This paper shows the centrality of EU social law in current discussions initiated by the crisis. Emphasis is placed on social dialogue, based on EU primary law (art. 152 TFEU). It is argued that legal methods enshrined in Title IX and X TFEU are declining and giving way to new forms of cooperation among national administrations. Attention is also paid to the role played by international law – in particular ILO and Council of Europe sources – for establishing the guarantee of fundamental social rights in countries affected by austerity measures. The institutional disorder originated by emergency measures puts at risk the rule of law and should be counterbalanced by new initiatives, respectful of individual and collective fundamental rights and of collective autonomy.
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I. Il diritto sociale come banco di prova - II. Primo step: il diritto sociale dell'UE nonostante la crisi - III. (Segue). Il dialogo sociale europeo - IV. (Segue). Una rete di servizi pubblici per l'impiego. Dall'armonizzazione alla cooperazione - V. (Segue). Il vertice sociale tripartito per la crescita e l'occupazione - VI. Secondo step: il ruolo delle fonti internazionali e dell'UE - VII. Un disordine istituzionale. Alcune considerazioni conclusive - NOTE
Con l’insorgere della crisi, le tecniche normative adottate nell’UE, riguardo all’occupazione e alle politiche sociali, hanno subito profondi cambiamenti. Dalla ricerca interdisciplinare si ricava l’indicazione che nel diritto sociale europeo, erroneamente percepito come ancillare rispetto all’integrazione del mercato, le azioni e le politiche dovrebbero essere valorizzate, al fine di ricostruire un coerente quadro teorico [1]. In questo mio contributo ho selezionato due aree principali di riflessione, partendo dal presupposto che la crisi economica e finanziaria ha scosso l’ordine delle fonti, sollevando questioni di legittimità democratica e di responsabilità per tutti gli attori istituzionali. Nella prima parte mi concentro sullo stato attuale del dialogo sociale, parte integrante del diritto sociale europeo. Intendo valorizzare il diritto fondamentale alla contrattazione collettiva, così come si va specificando nell’ambito del diritto dell’UE, con caratteristiche di originalità nell’integrazione del mercato. Secondo le prime intuizioni di Jacques Delors, questa pratica avrebbe dovuto affiancare la costruzione dell’unione monetaria, come già indicato nel Piano Werner [2]. Queste considerazioni sono finalizzate a dimostrare che la mancanza di consenso politico, accentuata dalla crisi, ha causato un declino del processo legislativo (artt. 154-155 TFUE) e contribuito a limitare il ruolo quasi-istituzionale delle parti sociali. Il coinvolgimento delle parti sociali si è rivelato insufficiente soprattutto nelle procedure introdotte con il semestre europeo, nel corso della crisi. Osservo inoltre alcuni cambiamenti, che sono in atto nell’ambito delle politiche occupazionali, per valutare se stiamo assistendo a un non dichiarato, e tuttavia evidente, declino del metodo aperto di coordinamento (MAC). Nella seconda parte esamino l’impatto delle misure di austerità sui diritti sociali fondamentali. Nel corso del Semestre europeo si è inteso valutare ex ante il comportamento degli Stati membri, al fine di poter meglio prefigurare le conseguenze e razionalizzare gli interventi necessari ex post. Le Raccomandazioni destinate ai governi nazionali si basano su tecniche normative che non corrispondono a quanto previsto nel Titolo IX del TFUE, nonostante tali Raccomandazioni interagiscano spesso con [continua ..]
È necessario inserire il diritto sociale europeo in un corretto quadro teorico, che non può prescindere da considerazioni storiche sulle politiche sociali dell’UE. Le ricostruzioni sono controverse e gli studiosi si presentano divisi nelle loro analisi. Wolfgang Streeck, in un recente libro basato su teorie da lui stesso già prima elaborate [4], descrive una storia di sconfitte che fa risalire agli anni Settanta dello scorso secolo, tempo in cui – secondo la sua ricostruzione – sarebbe venuto meno l’accordo che, nel dopoguerra, aveva favorito la nascita degli stati sociali nazionali. La scarsa capacità degli Stati nazionali di rielaborare in modo elastico le politiche sociali imposte dalle istituzioni dell’UE e un crescente tasso di disoccupazione dimostrano, secondo Streeck, che i sindacati non ricoprono più un ruolo centrale nel rappresentare gli interessi collettivi. Una concreta conferma di questo trend negativo è rappresentata dal progressivo ridimensionamento della contrattazione centralizzata che si occupa delle politiche retributive, in parallelo con l’aumento del debito pubblico. Da qui parte la trasformazione dello stato fiscale in uno stato debitore, trasformazione in cui si assiste alla debolezza delle politiche salariali nel controbilanciare l’introduzione di una moneta unica. Le parti sociali sono presentate da Streeck come attori non sufficientemente attrezzati per difendere l’autonomia della contrattazione collettiva e renderla più resistente alle continue interferenze delle istituzioni europee. Jurgen Habermas ha criticato l’atteggiamento “nostalgico” di Streeck, evidenziando il paradosso per cui tornare agli Stati nazionali implicherebbe la demolizione di tutto ciò che è stato costruito a livello sovranazionale in termini di democrazia e norme di rango costituzionale [5]. Il suo appello alla solidarietà, espresso con forza in recenti scritti ed espressamente indirizzato quale risposta all’ultima opera di Streeck, si trova in profonda sintonia con la voce dei giuslavoristi europei che hanno analizzato criticamente il devastante impatto della crisi, nel tentativo di ricostruire un sistema di diritti [6]. In tempi antecedenti l’esplosione della crisi, una controversa giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, originata dai [continua ..]
(Segue). All’interno di uno scenario come quello fin qui descritto, caratterizzato da notevoli criticità, è utile analizzare la risposta delle parti sociali e valutare in che modo l’autonomia collettiva nell’UE possa essere considerata parte essenziale della teoria costituzionale. Mentre i sistemi nazionali di contrattazione collettiva, duramente colpiti dalla crisi, fronteggiano una realtà di bassi salari e tentano di contrastare le “trappole della povertà”, la contrattazione sovranazionale percorre strade diverse. Alcuni esempi, riconducibili alla più recente evoluzione del dialogo sociale settoriale [16], dimostrano che l’autonomia collettiva europea è in grado di intraprendere itinerari ingegnosi, nonostante i tempi difficili che stiamo attraversando. Nel settore del trasporto aereo le parti sociali sono riuscite a influenzare le istituzioni europee riguardo ai cambiamenti da apportare ai Regolamenti [17] esistenti, al fine di adottare un “criterio base” unico per determinare la legislazione applicabile all’equipaggio di volo e ai membri dell’equipaggio di cabina. Queste misure mirano a combattere il dumping sociale e a creare certezza del diritto in un settore del trasporto assai critico, che negli ultimi anni è stato teatro di numerosi contrasti. Nell’ambito del Comitato per il Dialogo Sociale per le Amministrazioni pubbliche Centrali è stato firmato un accordo quadro, in vista dell’aggiornamento del Protocollo n. 26 sui servizi di interesse generale [18], nel rispetto del diritto fondamentale a una buona amministrazione e in risposta ai vincoli di bilancio imposti durante la crisi [19]. Infine, le parti sociali europee nel settore del lavoro temporaneo tramite agenzia hanno promosso una migliore cooperazione tra le agenzie per l’impiego pubbliche e private, rivelatasi essenziale nella politica per l’occupazione e hanno ottenuto, in breve tempo, che fosse presentata una proposta di Regolamento [20]. Le misure scaturite dal dialogo sociale settoriale non sono estranee alla crisi. Per quanto possano apparire una deviazione da altre importanti questioni, spesso ineriscono – come negli esempi che ho riportato – a problemi di ampia rilevanza istituzionale.
(Segue). Il miglioramento della mobilità nell’ambito delle politiche occupazionali attraverso EURES (European Employment Services – Servizi europei per l’impiego), facilitato dal dialogo sociale nel settore del lavoro tramite agenzia, è complementare all’emanazione di un’altra fonte. Una recente Decisione [21], che tiene conto in particolare dell’art. 149 TFUE, ha creato una rete di servizi pubblici per l’impiego (SPI) e ha assegnato a questa nuova struttura sovranazionale il compito di sostenere le linee guida per l’occupazione, cui fa riferimento l’art. 148.4 TFUE, fino al 31 dicembre 2020. Una forma di cooperazione così rivisitata dovrebbe, inoltre, favorire le iniziative nell’ambito del programma denominato Youth Guarantee [22], specialmente in relazione all’incontro tra domanda e offerta di competenze, alla mobilità occupazionale e alla transizione dalla fase dell’istruzione e della formazione a quella dell’occupazione. È necessario soffermarsi sulla sovrapposizione delle fonti sin qui considerate. Il minore impatto del Titolo IX TFUE sulle politiche occupazionali ha mostrato il lato debole di un metodo diffuso nel diritto europeo, che dava per scontata la propensione delle amministrazioni nazionali ad interagire e valorizzare le migliori prassi. Nel sistema previsto dal titolo IX si colloca un nuovo atto giuridico vincolante. La Decisione, istitutiva di una rete di servizi pubblici per l’impiego, è indirizzata agli Stati membri ed è accompagnata da un allegato sugli indicatori di benchmarking, che può essere modificato da atti delegati della Commissione (art. 290 TFUE). La delega di poteri è conferita alla Commissione fino al 31 dicembre 2020, “data di scadenza” stabilita per il sistema di servizi pubblici per l’impiego. Sebbene per un periodo limitato, la Commissione è, ancora una volta, al posto di guida, se accettiamo l’idea che il benchmarking – o il “bench-learning”, come suggerisce un altro neologismo – non si riduca a un mero esercizio statistico. La cooperazione rafforzata stabilita dalla Decisione in esame è differente dalla strategia per le politiche occupazionali perseguita dal MAC. Questo nuovo metodo, parzialmente rivisitato, mira a fornire maggiore forza alle [continua ..]
(Segue). Lo spazio di democrazia deliberativa che emerge dal dialogo sociale settoriale dell’UE, per quanto limitato, è sostenuto da criteri di rappresentatività e legittimità delle parti sociali. Questi criteri, a differenza di altri processi deliberativi, sono stabiliti in una Decisione indirizzata alle parti sociali [27]. Di conseguenza, si può affermare che la Decisione, un atto giuridico vincolante dell’UE, ha generato la pratica del dialogo sociale settoriale, che a sua volta rafforza il diritto fondamentale alla contrattazione collettiva. Mentre tutto questo avviene nell’area del dialogo sociale, la procedura prevista dagli artt. 154 e 155 TFUE per il raggiungimento di iniziative legislative nella politica sociale, soffre di un consenso politico in declino [28]. Un’altra contraddizione da evidenziare è la composizione imperfetta del Vertice Sociale Trilaterale per la Crescita e l’Occupazione, di cui all’art. 152 TFUE, che include rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori. La specifica composizione di questo Consiglio [29] può essere considerata un’anomalia se paragonata alle “configurazioni” di altri Consigli, indicate nell’art. 16.6 TUE. La Commissione sembra ormai consapevole di ciò e sta dunque proponendo un ruolo più visibile del Vertice tripartito nell’architettura complessiva della governance economica [30]. Infatti, è difficile negare che l’occupazione e la crescita costituiscano elementi essenziali delle strategie macroeconomiche. Nel tentativo di facilitare il coordinamento delle politiche e fissare obiettivi entro termini precisi, le procedure scandite dal Semestre europeo hanno progressivamente ignorato il coinvolgimento delle parti sociali. Il programma di governanceeconomica rafforzata, che fa parte del Patto di stabilità e crescita, incorpora la cosiddetta procedura per la prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici, al fine di individuare problemi e criticità nella fase iniziale. Lo strumento adottato è la relazione sul meccanismo di “allerta” che, in linea con il Semestre europeo, nel mese di novembre, assegna alla Commissione il compito di esercitare un controllo indirizzato a tutti gli Stati membri, sulla base di una valutazione degli indicatori [31]. Tuttavia, i diritti sociali non [continua ..]
Nel primo step, ho considerato quali condizioni ordinamentali rendono possibile un’espansione del diritto sociale, nonostante la crisi. Nel diritto sociale europeo ho incluso il dialogo sociale, una chiara manifestazione del diritto fondamentale alla contrattazione collettiva. Prendo ora in considerazione le misure di austerità che influenzano il diritto sociale, sia a livello nazionale sia sovranazionale. L’impatto negativo della crisi è stato evidente in tutti i paesi dell’UE, sebbene con diversi gradi di infiltrazione nei sistemi di welfare e di diritto del lavoro [39]. Le misure di austerità che riguardano i diritti sociali fondamentali colpiscono anche più generali equilibri ordinamentali, ogniqualvolta tali misure entrano in conflitto con il diritto dell’UE. La strada scelta da i attori istituzionali e movimenti organizzati per contestare un eccesso di austerità si indirizza verso le fonti dell’OIL [40] e verso quelle del Consiglio d’Europa, senza tralasciare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. L’attivismo di tali soggetti rivela un timore diffuso e una consapevolezza che la democrazia e lo Stato di diritto possano essere minacciati. Si è sostenuto che nell’adozione delle politiche fiscali e economiche l’UE ha dovuto affrontare un “dilemma di legittimazione” [41]. Per depoliticizzare le scelte e le soluzioni da adottare in risposta alla crisi si può scegliere di applicare competenze tecnocratiche, invece di rafforzare le deliberazioni politiche. Lo stato di emergenza serve a giustificare l’abbandono di una tecnica giuridica fondata nel diritto europeo. Questa analisi è confermata dagli esempi che ho menzionato prima. In tale processo il diritto sociale è “l’eterno perdente” [42]. La risposta della Commissione, nel tentativo di offrire soluzioni, è frammentaria e non abbastanza coerente. Proposte, come quelle di cui abbiamo discusso prima, riguardanti le riforme del Semestre europeo e della governance economica, non sembrano centrare il cuore del problema. La mancanza di consenso politico in seno al Consiglio mette a repentaglio le iniziative legislative nel settore sociale e dà origine a una serie di soluzioni sperimentali piuttosto deboli. Il diritto sociale, al contrario, dovrebbe offrire valide contromisure in [continua ..]
Un appello alla solidarietà, in risposta a scettiche e nostalgiche considerazioni sulla UE, implica la creazione di istituzioni sovranazionali che siano, da un lato, più autorevoli e dall’altro autorizzate, in maniera trasparente, a effettuare una redistribuzione delle risorse disponibili e a ricostruire chiari legami di rappresentanza. Le misure dettate dalla crisi hanno, al contrario, modificato la natura delle competenze degli Stati membri nel riconoscere diritti specifici, sia nei confronti di singoli sia di organizzazioni collettive, e non hanno pienamente chiarito come e con quali cadenze temporali i gruppi più deboli e marginali nel mercato del lavoro diverranno destinatari di misure di sostegno. Gli esempi fin qui riportati mostrano un disordine istituzionale, frutto del ricorso a misure d’urgenza di diversa natura e spessore. Il diritto sociale ha rappresentato un banco di prova, con particolare riguardo alle funzioni tradizionalmente assegnate alle parti sociali, reinventate nonostante la crisi. È importante evidenziare che i sindacati, talvolta affiancati da altre organizzazioni collettive, hanno tentato in vari modi di favorire soluzioni indirizzate all’emancipazione sociale, nei paesi più colpiti da misure di austerità. Tuttavia, nuove disuguaglianze sono emerse, tuttora al vaglio dei governi e degli attori istituzionali, mentre gravi esclusioni nell’accesso a servizi sociali e di assistenza continuano a verificarsi. La questione cruciale è come rimediare a questo disordine istituzionale, causato da nuove forme di attivismo giudiziario e proteste sociali. “Il passaggio dalla legislazione al contratto” [57], chiaramente sottolineato in relazione alle attuali circostanze istituzionali, mostra i molti rischi inerenti nelle negoziazioni svolte in stato di emergenza. È urgente il bisogno di recuperare spazio per la legislazione ispirata ai valori fondamentali dell’UE. Per il momento la Direttiva 2014/67 resta piuttosto isolata sulla scena delle iniziative legislative che potrebbero promuovere giustizia sociale e indurre gli Stati membri verso comportamenti virtuosi, soprattutto nel campo delle politiche salariali. A essa si affianca la direttiva 2014/50, che si prefigge di favorire la libera circolazione dei lavoratori, con la rimozione di ostacoli all’istituzione di regimi pensionistici complementari [58]. È, invece, [continua ..]