Lo scritto esamina la sentenza Pisciotti in cui la Corte di giustizia affrontato la questione dell'estradizione di un cittadino italiano da parte della Germania verso gli Stati Uniti. La Corte ha ritenuto che gli artt. 18 TFUE e 21 TFUE consentono allo Stato membro richiesto (in questo caso la Germania) di accordare, sulla base di una norma di diritto costituzionale, un trattamento differenziato tra i propri cittadini e i cittadini di altri Stati membri, riconoscendo solo ai primi la protezione dall'estradizione mentre è invece autorizzata l'estradizione dei cittadini di altri Stati membri, una volta che le proprie autorità hanno preventivamente posto in grado le autorità competenti dello Stato membro, di cui tale persona è cittadino, di chiederne la consegna nell'ambito di un mandato d'arresto europeo e quest'ultimo Stato membro non ha adottato alcuna misura in tal senso.
Secondo l'A. la sentenza è criticabile in quanto non tiene conto della questione della competenza giurisdizionale dello Stato di cui la persona è cittadino. Inoltre restrizioni della libera circolazione e la conseguente discriminazione del cittadino europeo giustificate sulla base della prevenzione dell'impunità non sembrano rispondere al principio di proporzionalità.
The paper examines the Pisciotti case in which the Court of Justice ruled on the matter of the extradition of an Italian citizen from Germany towards the United States. The Court held that Articles 18 TFEU and 21 TFEU do not preclude the requested Member State (in this case Germany) from drawing a distinction between its nationals and the nationals of other Member States on the basis of a rule of constitutional law, granting only to the former the protection from extradition while allowing the extradition of nationals of other Member States, provided that the requested Member State has already put the competent authorities of the Member State of which the citizen is a national in a position to seek the surrender of that citizen pursuant to a European arrest warrant and the latter Member State has not taken any action in that regard.
According to the Author the judgment is open to criticism because it fails to take into account the question of the jurisdiction of the Member State of which the citizen is a national. Furthermore, restrictions on free movement and the consequent discrimination on grounds of nationality of the European citizen justified on the basis of the prevention of impunity do not seem to be in line with the principle of proportionality.
KEYWORDS
Citizenship of the Union – Discrimination on grounds of nationality – Extradition – Restriction on free movement – Pisciotti judgment
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I. Il quadro normativo e fattuale - II. La pronunzia della Corte di giustizia - III. In che misura l'obiettivo di evitare il rischio di impunità delle persone che hanno commesso un reato può giustificare un trattamento discriminatorio del cittadino europeo? - IV. Il presupposto della competenza giurisdizionale dello Stato membro di nazionalità - V. Il rilievo della gravità del reato ai fini della valutazione della proporzionalità della restrizione ai diritti del cittadino europeo - VI. Conclusioni - NOTE
Con una sentenza che ha ricevuto scarsa risonanza, almeno nel dibattito scientifico italiano, la Grande Sezione della Corte di giustizia si è pronunciata su una questione molto sensibile in materia di discriminazione in base alla nazionalità nel contesto di un caso di estradizione da parte della Germania di un cittadino italiano, Romano Pisciotti, verso gli Stati Uniti [1]. Si tratta peraltro, nello specifico, del primo e finora unico caso di estradizione di un uomo d'affari straniero basato esclusivamente su imputazioni connesse a violazioni del diritto della concorrenza [2]. La questione rientra nell'ambito di applicazione dell'Accordo sull'estradizione tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America, del 25 giugno 2003 [3] il cui art. 17 consente che uno Stato membro riservi, sulla base vuoi di disposizioni di un suo precedente accordo bilaterale con gli USA, vuoi di norme del suo diritto costituzionale, una sorte specifica ai suoi cittadini nazionali vietando la loro estradizione. Al contrario l'Accordo con l'UE non prevede alcuna forma di tutela per i cittadini dell'Unione in quanto tali. Ebbene, in linea con il principio di protezione del proprio cittadino dall'estradizione, che, sia pure con varie modalità e intensità, è comune a molte costituzioni nazionali ed è spesso previsto nelle convenzioni in materia come possibile limite all'obbligo di concedere l'estradizione, da un lato, il Trattato di estradizione Germania-Stati Uniti del 20 giugno 1978 [4], al suo art. 7, par. 1, prevede che «neither of the Contracting Parties shall be bound to extradite its own nationals», dall'altro, l'art. 16, par. 2, del Grundgesetz vieta l'estradizione del cittadino tedesco [5]. La sentenza della Corte di giustizia è l'ultimo tassello di una vicenda estremamente complessa. Questi, in sintesi, i fatti. Tra la fine degli anni '90 e il 2007 Pisciotti, in qualità di dirigente della società italiana Parker ITR, avrebbe preso parte al cartello dei tubi marini, cioè i tubi utilizzati per caricare petrolio dolce o grezzo lavorato o altri prodotti petroliferi dagli impianti offshore sulle navi e per scaricare gli stessi in impianti offshore o a terra. Il cartello, che vedeva coinvolte numerose società a livello mondiale, ha formato oggetto di indagine e di forti sanzioni da parte dell'autorità antitrust [continua ..]
La Corte di giustizia, rispondendo alla prima questione postale dal giudice tedesco, ha ritenuto che la situazione in esame rientrasse a pieno titolo nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione. E ciò in primo luogo in considerazione del fatto che la richiesta di estradizione di Pisciotti è stata effettuata nell'ambito dell'Accordo UE-USA. Inoltre, la Corte, richiamando la sentenza Petruhhin [12], ha ricordato che le situazioni rientranti nell'ambito di applicazione dell'art. 18 TFUE, in combinato disposto con le norme del Trattato FUE sulla cittadinanza dell'Unione, comprendono quelle rientranti nell'esercizio della libertà di circolare e di soggiornare sul territorio degli Stati membri, quale conferita dall'art. 21 TFUE. Pertanto, la situazione di un cittadino dell'Unione di nazionalità italiana che si è avvalso del suo diritto di circolare liberamente nell'Unione facendo scalo in Germania in occasione del suo viaggio di ritorno dalla Nigeria, rientra nell'ambito di applicazione dei Trattati ai sensi dell'art. 18 TFUE, e «la circostanza che, al momento del suo arresto, egli fosse unicamente in transito in Germania non è idonea a inficiare tale constatazione» [13]. Per quanto riguarda la seconda questione, la Corte osserva che l'art. 17 dell'Accordo di estradizione UE-USA consente che uno Stato membro riservi, sulla base vuoi di disposizioni di un accordo bilaterale, vuoi di norme del suo diritto costituzionale, una sorte specifica ai suoi cittadini nazionali vietando la loro estradizione. Tale facoltà deve essere tuttavia esercitata «conformemente al diritto primario e, in particolare, alle norme del Trattato FUE in materia di parità di trattamento e di libera circolazione dei cittadini dell'Unione», ovvero agli artt. 18 e 21 TFUE [14]. Alla luce di questa premessa la Corte si rifà alla giurisprudenza Petruhhin [15] per affermare che le norme nazionali in materia di estradizione che introducono una differenza di trattamento a seconda che l'interessato sia cittadino o meno di un altro Stato membro, in quanto portano a non accordare ai cittadini di un altro Stato membro che si trovano sul territorio dello Stato richiesto la protezione dall'estradizione di cui beneficiano i cittadini di quest'ultimo, comportano una restrizione alla libera circolazione di cui all'art. 21 TFUE. Restrizioni di questo genere devono, [continua ..]
La pronunzia non può non lasciare perplessi per le conseguenze di portata generale sullo status di cittadino dell'Unione e sul principio di non discriminazione in ragione della nazionalità, che ne risultano fortemente affievoliti. Le motivazioni in base alle quali la Corte ha ritenuto che un siffatto trattamento differenziato è compatibile con gli artt. 18 e 21 TFUE non appaiono infatti del tutto convincenti e avrebbero avuto necessità di maggior approfondimento. Come si è detto, nell'indicare come possibile soluzione alternativa all'estradizione, di carattere non automatico, il ricorso alla procedura di cooperazione tra lo Stato membro richiesto e quello di nazionalità, la Corte ha specificato che, «al fine di salvaguardare l'obiettivo di evitare il rischio di impunità dell'interessato per i fatti che gli sono contestati nella richiesta di estradizione» è necessario che il mandato d'arresto europeo verta quantomeno sui medesimi fatti e che lo Stato membro che emette tale mandato deve essere «competente, in forza del suo diritto nazionale, a perseguire tale persona per fatti commessi al di fuori del suo territorio nazionale» [19]. Ora, «l'obiettivo di evitare il rischio di impunità delle persone che hanno commesso un reato» [20] (ma, trattandosi di estradizione processuale, non sarebbe forse stato preferibile scrivere «si presume abbiano»?) è sicuramente una giustificazione pregevole ed è la ratio alla base degli accordi di estradizione, tra cui in particolare, e per quanto qui rileva, di quello tra l'Unione europea e gli Stati Uniti. Tuttavia tale giustificazione deve confrontarsi con gli altri interessi e valori in causa tra cui, in primo luogo, lo status di cittadinanza europea e il principio del trattamento nazionale. Per meglio comprendere le affermazioni ora riportate conviene qui ricordare che nella sentenza Petruhhin la Corte, aveva ricollegato la ratio del principio di protezione del cittadino dall'estradizione al «brocardo "aut dedere, aut iudicare" (estradare o giudicare)» e aveva osservato che «la mancata estradizione dei cittadini nazionali è generalmente compensata dalla possibilità per lo Stato membro richiesto di perseguire i propri cittadini per reati gravi commessi fuori dal suo [continua ..]
Non convince neppure il fatto che la Corte abbia condizionato il pieno godimento del diritto del cittadino europeo a non essere discriminato, e quindi a godere della stessa protezione contro l'estradizione di cui gode il cittadino tedesco, al comportamento dello Stato membro di nazionalità, ovvero alla circostanza che l'autorità giudiziaria di quest'ultimo eserciti l'azione penale nei confronti della persona richiesta. Con l'ulteriore, paradossale, conseguenza che qualora l'autorità giudiziaria dello Stato membro di nazionalità non eserciti l'azione penale e non emetta un mandato d'arresto europeo l'individuo dovrebbe essere comunque estradato. Un'inerzia in tal senso può derivare da negligenza, ma anche dal mancato interesse a perseguire reati commessi all'estero che non presentano un collegamento significativo con il territorio nazionale, o, infine e più verosimilmente, dall'assenza di competenza giurisdizionale dello Stato membro in questione o dei presupposti di applicazione della decisione quadro sul MAE. E in effetti la Corte aveva sottolineato che lo Stato membro di nazionalità deve «essere competente, in forza del suo diritto nazionale, a perseguire tale persona per fatti commessi al di fuori del suo territorio nazionale». Nel caso concreto non si è però posta il problema di sapere se lo Stato italiano fosse competente, né ha rimandato al giudice del rinvio il compito di effettuare tale verifica. Trattandosi di un reato non particolarmente grave tale competenza non era affatto scontata. L'unico punto in cui viene prospettato questo problema è nella nota 35 delle conclusioni dell'avvocato generale Bot che riporto integralmente: «La spiegazione dell'assenza di un mandato di arresto europeo da parte della Repubblica italiana potrebbe essere, in particolare alla luce delle dichiarazioni rese in proposito dal rappresentante della Repubblica federale di Germania in udienza, che l'illecito contestato al sig. Pisciotti non era sanzionabile penalmente in Italia e che, in ogni caso, trattandosi di fatti che non presentavano nessun legame con tale Stato membro, l'esercizio di un'azione penale in detto Stato sarebbe stato assai difficile». Le difficoltà, di natura giuridica e pratica, derivanti dalla soluzione adottata dalla Corte nella sentenza Petruhhin erano del resto state messe in evidenza da vari Stati membri che hanno [continua ..]
Il secondo punto su cui sarebbe stato opportuno spendere almeno qualche riflessione riguarda la gravità del reato commesso all'estero, elemento a cui la Corte nel citato brano della sentenza Petruhhin aveva esattamente ricollegato «la possibilità per lo Stato membro richiesto di perseguire i propri cittadini». In effetti la gravità del reato assume rilevanza sotto più profili, tra cui, per quanto qui interessa, quello di determinare l'ambito della giurisdizione penale dello Stato per il reato commesso dal cittadino fuori dal territorio nazionale o, ancora, nel caso di concorso di richieste di estradizione o di mandato d'arresto europeo [26]. Ma soprattutto la gravità del reato è un elemento essenziale ai fini della valutazione dell'ammissibilità della restrizione ai diritti alla parità di trattamento e di libera circolazione del cittadino europeo sotto il profilo della sua proporzionalità. Il principio era stato nitidamente affermato nella sentenza Rottmann là dove, affrontando la questione della compatibilità con il diritto dell'Unione di un provvedimento di revoca della naturalizzazione che avrebbe determinato l'apolidia del soggetto interessato e la conseguente perdita della cittadinanza dell'Unione dello stesso, la Corte ha affermato che, «vista l'importanza che il diritto primario annette allo status di cittadino dell'Unione, è necessario, nell'esaminare una decisione di revoca della naturalizzazione, tener conto delle possibili conseguenze che tale decisione comporta per l'interessato e, eventualmente, per i suoi familiari sotto il profilo della perdita dei diritti di cui gode ogni cittadino dell'Unione. A questo proposito, è importante verificare, in particolare, se tale perdita sia giustificata in rapporto alla gravità dell'infrazione commessa dall'interessato, al tempo trascorso tra la decisione di naturalizzazione e la decisione di revoca, nonché alla possibilità per l'interessato di recuperare la propria cittadinanza di origine» [27].
A conclusione di queste brevi osservazioni non si può sottacere una certa insoddisfazione per il modo in cui la Corte di giustizia ha affrontato il caso. Vero è che in Pisciotti i giudici di Lussemburgo hanno dato piena applicazione alla giurisprudenza Petruhhin. Tuttavia questa sentenza riguardava un caso in cui l'estradizione non era ancora avvenuta e ha rappresentato un significativo progresso nella tutela dei diritti dei cittadini europei nella misura in cui vi si è ammesso che, a condizione che lo Stato di nazionalità emetta un mandato d'arresto europeo per esercitare la propria giurisdizione, i cittadini di un altro Stato membro hanno lo stesso titolo alla protezione contro l'estradizione di cui godono i cittadini dello Stato richiesto. Al contrario la sentenza Pisciotti sembra piuttosto avallare ex post un comportamento restrittivo da parte della Germania sostanzialmente lesivo del diritto alla parità di trattamento dei cittadini europei. Appare infatti carente la verifica delle condizioni che avrebbero legittimato il trattamento differenziato del cittadino europeo rispetto al nazionale e la sua estradizione verso uno Stato terzo. Questa verifica sarebbe stata tanto più necessaria quando si ricordi che le deroghe al divieto di discriminazione in base alla nazionalità così come le limitazioni all'esercizio delle libertà fondamentali e ai diritti legati alla cittadinanza europea dovrebbero sempre essere di stretta interpretazione.