Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

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Controlimiti, identità nazionale e i rapporti di forza tra primato ed effetto diretto nella saga Taricco (di Daniele Gallo, Ricercatore di Diritto dell’Unione europea, UniversitàLUISS “Guido Carli” di Roma)


L’articolo si sofferma su due aspetti della vicenda Taricco: contenuto, portata ed estensione dell’efficacia (diretta?) dell’art. 325 TFUE, come interpretata dalla Corte di giustizia nella sua sentenza del 2015; contenuto, portata ed estensione dei controlimiti evocati dalla Corte costituzionale nella sua ordinanza del 2017, in relazione altresì alla clausola sull’identità nazionale di cui all’art. 4, par. 2 TUE. Quanto al primo aspetto, muovendo dalla consapevolezza che l’inesistenza di una posizione giuridica di vantaggio derivante dall’art. 325 TFUE rende il caso Taricco unico nel suo genere, è stato argomentato che la pronuncia della Corte di giustizia si pone in linea con la giurisprudenza pregressa sul significato di efficacia diretta e sui rapporti (di forza) che la legano al principio del primato e, in quest’ottica, desta perplessità. Quanto al secondo aspetto, dopo aver rilevato le criticità più significative della ricostruzione giuridica effettuata dalla Consulta in merito alla qualificazione, come sostanziale anziché processuale, della prescrizione in materia di frodi IVA, si è tentato di individuare una via possibile perché la Corte di giustizia scongiuri il verificarsi di un conflitto tra ordinamenti, sotto il duplice profilo della determinatezza e dell’irretroattività della legge penale.

Counter-limits, national identity and the tense relationship between primacy and direct effect in the Taricco saga

This article investigates two crucial aspects of the Taricco affair: content, scope and extent of the (direct?) effects of Art. 325 TFEU, as it has been interpreted by the ECJ in its 2015 judgment; content, scope and extent of the “counter-limits” doctrine invoked by the Italian Constitutional Court (ICC) in its order no. 24/2017, in respect to the «national identity» clause foreseen in Art. 4.2 TEU. For what concerns the first aspect, my main argument is that the ECJ’s ruling on the peculiar Taricco judgment followed its (not always clear) case law on the meaning of direct effect and its (tense) relationship with the primacy principle and, in this sense, produced legal uncertainty. As to the second aspect, after having pointed out the principal criticalities raised by the (very peculiar) legal reconstruction made by the ICC vis-à-vis the limitation periods for the prosecution of VAT frauds (seen as a matter of substantive, rather than procedural, criminal law), I try to identify a possible way out for the ECJ to prevent the direct collision between the two legal orders. First, better explaining the expressions «serious fraud» and «considerable number of cases». Second, limiting the temporal effects of the ECJ’s 2015 judgment.

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SOMMARIO:

I. Inquadramento, perimetrazione e finalità dell’indagine. - II. Breve ricostruzione della vicenda Taricco. - III. Alle origini della contrapposizione tra le due corti, ovvero l’efficacia (diretta?) dell’art. 325 TFUE. - IV. Controlimiti, identità nazionale e primato del diritto UE: scontro inevitabile o dialogo possibile? - V. Corte di giustizia, (dis)integrazione europea e centralità dell’individuo-soggetto di diritto. - NOTE


I. Inquadramento, perimetrazione e finalità dell’indagine.

Con questo contributo s’intende ragionare su due profili problematici della nota saga Taricco. Il primo, caro agli studiosi di diritto dell’Unione europea, riguarda i rapporti tra efficacia diretta e primato per come si declinano, in relazione all’art. 325, par. 1 e 2, TFUE [1], nella sentenza della Corte di giustizia dell’8 settembre 2015 [2]. In quest’ottica, l’ordinanza n. 24/2017 della Corte costituzionale [3], con la quale viene effettuato rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, è l’occasione per tornare a ragionare su detti rapporti, in particolare sul significato di efficacia diretta, quale pilastro e soprattutto motore dell’integrazione europea [4]. Il secondo profilo ha per oggetto il contenuto e la portata dei controlimiti, alla luce dell’ordinanza n. 24/2017 della Corte costituzionale, con riferimento ai possibili sviluppi dinanzi alla Corte di giustizia e, poi, nuovamente, alla Consulta [5]. I due profili sono strettamente connessi ma, concettualmente, distinti. Sono connessi perché è il riconoscimento dell’immediatezza dell’art. 325 TFUE ad aver attivato l’obbligo di disapplicazione che, a sua volta, ha indotto la Corte costituzionale a evocare (ma non ancora invocare in concreto) il controlimite. Sono, tuttavia, distinti perché il ragionamento sull’efficacia diretta dell’art. 325 TFUE non è necessariamente collegato al tema dei controlimiti: le questioni sollevate da una tale problematica valgono, infatti, su un piano generale, quello della sistematica relativa alla natura giuridica più profonda dell’effetto diretto, dunque dell’ordinamento UE – che ne è il prodotto, non viceversa [6]. Si tratta, dunque, di questioni che rilevano anche a prescindere dall’operatività dei controlimiti e consentono di riflettere sullo status che il principio, costituzionale, dell’effetto diretto possiede nell’ordi­namento UE e sulla relazione che lo lega al principio del primato [7]. Nel par. II saranno brevemente ricordati i passaggi principali del (supposto) dialogo posto in essere, nella vicenda Taricco, tra giurisdizioni nazionali, inclusa la Corte costituzionale, e la Corte di giustizia. Nel par. III si ragionerà sui principi dell’efficacia diretta e del primato. Nel par. IV ci [continua ..]


II. Breve ricostruzione della vicenda Taricco.

Con la sentenza del 2015 la Grande Sezione della Corte di giustizia, adita dal Tribunale di Cuneo [8], ha imposto ai giudici italiani la disapplicazione degli artt. 160, ultimo comma [9], e 161, comma 2 [10], del codice penale italiano, laddove tali norme prevedevano, all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, che l’atto interruttivo del termine di prescrizione, verificatosi nell’ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di IVA, comportasse il prolungamento di tale termine di solo un quarto della sua durata iniziale. In particolare, i giudici UE hanno rilevato che la normativa nazionale fosse «idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE» [11] in quanto incapace «di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, circostanze che spetta al giu­dice nazionale verificare» [12]. La disapplicazione imposta dall’art. 325 TFUE – ha precisato la Corte di giustizia – non potrebbe realizzarsi qualora il risultato fosse una violazione dei diritti fondamentali dell’individuo, violazione che, secondo i giudici UE, non si era realizzata nel caso di specie [13]. Peraltro, la Corte di giustizia ha notato che la disciplina oggetto d’esame divergesse da quella in vigore per la repressione di reati simili, ma lesivi dei soli interessi finanziari dello Stato, che erano e sono tuttora sottratti al regime privilegiato di prescrizione di cui agli artt. 160 e 161 del codice penale [14]. Infine, i giudici UE hanno osservato che il sistema italiano della prescrizione applicabile ai reati commessi in materia di IVA non potesse essere valutato alla luce degli artt. 101, 107 e 119 TFUE, che erano stati, invece, richiamati – a differenza dell’art. 325 TFUE – dal giudice remittente nella sua ordinanza di rinvio [15]. A seguito della sentenza Taricco, sia la Corte di appello di Milano [16], dopo pochi giorni, sia la Corte di Cassazione, terza sezione [continua ..]


III. Alle origini della contrapposizione tra le due corti, ovvero l’efficacia (diretta?) dell’art. 325 TFUE.

Come scritto sopra, il primo aspetto problematico della vicenda Taricco sul quale verte la presente indagine è la natura giuridica dell’art. 325 TFUE. Al riguardo, la lettura che può essere data della pronuncia della Corte di giustizia è duplice. Qualora si ritenga che la Corte abbia implicitamente riconosciuto effetto diretto alla norma, la sentenza del 2015 andrebbe iscritta nella precedente giurisprudenza UE, successiva alla storica sentenza Van Gend en Loos [31], in merito a estensione e limiti di detto istituto giuridico. La pronuncia costituirebbe, pertanto, una conferma del ragionamento fin qui formulato, in verità in maniera non sempre chiara e precisa, dalla Corte di giustizia. Al contrario, laddove si ritenga che i giudici UE abbiano voluto, deliberatamente, prescindere dal ragionamento sull’effetto diretto dell’art. 325 TFUE così da porre al centro solamente l’obbligo di disapplicazione scaturente dalla norma, il principio del primato assumerebbe un ruolo non solo prioritario ma esclusivo. In ogni caso, entrambe le letture devono necessariamente tenere conto delle peculiarità del caso Taricco, per quel che concerne gli elementi costitutivi, i contorni e i confini dei due concetti di efficacia diretta e primato. Ma andiamo per ordine. La Corte di giustizia, nella sentenza del 2015, si limita ad affermare che l’art. 325 TFUE impone la disapplicazione del diritto nazionale, in particolare della legge c.d. ex Cirielli [32], in quanto tale normativa è idonea a pregiudicare gli obblighi scaturenti dalla norma UE. Un’osservazione che, per la sua stringatezza, rischia di apparire apodittica. Ciò risulta problematico, peraltro, perché è proprio la (supposta) efficacia diretta dell’art. 325 TFUE a rappresentare il vizio da cui è originato il conflitto tra Corte di giustizia e Corte costituzionale, nella misura in cui è precisato che «il giudice nazionale è tenuto a dare piena efficacia all’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, al­l’occorrenza, le disposizioni nazionali contrastanti» [33]. Un minimalismo argomentativo che i giudici UE ripropongono, purtroppo, oramai, in una varietà di ambiti, e che difficilmente si pone in linea con le finalità ultime che dovrebbero perseguire le sentenze pregiudiziali interpretative. Attraverso il rinvio [continua ..]


IV. Controlimiti, identità nazionale e primato del diritto UE: scontro inevitabile o dialogo possibile?

Nella vastissima letteratura che si è occupata della vicenda Taricco, e nella varietà delle posizioni espresse sul tenore delle risposte che Corte costituzionale e Corte di giustizia dovrebbero darsi a vicenda, esistono due orientamenti opposti circa il ruolo da attribuire ai controlimiti. Vi è chi ritiene fuori luogo l’invocazione del controlimite e/o della clausola sull’identità nazionale ex art. 4, par. 2 TUE [57], da parte della Corte costituzionale, perché, a monte, vi sarebbe, da un lato, una normativa controversa qual è la legge ex Cirielli [58], e, dall’altro, l’inadempimento dello Stato italiano, incapace di reprimere frodi lesive degli interessi finanziari nazionali ed europei [59]. All’e­stremo opposto, è stato sostenuto che la sentenza Taricco del 2015 imporrebbe alla Corte costituzionale l’attivazione del controlimite, muovendosi «interamente in quella prospettiva economico-finanziaria che i popoli europei, in maggioranza, trovano sempre più indigesta» [60]. Al riguardo, pur comprendendo che dietro l’effetto collaterale di non punire degli evasori si situa il principio di legalità in materia penale, ossia l’irretroattività in malam partem, desta perplessità l’idea che il controlimite sia di per sé una categoria statica. Al contrario, è lecito domandarsi se una tale nozione non sia naturalmente portata ad assumere contorni diversi a seconda del contesto nel quale è invocata e della fattispecie coinvolta, per evitare una pericolosa eterogenesi dei fini. Il controlimite, insomma, ha un lato oscuro, come dimostra il caso di specie dove esso interviene – sottolinea la Corte costituzionale nella sua ordinanza Taricco – al servizio di un principio supremo del nostro ordinamento, qual è quello di legalità (di cui la prescrizione sostanziale dentro la riserva di legge costituisce, secondo l’Alta Corte, un corollario), che si declina, collateralmente, nella vicenda Taricco, nel “graziare” colui che vìola la legge e, in ultima istanza, nel pregiudicare il perseguimento di interessi collettivi, rappresentati dalla salvaguardia delle risorse finanziarie nazionali ed europee. Il controlimite, peraltro, non può che riguardare solo un nucleo ristretto di [continua ..]


V. Corte di giustizia, (dis)integrazione europea e centralità dell’individuo-soggetto di diritto.

La Corte costituzionale avrebbe, forse, potuto fare perno su una serie di profili del ragionamento svolto dalla Corte di giustizia [92], solo in parte indagati dai giudici UE, ed effettuare un rinvio pregiudiziale, meno modulato sul controlimite, centrato, invece, soprattutto su quella che dovrebbe essere la funzione del rinvio: non chiedere l’autorizzazione alla Corte di giustizia ad applicare un controlimite, come pare abbia fatto la Corte costituzionale; al contrario, chiedere che il diritto UE venga interpretato dalla Corte di Lussemburgo, giurisprudenza compresa. Stupisce, ad esempio, che la Corte costituzionale non abbia richiesto delucidazioni alla Corte di giustizia in merito alla natura giuridica dell’art. 325 TFUE. Probabilmente, una tale scelta è dipesa dalla netta presa di posizione della Corte di Lussemburgo, con riguardo all’obbligo di disapplicazione, nella sua pronuncia del 2015. Nettezza, tuttavia, non significa necessariamente limpidezza nel percorso argomentativo formulato dalla Corte di giustizia [93]. A questo proposito, c’è da chiedersi se, a monte, il problema non sia che Corte di Cassazione e Corte di Appello di Milano, invece di rivolgersi alla Corte costituzionale nell’ottica Granital [94] e quindi invece di ragionare in termini di controlimiti, avrebbero potuto (dovuto, quanto alla Corte di Cassazione) rivolgersi loro stessi – in doppia pregiudizialità – ai giudici UE così da scongiurare il più possibile il prodursi dello scenario attuale [95]. Forse nulla di particolarmente rilevante sarebbe cambiato. Forse, al contrario, la Corte di giustizia avrebbe potuto interpretare meglio se stessa ed eventualmente, senza essere “messa alle strette” come lo è allo stato attuale (a seguito di un così poco dialogante rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale), effettuare un piccolo (o grande?) passo indietro rispetto alla sua sentenza del 2015. In ogni caso, arrivati a questo punto, come già scritto, la via d’uscita esiste e consiste in un atteggiamento, da parte delle due corti, di mutua cooperazione, ossia di parziale arretramento rispetto alle rispettive posizioni iniziali [96]. Infine, alcuni brevi osservazioni conclusive sull’effetto diretto e sul primato del diritto UE. Proprio perché siamo in una fase critica del processo d’integrazione europea, la [continua ..]


NOTE