Il contributo esamina la portata del principio della mutua fiducia nell’ambito della procedura di esecuzione del mandato di arresto europeo. Nella prima parte vengono considerati gli aspetti che si sono dimostrati più critici nell’attuazione e nell’applicazione della decisione quadro, con particolare riferimento al ruolo dei diritti fondamentali della persona ricercata nella procedura di consegna. Nella seconda parte è analizzata la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea sulla nozione di mutua fiducia e sulla sua portata nell’ambito dell’esecuzione del mandato di arresto europeo. Infine, prendendo le mosse dalla recente giurisprudenza della Corte di giustizia sui possibili limiti all’obbligo di consegna della persona ricercata, l’analisi verifica la tenuta della mutua fiducia nell’attuale momento di crisi dei valori.
The article examines the range of the principle of mutual trust within the enforcement of the European Arrest Warrant. The first part includes an examination of its most critical profiles in the transposition and in the application of the framework decision, with due regard to the role of fundamental rights of the person to surrender. The second part analyses the Court of Justice case law on the notion of mutual trust and its impact in the surrender procedure. Finally, taking advantage of recent CJEU’s case law on the possible limitations to the duty to surrender, the analysis verifies the hold of the mutual trust during the current crisis of the values.
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I. Gli elementi innovativi e le prime difficoltà di applicazione della decisione quadro sul mandato di arresto europeo. - II. La tutela dei diritti dell’uomo nella procedura di consegna. - III. I principi della mutua fiducia e del mutuo riconoscimento nel quadro del mandato di arresto europeo. - IV. I casi eccezionali che derogano al principio della mutua fiducia. - V. Crisi dell’integrazione - crisi della mutua fiducia: i recenti casi sul rifiuto di consegna - VI. Gli sviluppi successivi alla recente giurisprudenza della Corte e il valore attuale del principio della mutua fiducia. - VII. Il rifiuto di consegna basato sulla violazione in concreto dei diritti umani. - NOTE
La decisione quadro sul mandato d’arresto europeo [1] è caratterizzata da diverse peculiarità che rendono ancora ad oggi la procedura di consegna un unicum nel panorama internazionale. Sono soprattutto tre le caratteristiche che distinguono questo strumento dalla tradizionale estradizione internazionale. La procedura di consegna ha carattere interamente giurisdizionale e ha luogo tramite la trasmissione di una decisione assunta dall’organo giurisdizionale dello Stato richiedente alla giurisdizione dello Stato in cui si trova la persona ricercata. Questo procedimento non consente alcun intervento governativo e quindi alcuna valutazione di opportunità politica e offre le garanzie di indipendenza, imparzialità e competenza proprie dell’organo giurisdizionale. Al più, solo la trasmissione e la ricezione dei mandati d’arresto europei e della relativa corrispondenza ufficiale possono essere affidate a una o più autorità centrali, a carattere amministrativo (art. 7, par. 2). Proprio il necessario carattere giurisdizionale dell’organo competente consente di introdurre le altre due fondamentali novità nella procedura di consegna, che limitano il margine di discrezionalità del giudice richiesto sotto un duplice profilo. Infatti, l’art. 2, par. 2 predispone una lista di 32 reati per i quali è abolito il requisito della doppia incriminazione: è sufficiente che il fatto sia qualificato come uno di questi reati nello Stato membro richiedente, non rilevando invece la qualificazione penale e la conseguente sanzione nello Stato di destinazione. Inoltre, sono stabiliti motivi uniformi di rifiuto della consegna, alcuni obbligatori, altri facoltativi (artt. 3, 4 e 4 bis), impedendo quindi che considerazioni ed esigenze diverse da quelle codificate possano ricorrere nella decisione di rifiuto della consegna. Questo sistema riduce il margine di apprezzamento discrezionale nelle procedure di consegna al fine dell’esecuzione delle sentenze penali, o dell’azione penale, conseguendone una significativa semplificazione. Questo obiettivo ha tuttavia destato diverse difficoltà in fase di applicazione con riferimento a queste caratteristiche di peculiarità della procedura di consegna. Quanto all’abolizione della doppia incriminazione, nel 2005 l’Arbitratiehof belga ha [continua ..]
Fin dall’approvazione della decisione quadro parte della dottrina ne ha rilevato un limite fondamentale [9]: l’assenza, nei cataloghi di motivi di rifiuto della consegna, di una clausola relativa al rispetto dei diritti umani della persona ricercata, negli Stati membri richiedente e richiesto, che influisca sulla procedura di consegna del ricercato. I diritti umani sono richiamati in modo piuttosto generico dall’art. 1, par. 3, che si limita a salvaguardare i principi sanciti dall’art. 6 TUE nell’applicazione della decisione quadro, quale una sorta di «clausola standard» [10], a carattere meramente ricognitivo o pedagogico. Infatti, pur in assenza, i principi generali del diritto dell’Unione europea prevalgono sul diritto secondario e vincolano l’Unione stessa e gli Stati membri nell’attuazione e nell’esecuzione del diritto dell’Unione. Più ampia formulazione hanno i considerando nn. 12 e 13. Il primo richiama il principio di non discriminazione sotto il profilo del divieto di persecuzione per motivi penalmente irrilevanti, chiarendo che rimane possibile l’applicazione delle norme nazionali sull’equo processo, sulle libertà di associazione, stampa ed espressione. Il considerando n. 13, invece, ricorda implicitamente la giurisprudenza Soering della Corte europea dei diritti dell’uomo [11] e il possibile rifiuto di consegna quando sussista il rischio che la persona ricercata sia sottoposta a trattamenti inumani e degradanti nello Stato richiedente. Nemmeno queste indicazioni sono tuttavia adeguate a influire sulla procedura di consegna, non solo per il valore non vincolante del preambolo, ma anche per la funzione meramente pedagogica del considerando n. 13. Pur essendo stato redatto prima del Trattato di Lisbona, in un sistema di fonti del diritto sensibilmente diverso da quello attuale, il suo testo si limita a ricordare un obbligo consolidato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, cui tutti gli Stati membri dovrebbero attenersi in quanto parti contraenti alla CEDU. Nonostante la loro portata ricognitiva, l’art. 1, par. 3 e i considerando nn. 12 e 13 non sono passati inosservati nelle trasposizioni nazionali e nelle applicazioni giurisprudenziali. La stessa Commissione europea ha notato difformità nel recepimento di queste parti della decisione [continua ..]
Le imperfette trasposizioni nazionali, la prassi giurisprudenziale e i rinvii pregiudiziali posti alla Corte di giustizia hanno un tratto comune implicito, ovvero il dubbio circa la reale sussistenza della fiducia nei confronti dello Stato emittente, nei casi in cui il mutuo riconoscimento rischi di ledere i diritti fondamentali della persona ricercata. Storicamente, tale dubbio rischiava di essere rafforzato per l’assenza di qualsiasi definizione delle due nozioni basilari, fiducia reciproca e mutuo riconoscimento e delle difficoltà della stessa dottrina a darne un inquadramento univoco. Così, è stata posta in dubbio la portata precettiva della mutua fiducia, che può essere caratterizzata come un principio di natura sia politica, sia giuridica ed azionabile in giudizio [18]. Quanto al mutuo riconoscimento, la dottrina ha discusso il suo rapporto con l’armonizzazione dei diritti nazionali, e la sua configurabilità come un modello di governance, ovvero come un metodo di selezione dell’ordinamento prevalente nei casi (a carattere civile o penale) aventi portata transnazionale [19]. Parte della dottrina ha notato come queste difficoltà siano dipese anche dalla traslazione del principio del mutuo riconoscimento dal mercato interno alla cooperazione penale [20], tramite l’attribuzione di competenza a un organo giurisdizionale e il controllo su limitati e codificati motivi ostativi. In questo passaggio, tuttavia, i diversi effetti che la mutua fiducia e il mutuo riconoscimento possono avere nei due diversi ambiti non sarebbero stati tenuti in debita considerazione [21]. La definizione più completa della nozione di mutua fiducia si rinviene nel parere 2/13, sull’adesione dell’Unione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) [22]. Infatti, nel par. 191 la Corte di giustizia valorizza il carattere cardinale della mutua fiducia, quale principio che consente la creazione e il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne, e che consiste nel «ritenere, tranne in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettano il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo». Nell’ambito della cooperazione penale, la mutua fiducia consentirebbe di affermare che tutti i procedimenti e i processi penali si svolgano conformemente ai [continua ..]
Nella nota sentenza Aranyosi [25], la Corte di giustizia ha ammesso una circostanza eccezionale derogatoria al principio della mutua fiducia. Come noto, la questione sorgeva a seguito dell’adozione di mandati d’arresto europei emessi da un giudice ungherese e da un giudice romeno nei confronti di persone che si trovavano in Germania. L’organo giurisdizionale dell’esecuzione dubitava della loro eseguibilità, poiché le condizioni di detenzione negli Stati richiedenti erano già state qualificate come trattamenti inumani e degradanti da costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. A tal fine, il giudice nazionale chiedeva alla Corte di giustizia se l’art. 1, par. 3 della decisione quadro potesse essere interpretato come motivo di rifiuto della consegna, qualora nello Stato membro emittente le condizioni di detenzione violassero i diritti fondamentali della persona consegnata. La Corte di giustizia rifugge da qualsiasi automatismo in forza dell’elevato livello di mutua fiducia fra Stati membri. Pertanto, il rifiuto della consegna è ammissibile nei soli casi stabiliti dagli artt. 3, 4 e 4 bis della decisione quadro. Tuttavia, il carattere assoluto del divieto di pene o di trattamenti inumani o degradanti e l’art. 1, par. 3 della decisione quadro impongono una previa valutazione al giudice richiesto. Poiché la consegna non può tradursi in un trattamento disumano o degradante, in presenza di elementi oggettivi, attendibili, precisi e comprovanti la presenza di carenze sistemiche o generalizzate, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve verificare se la persona consegnata rischi seriamente e concretamente di essere sottoposta a tali trattamenti in violazione della Convenzione europea e della Carta dei diritti fondamentali. La Corte richiede pertanto un’analisi in due fasi. In primo luogo, devono sussistere indici oggettivi quanto a carenze sistematiche nello Stato di consegna. In secondo luogo, il giudice richiesto deve convincersi che concretamente la persona interessata rischi di essere sottoposta a un trattamento inumano, chiedendo la trasmissione di adeguate informazioni all’organo giurisdizionale emittente. Nelle more, la procedura di consegna può essere sospesa, e chiusa se i dubbi non possano essere sciolti entro un termine ragionevole.
La risposta della Corte nel caso Aranyosi ha consentito l’individuazione di un caso eccezionale alla mutua fiducia sotto il profilo del divieto di trattamenti inumani e degradanti. Questa risposta ha tuttavia aperto taluni nuovi dubbi [26], sottoposti all’attenzione della Corte in tre domande di pronunce pregiudiziali nel 2018. La loro importanza li ha resi già noti e sono già apparsi diversi commenti “a caldo” [27], per cui è fornita qui solo una breve sintesi. Nel caso LM [28] la High Court irlandese interroga la Corte di giustizia sulla possibilità di rifiutare la consegna alla Polonia di una persona ricercata, che ivi rischierebbe di essere sottoposta a un procedimento penale iniquo [29]. Questo sospetto circa il futuro pericolo si fonda sulla proposta motivata della Commissione ex art. 7 TUE [30] che solleva diversi motivi di preoccupazione relativamente al rispetto del principio dello stato di diritto a seguito delle recenti riforme dell’ordinamento giudiziario [31]. Il giudice a quo ritiene di non individuare nella sentenza Aranyosi un’indicazione sufficientemente precisa sul rapporto fra l’accertamento delle carenze sistematiche e il controllo nel caso individuale, nonché sulla portata di quest’ultimo. Precisamente, dubita della stessa applicabilità del dettagliato esame individuale, quando il rischio di violazione sia già elevato a causa dell’adozione di una proposta della Commissione ai sensi dell’art. 7 TUE. In queste ipotesi potrebbe essere quindi sufficiente un esame meno circostanziato, reputando l’avvio di tale procedura come indice rilevante e pertinente a stabilire un grave pericolo di violazione anche nel caso concreto. Indirettamente, il rinvio pregiudiziale è finalizzato altresì a chiarire se la valutazione ai sensi della sentenza Aranyosi riguardi solo diritti assoluti – come in quel caso – o anche quelli suscettibili di limitazioni, come ad esempio proprio il diritto all’equo processo, qui rilevante. Nel caso ML [32] il Tribunale superiore di Brema solleva un dubbio con riferimento alla consegna all’Ungheria di una persona già condannata, ai fini dell’esecuzione della pena. Il giudice a quo dubita dell’adeguatezza delle [continua ..]
Gli sviluppi successivi inducono a ulteriori riflessioni sulla portata del principio della mutua fiducia nell’esecuzione di un mandato di arresto europeo, di fronte a seri rischi di violazione dei diritti fondamentali. Il 12 settembre 2018 il Parlamento europeo ha espresso per la prima volta nella storia parere positivo alla proposta della Commissione presentata ai sensi dell’art. 7, par. 1 TUE [38], nel quale è alta la preoccupazione per la flagrante violazione di una serie di diritti umani fondamentali [39]. Al momento in cui si scrive [40] , il Consiglio europeo non si è ancora espresso. Tuttavia, l’Ungheria ha proposto un ricorso per annullamento della risoluzione del Parlamento europeo presso la Corte di giustizia [41], fondato su tre motivi di carattere formale, relativi cioè al conteggio dei voti espressi nell’approvazione della risoluzione, e uno sostanziale, ovvero la violazione dei principi del legittimo affidamento e di leale cooperazione per aver la Corte già constatato infrazioni a seguito di quattro ricorsi per inadempimento menzionati nella risoluzione. Sebbene motivi di opportunità politica possano indurre ad attendere una decisione della Corte sul ricorso [42], il Consiglio europeo procede le discussioni sulla situazione in Ungheria [43]. Analogamente, questa istituzione continua a essere aggiornata sulle riforme legislative in corso in Polonia, mentre non risultano a chi scrive ulteriori sviluppi formali. Contemporaneamente, la conclusione di un accordo con il Regno Unito sui rapporti futuri con l’Unione europea pare sempre più difficilmente realizzabile nei termini prescritti, sebbene la prospettiva cd. no deal non paia auspicabile e concretamente auspicata dalle parti. Nella prospettiva del rispetto dei diritti fondamentali, della tutela dei valori dell’Unione e della mutua fiducia il momento è drammatico. L’unicità degli eventi non deve tuttavia pregiudicare l’integrazione nell’Unione e la mutua fiducia nella normale attività giudiziaria. Il rigore delle verifiche poste in capo al giudice dello Stato richiesto e la limitata portata delle eccezioni rafforzano questo principio, imponendo una seria e concreta valutazione del pregiudizio a danno della persona ricercata. L’applicazione di questa analisi rischia tuttavia di essere superata – anche [continua ..]
Questa eccezione conclusiva avvicina la posizione di Polonia e Ungheria, da un lato, e Regno Unito, dall’altro: nonostante le divergenti situazioni di partenza, la soluzione è simile e comporta la necessità di una valutazione sull’esistenza di un «caso eccezionale». Due sono le conseguenze principali, speculari fra loro. Non sono sufficienti indici generali di violazioni sistematiche, ma è necessario verificare se la persona interessata corra seri rischi. Allo stesso tempo, l’adeguatezza strutturale di un sistema non esclude una verifica concreta, se sia dimostrato che la persona interessata rischi una violazione dei diritti fondamentali a seguito della consegna. Questa conclusione si allinea alle sentenze MP e CK [49], relative a procedure di rimpatrio e di trasferimento nell’ambito del diritto all’asilo. In entrambi i casi non sussisteva un sospetto di violazioni sistematiche (nemmeno nel primo, dove era in discussione un rimpatrio verso uno Stato terzo), ma si temeva un grave rischio per la salute della persona interessata una volta rimpatriata o trasferita. La prospettiva della sentenza N.S. pare allora rovesciata, dal momento che risulta primaria la tutela del singolo, a prescindere dalla condizione generale di salvaguardia dei diritti umani nello Stato richiedente. Se non è necessario un previo accertamento di carenze sistematiche o generalizzate, ne consegue che il principio della mutua fiducia ammette una verifica in concreto nei confronti di tutti gli Stati membri, anche qualora non sussistano apparenti dubbi sulla conformità dell’ordinamento ai diritti umani, o manifeste reiezioni dell’integrazione europea. Infatti, la giurisprudenza qui esaminata induce a propendere verso l’opinione per cui la valutazione generale sulle carenze strutturali abbia un mero scopo indiziario e non sia un passaggio a rime strettamente obbligate [50]. Per il giudice richiesto è certo più agevole sospettare di concrete violazioni quando già esistono indici oggettivi che dimostrino l’esistenza di violazioni sistematiche. L’assenza di tali elementi non fa sorgere ictu oculi un serio dubbio al giudice richiesto, e quindi rende meno probabile una verifica nel caso concreto [51]. Sarebbe pertanto onere della persona ricercata dimostrare determinate caratteristiche peculiari che [continua ..]