Il Diritto dell'Unione EuropeaEISSN 2465-2474 / ISSN 1125-8551
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Il conflitto tra norma interna e norma dell'Unione priva di effetti diretti nella vicenda dei precari della scuola italiana (di Sarah Lattanzi)


This article originates from a series of legal actions brought before several Italian courts by many workers of the Italian State schools, with the aim of having their repeated employment contracts converted from a fixed-term to a permanent one. The case raised the problem of what happens when a clash occurs between a piece of National legislation and rules of European law which do not have direct effects. In the first part, the article deals with the present case law and its implications for National courts. In the second part, it focuses on the role played by the Constitutional Court and the reasons beyond its first reference for a preliminary ruling to the European Court of Justice. It ends looking at the different solutions that the Constitutional Court might come to, following the preliminary ruling of the Court of Justice on Directive 99/70/EC on fixed-term work.

SOMMARIO:

I. Introduzione: il problema del conflitto tra una norma interna e una norma europea priva di effetti diretti - II. Il caso di specie e la posizione dei giudici a quibus - III. La posizione della Corte costituzionale e il primo rinvio - IV. Il problema della doppia pregiudizialità - V. Le possibili risposte della Corte costituzionale - VI. Conclusioni: la coerenza del sistema. - NOTE


I. Introduzione: il problema del conflitto tra una norma interna e una norma europea priva di effetti diretti

 La battaglia giudiziaria recentemente intrapresa da docenti e amministratori precari della scuola italiana per contestare la legittimità dell’annosa prassi di ricorrere ad una serie infinita di contratti a termine stipulati anno dopo anno, ha riportato al centro del dibattito costituzionale ed europeo un aspetto del problema dei rapporti tra diritto UE e diritto nazionale: le conseguenze di un conflitto che si apre tra una norma interna e una norma di diritto dell’Unione europea che sia priva di effetto diretto. Tale delicata questione, che finora manca di una risposta chiara, è stata toccata, in modo più o meno consapevole, dai Tribunali di Roma [1], di Lamezia Terme [2] e di Napoli [3] e infine dalla Corte Costituzionale [4] e dalla stessa Corte di giustizia [5]. La legittimità della disciplina italiana applicabile alla fattispecie andava infatti sindacata alla luce del diritto UE e in particolare di alcune disposizioni della direttiva 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, disposizioni che sono pacificamente prive di effetto diretto. La questione è molto rilevante. Se infatti è fuor di dubbio che il conflitto tra una norma interna e una norma dell’Unione “non direttamente applicabile” ma dotata comunque di “effetto diretto” va risolto dai giudici comuni attraverso la disapplicazione della prima e la successiva applicazione della seconda, non è invece altrettanto chiaro come vada risolto il conflitto che si ponga rispetto ad una norma dell’Unione cui non è possibile riconoscere un effetto diretto perché priva di carattere chiaro, preciso e incondizionato o perché destinata ad essere invocata nell’ambito di rapporti orizzontali, in controversie tra privati [6]. D’altronde, mentre nel caso di conflitto con norme dell’Unione dotate di effetto diretto, come è noto, la Corte di giustizia è incisivamente intervenuta, imponendo ai giudici nazionali di procedere, se del caso, direttamente alla disapplicazione della norma interna contrastante [7]; per il caso di conflitto con norme dell’Unione prive di effetto diretto, pur definendo l’obbligo per il giudice nazionale di esperire un primo tentativo di interpretazione conforme o di riconoscere il risarcimento del danno al [continua ..]


II. Il caso di specie e la posizione dei giudici a quibus

La vicenda scaturisce dall’intricata normativa sul sistema scolastico italiano che ammette, per sopperire al fabbisogno ordinario e straordinario della scuola pubblica, il ricorso all’assunzione di personale supplente docente in forza di una serie di contratti rinnovati in successione. Adducendo la contrarietà della normativa italiana rispetto alla direttiva 99/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato [20], numerosi ricorrenti, tutti assunti in forza di una successione di contratti a termine per un periodo complessivamente non inferiore a 45 mesi su un minimo di 5 anni, chiedevano di fronte ai Tribunali di Napoli, di Lamezia Terme e di Roma, la conversione giurisdizionale del rapporto di impiego da tempo determinato a tempo indeterminato e, in subordine, il risarcimento dei danni subìti. I ricorrenti invocavano la direttiva perché questa, per prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato [21], impone agli Stati Membri di prevedere almeno una delle seguenti misure, qualora il diritto nazionale non preveda già misure equivalenti: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) un limite massimo alla durata dei contratti a tempo determinato o dei rapporti di lavoro; c) un limite massimo al numero dei loro rinnovi (clausola 5, punto 1, del­l’accordo quadro). In passato la Corte di Giustizia aveva già avuto modo di specificare il contenuto e la portata di questa clausola innanzitutto stabilendo che essa, non essendo sufficientemente precisa, non può avere effetto diretto nell’ordinamento nazionale e che quindi i singoli non possono invocare direttamente la disposizione fino a quando essa non sia stata attuata dallo Stato membro [22]. Fino a quel momento resta soltanto salvo l’obbligo di interpretare il diritto interno quanto più possibile in maniera conforme alla clausola [23] o, nel caso in cui un’in­terpretazione conforme non sia possibile, l’obbligo di risarcire i danni [24]. Ora, nell’ordinamento italiano è permessa una reiterazione di fatto infinita di contratti annuali per i supplenti della scuola pubblica in forza dell’art. 4, comma 1, L. 124/1999, il quale prevede che «alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino [continua ..]


III. La posizione della Corte costituzionale e il primo rinvio

 Sulla base di questo schema di ragionamento, dichiarando ammissibile l’eccezione di costituzionalità in ragione dei presupposti citati, la Corte costituzionale si è domandata nel merito se l’art. 4, L. n. 124/1999 potesse essere giustificato in presenza di una “ragione obiettiva” [45] ai sensi del diritto dell’U­nione. La Corte ha analizzato la normativa interna innanzitutto da un punto di vista astratto rilevando che, essendo “il servizio scolastico attivabile su domanda”, esso presenta “ineliminabili esigenze di flessibilità”. Tuttavia in un secondo momento, analizzando la normativa da un punto di vista concreto in conformità con quanto richiesto dalla giurisprudenza citata [46], ha rilevato che «la misura assai limitata di assunzioni a tempo indeterminato nel periodo intercorrente tra il 1999 e il 2001 e la mancanza totale di concorsi pubblici per l’assunzione di personale docente di ruolo sin dal 1999» [47], pongono la disposizione in possibile conflitto con la normativa di diritto dell’Unione. Diversamente da quanto ci si sarebbe potuti aspettare, la Corte costituzionale forte di questo dubbio, non decide di rimettere gli atti al giudice a quo affinché egli “provochi quell’interpretazione necessaria” ad integrare il contenuto (mediato) dei parametri costituzionali, ma decide essa stessa di sospendere il giudizio e sollevare alla Corte di Giustizia una questione di interpretazione sulla nozione di “ragione obiettiva”, “avuto riguardo alla normativa interna” [48]. Questo primo rinvio pregiudiziale è stato accolto con entusiasmo da parte della dottrina [49] in quanto costituisce quel revirement tanto atteso dell’ord. n. 103/2008 nella quale la Corte, pur riconoscendosi “giudice nazionale” ai sensi dell’art. 267 TFUE, limitava questo riconoscimento ai soli giudizi in via principale [50]. Tuttavia seguendo l’ordine dei “visti” presentati nell’ordinanza appare chiaro che il motivo giuridico preponderante che ha condotto al revirement non dipende tanto dal riconoscersi «giurisdizione nazionale anche nei giudizi in via incidentale», quanto piuttosto nel fatto che «definire l’esatto significato della normativa comunitaria [continua ..]


IV. Il problema della doppia pregiudizialità

Procedendo per gradi, occorre innanzitutto domandarsi perché la Corte costituzionale, nell’ordinanza n. 207/2013, non ritiene di dover dichiarare inammissibile la questione rimettendo gli atti al giudice a quo affinché sia questi a rivolgersi direttamente alla Corte di giustizia, in virtù del meccanismo della c.d. “doppia pregiudizialità” [62]. Questo sistema, comunemente (e probabilmente erroneamente) chiamato “doppia pregiudizialità”, si attiva in realtà al ricorrere di due condizioni: in presenza di norme dell’Unione di cui si dubita dell’effetto diretto [63] (primo caso) o di cui non sia chiara la portata dispositiva [64] (secondo caso). Il ricorrere di tali due condizioni nel caso di specie, come già evidenziato nel paragrafo precedente, è stato correttamente escluso dai Tribunali di Roma e di Lamezia Terme. In generale, il meccanismo della doppia pregiudizialità opera nel primo caso in presenza di un dubbio sulla capacità della norma dell’Unione di produrre effetti diretti, caso in cui la Corte costituzionale chiede al giudice comune di domandare alla Corte di giustizia di precisare la portata della norma dell’U­nione, così da poter eventualmente escludere la possibilità di procedere alla disapplicazione della norma interna, conformemente a quanto stabilito in nome della giurisprudenza Granital. Di conseguenza, nel caso in cui la norma dell’Unione sia sicuramente dotata di effetto diretto, la Corte costituzionale ritiene la questione inammissibile dichiarando che la capacità della norma di produrre effetti diretti costituisce un motivo di irrilevanza della questione, perché il diritto dell’Unione impedisce il “venir in rilievo del conflitto” [65]. Secondo le parole stesse della Corte, la questione è inammissibile perché: “il giudice rimettente (…) non prospetta una questione di compatibilità tra norme interne e norme comunitarie prive di effetto diretto, ipotesi nella quale, come in precedenza affermato da questa Corte, la fonte statuale serberebbe intatto il suo valore e soggiacerebbe al controllo di costituzionalità (sentenza n. 170/1984, nonché sentenza n. 317/1996 e ordinanza n. 267/1999), ma si duole che la normativa in esame confligga con norme comunitarie pacificamente [continua ..]


V. Le possibili risposte della Corte costituzionale

Come è noto, la risposta della Corte di giustizia alle questioni pregiudiziali della Corte costituzionale è in termini di incompatibilità tra il diritto del­l’Unione e la normativa interna in quanto: «la clausola 5, punto 1, dell’accor­do quadro, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale (...) che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato (…) senza indicare tempi certi per l’esple­ta­mento di dette procedure ed escludendo qualsiasi possibilità di ottenere il risarcimento del danno» [84]. Si tratta ora di tentare di prevedere quali conseguenze potrà trarne la Corte costituzionale nella sua futura e definitiva pronuncia. Rispetto alla risoluzione concreta del caso, numerose possibili risposte sono immaginabili. Per prima cosa la Consulta si potrebbe pronunciare con una decisione di infondatezza della questione, giudicando la normativa interna suscettibile di essere interpretata conformemente agli obiettivi fissati dalla direttiva 99/70/CE, come già ammesso da parte di diversi giudici del lavoro [85]. La Corte potrebbe cioè operare un’interpretazione adeguatrice dell’art. 36, comma 5, D.Lgs. n. 165/2001 che, se interpretato in maniera conforme agli obiettivi della direttiva, potrebbe riconoscere ai “precari” il diritto al risarcimento del danno per la violazione della direttiva stessa [86]. L’art. 36 cit. garantisce il diritto al risarcimento del danno in caso di “violazione di disposizioni imperative” [87], che in questo caso sarebbero rinvenibili nel mancato obbligo di recepimento della direttiva per il personale supplente docente. Altrimenti, la Consulta potrebbe dichiarare l’illegittimità costituzionale del­l’art. 4, L. n. 124/1999, permettendo così di considerare la reiterazione dei contratti inequivocabilmente assunta “in violazione di disposizioni imperative” (perché sulla base dell’articolo 4 dichiarato incostituzionale) e permettendo nuovamente al giudice a quo di riconoscere il risarcimento del danno in capo ai ricorrenti. Una terza possibilità potrebbe essere che la Corte si pronunci con una sentenza “manipolativa o [continua ..]


VI. Conclusioni: la coerenza del sistema.

 Ora, delineato a grandi linee il sistema, è giunto il momento di testarne la coerenza rispetto alle caratteristiche dell’ordinamento dell’Unione europea e, in particolare, delle norme non direttamente applicabili e prive di effetto diretto. Innanzitutto balza agli occhi l’armonia del giudizio di costituzionalità per norma interposta con i principi dell’ordinamento costituzionale che richiedono, in presenza di una norma di legge incostituzionale, una pronuncia accentrata di costituzionalità con effetti erga omnes e un’espulsione definitiva dal­l’ordinamento [98]. Da un punto di vista interno infatti il sistema delineato dalla Consulta è perfettamente coerente con quanto disposto sin dalla sentenza Granital in cui si affermava che il conflitto con norme dell’Unione prive di effetto diretto andava risolto attraverso i consueti strumenti dell’ordinamento costituzionale. Con l’ordinanza n. 207/2013, la Corte costituzionale non ha fatto nient’altro che perfezionare la definizione del suo controllo accentrato, prevedendo che, dovendosi risolvere il conflitto alla luce della norma dell’Unione che funge da parametro interposto, questa non solo vada interpretata alla luce del diritto dell’Unione ma anche che la stessa Corte Costituzionale è legittimata ad adire direttamente la Corte di Giustizia per richiederle quell’interpretazione necessaria a concludere lo scrutinio di costituzionalità. In una tale ottica certo non sembrerebbe potersi contestare alla Corte costituzionale di invadere il monopolio della Corte di giustizia in materia di interpretazione del diritto dell’Unione perché la Consulta, ritenendosi legittimata essa stessa ad operare il rinvio pregiudiziale, ben vuole chiarire che essa non si attribuisce alcun margine di discrezionalità ma anzi si posiziona, per il momento, al livello di “mero applicatore” delle indicazioni preventivamente fornite dalla Corte di giustizia. Tuttavia il principio del “monopolio interpretativo della Corte di giustizia” non è significativo in sé per sé, ma in quanto corollario del principio dell’uni­forme applicazione del diritto dell’Unione [99]. Orbene, rispetto al principio dell’uniforme applicazione del diritto dell’U­nione, il sistema costruito dalla Corte [continua ..]


NOTE