Communications are “non-typical acts” of the European Union, which are mainly adopted by the Commission. This article highlights, first of all, how the EU case-law has recognized to Communications some specific ‘soft-law’ effects, i.e. the effect of orienting future actions from the part of the institution that has adopted them, as well as a related legality effect in relation to the conduct of individuals or Member States that comply with them. It analyses then the Greece v Commission judgement, with the aim to present the clarifications made by the Court on the soft law effects of Communications in the specific field of State aid. In that judgement, the Court has stated, in particular, that the Commission is bound by Communications only to the extent that the rules laid down therein comply with the Treaties and provided that their application is not mechanical, but takes place in a way that does not affect the Commission’s margin of manoeuvre in implementing European policies, in order to take into account the economic and legal developments related to regulated fields.
I. Premessa. - II. La giurisprudenza della Corte sull’efficacia giuridica soft delle comunicazioni. - III. La causa Grecia c. Commissione: a) i fatti all’origine della controversia e la pronuncia del Tribunale. - IV. (Segue). b) Il procedimento in appello e la soluzione adottata della Corte. - V. Considerazioni conclusive. - NOTE
Com’è noto, l’ordinamento giuridico dell’Unione europea è caratterizzato dalla presenza di numerosi “atti” delle istituzioni della stessa Unione che, pur non essendo inclusi tra quelli “tipici” nominativamente elencati dall’art. 288 TFUE [1], e per questo motivo sono qualificati come “atipici” [2], contribuiscono, al pari degli altri atti, a completare o ad innovare l’ordinamento in questione, creando una disciplina di soft law [3] che si pone spesso in vera e propria “concorrenza” con la tradizionale normativa di hard law. Il ricorso a tali strumenti “atipici” è stato dovuto principalmente alla crescente inadeguatezza delle tradizionali fonti di produzione giuridica a far fronte all’esigenza di disciplinare l’ampia e spesso imprevedibile evoluzione dell’azione dell’Unione [4], ma anche alla volontà delle istituzioni europee di regolamentare quanto meno in modo informale settori non ancora pienamente rilevanti del campo di applicazione materiale del diritto comunitario, come ad esempio quello delle politiche sociali, dell’impiego, o dell’Unione economica e monetaria, al fine di non interrompere (o di dare nuovo impulso a) processi di integrazione economici, politici e sociali che correvano altrimenti il rischio di arenarsi proprio sul terreno degli strumenti da riconoscere all’azione europea. Tra i vari atti “atipici”, particolare rilievo ha assunto nel tempo la c.d. comunicazione. Si tratta di uno strumento particolare che, al pari di altri ad esso molto simili [5], viene adottato prevalentemente in ambiti già disciplinati da una normativa di hard law [6], al fine di integrare o semplicemente chiarire il contenuto di tale normativa vuoi per orientare l’azione degli operatori economici interessati, vuoi per “inquadrare” entro specifiche linee direttrici la futura azione dell’istituzione emanante [7], rendendo la stessa più trasparente e prevedibile. Questa sua utile funzione spiega il successo e l’uso ricorrente di tale atto nella prassi delle istituzioni comunitarie, addirittura fin dal Trattato CECA. In effetti, una prima comunicazione di natura informativa fu adottata già nel 1959 proprio dall’Alta Autorità della CECA, al fine di agevolare [continua ..]
Come già accennato, le comunicazioni hanno assunto nel tempo forme e contenuti profondamenti differenti tra loro. Ciononostante, è possibile rinvenire dei tratti comuni che – a prescindere dal tradizionale dibattito dottrinale [9] sulle loro caratteristiche e funzioni – consentono di classificarle in due gruppi: i) le comunicazioni di natura decisoria, tra le quali rilevano quelle di tipo “autolimitativo e/o costitutivo”; e ii) le comunicazioni di carattere dichiarativo, nel cui ambito si distinguono poi quelle meramente “informative” da quelle “interpretative e/o ricognitive”. Appartengono al primo gruppo gli atti adottati in settori nei quali la Commissione fornisce orientamenti in merito all’esercizio del proprio potere decisionale vincolante, come ad esempio in materia di applicazione di regole di concorrenza ed aiuti di Stato [10]. Rientrano invece nel secondo gruppo le comunicazioni emanate al fine di far conoscere ufficialmente il proprio punto di vista sull’applicazione di discipline già esistenti – eventualmente per dar seguito a principi affermati da nuove pronunce giurisdizionali [11] – oppure per rendere noto il proprio orientamento su future proposte di interventi normativi [12]. Appartenendo queste ultime comunicazioni ad un ambito di azione più politico che giuridico, è principalmente sulle comunicazioni di natura decisoria che si è incentrata nel corso degli anni l’attenzione della Corte di giustizia, sulla cui giurisprudenza, come preannunciato, conviene ora rivolgere la nostra attenzione. Va detto subito, e riassuntivamente, che, seguendo un approccio sostanziale e non formale, la Corte ha riconosciuto alle comunicazioni [13]una specifica efficacia giuridica soft, ossia l’idoneità a produrre un effetto conformativo [14] nei riguardi dell’istituzione emanante e un conseguente, correlato, effetto di liceità nei confronti delle condotte dei privati o degli Stati membri che ad essi si adeguano. Al fine di riconoscere tali effetti, i giudici dell’Unione hanno fatto riferimento quale tertium comparationis, da un lato, ai princìpi dellegittimo affidamento [15] e della parità di [continua ..]
È nel quadro tracciato da questa giurisprudenza che la Corte è stata chiamata a pronunciarsi in occasione della recente controversia Grecia c. Commissione [35], sulla quale conviene qui soffermarsi. La vicenda giunta all’esame dei giudici dell’Unione parte da lontano. Nel gennaio del 2009, la Commissione ha pubblicato una comunicazione relativa al quadro di riferimento temporaneo comunitario per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’accesso al finanziamento nell’attuale situazione di crisi finanziaria ed economica (di seguito, il «QRTC») [36]. In tale documento, essa rilevava in particolare che la gravità della crisi mondiale richiedeva una risposta politica eccezionale, che si spingesse oltre il mero sostegno di emergenza al sistema finanziario [37], sicché determinate categorie di aiuti di Stato avrebbero potuto essere considerate “giustificate” per un periodo di tempo limitato, e, per il periodo dal 17 dicembre 2008 al 31 dicembre 2010, dichiarate “compatibili” con il mercato comune ai sensi dell’attuale art. 107, par. 3, lett. b), TFUE [38]. La Commissione precisava però che tale autorizzazione non riguardava gli aiuti in favore di imprese attive nel settore della produzione agricola primaria [39]. Nell’ottobre del 2009, tuttavia, con una nuova comunicazione [40] la Commissione modificava tale previsione del QRTC, includendo tra quelli dichiarabili compatibili anche alcuni aiuti erogati in favore delle aziende attive nel settore della produzione primaria di prodotti agricoli, viste le crescenti difficoltà nell’accesso ai finanziamenti che in seguito alla crisi finanziaria anche queste aziende incontravano. Pertanto, il nuovo punto 4.2.2, comma 3, lett. h) del QRTC, in vigore a partire dal 28 ottobre 2009, stabiliva che la Commissione avrebbe considerato anche questi aiuti “compatibili” con il mercato comune ai sensi dell’art. 107, par. 3, lett. b), TFUE, purché l’importo non avesse superato i 15 000 euro per impresa. In Grecia, la legge n. 1790/1988 aveva istituito un organismo pubblico per le assicurazioni agricole (l’ELGA), con l’obiettivo specifico di garantire la produzione delle aziende operanti in tale settore contro i danni causati da rischi naturali, come inondazioni o siccità. Nonostante le indicazioni [continua ..]
(Segue). Nel settembre del 2014, la Grecia ha impugnato innanzi alla Corte di giustizia la sentenza del Tribunale [46], deducendo contro quest’ultima tre motivi di ricorso. Se i primi due motivi avanzavano contestazioni di carattere prevalentemente tecnico [47], il terzo mezzo di impugnazione sollevava, invece, una questione di principio particolarmente rilevante ai fini del presente lavoro, concernendo essa la portata e i limiti dei poteri riconosciuti alla Commissione nell’elaborare comunicazioni volte a preannunciare ed orientare la propria azione relativamente all’analisi di compatibilità degli aiuti ai sensi dell’art. 107, par. 3, lett. b), TFUE [48]. In particolare, la Grecia ha imputato al Tribunale di aver erroneamente ritenuto che i pagamenti contestati non potessero essere dichiarati compatibili con il mercato interno, basandosi sul semplice fatto che il regime di autorizzazione preventivo istituito dal QRTC escludeva espressamente gli aiuti accordati prima del 28 ottobre 2009 alle imprese operanti nel settore della produzione primaria di prodotti agricoli. In effetti, faceva valere la Grecia, il Tribunale avrebbe dovuto tener conto della specifica situazione di crisi eccezionale dell’economia di quel paese e avrebbe dovuto riconoscere quindi l’obbligo in capo alla Commissione di valutare la compatibilità in concreto degli aiuti erogati direttamente alla luce della disciplina di cui all’art. 107, par. 3, lett. b), TFUE, a prescindere, e indipendentemente, dalle prescrizioni enunciate nella comunicazione sul QRTC. Al riguardo, la Corte ha anzitutto ricordato che, per giurisprudenza costante, la Commissione gode, in applicazione del suddetto art. 107, par. 3, TFUE, di un ampio potere discrezionale, il cui esercizio implica valutazioni complesse di ordine economico e sociale [49]. Inoltre, essa ha ribadito l’indirizzo già condiviso dal Tribunale secondo cui, «adottando norme di condotta ed annunciando, con la loro pubblicazione, che esse verranno da quel momento in avanti applicate ai casi a cui esse si riferiscono, la Commissione si autolimita nell’esercizio di detto potere discrezionale e non può, in linea di principio, discostarsi da tali norme, pena una sanzione, eventualmente, a titolo di violazione di principi giuridici generali, quali la parità di trattamento o la tutela del legittimo [continua ..]
Come si vede, la pronuncia appena esaminata ha affrontato il tema sensibile dei limiti agli effetti di soft law prodotti dalle comunicazioni nei confronti tanto della Commissione quanto degli Stati membri e degli operatori economici riguardati. La problematica sollevata toccava, in sostanza, la portata dei vincoli che la Commissione si autoimpone nell’attuazione di una determinata disciplina dell’Unione, in particolare nel settore degli aiuti di Stato, e che, proponendo una vera e propria “interpretazione autentica” delle norme del Trattato, rischiano di diventare sempre più spesso diritto cogente alternativo all’hard law. Secondo la giurisprudenza costante in materia, lo ricordiamo, la Commissione è tenuta al rispetto delle regole di condotta contenute nelle comunicazioni da essa adottate, nell’analisi dei casi «cui esse si riferiscono», fermo restando il limite invalicabile del rispetto delle norme dei Trattati [51]. L’idea di fondo condivisa dai giudici dell’Unione è che, a seguito dell’emanazione di norme di soft law, la Commissione si autolimiti nell’esercizio del proprio potere discrezionale e non possa quindi, in linea di principio, discostarsi da tali norme, pena la violazione di principi generali del diritto, quali la parità di trattamento o la tutela del legittimo affidamento degli Stati e/o degli operatori economici che, ad esempio nel settore degli aiuti di Stato, hanno seguito e rispettato gli indirizzi enunciati. Tutto ciò comporta, però, che all’incremento del grado di trasparenza e prevedibilità delle azioni che la Commissione metterà in campo corrisponde un corrispettivo irrigidimento del margine di manovra ad essa riconosciuto nell’attuazione delle pertinenti politiche dell’Unione. Ma proprio questo aspetto rappresenta il punto debole di detto orientamento giurisprudenziale. Considerando, infatti, che le prescrizioni degli atti “atipici” non hanno effetti giuridici vincolanti e non costituiscono – da un punto di vista formale – diritto cogente dell’Unione, si è avvertita sempre più nel corso degli anni l’esigenza di trovare un punto di equilibrio ragionevole tra la necessità di fornire maggiore trasparenza all’operato della Commissione, e quella di non cristallizzare in modo definitivo e rendere dunque [continua ..]