L’articolo esamina l’evoluzione della nozione di “consumatore” nel diritto dell’Unione europea attraverso l’analisi della giurisprudenza della Corte di giustizia e del diritto UE derivato, evidenziando gli sviluppi più recenti ed il loro possibile impatto sul mercato interno.
L’Autore sottolinea, in particolare, come la tendenza ad accentuare l’astrazione della nozione di “consumatore” come parametro valutativo possa causare distorsioni che non aumentano effettivamente il livello di protezione del consumatore e dei suoi diritti ma, al contempo, può creare incertezza giuridica per gli operatori economici.
Come conclusione viene auspicato che l’approccio giuridico/regolatorio al tema possa mantenersi più aderente alle dinamiche consumeristiche reali seppur nel quadro di una accentuata sensibilità per la tutela della “persona” e delle sue “vulnerabilità”.
This article examines the evolution of the notion of “consumer” in the European Union law through an analysis of the EUCJ case law and secondary EU legislation, highlighting the most recent developments and the possible impact on the EU single market.
The Author underlines, in particular, how the tendency to accentuate the abstraction of the notion of “consumer” can cause distortions which do not really help in the protection of consumer rights and create juridical uncertainty for business operators.
Therefore it would be desirable to find a regulatory and judicial approach that corresponds better to the reality of consumer dynamics in the framework of an increased sensitivity to individuals and their vulnerabilities.
Articoli Correlati: solidarietà - consumatore - integrazione europea - principio di proporzionalità - evoluzione del mercato unico - diritti fondamentali
I. Il consumatore come parte di un rapporto economico e come “persona” nel contesto del¬l’integrazione europea. - II. L’evoluzione della nozione di “consumatore”. - III. (Segue): le caratteristiche del “consumatore medio” elaborate dalla giurisprudenza della Corte in relazione all’informazione-etichettatura. - IV. (Segue): il consumatore “vulnerabile” tipizzato dalla direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali. - V. (Segue): La nozione di consumatore e i diritti ad esso riconosciuti nella disciplina dei contratti al consumo. - VI. Nuovi bisogni, nuove preoccupazioni e nuove “declinazioni” del concetto di consumatore nel settore alimentare. - VII. Quale modello di consumatore per il futuro del mercato interno dell’Unione europea? - NOTE
La definizione del concetto di “consumatore” come parte di un rapporto giuridico ed economico, pur se apparentemente semplice, costituisce in realtà un passaggio fondamentale per la corretta impostazione di numerose politiche dell’Unione e la costruzione del mercato interno. Non può stupire, dunque, il fatto che il problema della sua qualificazione giuridica sia stato oggetto di ripetuti interventi giurisprudenziali e normativi lungo l’arco dell’ormai pluridecennale processo di integrazione europea, e che tutt’oggi costituisca argomento controverso di estrema attualità [1]. L’assenza di una disciplina armonizzata della materia, dovuta all’introduzione solo in un secondo momento di una competenza comunitaria al riguardo [2] (peraltro di natura concorrente), ha imposto il superamento delle diverse sensibilità nazionali attraverso una complessa opera di scomposizione e ricomposizione delle posizioni soggettive connotate da intrinseca ed asimmetrica debolezza, in particolare in quattro aree del diritto dell’Unione europea in cui il parametro “soggettivo” del consumatore incide particolarmente: l’informazione (attraverso la pubblicità o l’etichettatura), i requisiti di qualità o sicurezza dei prodotti; la proprietà intellettuale (in particolare con riferimento alla possibile decettività dei marchi o alla loro confondibilità) e la contrattualistica. In tutti questi ambiti, come si evidenzierà in prosieguo, l’approccio iniziale è stato strettamente funzionale alla unificazione del mercato interno: la figura del consumatore è stata costruita normativamente ed attraverso la giurisprudenza come parametro in relazione al quale misurare la proporzionalità delle discipline nazionali non armonizzate o compiere limitati interventi di armonizzazione [3]. Successivamente, con l’emergere di una più spiccata sensibilità per la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo nel momento dell’acquisto dei beni di consumo o dei servizi (e nel correlato momento della lite giudiziaria conseguente alla patologia dei rapporti commerciali) i consumatori sono stati individuati di volta in volta nelle persone fisiche che agiscono al di fuori di un ambito professionale, nei soggetti mediamente informati e ragionevolmente accorti, nonché in [continua ..]
Per dare risposta agli interrogativi formulati appare necessario effettuare una analisi evolutiva della nozione di “consumatore” nell’ordinamento dell’Unione che, accanto al criterio puramente storico-cronologico (dovuto allo sviluppo “per tappe” della materia in relazione al progresso dell’integrazione europea), tenga in adeguata considerazione le specificità delle materie menzionate in precedenza, posto che le caratteristiche del soggetto destinatario di beni e servizi nel rapporto di consumo non svolgono sempre la stessa funzione giuridica, e, di conseguenza, non si sono sviluppate in modo generale ed uniforme [5]. Ad ogni modo ed a ben guardare gli approcci metodologici menzionati sono senz’altro complementari: l’assenza iniziale di una competenza comunitaria sulla tutela del consumatore ha frazionato gli interventi in relazione ad ogni specifico ambito regolato ed alle politiche di volta in volta perseguite, circostanza che rende necessario analizzare il quadro evolutivo complessivo della materia, seppur per grandi linee. Nell’ambito delle singole fattispecie, poi, il condizionamento reciproco fra i destinatari delle norme e gli obiettivi generali perseguiti ha generato un sistema complesso [6], in cui gli individui vengono indirizzati nelle loro scelte dalle strategie regolatorie e dalla giurisprudenza, che, attraverso incentivi e disincentivi, contribuiscono a formare orientamenti, propensioni, bisogni e preferenze [7]. Le istituzioni, peraltro, subiscono a loro volta le pressioni della c.d. “opinione pubblica” che chiede risposte in relazione a problematiche percepite collettivamente come urgenti o prioritarie a prescindere dalla loro oggettiva consistenza. Sicché, nel mosaico descritto, giurisprudenza della Corte di giustizia ha mantenuto un ruolo determinante. L’analisi contestualizzata delle sue più significative pronunce costituisce dunque un passaggio essenziale per la corretta ricostruzione del concetto giuridico di “consumatore”.
(Segue). Nella prima fase di integrazione dei mercati la Corte di giustizia, com’è noto, si è trovata frequentemente a valutare la legittimità delle normative nazionali che ponevano vincoli di mercato a motivo della necessità di reagire allo squilibrio fra le parti contraenti nei rapporti commerciali di massa. In questi contesti la nozione di consumatore ha svolto essenzialmente la funzione di “parametro di proporzionalità” onde valutare la ragionevolezza degli interventi regolatori nazionali. La mancanza di elementi uniformi di accertamento delle propensioni e delle attitudini del destinatario dei prodotti e dei messaggi poneva anzitutto il problema di definirne le modalità di accertamento giudiziale, vista l’eterogeneità dei possibili criteri al riguardo [8]. La Corte ha quindi affrontato il tema compiendo un primo sforzo unificatore nel senso di ritenere sufficiente l’accertamento delle attitudini del destinatario finale dei beni o servizi in base ad una valutazione presuntiva (ossia senza imporre caso per caso perizie demoscopiche, sondaggi, ecc.), consentendo peraltro al giudice nazionale di ricorrere, ove indispensabile, ad un accertamento istruttorio “in concreto” [9]. Così, a titolo esemplificativo, nella sentenza Sekt [10] relativa alla possibile ingannevolezza di un marchio evocativo di una indicazione vitivinicola protetta dalla normativa tedesca, la Corte ha chiaramente affermato che «spetta al giudice nazionale verificare, sulla base dei fatti, se, in considerazione dei consumatori cui è diretto, un marchio ed i suoi elementi siano tali da creare confusione, totale o parziale, con la denominazione di taluni vini. A tal proposito (…) il giudice nazionale deve prendere come punto di riferimento l’aspettativa presunta di un consumatore medio (…). Solo qualora incontri particolari difficoltà nel valutare il carattere ingannevole del marchio e in mancanza di qualsiasi disposizione comunitaria in materia, il giudice nazionale può fare ricorso, alle condizioni previste dal proprio diritto, a provvedimenti istruttori quali un sondaggio di opinioni o una perizia (…)» [11]. Il giudizio si è venuto così a configurare come valutazione giuridico-qualitativa non statistica in ragione della possibilità di superare, per il tramite di un [continua ..]
(Segue). A differenza del “consumatore medio”, la cui elaborazione è sostanzialmente giurisprudenziale, il “consumatore vulnerabile” deve la sua tipizzazione ad un intervento normativo, motivato dall’accresciuta sensibilità per le problematiche dell’individuo nelle sue condizioni di debolezza soggettiva. Il considerando 18 della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali [20] afferma, infatti, che accanto al parametro del consumatore desumibile dalla giurisprudenza della Corte è necessario introdurre disposizioni volte ad evitare lo sfruttamento dei consumatori che per le loro caratteristiche risultino particolarmente vulnerabili, con ciò facendo riferimento alla individuazione di specifiche categorie “target” per le quali la tutela ordinaria non risulti adeguata. Coerentemente l’articolo 5 par. 3 della direttiva stabilisce che «le pratiche commerciali che possono falsare in misura rilevante il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità, in modo che il professionista può ragionevolmente prevedere, sono valutate nell’ottica del membro medio di tale gruppo (…)». La disposizione aggiunge nella sostanza una precisazione rispetto al giudizio di proporzionalità tradizionale [21] che, basandosi sulla esigibilità di una condotta accorta ed informata del consumatore, giustificava una restrizione solo in presenza di un rischio “grave” di inganno: l’esistenza di specifiche fragilità individuali dovute a condizioni particolari quali il disagio fisico (malattia), psichico (paura della morte, solitudine, ecc.) o socioeconomico (povertà, ignoranza, ecc.) individuabili dal professionista con la ordinaria diligenza [22] consente di rideterminare il parametro di riferimento, di modo da rendere possibile una valutazione pur sempre qualitativa, ma riferita alle aspettative presunte di un consumatore tipico di quella specifica categoria più “a rischio” [23]. In altre parole, abbassandosi la soglia di esigibilità di una condotta coerente e consapevole del consumatore in quei determinati frangenti di vita o in quelle condizioni [continua ..]
(Segue). Una riflessione specifica deve essere dedicata alla disciplina dei contratti con i consumatori, cui peraltro si deve la prima apertura di carattere normativo alle esigenze individuali di tutela di soggetti ritenuti per definizione “deboli” nel rapporto asimmetrico con i professionisti [24]. Pur non potendosi in questa sede procedere ad una ricognizione puntuale delle disposizioni adottate per riequilibrare queste relazioni commerciali nonché dei relativi orientamenti della Corte in materia, pare comunque opportuno ricordare come da tempo l’ordinamento dell’Unione si sia dotato di alcune disposizioni relative a specifici aspetti dei contratti con i consumatori (cfr. a titolo esemplificativo le direttive 85/577/CEE sui contratti negoziati fuori dai locali commerciali; 93/13/CE sulle clausole abusive; 97/7/CE sui contratti conclusi a distanza; 99/44/CE sulla garanzia nella vendita di beni di consume, ecc., oggi coordinate ed in parte assorbite dalla direttiva 2011/83/ CE sui diritti dei consumatori [25]) onde superare le asimmetrie inevitabilmente determinate dalla massificazione dei rapporti commerciali. Com’è stato più volte sottolineato dalla giurisprudenza della Corte, l’intera disciplina si fonda sull’assunto che i nuovi modelli di mercato (sempre più spersonalizzati ed a crescente livello di complessità) pongano il consumatore-acquirente in una condizione di inferiorità per l’assenza di un reale potere negoziale nelle trattative e per il modesto livello di informazioni disponibili, sì da costringerlo de facto ad aderire alle condizioni poste dal professionista in modo acritico e comunque senza poter incidere sulle stesse [26]. Il legislatore UE è quindi intervenuto su di un doppio binario: da un lato integrando i contratti al consumo con disposizioni di carattere imperativo volte a rafforzare i diritti dei contraenti deboli in chiave positiva (e.g. prevedendo un termine minimo della garanzia legale per vizi o difetti [27], il diritto di recesso per i contratti stipulati fuori dai locali commerciali [28], i termini di consegna [29], ecc.), ovvero in negativo (ossia rendendo del tutto inefficaci nei confronti del consumatore le c.d. “clausole abusive” [30] predisposte unilateralmente dal professionista [31] in danno del contraente debole); dall’altro [continua ..]
L’evoluzione descritta non sembra peraltro aver ancora esaurito la propria spinta propulsiva in favore della persona ed i suoi bisogni. Al contrario, l’accentuazione dell’attenzione verso il consumatore, formalmente supportata dal richiamo della relativa tutela nella Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. [46], muovendo dalla necessità di fornire risposte ad istanze sociali diffuse quali la salvaguardia dell’ambiente, l’accorciamento delle filiere, la protezione della salute ed il controllo “etico” dei modelli di sviluppo, tende a dilatare i fattori preventivi rispetto alla libertà individuale dei soggetti del rapporto di consumo tanto “ex ante”, esasperando normativamente il ruolo dell’informazione, quanto “ex post”, accentuando la severità del giudizio di proporzionalità nel bilanciamento degli interessi contrapposti in sede esecutiva o giurisprudenziale. La casistica è, allo stato, ancora piuttosto eterogenea e, dunque, di difficile catalogazione. Onde dar conto della dinamica in corso si farà quindi riferimento alla tematica dell’informazione nel contesto dei mercati strettamente connessi ai temi della sicurezza, della qualità e della trasparenza, come accade, a titolo esemplificativo, nel settore alimentare o dei prodotti finanziari [47], ove gli effetti della trasformazione in corso appaiono certamente più evidenti ratione materiae o per la maggiore sensibilità sociale connessa ai prodotti trattati. In effetti l’emergere nel recente passato di alcuni scandali nei settori menzionati ha accentuato la percezione di incapacità di auto-tutelarsi del consumatore-tipo, producendo come risposta solo in parte lo spostamento dell’attenzione su maggiori forme di controllo pubblico per assicurare più certezza nel mercato [48] o sulla responsabilità degli operatori, come sarebbe stato lecito attendersi in via prioritaria. La strategia dell’Unione pare infatti aver puntato maggiormente sull’innalzamento degli standard di diligenza ed obblighi di precisione nella comunicazione cui– si presume– dovrebbe corrispondere un grado di consapevolezza, attenzione e razionalità da parte degli acquirenti non supportato dagli studi scientifici sulle dinamiche di consumo [49]. Basti pensare, a titolo [continua ..]
L’esame della materia nei diversi ambiti considerati nei paragrafi precedenti consente di offrire alcune risposte – necessariamente provvisorie, vista la dinamica in atto – alle domande poste in apertura. L’attuale concezione del c.d. “soggetto debole” riflette il tentativo di far convergere (e coesistere) due distinte esigenze. Da un lato l’Unione europea si mostra più sensibile alle istanze sociali ed all’esigenza di protezione delle debolezze individuali, cercando di superare la lettura meramente “mercantilistica” dei rapporti di consumo attraverso l’introduzione sul piano normativo e giurisprudenziale di correttivi e cautele sempre crescenti, improntati al progressivo aumento delle informazioni sui prodotti, delle avvertenze d’uso, della trasparenza di filiera, nonché con il correlato inasprimento degli standard di valutazione della diligenza adottata dal professionista. La soggettività individuale degli acquirenti, con le loro fragilità e limiti cognitivi, è, quindi, oggi esaltata, in linea, peraltro, con la complessiva evoluzione dell’ordinamento UE sempre più attento alla “persona”, alle sue libertà ed ai suoi diritti. Ciò inevitabilmente comporta un deciso aumento dei costi per via della possibile frammentazione del mercato di riferimento (individualizzato, ancorato a parametri in parte sfuggenti perché sempre più “virtuali” ed elaborati) nonché dell’innesco di esagerazioni di stampo burocratico poste a presidio di questo progressivo orientamento del legislatore europeo, come evidenziano alcune delle vicende menzionate in precedenza. Anche in relazione a ciò, per altro verso, le strategie per lo sviluppo del mercato unico negli ultimi anni hanno cercato di “incorporare” questo approccio (“di filiera”, “trasparente”, “informato”, “controllato”) come “valore aggiunto” del prodotto. Si è, cioè, cercato di descrivere il ruolo del consumatore-attore [65] come un fattore di spinta competitiva verso l’innovazione e lo sviluppo di prodotti differenti da ciò che la globalizzazione produce in modo spesso poco trasparente ed a basso costo. Ciò è chiaramente visibile in alcuni passaggi delle più recenti comunicazioni della Commissione [continua ..]