Article 17 (7) TEU regulates the nomination of the President of the European Commission. According to the current legal framework, the designation of this body is the result of the institutional dialogue between the European Council and the European Parliament, that is facilitated by appropriate consultations. The balance of power provided for by the Treaties puts the two involved institutions, at least in principle, in an equal position: they are jointly responsible for the smooth running of the process leading to the election of the President of the Commission. On the occasion of the European elections in 2014, this position has been changed, at least in part, in favor of the European Parliament. The main European parties decided to propose to voters some “leading candidates”, then created a parliamentary majority that, during the consultations, declared its support in favor of the person linked to the political group with the highest number of seats. The European Council acknowledged this guideline by proposing that person for the office of the President of the Commission. This work demonstrates that – without being forbidden nor imposed by the treaties – the “leading candidate” process has caused a shift in the established institutional balances by reducing the weight of the Heads of State or Government in favor of the European Parliament and the political groups that have the absolute majority of seats in the Assembly. This practice does not affect the role assigned to the Commission as guardian of the general interest: it remains safeguarded by the obligations of independence and impartiality on the members of the body, including – obviously – the President. The practice in question does not even constitute an unlawful interference with the prerogatives of the European Council that retains a margin of discretion, although reduced, in the proposal of the candidate for that office. The “leading candidate” process represents one of the possible ways by which the European parties accomplish the task, assigned by the Charter and the Treaties, of promoting the formation of a European political awareness and facilitating the expression of the political will of EU citizens.
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I. Introduzione - II. La procedura di nomina del Presidente della Commissione: l'evoluzione della disciplina - III. Le prerogative e i condizionamenti reciproci del Consiglio europeo e del Parlamento europeo nell'investitura del Presidente - IV. La scelta del Consiglio europeo di proporre il 'candidato di spicco' indicato dal partito europeo più votato: la tesi 'estrema' dell'incompatibilità di tale prassi con i trattati - V. (Segue). La tesi 'estrema' opposta: l’obbligatorietà dell’investitura del 'candidato di spicco' - VI. Conclusioni - NOTE
Il rispetto dell’equilibrio istituzionale è un principio fondamentale che caratterizza l’intera struttura dell’Unione. Esso vincola ciascuna istituzione ad agire nei limiti delle attribuzioni conferite, secondo procedure, condizioni e finalità predeterminate (art. 13, par. 2, TUE). Tale equilibrio dipende ovviamente dai trattati: l’articolazione del quadro istituzionale e la ripartizione dei poteri sono fissate nel diritto primario e possono essere modificate soltanto attraverso le prescritte procedure di revisione [1]. Tuttavia, una qualche flessibilità non manca. Nel silenzio dei trattati, anche le istituzioni possono concorrere alla definizione di detto equilibrio. Lo può fare, anzitutto, la Corte di giustizia quando opera nella sua veste di organo supremo di controllo della validità degli atti delle istituzioni. Essa può ricavare in via interpretativa un determinato potere che i trattati non prevedevano espressamente, colmando così una lacuna del sistema [2]. Un contributo alla precisazione dell’equilibrio istituzionale può derivare anche dalla prassi. L’operato di singole istituzioni o il loro agire concordato (e, talvolta, formalizzato in apposti accordi, cd. interistituzionali) può evidenziare l’esistenza di poteri che i trattati non stabilivano chiaramente o che essi ripartivano, senza indicazioni specifiche, tra più istituzioni [3]. Una prassi significativa, che ha inciso sull’equilibrio istituzionale dell’Unione, si è di recente manifestata in occasione della nomina del Presidente della Commissione europea. In effetti, gli atti compiuti dal Parlamento europeo (e dai gruppi parlamentari in esso costituiti) a seguito delle elezioni del 2014 hanno fatto emergere, più chiaramente, la ripartizione delle prerogative tra l’Assemblea parlamentare e il Consiglio europeo nella scelta di tale organo monocratico. A tal riguardo, va ricordato che la campagna elettorale del 2014 è stata contraddistinta da un elemento di novità significativo. I principali partiti europei hanno proposto il nominativo di un candidato (il c.d. “candidato di spicco” o Spitzenkandidat) che – secondo le dichiarazioni rese da tali partiti – avrebbe dovuto ricoprire la carica di Presidente della Commissione, in caso di un loro successo alle elezioni [4]-[5]. [continua ..]
Sull’iter di nomina di tale carica vale la pena di spendere qualche parola [14]. Com’è noto, la designazione del Presidente è distinta e anteriore rispetto all’investitura dell’intero collegio. Mentre la prima fase della procedura conduce all’elezione del solo Presidente, la scelta degli altri membri avviene in un momento successivo, con il contributo determinante di tale organo monocratico; come diremo meglio fra poco, il Parlamento europeo ricopre un ruolo decisivo nella nomina. Tale assetto è il frutto di una lunga evoluzione normativa, determinata da numerose revisioni dei trattati, che si sono succedute nel tempo e che sono qui di seguito illustrate nei loro passaggi essenziali. Il Trattato CEE, come modificato dal Trattato sulla fusione degli esecutivi del 1965, stabiliva che i componenti della Commissione erano nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri; essi restavano in carica per un periodo di quattro anni, uno in meno rispetto alla legislatura dell’Assemblea. Anche il Presidente era scelto con le stesse modalità: i governi procedevano alla designazione di comune accordo, individuando l’organo di vertice tra i membri nominati. Il mandato di tale organo era di soli due anni, eventualmente rinnovabili [15]. La designazione del Presidente era pertanto successiva rispetto alla nomina del collegio e si concretizzava nella scelta di un primus inter pares il cui operato, trascorsi due anni, era sottoposto a una valutazione intermedia [16]. Il punto di svolta nella disciplina si è avuto con il Trattato di Maastricht. Esso ha invertito la scansione temporale originaria, anticipando l’investitura del Presidente e coinvolgendo nella nomina il Parlamento europeo. Tale trattato ha previsto infatti che i governi dovevano anzitutto designare, di comune accordo e previa consultazione del Parlamento europeo, il candidato Presidente; sempre i governi, e sempre di comune accordo, dovevano poi indicare, in stretta consultazione con il futuro Presidente, gli altri membri del collegio; infine, ottenuta l’approvazione da parte del Parlamento europeo, i governi nominavano formalmente, di comune accordo, l’intera Commissione [17]-[18]. Il Trattato di Maastricht ha inoltre aumentato a cinque anni il mandato dei commissari (compreso il Presidente), facendo così coincidere la durata [continua ..]
La nomina del Presidente della Commissione è frutto quindi di un dialogo istituzionale che, secondo l’attuale disciplina, intercorre tra il Consiglio europeo e il Parlamento europeo. Tale dialogo conduce a una doppia investitura democratica del Presidente, che si fonda, da un lato, sulla designazione dei Capi di Stato o di governo (a loro volta responsabili dinanzi ai Parlamenti nazionali o dinanzi ai loro cittadini) e, dall’altro, sul voto del Parlamento europeo, unica istituzione eletta a suffragio universale diretto. Su tale carica convergono quindi i due canali di legittimazione democratica che, ai sensi dell’art. 10 TUE, contraddistinguono il funzionamento dell’Unione. Come si è detto sopra, il potere di iniziativa è rimesso al Consiglio europeo. Non c’è dubbio che nella scelta del candidato i Capi di Stato o di governo godono di una certa discrezionalità. La designazione presuppone infatti la valutazione di una pluralità di ragioni di equilibrio politico, istituzionale e geografico, che tipicamente vengono in rilievo in occasione di nomine di primo piano [26]. La ponderazione degli equilibri politici risulta ancor più accentuata a seguitodell’introduzione del voto a maggioranza qualificata. L’abbandono dell’unanimità prospetta infatti la possibilità di una scelta, che non è stata condivisa da tutti gli Stati membri, ma è riferibile a un gruppo di Capi di Stato o di governo, che condividono determinate strategie o che si riconoscono nella linea di pensiero di una certa aggregazione politica. Anche gli orientamenti e i programmi dei potenziali candidati possono entrare in gioco al momento della proposta, divenendo oggetto di un confronto, se non di un vero e proprio negoziato, con i governi degli Stati membri [27]. Gli elementi da ponderare sono pertanto molti e di diversa natura. Ciò rende la proposta del candidato Presidente un atto chiaramente discrezionale. Tuttavia, il margine di scelta dei Capi di Stato o di governo non è illimitato. La discrezionalità del Consiglio europeo subisce infatti taluni vincoli, di una certa importanza, espressamente disposti dal TUE. Anzitutto, l’individuazione del candidato va fatta nel rispetto dei requisiti di professionalità e di indipendenza, che i Trattati prevedono, da sempre, per tutti i membri della [continua ..]
La suddetta posizione paritaria è stata, almeno in parte, modificata in favore del Parlamento europeo dalla scelta dei principali partiti europei di proporre agli elettori “candidati di spicco” e, ancor più, dalla creazione di una maggioranza parlamentare che, nel corso delle consultazioni, ha dichiarato il suo sostegno a favore della persona designata dal gruppo politico con il maggior numero di seggi. Escludendo qualsiasi possibilità di sostegno a una candidatura diversa, i gruppi politici di maggioranza del Parlamento europeo hanno orientato la scelta del Consiglio europeo verso il candidato di spicco del partito politico più votato. Nelle prime reazioni apparse in dottrina, la prassi dello Spitzenkandidat è stata da taluni aspramente criticata e giudicata lesiva del ruolo che i trattati riservano alla Commissione [31]. Secondo questa tesi, la scelta del Consiglio europeo di recepire l’indicazione data dai gruppi politici costituiti in seno all’Assemblea pregiudicherebbe il compito, che è proprio della Commissione, di promuovere in maniera indipendente l’interesse generale dell’Unione. La posizione della Commissione ne uscirebbe politicizzata ed esposta al rischio di un esercizio non imparziale delle prerogative [32]. I sostenitori di questa tesi aggiungono che l’iniziativa di designare il candidato Presidente spetterebbe in via esclusiva, ai sensi dell’art. 17, par. 7, TUE, al Consiglio europeo [33]. È vero, riconoscono questi Autori, che detta istituzione deve tener conto delle elezioni del Parlamento europeo e che essa può svolgere a tal fine appropriate consultazioni. Tuttavia, queste servirebbero semplicemente a individuare la persona più qualificata a ricoprire detta carica. In sostanza, l’iniziativa spetterebbe soltanto al Consiglio europeo e dovrebbe essere da questo esercitata senza condizionamenti esterni, al fine di conferire l’incarico al candidato maggiormente qualificato [34]-[35]. Dico subito che la tesi dell’incompatibilità con i trattati mi sembra tutto sommato debole e sprovvista di ragionevole fondamento. Anzitutto, va sottolineato che, nel sistema delineato dai trattati, il coinvolgimento di organi o istituzioni nell’iter di nomina non sottrae quest’ultimi dall’obbligo di rispettare l’autonomia della Commissione. A tal [continua ..]
Le considerazioni finora svolte consentono di trarre delle conclusioni sulla portata dell’art. 17, par. 7, TUE, nella parte in cui prevede che il Consiglio europeo propone il candidato Presidente della Commissione «tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazioni appropriate». Alcune osservazioni vanno fatte anzitutto circa la necessità di valutare le elezioni. A tal riguardo, si può dire che la richiesta, fatta da uno o più partiti, di proporre una persona già segnalata agli elettori come potenziale candidato, entra nel novero dei fattori che il Consiglio europeo deve valutare, ai sensi della citata disposizione. La proposta del candidato Presidente resta comunque una scelta discrezionale che tale istituzione opera alla luce di una pluralità di valutazioni di ordine politico, geografico e istituzionale. Tale discrezionalità è senza dubbio fortemente ristretta quando la persona indicata dai gruppi parlamentari raccoglie il consenso della maggioranza assoluta degli eurodeputati. I capi di Stato o di governo non possono infatti ignorare tale circostanza e devono convergere su quel nome, se vogliono evitare un grave conflitto istituzionale con l’Assemblea. Anche in presenza di una maggioranza parlamentare, permane tuttavia un margine di discrezionalità, sia pure molto ristretto, nel senso che il Consiglio europeo può ancora valutare se esistono ragioni, gravi e convincenti, per discostarsi dall’indicazione ricevuta; potrebbe ad esempio farlo, qualora accertasse che il nome suggerito non è in grado di raccogliere il voto della maggioranza qualificata degli Stati membri. L’eventualità che le due istituzioni coinvolte non riescano ad accordarsi immediatamente non è esclusa, anzi è espressamente prevista dall’art. 17 TUE. In tal caso, la prima fase della procedura potrebbe ripetersi, anche più volte, fino all’individuazione di un candidato condiviso, che ottenga quella doppia legittimazione democratica (dei Capi di Stato o di governo e del Parlamento europeo) che, allo stato attuale, caratterizza la nomina del Presidente della Commissione e, più in generale, il funzionamento dell’Unione. Passando alle consultazioni, va detto che, anche qui, il Consiglio europeo gode di una certa discrezionalità, visto che può valutare quali [continua ..]