Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Fiscalità e sovranità: riflessioni sulla ripartizione delle competenze tra Stati membri e Unione europea (di Giulia Rossolillo, Ordinario di Diritto Internazionale, Università di Pavia.)


La sovranità fiscale degli Stati membri ha subito forti limitazioni ad opera del diritto dell’Unione europea, non solo attraverso le direttive di armonizzazione adottate negli anni sulla base degli articoli 113 e 115 TFUE, ma anche per l’intervento sempre più incisivo delle istituzioni dell’Unione volto a garantire le libertà di circolazione e una concorrenza non falsata. È stata tuttavia soprattutto l’esigenza di far fronte alla crisi economica e finanziaria degli ultimi anni a porre al centro del dibattito il problema dei limiti alla sovranità fiscale degli Stati membri e dell’eventuale attribuzione di sovranità tributaria all’Unione europea o all’eurozona. Tale prospettiva implicherebbe il passaggio da una governance dell’economia a un vero e proprio governo sovranazionale, e dunque un mutamento della natura dell’Unione europea.

European Union law has deeply restricted Member States’ fiscal sovereignty, not only through harmonization directives adopted on the basis of articles 113 and 115 TFUE, but also through the more and more penetrating action of EU institutions aimed at guaranteeing the freedoms of circulation and a fair competition. Above all, it was however the need to face the financial and economic crisis of the last years that sparked the debate on the limits of Member States’ fiscal sovereignty and on the perspective of endowing the European Union or the Eurozone with taxing power. This eventuality would entail the transition from an economic governance to a real supranational government, therefore the changing of the nature of the EU.

KEYWORDS

Fiscal sovereignty – Fiscal resources of the European Union – Fiscal harmonization – own resources – Supranational government

SOMMARIO:

I. Introduzione. - II. Unione europea e armonizzazione fiscale. - III. Libertà di circolazione e disposizioni fiscali degli Stati membri alla luce della giurisprudenza della Corte. - IV. Aiuti di Stato e fiscalità. - V. Competenza fiscale e crisi economica e finanziaria: il coordinamento delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri. - VI. Il cambio di prospettiva: l’attribuzione di sovranità fiscale al livello sovranazionale. - VII. Metodo dell’Unione e funzionalismo versus metodo federale. - NOTE


I. Introduzione.

I. Il potere tributario costituisce il presupposto essenziale affinché un ente sia in grado di esercitare le proprie competenze in modo autonomo, e rappresenta pertanto il fondamento della sovranità nazionale. La disponibilità di risorse fiscali e il potere di esigerne il pagamento da parte dei singoli sono infatti funzionali alla realizzazione degli obiettivi che il potere sovrano si propone. Nonostante tra le risorse proprie che finanziano il bilancio dell’Unione vi siano risorse (se pur di entità limitata) di carattere fiscale, è tuttora agli Stati membri che spetta in via esclusiva il potere impositivo [1]. Il meccanismo di determinazione di tali risorse, nonché la loro riscossione dipendono infatti ancora dagli Stati membri [2], sicché l’Unione non è in grado di finanziarsi autonomamente dagli stessi. All’Unione è invece attribuita espressamente dal trattato una competenza di armonizzazione delle imposte indirette (articolo 113 TFUE), che si è tradotta nell’adozione di numerose direttive in materia a partire dalla fine degli anni ’60. Le vicende legate all’evoluzione del processo di integrazione europea hanno tuttavia reso meno nitido il quadro ora descritto. Il potere impositivo degli Stati membri ha in effetti progressivamente incontrato limiti sempre più incisivi dovuti da un lato all’esigenza di non creare ostacoli alle libertà di circolazione e alla concorrenza, dall’altro alle misure adottate dalle istituzioni dell’Unione, soprattutto a partire dalla crisi economica e finanziaria degli ultimi anni, per un migliore coordinamento delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri. La necessità di rafforzare il pilastro economico dell’Unione economica e monetaria ha poi fatto emergere un ulteriore profilo di interazione tra materia fiscale e diritto dell’Unione: quello della possibile attribuzione di sovranità tributaria all’eurozona. Mentre l’armonizzazione delle legislazioni nazionali e le misure di integrazione negativa sopra citate si inquadrano nel metodo del funzionalismo finora seguito dal processo di integrazione, un potere tributario dell’eurozona presuppone la creazione di un’unione politica ed è dunque riconducibile ad un’ottica profondamente differente. Se nel primo caso, infatti, alle limitazioni poste dal [continua ..]


II. Unione europea e armonizzazione fiscale.

II. Secondo quanto dispone l’articolo 113 TFUE, «Il Consiglio, deliberando all’unanimità secondo una procedura legislativa speciale e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, adotta le disposizioni che riguardano l’armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d’affari, alle imposte di consumo ed altre imposte indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno ed evitare le distorsioni di concorrenza». Non è presente invece nei Trattati una disposizione corrispondente relativa all’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di imposte dirette, la cui disparità è considerata dal legislatore dell’Unione meno pregiudizievole per il funzionamento del mercato interno [3]. Sulla base dell’art. 113 TFUE, fin dalla fine degli anni ’60 sono state adottate numerose direttive in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA), nonché di accise [4] e di raccolta di capitali [5]. Tra queste, particolare importanza rivestono le direttive in materia di IVA, non solo perché si tratta della prima imposta comune a tutti gli Stati membri, ma anche perché una percentuale di tale imposta costituisce una risorsa propria dell’Unione, circostanza che ha determinato un forte impulso all’armonizzazione in tale settore. Così, dopo l’adozione delle direttive 67/227/CEE [6] e 67/228/CEE [7] che prevedono l’adozione da parte degli Stati membri di un sistema di tassazione indiretta sui consumi uguale per tutti, fondato sull’idea di un’imposta sul consumo proporzionale al prezzo dei beni e servizi, qualunque sia il numero di transazioni precedenti la fase dell’imposizione, la decisione del Consiglio 70/243 [8] relativa alla sostituzione dei contributi finanziari degli Stati membri con risorse proprie ha stabilito che una percentuale dell’IVA riscossa dagli Stati membri confluisse nel bilancio della Comunità. Le disposizioni di tale ultima decisione troveranno poi applicazione solo a partire dal 1. Gennaio 1979, dopo l’adozione della direttiva 77/388/CEE [9] contenente le disposizioni relative a una base imponibile uniforme. Per quanto riguarda, infine, l’aliquota da applicare, [continua ..]


III. Libertà di circolazione e disposizioni fiscali degli Stati membri alla luce della giurisprudenza della Corte.

III. Come è noto, a partire dalla fine degli anni ’70 [17], la necessità di garantire l’eliminazione di ogni ostacolo alla libera circolazione delle merci ha condotto la Corte di giustizia a considerare contrarie al diritto comunitario non solo le misure discriminatorie, espressamente vietate dal Trattato, bensì anche tutte quelle misure che, benché applicabili indistintamente ai prodotti nazionali e ai prodotti importati, fossero atte ad ostacolare il commercio tra Stati membri. Tale giurisprudenza si è estesa negli anni alle altre libertà di circolazione, sicché il novero delle disposizioni nazionali sottoposte al vaglio della Corte e considerate suscettibili di ostacolare le libertà di circolazione ha subito un notevole ampliamento, giungendo a toccare ogni settore di intervento del legislatore nazionale. La materia fiscale non fa eccezione e in tale ambito è proprio la competenza in materia di imposte dirette – tradizionale baluardo della sovranità statale – ad aver subito la più forte erosione [18]. In effetti, mentre la giurisprudenza della Corte in materia di imposte indirette ha avuto un carattere essenzialmente ricognitivo delle norme esistenti, le sentenze relative alle imposte dirette hanno svolto un ruolo suppletivo del timido intervento del legislatore dell’Unione nella materia, aprendo una breccia nella competenza degli Stati membri a determinare i criteri di applicazione delle stesse [19]. Come a più riprese affermato dalla Corte [20], nonostante la materia delle imposte dirette rientri nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono infatti esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell’Unione europea. Se in un primo tempo sono state le misure che prevedevano un trattamento differente per i contribuenti nazionali e per i contribuenti cittadini di altri Stati membri ad essere oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza [21], a partire dagli anni ’90 la Corte ha affermato dunque a più riprese il divieto di discriminazioni dissimulate, consistenti in tutte quelle misure che, basandosi su criteri di distinzione diversi dalla cittadinanza, di fatto pervengano al medesimo risultato sfavorevole per i contribuenti cittadini di altri Stati membri [22]. Con maggiore lentezza e difficoltà rispetto agli altri settori, la giurisprudenza è [continua ..]


IV. Aiuti di Stato e fiscalità.

IV. Al fine di realizzare una piena integrazione economica tra gli Stati membri, i Trattati istitutivi impongono non solo di eliminare ogni ostacolo alle libertà di circolazione nel territorio dell’Unione, bensì anche il rispetto delle norme poste a tutela della concorrenza. Il potere fiscale degli Stati membri incontra dunque un limite anche nelle norme dell’Unione in materia di aiuti di Stato. Secondo l’articolo 197 TFUE, «Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma, che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsano o minacciano di falsare la concorrenza». Fin dagli anni ’60 [46] la Corte di giustizia ha chiarito che una misura fiscale può costituire un aiuto di Stato, per arrivare nel 1974 [47] a precisare che anche i provvedimenti in materia di imposte dirette possono rientrare nella nozione di aiuto. Come sottolineato dalla Commissione nella Comunicazione sull’applicazione delle norme relative agli aiuti di Stato alle misure di tassazione diretta alle imprese [48], per poter essere qualificata come aiuto, una misura fiscale deve instaurare a favore di alcune imprese dello Stato membro un’eccezione all’applicazione del sistema tributario. È necessario dunque che essa conferisca ai beneficiari un vantaggio che alleggerisca gli oneri normalmente gravanti sul loro bilancio, che sia concessa dallo Stato o mediante risorse statali, che incida sulla concorrenza e sugli scambi tra Stati membri e che sia selettiva, nel senso di favorire talune imprese o produzioni. Così, sono suscettibili di costituire aiuti vietati, come sottolinea la stessa Commissione, una riduzione della base imponibile, o una riduzione totale o parziale dell’ammontare dell’imposta, o un differimento o un annullamento o una rinegoziazione eccezionale del debito fiscale. Non sono invece annoverabili tra gli aiuti di Stato tutte quelle misure che siano giustificate dalla natura o dalla struttura del sistema tributario dello Stato, ossia che «discendano direttamente dai principi informatori o basilari» [49] di detto sistema, né sono vietati tutti i provvedimenti di carattere fiscale che possono beneficiare di una delle deroghe di cui [continua ..]


V. Competenza fiscale e crisi economica e finanziaria: il coordinamento delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri.

V. Le limitazioni alla competenza in materia fiscale degli Stati membri derivanti dall’azione delle istituzioni dell’Unione, pur ponendo seri problemi quanto al permanere di una effettiva sovranità fiscale degli Stati stessi, non si traducono in una corrispondente attribuzione di potere impositivo al livello sovranazionale. Pur nella diversità delle ipotesi citate nei paragrafi precedenti, si tratta infatti sempre dell’esercizio da parte delle istituzioni dell’Unione di una fiscalità negativa [61], e cioè di un’azione di controllo e contenimento di una competenza spettante alle autorità nazionali volta a garantire il corretto funzionamento del mercato unico. Da questo punto di vista, pur con le specificità che contraddistinguono la materia fiscale, l’interazione tra misure statali e diritto dell’Unione si inquadra nel normale paradigma delle limitazioni derivanti all’azione degli Stati membri dall’appartenenza a un mercato unico fondato sulle libertà di circolazione e su una concorrenza non falsata. Maggiori criticità presentano invece quelle misure, adottate soprattutto per far fronte alle conseguenze della crisi economica e finanziaria, volte a coordinare in modo sempre più stringente le politiche economiche e di bilancio degli Stati membri. In tali ipotesi ci troviamo infatti di fronte a un intervento positivo delle istituzioni dell’Unione, che tocca il nucleo essenziale della competenza fiscale degli Stati giungendo ad indicare le modalità di esercizio della loro potestà tributaria. La crisi economica e finanziaria degli ultimi anni ha reso evidenti le contraddizioni che caratterizzano l’Unione economica e monetaria così come configurata dal Trattato di Maastricht. La volontà degli Stati membri di non cedere la propria sovranità ha fatto sì in effetti che la competenza in materia monetaria fosse attribuita alle istituzioni dell’Unione, ma la politica economica e fiscale rimanesse nelle mani degli Stati membri. D’altro lato, l’insufficienza degli strumenti di coordinamento delle politiche economiche previsti dai Trattati e nel Patto di stabilità e crescita e lo svanire dell’illusione che la creazione di una moneta comune potesse portare a un superamento degli squilibri tra gli Stati, uniti all’impossibilità per [continua ..]


VI. Il cambio di prospettiva: l’attribuzione di sovranità fiscale al livello sovranazionale.

VI. Il tema della fiscalità e la necessità che il livello sovranazionale sia dotato degli strumenti atti a far fronte agli squilibri tra Stati membri e a fornire risposte efficaci a problemi che superano la dimensione nazionale compare in vari documenti emanati dalle istituzioni dell’Unione negli ultimi anni. Per non menzionarne che alcuni, si possono citare la Comunicazione della Commissione per un’Unione Economica e Monetaria autentica e approfondita [81], del 2012; le Risoluzioni del Parlamento europeo del 16 febbraio 2017 sulla capacità di bilancio della zona euro [82] e sulle evoluzioni e gli adeguamenti possibili dell’attuale struttura istituzionale dell’Unione europea [83] e il Rapporto finale del Gruppo di alto livello sulle risorse proprie del dicembre 2016 [84]. All’origine di tali proposte – dai contenuti differenti, ma che mettono sul tappeto la questione di una capacità fiscale sovranazionale – vi è la consapevolezza dell’insufficienza degli attuali meccanismi di funzionamento dell’unione economica e monetaria e del rischio che essa non sopravviva a future crisi. Ad eccezione della Comunicazione del 2012, che si pone in una prospettiva di lungo periodo di creazione di un’unione politica, gli altri documenti, tuttavia, non affrontano il problema delle risorse fiscali o ne fanno cenno solo per escludere la questione dal loro ambito di applicazione. Le soluzioni proposte, inoltre, si collocano tendenzialmente nella cornice dei trattati attuali, proponendosi di sfruttarne tutte le potenzialità, o indicano come soluzione l’estensione del metodo comunitario a tutti i settori di intervento dell’Unione. Così, la Risoluzione sulla capacità di bilancio dell’eurozona sottolinea che tale capacità «dovrebbe rientrare nel bilancio dell’Unione, al di sopra degli attuali massimali del quadro finanziario pluriennale, ... dovrebbe essere finanziata dagli Stati membri della zona euro e da altri paesi partecipanti mediante entrate da concordare tra gli Stati membri partecipanti», e dovrebbe rientrare in una governance della zona euro nella quale prevalga il metodo comunitario, ma non fa cenno alla possibilità di un’attribuzione alle istituzioni dell’eurozona del potere di finanziare tale capacità di bilancio tramite imposte. La [continua ..]


VII. Metodo dell’Unione e funzionalismo versus metodo federale.

VII. Se la possibilità di finanziarsi con risorse fiscali sembra rappresentare lo spartiacque tra un’organizzazione fondata su Stati membri sovrani e una vera e propria unione politica, vi è tuttavia da chiedersi se sia possibile ipotizzare che tale passaggio avvenga nell’Unione europea sui binari seguiti dal processo di integrazione fino ad oggi, o se sia necessario a tal fine un cambio di paradigma. Come accennato, le risoluzioni del Parlamento europeo sulla capacità di bilancio dell’eurozona e sull’evoluzione possibile della struttura istituzionale dell’Unione sembrano ritenere che tale passaggio sia possibile semplicemente estendendo a tutti i settori di competenza dell’Unione europea (nell’ottica del gradualismo finora seguita dal processo di integrazione) il metodo comunitario, superando il metodo intergovernativo tuttora applicato nei settori che caratterizzano il nucleo della sovranità degli Stati membri (politica estera e di sicurezza e politica economica e fiscale). In ogni settore di competenza dell’Unione le decisioni dovrebbero essere prese in altre parole attraverso la procedura legislativa ordinaria, che pone su un piede di parità Consiglio e Parlamento europeo, e a tutti i settori dovrebbe estendersi la competenza della Corte di giustizia. Sottraendo, dunque, agli Stati membri il diritto di veto in certe materie, si opererebbe una trasformazione naturale dell’Unione europea in una federazione. Una simile prospettiva impone una breve riflessione sui caratteri del metodo comunitario, sui limiti alle sue potenzialità e sulle caratteristiche che il processo di integrazione europea ha avuto fino ad oggi. La Comunità Economica Europea (e ancor prima la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) nasce come organizzazione di integrazione essenzialmente economica, volta alla creazione di un mercato basato sulla libera circolazione dei fattori produttivi e su una concorrenza sana. Per garantire tali obiettivi, che non implicavano un superamento della sovranità degli Stati membri, i Padri Fondatori diedero vita a una struttura fondata su strumenti più evoluti di quelli previsti dalle organizzazioni internazionali classiche, ma che lasciasse le materie politicamente più sensibili alla competenza degli Stati membri [92]. Dunque, ai tipici organi di Stati delle organizzazioni internazionali viene [continua ..]


NOTE