The paper highlights how the rights of migrants have found strong guarantee in the case law of the Italian Constitutional Court and of the ECJ, both Courts having endorsed an evolutive interpretation of the relevant laws. By contrast, recent political events have demonstrated insufficient solidarity among Member States and the tendency to manage the immigration crisis at the intergovernmental level. The two Decisions of the EU Council establishing provisional measures in the area of international protection for the benefit of Italy and Greece, which established quotas for the relocation of persons seeking international protection, are an example of this trend.
The A. concludes by noting that an infringement procedure under art. 258 TFEU could well be opened by the Commission against Member States not complying with the two mentioned Council decisions on relocation.
I. Le criticità della normativa europea in materia di protezione internazionale. - II. Il ruolo delle Corti dei diritti nel rafforzamento e nello sviluppo delle garanzie dei diritti dei migranti. - III. L’irrituale prevalenza della componente intergovernativa nell’adozione della decisione sulla ricollocazione di richiedenti protezione internazionale dall’Italia e dalla Grecia. - IV. L’attribuzione al Consiglio delle competenze di esecuzione nella seconda decisione sulla ricollocazione di richiedenti protezione internazionale dall’Italia e dalla Grecia. - V. Gli strumenti sanzionatori per la mancata applicazione delle due decisioni. - NOTE
Una riflessione sulle garanzie dei diritti fondamentali degli stranieri con particolare riguardo al diritto dell’immigrazione e dell’asilo comporta la necessità di affrontare problematiche di diversa natura e che riflettono interessi non necessariamente convergenti. Da un lato appare infatti prioritaria la necessità di garantire assistenza umanitaria e tutele giuridiche ai profughi che fuggono da situazioni di conflitto armato di varia natura: guerre, guerre civili e altro, e più in generale dei migranti di qualsiasi tipo essi siano; d’altro lato, non può ignorarsi che è compito proprio dello Stato, inerente all’idea stessa di sovranità, il controllo delle proprie frontiere e la gestione dei flussi migratori, compito da esercitarsi nel rispetto dei vincoli di carattere internazionale ed europeo [1]. Una sia pur sommaria ricognizione della legislazione europea in materia di asilo e di protezione internazionale riflette una disciplina complessa e non priva di criticità, dove nonostante l’elevato grado di elaborazione normativa, il processo di armonizzazione lascia sussistere diversi sistemi nazionali, pur se organizzati intorno ad una serie di norme comuni [2]. E il confronto con le emergenze che hanno a più riprese caratterizzato gli ultimi anni e gli ultimi mesi (prima le primavere arabe e poi la guerra in Siria) mette in luce l’inadeguatezza del quadro europeo [3]. In questo contesto appare particolarmente significativo il ruolo svolto dalle Corti dei diritti – Corte di giustizia UE, Corte europea dei diritti dell’uomo, Corte costituzionale italiana – allo scopo di rendere più effettivo ed efficace il sistema di garanzie dello straniero; queste giurisdizioni hanno spesso fornito un’interpretazione estensiva della situazione meritevole di tutela, talvolta intervenendo sul tessuto normativo in maniera additiva, se non addirittura innovativa [4].
Al riguardo penso, in primo luogo, alla giurisprudenza della Corte costituzionale, nel suo duplice ruolo di interprete e garante dei diritti fondamentali della persona – cittadino o straniero che sia – e di giudice del riparto delle competenze tra Stato e Regioni. Sotto il primo profilo basti qui ricordare come l’approccio contenitivo e non sempre rispettoso dei diritti fondamentali della persona umana che negli anni scorsi ha caratterizzato la politica legislativa italiana in materia di ingresso e di trattamento degli stranieri ha trovato un argine rigoroso nella Corte costituzionale. Nella sua giurisprudenza la Consulta ha infatti dato generale applicazione al principio personalista, riconoscendo che anche lo straniero in quanto persona umana deve poter godere di una serie di diritti fondamentali [5]. Si tratta di quei diritti e di quelle libertà che, riguardando le esigenze fondamentali della condizione umana, hanno una dimensione universalistica che supera il limite della territorialità e prescinde dal legame di cittadinanza [6]. Ed anche dalla giurisprudenza costituzionale relativa al riparto di competenze tra Stato e Regioni emerge una lettura piuttosto restrittiva della riserva statale in materia di immigrazione in considerazione del fatto che l’intervento pubblico concernente gli stranieri non può limitarsi al controllo dell’ingresso e del soggiorno degli stessi sul territorio nazionale, «ma deve necessariamente considerare altri ambiti – dall’assistenza sociale all’istruzione, dalla salute all’abitazione – che coinvolgono molteplici competenze normative, alcune attribuite allo Stato, altre alle Regioni» [7]. Ma ancor più penso, in secondo luogo, al ruolo avuto dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nell’evoluzione del quadro normativo europeo in materia di asilo e immigrazione [8]. Nonostante la prudenza che sempre guida questa Corte nella sua attività, essa ha contribuito notevolmente a rafforzare la tutela dei diritti degli stranieri: ricordo la giurisprudenza sulla nozione di persecuzione ai fini del riconoscimento del diritto d’asilo [9] e alle relative modalità di accertamento [10]; sulla nozione di conflitto armato interno, definita in maniera autonoma rispetto al diritto internazionale [11]; su quella di Paese terzo sicuro [12]; [continua ..]
E tuttavia, a fronte di questo percorso di rafforzamento delle garanzie dei diritti degli stranieri, non si possono sottacere i numerosi elementi di preoccupazione che gli avvenimenti degli ultimi mesi hanno fatto emergere. In questo momento storico il ruolo propulsivo svolto dai giudici europei sembra rischiare di essere compromesso dalle violente spinte sovranistiche che sono manifestate, in maniera più o meno marcata, dagli Stati membri, o almeno da alcuni di essi, sulla questione dei profughi e di migranti. Al riguardo penso in particolare al modo in cui si è giunti alle decisioni sulla ricollocazione dei profughi dall’Italia e dalla Grecia verso gli altri Stati membri. Brevemente ricordo che il 27 maggio scorso la Commissione, dando seguito alla dichiarazione del Consiglio europeo del 23 aprile [20], ha presentato una proposta di decisione del Consiglio relativa a un meccanismo provvisorio di ricollocazione europeo per assistere l’Italia e la Grecia [21]. Basato sull’art. 78, par. 3, TFUE, il meccanismo comporta una deroga temporanea e obbligatoria ai criteri di competenza del regolamento (UE) 604/2013, c.d. Dublino III, in particolare al suo art. 13(1), e prevede il ricollocamento negli Stati membri, nei prossimi due anni, di 40.000 richiedenti siriani ed eritrei arrivati in Italia (24.000) e in Grecia (16.000) dopo il 15 aprile 2015, o che arriveranno dopo l’adozione della decisione. La distribuzione per Stato membro proposta dalla Commissione avrebbe tenuto conto di alcuni parametri oggettivi, quali la popolazione complessiva di ciascuno Stato, il suo PIL totale, il numero di rifugiati già presenti sul territorio nazionale nel periodo 2010-2014 e il tasso di disoccupazione [22]. Come è noto, non solo la proposta dalla Commissione non ha incontrato il favore dei Governi degli Stati membri, in particolare nella parte relativa ai criteri di redistribuzione, ma la questione ha dato luogo ad un confronto politico molto aspro. Confermando quel ruolo interventista che sempre più il Consiglio europeo è venuto ad assumere, nella riunione svoltasi il 25 e 26 giugno i Capi di Stato e di Governo hanno chiesto sì al Consiglio la rapida adozione della decisione proposta dalla Commissione, ma a tale scopo essi hanno concluso che «tutti gli Stati membri raggiungeranno un accordo per consenso entro fine luglio sulla distribuzione di [continua ..]
Ulteriore conferma della tendenza ad accentrare nelle mani della componente governativa le scelte in materia è fornita dalla seconda decisione sulla ricollocazione, adottata il 22 settembre 2015, con la quale, andando oltre la decisione del 14 settembre, è stata prevista la ricollocazione di altri 120 000 richiedenti protezione internazionale [32]. Facendo applicazione di una possibilità prevista dall’art. 291, par. 2, TFUE, questa seconda decisione attribuisce, infatti, competenze di esecuzione al Consiglio. In particolare, al fine di garantire condizioni uniformi di esecuzione della ricollocazione, il suo art. 4 stabilisce i casi in cui il Consiglio adotta, su proposta della Commissione, una decisione di esecuzione [33]. Come si è accennato la possibilità di attribuire competenze di esecuzione al Consiglio è espressamente prevista dall’art. 291, par. 2, TFUE; tuttavia, in quanto comporta una deroga alla competenza generale di esecuzione riconosciuta dai Trattati alla Commissione, la disposizione stabilisce che tale decisione deve essere limitata a «casi specifici debitamente motivati» [34]. Ed in effetti nel considerando n. 28 della decisione il Consiglio ha giustificato tale scelta «tenuto conto della natura politicamente sensibile di tali misure, che incidono sulle competenze nazionali concernenti l’ammissione dei cittadini di paesi terzi nel territorio degli Stati membri, e della necessità di potersi adattare celermente alla rapida evoluzione delle situazioni». Riservandosi tali competenze di esecuzione, il Consiglio ha dunque esercitato una facoltà espressamente prevista dal Trattato. È indiscutibile, però, che tale scelta rappresenti un ulteriore, significativo, indice del complessivo spostamento del baricentro decisionale verso la componente intergovernativa.
In conclusione, mi sembra che al fondo di entrambe le decisioni sulla ricollocazione si legga la malcelata diffidenza degli Stati membri nei confronti dei meccanismi istituzionali dell’Unione, di cui sicuramente la Commissione è il rappresentante “neutro”, e l’assenza di solidarietà reciproca e di ragionevole distribuzione delle responsabilità tra gli Stati membri; il tutto nell’illusione in cui si cullano gli Stati membri di poter governare unilateralmente un fenomeno, qual è quello dei flussi migratori, determinato da fattori e dinamiche complesse. Peraltro, gli avvenimenti recenti hanno purtroppo dimostrato che l’accentramento delle decisioni a livello governativo non vale neppure a garantirne l’applicazione effettiva: i dati EUROSTAT aggiornati al 17 novembre rilevano che sono state ricollocate 128 persone su 39.600 dall’Italia e 30 su 66.400 dalla Grecia. La ragione di ciò va probabilmente ricercata nel fatto che, a differenza della proposta della Commissione che si basava su criteri oggettivi e quindi neutri [35], l’unico criterio su cui si è fondato l’accordo raggiunto tra i Governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio gli Stati membri sulla ripartizione delle quote di persone è la non altrimenti definita «specifica situazione degli Stati membri». Ora, se è pur vero che il Consiglio europeo nella dichiarazione del 23 aprile 2015 si era limitato ad impegnarsi a «considerare opzioni per l’organizzazione di una ricollocazione di emergenza fra tutti gli Stati membri su base volontaria», resta comunque il fatto che la disponibilità manifestata nella risoluzione dei rappresentanti dei Governi degli Stati membri del 20 luglio, per la prima decisione [36], e «la volontà e la disponibilità da parte degli Stati membri» “rilevata” dal Consiglio del 22 settembre, per la seconda decisione [37], a farsi carico di una determinata quota di richiedenti protezione internazionale sono state formalizzate nelle decisioni del Consiglio del 14 e del 22 settembre, rendendo per ciò stesso tali quote vincolanti. Si è infatti in presenza di due atti normativi del Consiglio dell’Unione europea adottati sulla base dell’art. 78, par. 3, TFUE produttivi di effetti [continua ..]