L’articolo ha ad oggetto l’analisi di alcune recenti pronunce adottate nel settore degli aiuti di Stato dal Tribunale dell’Unione europea, e focalizza in particolare l’attenzione sull’obbligo di rispetto delle decisioni della Commissione e sul rilievo che ha assunto il principio della res iudicata successivamente alla sentenza Lucchini. Nonostante la Corte di giustizia (ad es. nei casi Fallimento Olimpiclub e Commissione c. Slovacchia), ne abbia sempre sottolineato l’eccezionalità in ragione delle circostanze del tutto peculiari, il Tribunale sembra invece voler estendere la soluzione raggiunta in tale sentenza anche a casi in cui la Commissione abbia adottato una decisione di recupero di un aiuto illegale ed incompatibile (o addirittura la decisione di avvio della procedura di indagine) in un momento successivo rispetto al passaggio in giudicato della sentenza del giudice nazionale. Inoltre, la recente giurisprudenza appare in ogni caso non particolarmente lineare, sembrando piuttosto seguire un approccio caso per caso. Ad ogni modo, talune contraddizioni (reali o apparenti) potrebbero trovare spiegazione nel differente contesto procedimentale dal quale traggono origine (es. rinvio pregiudiziale, ricorso in annullamento o ricorso per infrazione). Resta in ogni caso fermo che il principio della res iudicata non potrebbe precludere l’esercizio della competenza esclusiva che gli artt. 107 e 108 TFUE riservano alla Commissione e il potere di quest’ultima di avviare un’indagine formale sulla base del Reg. 1589/2015, ai fini della valutazione dell’illegalità ed incompatibilità di un aiuto. Tuttavia, l’estrema conseguenza di tale ragionamento potrebbe essere quella di giungere ad applicare il “principio Lucchini” in ogni caso in cui una decisione – che confermi la legittimità di una sovvenzione o di un’agevolazione – adottata da un giudice nazionale, si riveli invece ex post contraria ad una successiva decisione della Commissione. L’auspicio è ovviamente quello che la Corte di giustizia possa fornire maggiori chiarimenti. Da ultimo, l’articolo esamina una recente sentenza adottata dalla Corte di Cassazione italiana su una questione in materia di aiuti di Stato, ove era in discussione la mancata (dis)applicazione del principio della res iudicata, alla luce dell’autonomia procedurale degli Stati membri.
The article deals with EU recent case-law in the field of State and focuses the attention on the duty for national Courts to respect the decisions adopted by the European Commission and on the significance of the res iudicata principle post Lucchini case. Notwithstanding the Court of justice has been always remarking (as in Fallimento Olimpiclub and Commission v. Slovack Republic cases) the exceptionality of Lucchini judgment, due to the peculiar circumstances of the case, the Tribunal of European Union seems to extend the solution reached in Lucchini to cases where the Commission adopts a decision ordering the recovery of an illegal and incompatible aid (or even a decision opening the formal investigation) only after the end of the judgment pending before a national court of last instance (or in all cases where decisions have become definitive). Furthermore, recent case-law looks not so homogeneous, as it seems to be characterized by a case-by-case approach. However the – real or apparent – contradictions arising from the recent jurisprudence could be perhaps and in part explained by considering the specific context or the different judicial proceeding (preliminary rulings, action of annulment and infringements) where the different arguments have been expressed. In any case, it is to be noted that the res iudicata principle cannot prevent the (posterior) exercise of the exclusive competence conferred by Articles 107 and 108 TFEU to the Commission and the power of the latter to carry out the formal investigation, provided for under Reg. No. 1589/2015, for the assessment of the illegality and incompatibility of an aid, even if this one has been granted in accordance with a (definitive) decision previously taken by national courts. Nevertheless, the extreme consequence of this reasoning could be the extensive application of the Lucchini principle to all cases where a decision adopted by a national court – giving legitimacy to the granting of an aid – could be challenged by a subsequent negative decision taken by the Commission. The need for further clarification by the ECJ will be of course welcomed. Finally the article analyses a recent judgment of the Italian Supreme Court (Corte di Cassazione) in the field of State aid, questioning the application of the res iudicata principle and its relationship with the procedural autonomy of Member States.
Articoli Correlati: aiuti di Stato - commissione - giudici nazionali - autorità del giudicato
I. Introduzione. - II. Aiuti di Stato e sistema di tutela giurisdizionale dell’Unione europea. Il punto della Corte costituzionale. - III. La res iudicatae il recente orientamento del Tribunale di Lussemburgo. - IV. Segue. Il differente contesto procedimentale nell’ambito del quale sono state espresse le diverse posizioni. - V. Segue. Un tentativo di ricondurre a coerenza le differenti posizioni e la permanenza di zone d’ombra. - VI. Recenti sviluppi nell’ordinamento italiano. La sentenza n. 16983/2018 della Corte di Cassazione e la questione della disapplicazione del giudicato. - VII. Brevissime conclusioni. - NOTE
Il tema dei rapporti tra il ruolo del giudice nazionale e quello della Commissione europea è, nella materia degli aiuti di Stato, particolarmente complesso e di continua attualità per le questioni di volta in volta sollevate. Un’attenzione particolare è sempre stata dedicata al vincolo che le decisioni della Commissione producono in capo al giudice nazionale e che può giungere, in casi estremi, a mettere in discussione il principio della res iudicata. Secondo una giurisprudenza consolidata, «l’attuazione del sistema di controllo degli aiuti di Stato […] incombe, da un lato, alla Commissione e, dall’altro, ai giudici nazionali» con «ruoli distinti ma complementari» [1]. La Commissione ha la competenza in via esclusiva a valutare la compatibilità degli aiuti di Stato con il mercato, mentre i giudici nazionali «provvedono alla salvaguardia dei diritti dei singoli in caso di inadempimento dell’obbligo di previa notifica degli aiuti di Stato alla Commissione» [2]. Ne deriva che le competenze del giudice e della Commissione sono svolte (o dovrebbero svolgersi) in sostanziale autonomia l’una dall’altra [3]. In pendenza di un procedimento dinanzi alla Commissione il giudice non è, infatti, neppure tenuto alla sospensione del giudizio nazionale [4]. E ciò proprio in quanto il diverso oggetto (valutazione della compatibilità di un aiuto ai sensi dell’art. 107 TFUE o violazione dell’art. 108, par. 3, TFUE), oltre che evidentemente la diversa natura (l’una amministrativa e l’altra giurisdizionale) del procedimento avviato dalla Commissione rispetto a quello che si svolge dinanzi al giudice, giustifica – ed anzi impone – che il giudice prosegua autonomamente il suo giudizio al fine di assicurare una tutela immediata al ricorrente, eventualmente disponendo misure cautelari [5]. Eppure, se da un lato il giudice è nella posizione migliore per trarre tutte le conseguenze connesse all’illegittimità della misura di aiuto, e dunque per offrire una tutela giurisdizionale alle parti private, il suo ruolo è, per altri versi, confinato entro margini abbastanza precisi e, se vogliamo sempre più delimitati. Indicazioni in tal senso le troviamo nella giurisprudenza della Corte di giustizia nonché nella Comunicazione [continua ..]
Sugli ultimi due profili si è pronunciata la Corte costituzionale italiana nella sua recente sentenza del 5 luglio 2018 (n. 142/2018). La Consulta era stata chiamata addirittura a pronunciarsi sulla legittimità, in riferimento gli artt. 24, 101 e 104 Cost., dell’art. 2 della l. 2 agosto 2008, n. 130, Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona, nella parte in cui: i) «ai sensi dell’art. 288 TFUE, si prevede che la decisione della Commissione rivolta agli Stati membri, ormai divenuta inoppugnabile […] sia obbligatoria e vincolante in tutti i suoi elementi, anche per i giudici nazionali» e ii) «ai sensi dell’art. 267 TFUE […] si prevede che il giudice debba tenere conto delle posizioni espresse dalle istituzioni europee non giurisdizionali». Nella specie il giudice a quo metteva in discussione la soggezione del giudice ad un’autorità amministrativa (la Commissione europea) in quanto tenuto, il primo, al rispetto delle decisioni adottate da quest’ultima. L’incidente di costituzionalità, sollevato dal Tribunale di Enna [11], traeva origine da un’opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal Presidente dello stesso Tribunale nei confronti dell’Azienda sanitaria provinciale di Enna per il pagamento di un’indennità a favore di un allevatore di bestiame, ai sensi dell’art. 1 della l. reg. Sicilia 5 giugno 1989, n. 12 [12]. Su tale misura la Commissione europea si era espressa (con Decisione C(2002)4786) per la sua compatibilità con il mercato per gli anni 1993-1997, qualificandola tuttavia come aiuto illegale. Poiché la decisione era divenuta definitiva (in quanto non impugnata dalle parti), le indennità eventualmente erogate negli anni successivi, sulla base della stessa legge, avrebbero avuto, qualora anch’esse non notificate, la qualifica di aiuti illegali. Il Tribunale siciliano, nel constatare di essere vincolato dalla decisione della Commissione e dolendosi di non poter conseguentemente effettuare una sua autonoma (ed eventualmente distinta) valutazione in merito alla qualificazione della misura come aiuto di Stato, metteva pertanto in discussione la legittimità costituzionale di tale vincolo. Molto linearmente la Consulta ha, tuttavia, precisato che «il sistema in discorso – che, per quanto detto, non reca alcun vulnus ai principi [continua ..]
A livello di Unione europea, il Tribunale di Lussemburgo, in due sentenze gemelle adottate l’11 luglio 2018 (Buonotourist c. Commissione e CSTP Azienda della Mobilità c. Commissione, riguardanti entrambe delle vicende italiane [14]), ha sostanzialmente ritenuto che il giudicato formatosi sulla decisione adottata dal Consiglio di Stato non potesse impedire alla Commissione europea di adottare ex post una decisione di recupero dell’aiuto illegale [15]. Nella fattispecie il Consiglio di Stato aveva riconosciuto la legittimità della pretesa avanzata da talune imprese campane e volta ad ottenere misure di compensazione per obblighi di pubblico servizio accordate da disposizioni legislative [16]. La misura era stata notificata dallo Stato italiano (dicembre 2012) all’indomani della decisione resa in giudizio di ottemperanza dal Consiglio di Stato (27 novembre 2012). La Commissione, dopo aver qualificato tale misura come aiuto illegale (in quanto erogata prima della sua approvazione) aveva pertanto avviato nel 2014 la procedura di indagine formale per poi adottare nel 2015 la sua decisione finale (con ordine di recupero) [17]. Una vicenda sostanzialmente analoga – questa volta riguardante imprese di trasporto locale nella Regione Piemonte – era stata decisa sempre dal Tribunale, in data 29 novembre 2018 [18]. Anche in questo caso il diritto alle erogazioni era stato riconosciuto sulla base di una sentenza adottata dal Consiglio di Stato [19] che aveva annullato diverse sentenze emesse dai Tribunali amministrativi regionali e solo successivamente lo Stato italiano aveva provveduto a notificare la misura. Ed anche in tale occasione la Commissione [20] aveva poi ritenuto che l’aiuto fosse illegale ed incompatibile [21]. I casi suddetti evidentemente differivano dalla vicenda da cui aveva tratto origine la sentenza Lucchini, posto che nella fattispecie il Consiglio di Stato non si era trovato di fronte a (o comunque non aveva disatteso) alcuna decisione di recupero previamente adottata dalla Commissione. Al contrario, la decisione di recupero dell’aiuto era intervenuta parecchio tempo dopo la formazione del giudicato in sede nazionale e addirittura la stessa procedura di indagine era stata avviata in epoca posteriore rispetto alla definizione del giudizio in sede nazionale. La posizione espressa dal Tribunale pare, [continua ..]
Segue. Prima di tentare di conciliare le diverse pronunce e trarre una sintesi dell’orientamento che sembrerebbe emergere dalla lettura della giurisprudenza più recente, occorre tuttavia preliminarmente dar conto della diversità dei procedimenti giurisdizionali dai quali traggono origine le conclusioni raggiunte dal Tribunale o dalla Corte di giustizia, nonché del distinto contesto – anche in riferimento alla medesima tipologia di ricorso – in cui viene invocato il principio dell’autorità della res iudicata. Ad esempio, nel caso Centro Clinico e Diagnostico G.B. Morgagni Srl, deciso nel gennaio 2018 e riguardante un giudizio di annullamento, è pur vero che il Tribunale riconosce il valore del giudicato, ma non è irrilevante il fatto che il ragionamento nel quale si inserisce tale argomentazione sia finalizzato alla valutazione della ricevibilità del ricorso e, nello specifico, della legittimazione ad agire del ricorrente. Secondo il Tribunale, infatti, il ricorrente risulta individualmente interessato dalla decisione della Commissione (e quindi legittimato ad agire) poiché egli non è qualificabile come un beneficiario “potenziale” [26]. Costui, infatti, «fa parte di una cerchia ristretta di imprese, perfettamente identificabili al momento dell’adozione della decisione impugnata, vale a dire le imprese che avevano già presentato un’istanza al fine di beneficiare della misura di cui trattasi». Dall’altro lato, prosegue il Tribunale, «benché l’autorità fiscale italiana abbia tacitamente respinto dette istanze, la ricorrente aveva ottenuto, prima dell’adozione della decisione impugnata, da parte della Commissione tributaria provinciale e, in appello, dalla Commissione tributaria regionale di Palermo, l’annullamento della decisione di rigetto tacito e il riconoscimento del suo diritto di beneficiare della misura di cui trattasi». Inoltre – e questa è la conclusione – in mancanza di impugnazione da parte dell’autorità fiscale italiana avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Palermo, quest’ultima è passata in giudicato, conferendo alla ricorrente un diritto quesito di beneficiare della misura di cui trattasi» [27]. Come può nella fattispecie evincersi, la [continua ..]
Segue. Tutto ciò premesso, quali indicazioni possono trarsi della giurisprudenza rilevante in tema di giudicato e aiuti di Stato, con particolare riferimento alle sentenze più recenti e per quanto riguarda gli effetti sul giudizio nazionale? Fermo restando quanto espresso nel caso Lucchini (disapplicazione del principio della res iudicata se la sentenza è contraria ad una precedente decisione negativa della Commissione, divenuta definitiva), qualora la decisione di recupero sia successiva al passaggio in giudicato della sentenza del giudice nazionale, le conseguenze potrebbero (o forse dovrebbero?) invece essere teoricamente le seguenti: i) la decisione successiva della Commissione prevale sul passaggio in giudicato della sentenza se l’avvio della procedura sull’aiuto illegale sia avvenuto comunque prima della definizione del giudizio nazionale [38]; viceversa, ii) l’autorità del giudicato sarebbe fatta salva se: a) il giudicato si sia formato sulla legittimità della concessione della misura e non sul rigetto della domanda di recupero; b) tutta la procedura, compresa anche la decisione di avvio della procedura di indagine formale, si collochi in un periodo successivo alla sentenza del giudice nazionale [39]. Pur tentando di conciliare le diverse posizioni assunte dalla Corte di giustizia e dal Tribunale e tenendo in ogni caso conto del differente contesto procedimentale nell’ambito del quale sono state formulate le varie affermazioni, restano tuttavia evidenti elementi di incertezza e che attengono in particolare all’esecuzione della decisione della Commissione (e dunque al recupero dell’aiuto). Da un lato, infatti – ferma restando la competenza esclusiva della Commissione e la sua legittimazione ad avviare la procedura di controllo anche laddove si sia previamente formato un giudicato nazionale [40] – quest’ultimo dovrebbe teoricamente non subire conseguenze sul piano interno (in termini di disapplicazione dell’art. 2909 c.c.) nei casi come quelli recentemente decisi dal Tribunale, a luglio e a novembre 2018. Analogamente al caso Commissione c. Slovacchia, i giudici nazionali (il Consiglio di Stato e i Tribunali amministrativi regionali) avevano adottato la loro decisione finale prima che la Commissione avviasse la procedura di indagine. Ed effettivamente il difetto di rilievo [continua ..]
Delineate brevemente le problematiche che emergono dal quadro giurisprudenziale a livello europeo, ci si chiede, da ultimo, come dovrebbe valutarsi la recente sentenza n. 16983/2018 adottata dalla Corte di Cassazione italiana [49]. La Suprema Corte era stata chiamata a pronunciarsi proprio in relazione ad una vicenda analoga a quella che aveva portato il Tribunale di Enna a sollevare l’incidente di costituzionalità definito con la sentenza n. 142/2018 e di cui si è dato conto in precedenza. Era infatti anch’esso un caso riguardante il diritto alle indennità per l’abbattimento di animali sulla base dell’art. 25, comma 16, della l. reg. Sicilia 22 dicembre 2005, n. 19 [50]. Nella fattispecie, la Cassazione aveva, in sede di opposizione all’esecuzione del decreto ingiuntivo, rigettato l’eccezione sollevata dall’Assessorato della Salute della Regione Sicilia, diretta a far valere la natura di aiuto di Stato della misura regionale (sul presupposto, non evidenziato nella motivazione, che tale qualificazione era già contenuta nella medesima decisione della Commissione del 2002). Si sarebbe trattato dunque di un aiuto illegale perché non notificato alla Commissione ai sensi dell’art. 108, par. 3, TFUE. A differenza del caso pendente dinanzi al Tribunale di Enna, tale eccezione non era stata tuttavia sollevata nel giudizio, a cognizione piena, di esecuzione del decreto ingiuntivo, ma solo in quello, appunto, di opposizione all’esecuzione del decreto. La Suprema Corte aveva pertanto richiamato l’orientamento di diritto vivente che vieta di dare accesso in tale sede a fatti estintivi del credito che non si siano verificati successivamente alla formazione del titolo e non anche quelli intervenuti anteriormente, i quali sono deducibili esclusivamente nel giudizio preordinato alla formulazione del titolo stesso. La Cassazione, richiamandosi anche alla giurisprudenza della Corte di giustizia, e all’eccezionalità del caso Lucchini – e le cui circostanze apparivano comunque differenti da quelle della vicenda in oggetto – rigettava conseguentemente la domanda di “disapplicazione” del giudicato oramai formatosi. Quel che la Cassazione si era premurata particolarmente di precisare era che l’opponente avesse in realtà formulato una “critica del tutto fuori bersaglio”. Nella fattispecie, [continua ..]
Come dimostra il recente quadro giurisprudenziale qui brevemente illustrato e commentato, non sembra che la questione della disapplicazione del principio dell’intangibilità del giudicato (o al contrario del suo mantenimento) sia, nella materia degli aiuti di Stato, definitivamente delineata, sebbene siano passati parecchi anni dal celebre caso Lucchinie nonostante la Corte ne continui a ribadire l’eccezionalità. Quello che pare emergere è piuttosto un approccio di tipo casistico, legato al particolare procedimento in corso o agli specifici elementi fattuali del caso, con conseguente difficoltà per l’interprete di riuscire a estrapolare una regola certa. Sta di fatto che, anche nella materia degli aiuti di Stato, le violazioni delle regole poste dal Trattato e dal diritto derivato (e della relativa giurisprudenza della Corte di giustizia) possono presentare diversa gravità. Un conto è, ad esempio, un’errata qualificazione della misura come aiuto di Stato (ed eventualmente come aiuto nuovo o esistente) nell’ambito della competenza che l’art. 108, par. 3 TFUE comunque riserva al giudice nazionale. Altro conto è, invece, una valutazione di compatibilità direttamente effettuata dal giudice, o ancora, l’adozione di una sentenza in palese contrasto con una decisione della Commissione che dichiari un aiuto illegale e incompatibili e ne ordini il recupero, magari intervenuta anche parecchi anni prima. È evidente che le violazioni del diritto dell’Unione europea (incluse quella nella materia degli aiuti di Stato) sarebbero tutte agevolmente evitabili se il giudice di ultima istanza fosse così ligio da rispettare sempre e comunque l’obbligo di rinvio pregiudiziale e da sollevare una questione anche quando non avesse dubbio alcuno sull’interpretazione della regola di fonte europea [66]. È tuttavia agevole osservare che la “disapplicazione” del principio del giudicato dovrebbe essere considerata l’estrema ratio, da riservare ai casi in cui una molteplicità di elementi (quali ad esempio quelli presenti nel caso Lucchini e che di fatto hanno evidenziato una sorta di vera e propria “carenza di giurisdizione” del giudice nazionale rispetto alla competenza esclusiva della Commissione) conducano il giudice nazionale ad un risultato “abnorme” [67]. Per il [continua ..]