This article analyses the election of Jean-Claude Juncker as President of the European Commission. For the first time since the entry into force of the Lisbon Treaty, it took place, on July 2014, under the new procedure provided by article 17 par. 7 of the Treaty on European Union. Pursuing the aim to strengthen the role of the European Parliament and its relation with the European Commission, it states that the President of the Commission is proposed by the European Council taking into account the elections of the European Parliament and after having held the appropriate consultations. As consequence, the main European Political Parties have appointed the Person to be proposed as President of the European Commission, the Spitzenkandidaten, in case of electoral success. The election of Juncker gives the chance to examine in depth the legal aspects of the new rule and the political-institutional impact it is likely to have on the governance of the European Union. In fact, although the role of the European Council is still relevant, the new procedure makes the election of the President of the European Commission more democratic and transparent.
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I. Premessa - II. L'evoluzione del procedimento di nomina del presidente della Commissione europea - III. Le proposte volte a parlamentarizzare il procedimento - IV. La disciplina prevista dal Trattato di Lisbona del 2007 - V. L'indicazione di Spitzenkandidaten nelle elezioni europee del 2014. Luci ed ombre del meccanismo - VI. Il procedimento che ha portato all'elezione di Jean-Claude Juncker: a) la proposta da parte del Consiglio europeo - VII. (Segue): b) l'elezione da parte del Parlamento europeo - VIII. Considerazioni conclusive: le conseguenze sulla governance europea della prima applicazione dell'art. 17, par. 7, TUE - NOTE
Le elezioni del Parlamento europeo del 2014 – le prime nella vigenza del Trattato di Lisbona del 2007 – rivolte a circa 382 milioni di elettori di 28 Stati membri, rappresentanti i 507 milioni di abitanti degli Stati membri dell’Unione europea – hanno comportato una significativa novità nel processo di selezione e nomina del presidente della Commissione europea [2]. Come vedremo, il detto Trattato, nel solco della lunga e significativa evoluzione che ha contrassegnato le modalità di nomina di tale figura istituzionale, ha dato ulteriore peso al Parlamento europeo, prevedendo all’art. 17, par. 7 del Trattato sull’Unione europea (TUE) che la scelta del Consiglio europeo circa la personalità da proporre al Parlamento europeo sia effettuata “tenuto conto delle elezioni europee”. Conseguentemente, la maggior parte dei partiti politici europei hanno designato la personalità che, in caso di loro successo elettorale, avrebbero proposto per la carica di presidente della Commissione europea (i c.d. Spitzenkandidaten) [3]. Cosicché lo stesso Parlamento europeo ha coniato per la competizione elettorale del 22-25 maggio 2014 lo slogan “questa volta è diverso” [4], con la finalità di presentare questo esercizio come il primo davvero politico e democratico per l’Unione. Nel presente lavoro ci si propone – tenendo presente segnatamente l’evoluzione della normativa e la relativa prassi di riferimento – di esaminare la procedura seguita sia nell’elezione di Jean-Claude Juncker a presidente della Commissione europea, avvenuta il 15 luglio 2014, sia nella nomina dell’intero Collegio da parte del Consiglio europeo, che ha avuto luogo il 23 ottobre 2014, previa approvazione del Parlamento europeo. Saranno valutati, in particolare, gli aspetti giuridici implicati dalla prima applicazione delle nuove regole previste dal Trattato di Lisbona del 2007, anche sotto il profilo dell’impatto politico-istituzionale che esse sono suscettibili di spiegare sugli assetti più complessivi di governance dell’Unione europea.
Come si diceva, il procedimento di nomina del presidente della Commissione europea ha conosciuto nel tempo significative modifiche [5]. Originariamente, i membri dell’Alta Autorità della CECA, insediatasi il 10 agosto 1952, come i membri della Commissione della CEE e quelli della Commissione dell’EURATOM, che hanno cominciato ad operare dal 1° gennaio 1958, erano nominati, per un mandato di quattro anni, “di comune accordo”, cioè all’unanimità, dai governi degli Stati membri riuniti nel quadro di una conferenza dei loro rappresentanti, vale a dire in una riunione di organi statali; tra questi nominati, il presidente ed i vicepresidenti erano parimenti scelti dai governi degli Stati membri, sentito il Collegio per un mandato di due anni [6]. Queste regole – più adatte alla scelta dell’organo individuale di vertice di un ente internazionale che al capo di un Esecutivo [7] – furono mantenute dal Trattato di fusione degli Esecutivi del 1965, che ha creato una Commissione unica per le tre Comunità europee [8]. Il detto accordo fra i governi degli Stati membri fu preso a margine del Consiglio europeo (a partire dalla designazione nel 1976 di Roy Harris Jenkins da parte del Consiglio europeo del 12-13 luglio 1976) [9], in una logica dunque del tutto intergovernativa, senza praticamente coinvolgere il Parlamento europeo né nella procedura di designazione e nomina del presidente né in quella del resto del Collegio. Vale la pena notare pure che gli autori dei Trattati originari, nell’affidare la nomina ad una conferenza dei rappresentanti degli Stati membri, piuttosto che al Consiglio, avevano voluto “evitare, a garanzia formale della reciproca autonomia delle istituzioni, che la nomina di una di esse dipendesse dalla volontà dell’altra” [10]. Nonostante che il Parlamento europeo avesse rivendicato fin dal rapporto dell’on. Maurice Faure sulla fusione degli esecutivi del 1961 [11] il proprio potere di investitura e con il rapporto dell’on. Hans Furler del 1963 [12] si fosse spinto sino ad affermare il proprio diritto di scelta su di una rosa di nomi presentata dai governi e con il rapporto del 25 marzo 1972 del gruppo ad hoc per l’esame dei problemi di accrescimento delle competenze del Parlamento europeo, presieduto da George Vedel, avesse [continua ..]
Vale la pena di ricordare che la proposta volta a maggiormente valorizzare il ruolo del Parlamento europeo nel procedimento di selezione del presidente della Commissione si collega, da un lato, a pregresse proposte di esponenti politici europei volte a rafforzare il circuito della rappresentanza politica europea ed il rapporto tra Parlamento europeo e Commissione europea e, dall’altro, a prese di posizione tanto della Commissione europea che del Parlamento europeo. La questione è stata pure oggetto di adeguata attenzione da parte di noti studiosi ed osservatori del processo di integrazione europea [32]. Quanto alle proposte concernenti l’individuazione di candidati per la presidenza della Commissione europea, vale la pena di menzionare, anzitutto, che un suggerimento in tal senso venne avanzato fra i primi da Jacques Delors nel corso degli anni novanta e venne ripreso nel 1998 da Tommaso Padoa-Schioppa [33]. La dichiarazione adottata dal Consiglio europeo di Laeken del 14-15 dicembre 2001 ribadì il concetto di deficit democratico riguardo alla procedura di nomina del presidente della Commissione europea [34]. L’idea degli Spitzenkandidaten fece la sua comparsa, probabilmente per la prima volta in forma compiuta [35], nel progetto predisposto dal partito popolare europeo (PPE) in previsione della Convenzione sul Futuro dell’Europa, che venne approvato il 15 ottobre 2002 dal congresso tenuto ad Estoril [36]. Infatti, il punto 47 del documento denominato “A Constitution for a Strong Europe” prevedeva che “a candidate for the President of the European Commission should be proposed to the European Parliament by the European Council in light of the outcome of European elections, and by qualified majority vote. The European Parliament should give or withhold its approval by majority vote. This would give European political parties the opportunity to present their own candidates in the framework of the campaign for European elections. It would ensure a more personalised election campaign and increase democratic control and support of the European Commission”. La Convenzione sul Futuro dell’Europa, riunitasi sotto la presidenza di Valery Giscard d’Estaing dall’ottobre 2002 al luglio 2003, affrontò pure il tema delle modalità di nomina del presidente della Commissione. In proposito vale la pena di ricordare la [continua ..]
Come detto, il Trattato di Lisbona ha ulteriormente rafforzato la posizione del Parlamento europeo nel procedimento decisionale che porta alla scelta del presidente della Commissione europea. Il menzionato art. 17, par. 7, TUE – richiamando pressoché testualmente, come segnalato, l’art. I-26 del progetto di Costituzione europea e l’analogo art. I-17 del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa – infatti, ha modificato la procedura di scelta del presidente della Commissione. La disposizione stabilisce che “tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazioni appropriate, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione. Tale candidato è eletto dal Parlamento a maggioranza dei membri che lo compongono. Se il candidato non ottiene la maggioranza, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone entro un mese un nuovo candidato, che è eletto dal Parlamento europeo secondo la stessa procedura” [51]. Vanno notati, anzitutto, taluni aspetti, apparentemente terminologici, ma che hanno in realtà indubbia valenza istituzionale e politica. In primo luogo, la designazione del candidato presidente è competenza intestata al Consiglio europeo, ormai a pieno titolo istituzione dell’Unione e non più al Consiglio riunito nella formazione a livello dei Capi di Stato e di governo, come previsto prima delle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona. In secondo luogo, la designazione stessa ha propriamente natura di “proposta”. In terzo luogo, il Parlamento europeo, che ha appena raccolto il proprio suffragio diretto, non “approva” più la designazione fatta dal Consiglio europeo ma “elegge” [52] il presidente della Commissione europea, con la conseguenza, dal valore non soltanto “simbolico” [53], che la legittimità dell’azione della Commissione europea riposa ugualmente sulle elezioni europee, il che “traduce meglio il carattere democratico e la natura politica della scelta del presidente” [54]. In terzo luogo, per questa “elezione” occorre che il Parlamento europeo deliberi a maggioranza assoluta, il che non solo innalza il quorum deliberativo rispetto alla maggioranza semplice dei voti espressi [continua ..]
Sebbene gli indicati strumenti adottati dal Parlamento europeo (risoluzioni) o dalla Commissione europea (discorsi del presidente, comunicazioni e raccomandazione) abbiano un mero valore politico e non si traducano in atti giuridicamente vincolanti sia per quanto concerne gli Stati membri sia con riguardo ai partiti politici nazionali ed europei e sebbene il Consiglio dell’Unione (né tantomeno il Consiglio europeo) non abbiano raccolto gli inviti rivoltigli in proposito dalla Commissione europea e dal Parlamento europeo volti a concludere un accordo inter-istituzionale per regolare quelle “consultazioni appropriate” di cui fa menzione l’art. 17, par. 7, TUE, nondimeno la logica del collegamento tra elezioni europee e designazione della personalità cui affidare la guida della Commissione europea, che risulta dai documenti richiamati, è molto chiara e non è affatto neutra dal punto di vista istituzionale. Essa, infatti, è suscettibile di incidere sul modello di governance nell’Unione europea. Come noto, negli anni scorsi, complice la grave crisi economica e finanziaria, il sistema di governo dell’Unione europea ha visto notevolmente rafforzata l’istanza intergovernativa rappresentata dal Consiglio europeo e dal Consiglio, mentre il ruolo motore a carattere sovranazionale della Commissione europea si è molto appannato, nonostante gli ulteriori compiti di controllo che le sono stati affidati sui comportamenti devianti degli Stati membri, specie nelle materie di natura economico-finanziaria. Ora, con l’elezione del suo presidente da parte del Parlamento europeo scelto sulla base di candidature previamente conosciute durante la campagna elettorale, la Commissione vede rafforzata la sua responsabilità politica di fronte all’istituzione parlamentare con la conseguenza di una maggiore legittimazione democratica dello stesso processo d’integrazione europea [65]. Di più, come non si è mancato di rilevare, la Commissione europea tende ad evolvere verso “un soggetto di indirizzo politico amministrativo più affine agli equilibri delle forze politiche rappresentate in Parlamento” [66]. Inoltre, appare evidente che le candidature avanzate dai partiti politici europei sono suscettibili di innervare il rapporto con i partiti politici nazionali ed anche di svolgere una funzione di acceleratore [continua ..]
A seguito della consultazione elettorale sono quindi iniziati il 27 maggio 2014 gli incontri ed i colloqui per dare un successore al presidente Barroso. A muovere per primo è stato il Parlamento europeo che, nella mattinata del 27 maggio 2014, ha riunito la conferenza dei presidenti dei gruppi politici dell’uscente Parlamento per valutare l’esito delle elezioni ed individuare la personalità che potesse raccogliere la maggioranza necessaria per l’elezione. Alla riunione, presieduta dal presidente del Parlamento, nonché candidato dei socialisti Martin Schulz, hanno partecipato i rappresentanti di tutti i gruppi (Joseph Daul per il PPE, Hannes Swoboda per i S&D, Guy Verhofstadt per l’ALDE, Rebecca Harms per i Verdi, Gabriele Zimmer per la Sinistra Unitaria, Martin Callana (ECR) e Nigel Farage, leader dell’UKIP e capo del gruppo euroscettico EFDD. Con i soli voti contrari di Farage e Callana la conferenza dei capigruppo, conformandosi alla menzionata risoluzione del luglio 2013 ed alla richiamata dichiarazione comune dell’aprile 2014 delle tre principali forze politiche (PPE, S&D e ALDE) ha indicato in Jean-Claude Juncker, candidato del PPE, partito che ha ottenuto il maggior numero di seggi (anche se con una notevole diminuzione rispetto al 2009), la prima persona cui dovesse essere data la possibilità di ricercare le maggioranze prescritte [91]. Nella decisione, che è stata comunicata da Daul e Swoboda, rispettivamente capigruppo delle due formazioni maggiori (PPE e S&D) in una lettera al presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, il Consiglio europeo è stato invitato “a cominciare le consultazioni inter-istituzionali” [92]. Inoltre, nel pomeriggio, si sono riuniti a Bruxelles sia i popolari europei che i socialisti e democratici, anch’essi per valutare le prospettive dell’Unione alla luce dei risultati elettorali. La cancelliera Merkel ed il primo ministro spagnolo Rajoy nella riunione del PPE hanno confermato la candidatura di Juncker, pur prendendo atto che nessuno dei gruppi politici aveva ottenuto da solo la maggioranza. La linea dei socialisti, illustrata dal capogruppo uscente Swoboda e dallo stesso Schulz, è stata di sostegno alla candidatura Juncker, purché avesse presentato un programma incentrato sulla crescita, la lotta alla disoccupazione e all’evasione fiscale e orientato ad un maggior controllo [continua ..]
(Segue). Il primo punto del pacchetto di nomine si è concretizzato il 1° luglio 2014. Martin Schulz, infatti, è stato rieletto [106] presidente del Parlamento europeo al primo scrutinio con 409 voti su 751, allorché il quorum richiesto era di 376 voti, da una maggioranza comprendente popolari, socialisti e liberali, accreditata tuttavia sulla carta di 479 parlamentari. Juncker ha presentato il suo programma a Strasburgo davanti ai gruppi politici del Parlamento europeo l’8 e 9 luglio 2014, in sette riunioni separate di circa due ore e mezza ciascuna, adattando, da consumato politico, quasi fosse uno “Zelig europeo” [107], il proprio linguaggio a seconda degli interlocutori: liberista con i liberali, sociale, con tratti da sindacalista, con i socialcomunisti (accusando i socialdemocratici, non senza qualche fondamento, di aver inventato l’austerità con Blair e Schroeder), flessibile con i socialdemocratici, ha difeso l’efficienza energetica nella riunione con i verdi, è apparso naturalmente universalista con i popolari; con i conservatori britannici, poi, ha smentito di essere o essere stato un federalista ed ha fatto chiaramente trasparire di essere sensibile alle preoccupazioni britanniche per il futuro dell’Europa e quanto alla governance della Commissione europea. Peraltro, nel discorso pronunciato prima del voto, dai temi marcatamente europeisti, Juncker ha indicato che il suo programma sarà centrato su 10 settori principali. Al primo posto, significativamente, figura un progetto ambizioso per l’impiego, la crescita e gli investimenti, che prevede la mobilizzazione di un piano straordinario di investimenti supplementari pubblici e privati nell’economia reale, soprattutto in infrastrutture di trasporto, nell’istruzione, la ricerca, l’innovazione e le energie rinnovabili, per 300 miliardi in tre anni, da finanziare attraverso la BEI. In questo contesto Juncker ha ribadito che la nuova Commissione non modificherà il Patto di stabilità e crescita, ma comunque continuerà ad applicarlo in maniera flessibile, a seconda delle circostanze, secondo le regole modificate nel 2005 e nel 2011, non diversamente da quanto fatto dalla Commissione Barroso II. Al secondo posto Juncker ha posto il mercato unico del digitale, rispetto al quale intende incidere sulle barriere nazionali in [continua ..]
L’elezione di Juncker a presidente della Commissione europea non ha prodotto quel temuto cortocircuito istituzionale tra Consiglio europeo e Parlamento europeo che molti osservatori avevano paventato nel caso in cui il Consiglio europeo avesse proposto un candidato diverso. Occorre anzi riconoscere che le due istituzioni politiche hanno agito nel pieno rispetto del principio di leale cooperazione cui d’altra parte sono obbligate ai sensi dell’art. 13, par. 2, ult. frase TUE ed il cui rispetto potrebbe essere pure controllato dalla Corte di giustizia qualora fosse investita da un ricorso contro l’atto di nomina del Presidente della Commissione viziato per violazione del detto principio. Il metodo seguito nella individuazione di Juncker da parte del Consiglio europeo e nella elezione del medesimo da parte del Parlamento europeo è stata oggetto di opposte valutazioni. Per taluni ha segnato la vittoria degli elettori e del Parlamento europeo nei confronti di un Consiglio europeo riluttante, costretto ad accettare in modo praticamente automatico di proporre al Parlamento europeo lo Spitzenkandidat del partito politico europeo più votato alle elezioni europee, accogliendo per di più il suggerimento in tal senso proveniente dai gruppi politici del Parlamento europeo. Per altri non si è affatto tradotto in una sorta di “colpo di Stato” contro gli Stati nazionali, democraticamente rappresentati nel Consiglio europeo, i quali continuano a guidare sia il processo di selezione del presidente della Commissione sia la effettiva governance dell’Unione europea. Entrambe le valutazioni paiono eccessive. Invero, l’elezione di Juncker non costituisce certamente né una disfatta degli Stati membri né il passaggio verso una forma di governo parlamentare dell’Unione europea nella quale il presidente della Commissione europea assume il ruolo di un primo ministro [131]. Il vero cambiamento di indirizzo istituzionale si è verificato con l’aver reso la procedura di selezione del presidente della Commissione più trasparente, se non più democratica e di averla sottratta ai negoziati a porte chiuse nell’ambito del Consiglio europeo [132], che hanno subìto certamente nell’occasione un colpo mortale. In tal senso è assolutamente esatto affermare che il metodo [continua ..]