Due recenti sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte europea dei diritti dell’uomo chiariscono ulteriormente la portata dell’ordine pubblico processuale come limite alla circolazione intracomunitaria delle sentenze. Dall’approccio restrittivo mantenuto da entrambe le Corti consegue che una lesione dei principi di ordine pubblico per violazione dell’equo processo nella fase del merito è invocabile solo se siano soddisfatte talune condizioni, dipendenti dal comportamento processuale della parte interessata. Queste attengono alla notificazione degli atti introduttivi del processo e della sentenza nel merito, alla richiesta di esperimento del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, e all’esaurimento dei rimedi giurisdizionali disponibili nello Stato di origine. Il presente contributo analizza queste condizioni, dalle quali si conclude che il limite dell’ordine pubblico processuale può difficilmente essere invocato in giudizio con successo.
The Court of Justice of the European Union and the European Court of Human Rights have issued two judgments on the meaning of the procedural public policy as a limit to the circulation of foreign judgments. This case-law might have a strong impact on the scope of this safeguard clause, due to the restrictive approach adopted by both Courts. It is moreover noteworthy that the violation of the right to a fair trial, as an integral part of the public policy, occurred in the proceedings on the merits, may be claimed only under certain conditions. These depend on the procedural behavior of the interested party/ies and attain to the service of the judicial documents and the judgments on the merits, the request for preliminary procedure to the Court of Justice, and the fulfillment of all the judicial remedies in the State of origin. The present article analyses these issues, concluding that the violation of the public policy within the EU can be rarely claimed with success.
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I. Introduzione. - II. L’ambito di applicazione dell’ordine pubblico processuale ai fini della circolazione delle sentenze nell’Unione europea: un breve excursus. - III. I diritti di difesa del terzo nel caso Meroni della Corte di giustizia dell’Unione europea. - IV. La “saga” Avotiņš presso la Corte europea dei diritti dell’uomo. - V. Il carattere fondamentale della notifica nell’ambito dell’equo processo. - VI. Il ruolo dell’individuo nel procedimento di merito: l’esperimento dei rimedi giurisdizionali. - VII. (Segue) La richiesta di rinvio pregiudiziale. - NOTE
La nozione di ordine pubblico processuale come limite alla circolazione intracomunitaria delle decisioni giurisdizionali continua a sollevare incertezze, ancorché si tratti di un concetto ormai classicamente impiegato. Le persistenti difficoltà sono testimoniate da due recenti sentenze, l’una della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’altra della Corte di giustizia dell’Unione europea, che ne hanno ulteriormente precisato la portata. Rispettivamente, nella sentenza Avotiņš c. Lettonia [1] la Grande Camera della Corte di Strasburgo ha riesaminato il caso già deciso dalla Quarta Sezione [2], nel quale era contestata la mancata notificazione di una sentenza di merito cipriota, dichiarata esecutiva in Lettonia, in apparente contrasto con l’art. 34, par. 2 del regolamento n. 44/2001 [3]. Nel caso Meroni [4], deciso dalla Corte di giustizia a seguito di rinvio pregiudiziale, l’esecuzione transfrontaliera di una sentenza nei confronti di terzi, non parti nel procedimento di merito, induceva a sospettare la violazione del diritto all’equo processo, e quindi dell’ordine pubblico ai sensi dell’art. 34, par. 1 dello stesso regolamento. Sebbene sia attualmente in vigore il regolamento n. 1215/2012 [5], sostitutivo del regolamento n. 44/2001, la violazione dell’ordine pubblico processuale rimane un possibile motivo ostativo alla circolazione intracomunitaria delle sentenze in materia civile e commerciale (art. 45). Infatti sono modificate le modalità di esecuzione delle decisioni giurisdizionali straniere, tramite l’abolizione dell’exequatur (art. 46), ma rimangono invariate le cause che possono impedire l’esecuzione stessa. Pertanto, la portata delle eccezioni già previste nel regolamento n. 44/2001 rileva anche ai fini dell’applicazione del regolamento n. 1215/2012 [6] e la definizione del limite dell’ordine pubblico mantiene attuale importanza. Sebbene la giurisprudenza delle due Corti abbia già delineato i termini essenziali di questa nozione con riferimento ai regolamenti dell’Unione europea in materia civile e commerciale, le sentenze in esame meritano particolare attenzione per diversi motivi. In primo luogo, sono state emanate a soli due giorni di distanza, rendendo anche cronologicamente evidente l’esigenza di un approccio congiunto ai [continua ..]
La sentenza Meroni è solo l’ultima di una serie di casi in cui la Corte di giustizia ha precisato la nozione di ordine pubblico ai fini della circolazione delle decisioni giurisdizionali. La giurisprudenza è nota; pertanto in questa sede si richiamano solamente alcuni passaggi di maggior rilievo [8]. Il punto di partenza fondamentale risiede nella natura nazionale del concetto di ordine pubblico, del quale la Corte di giustizia può solo valutare i limiti nell’applicazione, fornendo gli elementi necessari per la verifica della proporzionalità nel caso concreto. Così è già stato chiarito che vi esula la mera erronea applicazione di una disposizione del diritto dell’Unione europea [9]: la relativa sentenza può produrre i propri effetti in tutti gli Stati membri, senza che sia contestabile in fase di riconoscimento o esecuzione [10]. Inoltre, l’esistenza del motivo ostativo speciale di cui all’art. 34, par. 2 del regolamento n. 44/2001 non impedisce che diverse violazioni dell’equo processo rientrino nella nozione di ordine pubblico processuale, ai sensi dell’art. 34, par. 1. La giurisprudenza della Corte di giustizia ha avuto modo di valutare se i principi del fair trail fossero violati, nello Stato membro in cui è incardinato il procedimento di merito, tramite: l’instaurazione del procedimento presso un giudice internazionalmente (in)competente (sentenza Krombach [11]); l’assenza di contraddittorio delle parti (sentenza Gambazzi [12]); nonché, la lacunosa motivazione della decisione giurisdizionale (sentenza Trade Agency [13]). In particolare, le ultime due sentenze menzionate presentano un particolare interesse ai fini della presente trattazione. Infatti, nel caso Gambazzi la Corte precisa che la verifica della compatibilità delle risultanze processuali con l’ordine pubblico richiede un esame del procedimento nel merito nel suo complesso e delle circostanze concrete nel caso di specie. Così, anche il provvedimento inglese di debarment può non violare i principi dell’equo processo, pur comportando l’estromissione di una parte dal processo, se quest’ultima sia stata adeguatamente informata delle conseguenze del suo comportamento processuale e se l’ordine di esclusione sia impugnabile. [continua ..]
La sentenza Meroni sviluppa ulteriormente questo profilo. Il caso in oggetto trae origine da una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal giudice lettone, al quale è richiesto di dichiarare l’esecutività di un’ordinanza di sequestro inglese. Quest’ultima pone il divieto di disporre delle azioni detenute nella società lettone AS Ventbunkers in capo ai convenuti al procedimento, ai loro rappresentanti o mandatari, nonché ai terzi interessati cui l’ordinanza stessa sarà notificata a cura del ricorrente. Secondo quanto indicato nella decisione medesima, gli stessi soggetti sono legittimati a impugnare la decisione, per chiederne l’annullamento o la modifica. Nel caso di specie si lamenta proprio la possibile produzione di effetti dell’ordinanza a carico di persone non formalmente parti al procedimento nazionale. Fra queste ultime rientra il Sig. Meroni, avvocato stabilito in Svizzera; in qualità di rappresentante e amministratore di soci della società lettone, in sede esecutiva egli lamenta una violazione dell’ordine pubblico, con particolare riguardo a taluni suoi diritti fondamentali. Infatti, sarebbero pregiudicati i suoi diritti di proprietà, poiché la decisione controversa limita i suoi diritti di voto nella società, e il diritto all’equo processo, poiché la decisione controversa produce effetti nei suoi confronti, seppur terzo nel procedimento inglese. Queste argomentazioni sono in parte fatte proprie dalla Corte suprema lettone nella domanda di rinvio pregiudiziale. Due sono gli elementi peculiari che fanno dubitare la Corte della perfetta consonanza della decisione controversa con l’ordine pubblico. In primo luogo, è difficile convincersi del corretto espletamento della comunicazione dell’ordinanza e dei documenti, poiché il relativo onere è stato posto a carico di una parte nel procedimento. Il giudice a quo dubita della possibilità di limitare il diritto di proprietà di una persona che non è intervenuta nel procedimento, e rispetto alla quale non è definitivamente accertabile la conoscenza dell’ordinanza controversa. In secondo luogo, una persona che non è parte di un procedimento non ha la possibilità di intervenire nella formazione del convincimento del giudice tramite le proprie osservazioni, con conseguente [continua ..]
Il caso Avotiņš della Corte europea dei diritti dell’uomo è ben noto, per esser già stato oggetto di una (criticata [20]) sentenza della Quarta Sezione. Nella specie, il ricorrente si doleva della dichiarazione di esecutività emessa dal giudice lettone in relazione a una sentenza cipriota. Alla circolazione di quest’ultima avrebbe ostato infatti l’art. 34, par. 2 del regolamento n. 44/2001, dal momento che il convenuto aveva avuto notizia della decisione nel merito solamente a seguito della notificazione dei primi atti esecutivi in Lettonia, mentre le comunicazioni e gli atti precedenti erano stati notificati in un luogo che non corrispondeva al suo domicilio o alla sua residenza. È pacifico che il ricorrente non aveva mai impugnato la sentenza cipriota, mentre si era opposto alla sua esecuzione fino all’ultimo grado di giudizio disponibile in Lettonia. La Quarta Sezione aveva implicitamente applicato la presunzione di equivalenza del livello di tutela dei diritti dell’uomo nell’Unione europea rispetto a quello garantito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito: «CEDU»). Richiamando la giurisprudenza della Corte di giustizia sugli artt. 34, nn. 1 e 2 del regolamento n. 44/2001, la Sezione aveva concluso nel senso che il giudice richiesto dell’esecuzione aveva correttamente rilevato che non sussisteva alcuna lesione dell’ordine pubblico, essenzialmente poiché il ricorrente non aveva presentato alcun ricorso contro la sentenza cipriota. A seguito del riesame richiesto dal ricorrente, la Grande Camera ha approfondito la motivazione della Quarta Sezione, giungendo a conclusioni analoghe [21]. Con eccezione della materia della responsabilità genitoriale, invero particolare alla luce delle esigenze della tutela del minore [22], mancavano precedenti diretti relativi all’applicazione dei principi del mutuo riconoscimento e della mutua fiducia nella cooperazione giudiziaria civile. La Corte aveva infatti avuto modo di valutare solo talune procedure di riconoscimento e di esecuzione di sentenze provenienti da Paesi non parti alla CEDU [23]. Sulla base di questa giurisprudenza, il diritto all’equo processo impone un’ulteriore fase di controllo giurisdizionale prima di procedere al riconoscimento o all’esecuzione [continua ..]
Qualora la fase della notificazione o della comunicazione degli atti introduttivi del procedimento o della sentenza sia stata lacunosa, il convenuto/soccombente ha un onere di azione tempestiva: deve cioè esperire quanto prima tutti i rimedi giurisdizionali esistenti nello Stato membro di origine. In caso contrario, perde la possibilità di sollevare l’eccezione dell’ordine pubblico processuale. Sulla base della decisione della Corte europea, si tratterebbe della conseguenza del principio giuridico per cui nessuno può lamentarsi per fatto proprio, con ciò intendendo anche l’inerzia, quale situazione passiva di accettazione. Tuttavia, ad avviso di chi scrive, le circostanze del caso Avotiņš consentono di rilevare una parziale contraddittorietà di questa conclusione: infatti, nella specie, la notificazione non era avvenuta né regolarmente, né in modo efficace, privando il convenuto addirittura della conoscenza della causa fino alla fase esecutiva. In questo quadro, era difficile immaginare che il convenuto potesse procedere in alcun modo alla tutela dei suoi diritti. Invece, proprio la scorretta instaurazione del procedimento di merito e la mancata notificazione della relativa decisione avrebbero potuto essere considerati indici della violazione dell’equo processo. Inoltre, tale lesione era difficilmente contestabile nello Stato d’origine (Cipro): se è vero che esistevano ivi rimedi giurisdizionali, questa informazione è stata assunta solamente nell’udienza presso la Corte europea, sulla base delle allegazioni di un Governo (quello cipriota), originariamente convenuto. Inoltre, la Grande Camera presume che la prova dell’(in)esistenza di un rimedio giurisdizionale avverso la sentenza di merito incomba alla parte interessata, nonostante ammetta che il diritto dell’Unione europea non preveda una specifica disciplina e che nemmeno l’art. 6 CEDU stabilisca un onere siffatto [32]. La questione dell’onere della prova, qui considerata fondamentale, avrebbe meritato maggiore riflessione proprio per l’assenza di qualsiasi diposizione espressa in proposito. Anche ammesso che la prova spetti all’interessato, nel caso di specie non esistevano più mezzi ordinari – ma solo straordinari – di ricorso contro la sentenza di merito cipriota. L’obbligo di esperire strumenti [continua ..]
La sentenza Avotinş fornisce altresì l’opportunità di riflettere ulteriormente sull’obbligo di rinvio pregiudiziale da parte del giudice nazionale di ultima istanza. La Corte ricorda infatti che la presunzione di equivalenza è invocabile solo se il procedimento di merito, considerato nel suo complesso, sia stato completo di tutte le garanzie procedurali. La Corte rileva che il giudice di ultima istanza lettone non ha esperito il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia in relazione alla portata dell’art. 34, par. 1 del regolamento n. 44/2001, né ha motivato tale omissione. Tuttavia, l’assenza di uno di questi due elementi, pur se ritenuti fondamentali ai fini dell’art. 6 CEDU, non deve essere interpretato in senso meramente formalistico, ma piuttosto in modo funzionale. Deve cioè essere valutato se il giudice nazionale abbia impiegato tutti i mezzi previsti dal diritto dell’Unione europea per assicurare un procedimento equo nel quadro dell’art. 6 CEDU. Due elementi peculiari della fattispecie vengono presi in considerazione: l’esistenza di una giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia interpretativa dell’art. 34, par. 2, e l’inerzia del ricorrente nel procedimento lettone, durante il quale non aveva sollevato alcun dubbio sull’interpretazione del diritto dell’Unione europea, né sollecitato la proposizione di un rinvio pregiudiziale. Questo atteggiamento passivo dell’interessato nel procedimento di merito consente di concludere che l’assenza di rinvio pregiudiziale non costituisce un fattore decisivo nel caso di specie, sebbene sia criticabile che il giudice non lo abbia proposto, concludendo che tutti i rimedi giurisdizionali siano stati esperiti. Pertanto, se sorgono dubbi sull’interpretazione (o sulla validità) del diritto dell’Unione europea, o una parte abbia interesse a far valere una certa interpretazione della disposizione, tale parte ha l’onere di introdurre la problematica nel contraddittorio, e di sollecitare il giudice ad effettuare un rinvio pregiudiziale. In caso contrario, si rischierebbe che il mancato esperimento di questo strumento non sia considerato sufficiente a dimostrare la mancata attivazione di tutti i mezzi giurisdizionali disponibili ed effettivi. Anche sotto questo profilo la sentenza non pare del tutto condivisibile. All’interessato [continua ..]
Alla luce delle conclusioni della Corte di giustizia e della Corte europea dei diritti dell’uomo il sistema complessivo dei rapporti fra i diversi ordinamenti – CEDU, Unione europea e Stati – pare allora essere fondato su una serie di presunzioni a cascata non facilmente superabili. Queste sono determinate dall’adeguatezza del livello di tutela dei diritti umani nel diritto dell’Unione europea, dalla presunzione di equivalenza e dalla mutua fiducia. Ne consegue, semplificando, che la sentenza di un giudice di uno Stato membro che applica il diritto dell’Unione europea non viola i diritti garantiti dalla CEDU (mentre invece la violazione è possibile se è applicato il diritto nazionale), perché il giudice avrà interpretato e applicato il diritto dell’Unione correttamente nell’ambito di procedimenti di cognizione completi ed equi. L’unica eccezione sarebbe costituita dalla palese esistenza di un qualche difetto grossolano. Tuttavia, l’approccio adottato dalle due Corti nelle sentenze in esame rischia di rendere difficilmente rilevabile anche tale eventuale vizio. Infatti, le Corti hanno suddiviso le fattispecie in piccole frazioni di problematiche limitate, considerate ciascuna errori meramente accidentali, eventualmente criticabili, la cui portata non può dar luogo a una violazione dell’ordine pubblico processuale. È invece assente un approccio più globale, che consideri l’impatto complessivo di questa serie frazionata di errori sullo sviluppo complessivo dei procedimenti di merito e di esecuzione e, concretamente, sui diritti fondamentali degli interessati. Questo approccio influisce altresì sulla portata dell’ordine pubblico. Infatti, potrebbero prodursi situazioni di conflitto che risultano assolutamente inaccettabili per lo Stato richiesto del riconoscimento o dell’esecuzione, avverso le quali non sussistono mezzi di ricorso adeguati nel paese di origine. È questo il caso, ad esempio, qualora il giudice di prime cure abbia correttamente applicato il diritto, creando tuttavia una situazione intollerabile rispetto a valori in un altro Stato. In questa ipotesi qualsiasi ricorso giurisdizionale nel paese di origine sarebbe votato all’insuccesso (o più propriamente, non sussisterebbero motivi di impugnazione adeguati alla luce della correttezza formale e sostanziale della [continua ..]