità nella ripartizione di responsabilità tra gli Stati e prevedendo, dall’altro, percorsi sicuri di ingresso nell’Unione per quei cittadini di Stati terzi bisognosi di protezione internazionale e capaci di contribuire allo sviluppo economico europeo. La cronaca degli ultimi anni ha messo in evidenza le carenze dell’attuale sistema – il cosiddetto sistema di Dublino [16] – che si basa essenzialmente sull’attribuzione della gestione del richiedente asilo allo Stato di primo ingresso di questi nell’Unione, ignorando il dato di fatto della confluenza delle principali rotte migratorie su un numero esiguo di Paesi, per i quali risulta impossibile fare fronte a flussi migratori in continuo aumento [17]. Il moltiplicarsi dei cosiddetti “movimenti secondari” delle persone migranti dal Paese di primo ingresso verso altri Stati dell’Unione ha, così, indotto alcuni di questi a ripristinare i controlli alle frontiere interne, mettendo a rischio la libertà di circolazione delle persone faticosamente raggiunta attraverso la “comunitarizzazione” del sistema Schengen [18]. La proposta di riforma del regolamento Dublino III, dunque, è volta in primo luogo a includere nel sistema e rendere obbligatorio un meccanismo di ripartizione dei richiedenti asilo tra gli Stati membri [19]. Essa si completa, poi, [continua ..]
Indipendentemente da una valutazione più generale del pacchetto di riforma del sistema comune d’asilo dell’Unione, il giudizio sulle norme relative all’assistenza sanitaria ai migranti non può essere del tutto positivo. Sebbene, infatti, l’impatto delle proposte presentate dalla Commissione sulla disciplina oggi in vigore sia minimo, tuttavia esso non è trascurabile e si presta alle considerazioni critiche di seguito formulate. In primo luogo, se è vero che la nuova disposizione sulle cure sanitarie dovute ai beneficiari di protezione internazionale riprende testualmente quanto attualmente previsto dall’art. 30 della cosiddetta “direttiva qualifiche”, la modifica della forma dell’atto – non più una direttiva, ma un regolamento – è di per sé in grado di incidere sull’esigibilità del trattamento, assicurando immediatamente l’accesso alla sanità, senza necessità di mediazione statale. Ne risulta, dunque, un rafforzamento della tutela. La Commissione, tuttavia, avrebbe potuto cogliere l’occasione della riforma per porre rimedio ad una formulazione poco felice della norma che, non tanto nella versione italiana, quanto nel testo inglese, pare porsi in contrasto con la convenzione di Ginevra del 1951 laddove subordina l’accesso alla sanità dei beneficiari di protezione internazionale alle «same eligibility conditions as nationals of the Member State» [29]. La Convenzione del 1951, che anche recentemente la Corte di giustizia ha ribadito essere la pietra angolare del sistema europeo di asilo [30], prevede effettivamente, all’art. 23, che ai rifugiati sia accordato lo stesso trattamento sanitario riconosciuto ai cittadini, ma nei lavori preparatori relativi a tale disposizione si legge chiaramente che detto trattamento non tollera di essere sottoposto a condizioni, in particolare non a «any conditions of local residence or affiliation which may be required of nationals» [31]. I padri della Convenzione, nello scegliere il trattamento nazionale quale criterio di determinazione del regime sanitario per i rifugiati hanno dunque inteso tale clausola in senso sostanziale e non soltanto formale, volendo escludere l’opponibilità ai rifugiati di condizioni per essi più difficili da soddisfare rispetto ai cittadini. Passando a considerare il regime [continua ..]
Le norme sulla salute incluse nell’attuale disciplina sull’accoglienza e il trattamento dei rifugiati e dei richiedenti asilo o protezione sussidiaria e nelle relative proposte di riforma hanno un contenuto ambivalente, in considerazione della duplicità dei fini che ne costituiscono la ratio normativa: insieme, la tutela del diritto alla salute dei migranti e la tutela della sanità pubblica dello Stato membro dell’Unione che ne sia, di volta in volta, Stato di transito o di destinazione finale. Sotto entrambi i profili tali norme danno attuazione al diritto alla salute, che il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite – al quale tutti gli Stati membri dell’Unione hanno aderito – definisce come «the right of everyone to the enjoyment of the highest attainable standard of physical and mental health» [51]. Ma il diritto alla salute [52], nell’ordinamento dell’Unione europea, anche se riconosciuto come diritto fondamentale e in quanto tale spettante ad “ogni persona” in base all’art. 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [53], non gode di una tutela uniforme, bensì di una tutela differenziata in relazione allo status di ciascun individuo. La prima e la più ovvia distinzione è quella determinata dallo status civitatis e cio’ vale a differenziare la posizione dei cittadini europei da quella dei cittadini di Stati terzi, sebbene anche tra i primi i diversi modelli di welfare degli Stati membri e considerazioni di sostenibilità dei sistemi sanitari nazionali siano alla base di alcune differenze nell’erogazione dei servizi [54]. Venendo ai cittadini di Stati terzi, le differenziazioni nella tutela assicurata dipendono dal motivo che ne giustifica la presenza nel territorio dell’Unione: motivi di turismo, di studio, di richiesta di protezione in quanto rifugiati, richiedenti protezione o semplici migranti economici [55]. L’individuazione del contenuto concreto del diritto alla salute di ciascuna categoria è resa ancora più complessa dall’attribuzione agli Stati membri della competenza a definire le proprie politiche sanitarie e ad organizzare e fornire i servizi sanitari e di assistenza medica (art. 168, par. 7, TFUE). Nell’ambito della risistemazione [continua ..]
La scarsa incisività del legislatore della riforma nell’intervenire sul trattamento dovuto ai richiedenti protezione internazionale deve probabilmente ascriversi ai limiti della competenza comunitaria rispetto alla gestione dei sistemi sanitari degli Stati membri ex art. 168, par. 7 TFUE. A tale riguardo, peraltro, ci si domanda se il combinato disposto di tale norma e dell’art. 78, par. 2, lett. f) TFUE, assunto a fondamento giuridico della proposta di direttiva accoglienza, non autorizzi un’interpretazione che – esclusa certamente una generale competenza dell’Unione a regolare i servizi sanitari nazionali degli Stati membri – ne legittimi, tuttavia, l’armonizzazione, sia pure nella sola misura in cui questa sia consentita dalle norme fondanti la politica dell’Unione nell’ambito della quale la regolamentazione sanitaria de qua si viene a collocare e sia necessaria affinché detta politica possa conseguire i suoi obiettivi . Che l’innesto di una speciale disciplina sanitaria nell’ambito di altre politiche sia possibile è comprovato dall’art. 168, par. 1, comma 1, a norma del quale «(n)ella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana». Il carattere trasversale di tale obbligo dell’Unione, del resto, è affermato a monte già nella cosiddetta clausola sociale introdotta nell’art. 9 TUE dal Trattato di Lisbona. Mentre da un lato si osserva che la mancata indicazione dell’art. 168 TFUE tra le basi normative della proposta di direttiva accoglienza e delle altre proposte che danno vita alla riforma della politica sull’asilo dell’Unione è in linea con l’orientamento giurisprudenziale della Corte di giustizia secondo cui è opportuno escludere, ove possibile, il cumulo di basi giuridiche [72], dall’altro è necessario rammentare che la giurisprudenza della Corte ha da tempo affrontato e superato l’obiezione circa l’inammissibilità di effetti di armonizzazione delle legislazioni nazionali degli Stati membri sulla salute quando tale armonizzazione sia consentita dalle disposizioni del Trattato su cui si fonda l’intervento normativo dell’Unione. Nella sentenza Repubblica federale di Germania c. [continua ..]
Facendo un passo ulteriore, può altresì ritenersi che la lettura dell’art. 78 TFUE alla luce dei principi di cui agli artt. 168, parr. 1 e 7 TFUE e 9 TUE fornisca al legislatore dell’Unione per lo meno due criteri-guida per procedere a detta armonizzazione: a) innanzitutto, questa dovrà tendere verso l’alto e cioè portare ad un allineamento sui livelli di miglior tutela della salute dei soggetti contemplati; b) in secondo luogo, dovrà realizzarsi con modalità tali da non interferire sulla responsabilità di gestione dei sistemi sanitari nazionali da parte dei singoli Stati membri, nel rispetto perciò di quanto contemplato dal par. 7 dell’art. 168 TFUE. Il soddisfacimento del primo criterio richiederebbe l’introduzione nella direttiva accoglienza di una disposizione che fornisca un’interpretazione estensiva dell’espressione “trattamento essenziale delle malattie”, mantenuta nell’art. 18 della proposta COM(2016) 465. Rinviandosi a quanto già osservato in precedenza circa l’idoneità di tale espressione a coprire trattamenti sanitari diversi e, conseguentemente, la sua ambiguità [81], deve rilevarsi, tuttavia, che la giurisprudenza della Corte ha svolto un’elaborazione che può aiutare a superare tale impasse interpretativa. Mi riferisco, in particolare a due sentenze che – pur riguardando entrambe un contesto normativo specifico, costituito dalla disciplina del trattamento sanitario dovuto temporaneamente a persone la cui domanda di protezione sia stata respinta (sentenza Abdida) o che siano in attesa di essere trasferite in un altro Stato membro competente a valutarla (sentenza C.K.) [82] – forniscono indicazioni utili a chiarire, insieme, quali prestazioni mediche debbano ritenersi ricomprese nel “trattamento essenziale delle malattie” e quale sia il contenuto della tutela sanitaria dovuta dagli Stati membri. Va detto, innanzitutto, che nel caso Abdida la Corte aveva ravvisato nelle cure d’urgenza e nel trattamento essenziale delle malattie lo standard di assistenza sanitaria dovuta da uno Stato membro durante il protrarsi della permanenza sul suo territorio di una persona in attesa di essere allontanata dall’Unione perché priva di un valido titolo per rimanervi, estendendo a tale situazione l’ambito [continua ..]
(Segue). Il secondo criterio-guida che si impone al legislatore dell’Unione nell’auspicata armonizzazione del trattamento sanitario dei richiedenti asilo deriva dalla riserva di competenza nazionale prevista dall’art. 168, par. 7 TFUE per quanto attiene alla “definizione” della «politica sanitaria e per l’organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica». A questo proposito è la sentenza Abdida del 2014 a fornirci indicazioni importanti sul confine tra contenuto del trattamento sanitario (oggetto, come si è detto, dei recenti sforzi ermeneutici di armonizzazione da parte della Corte) e forma della sua erogazione, destinata, quest’ultima, a rimanere nella disponibilità degli Stati membri. Il caso offre alla Corte, innanzitutto, l’occasione per affermare che le condizioni di salute di una persona in attesa di rimpatrio possono integrare un motivo valido per non eseguirne l’allontanamento prescritto dalla direttiva n. 2008/115. Ciò avviene nelle ipotesi – “del tutto eccezionali” – «in cui l’allontanamento di un cittadino di paese terzo affetto da una grave malattia verso un paese nel quale non esistono terapie adeguate violerebbe il principio di non-refoulement» (punto 48), in quanto lo esporrebbe «a un rischio serio di deterioramento grave ed irreversibile delle sue condizioni di salute» (punto 50) [89]. Da questa affermazione della Corte conseguono, da un lato, il necessario prolungamento della permanenza dello straniero nel territorio dello Stato membro mentre si attende l’esito del ricorso volto ad accertare l’esistenza di una simile situazione (ricorso al quale va riconosciuta, quindi, efficacia sospensiva); dall’altro, la necessità di determinare il contenuto del trattamento dovuto allo straniero in tale lasso di tempo. Quest’ultimo punto viene risolto dalla Corte estendendo anche a questo periodo l’obbligo degli Stati membri di offrire allo straniero le garanzie che l’art. 14, par. 1, lett. b) della direttiva 2008/115 impone loro di assicurare per il tempo necessario a dare esecuzione alla decisione di rimpatrio [90], vale a dire «le prestazioni sanitarie d’urgenza e il trattamento essenziale delle malattie». Ma la Corte non si limita a questo, proponendosi [continua ..]
Osservo, da ultimo, che affinché il proposto piano di riforma del sistema di asilo europeo possa conseguire risultati positivi anche per quanto attiene alle problematiche sanitarie legate alla gestione dei flussi migratori, sembra necessario che l’approccio positivistico di riforma delle norme si inserisca in un quadro di iniziative politiche ulteriori, sorrette da un diretto impegno economico dell’Unione. Mi riferisco, in primo luogo, alla destinazione di un sostegno finanziario idoneo a consentire quegli sforzi di coordinamento dei rispettivi sistemi sanitari che l’attuazione della disciplina proposta, quand’anche non modificata nel senso di una maggiore copertura delle esigenze sanitarie delle persone coinvolte nel fenomeno migratorio, in ogni caso richiederebbe agli Stati membri. A questo fine risulta di vitale importanza, innanzitutto, assicurare il migliore impiego dei fondi già stanziati per il settore sanitario nel terzo programma d’azione per la salute dell’Unione [98], ma non meno rilevanti appaiono iniziative mirate ad affrontare le specifiche emergenze sanitarie create dall’incremento esponenziale dei flussi migratori [99]. Va considerato, inoltre, che nell’attuale ciclo di programmazione, l’Unione ha fortemente promosso la destinazione dei fondi strutturali a obiettivi di solidarietà sociale e specificamente di riduzione della povertà: in questo quadro, la destinazione di risorse alla copertura delle esigenze sanitarie di base dei richiedenti protezione ma anche dei migranti economici, durante la loro permanenza di fatto in uno degli Stati dell’Unione, risulterebbe pienamente conforme agli indirizzi dell’attuale politica di coesione oltre che al rafforzamento della dimensione sociale dell’Unione ritenuto necessario dalla Commissione dopo i difficili anni della crisi economica. L’investimento di fondi europei consentirebbe di superare l’obiezione relativa alla non sostenibilità economica del progetto per i sistemi sanitari nazionali, ridimensionando il rischio di strumentalizzazioni politiche di matrice populista. Sotto altro profilo ed allargando la prospettiva sino a ricomprendere l’impostazione da parte dell’Unione delle proprie relazioni esterne, in particolare con i Paesi di origine dei principali flussi migratori, l’efficace gestione delle problematiche sanitarie che l’arrivo dei [continua ..]