The present paper provides an in-depth analysis of EU Council presidency system set up by the Lisbon Treaty. The plurality that characterises the traditional rotating presidency (as many presidents as are the configurations and the preparatory groups of the EU Council) has now become particularly complex. Since the Lisbon Treaty not only the rotating presidency is formally organized of groups of three Member States sharing the presidency of EU Council’s configurations for 18 months (trio presidency); but the presidency of some configurations and preparatory bodies has been entrusted to elected chairs (such as the High Representative of the Union for Foreign Affairs and Security Policy presiding CFA and its preparatory filière, the chairs of several committees operating in the financial sector or the CFSP) or institutional chairs (such as representatives of the Secretary-General presiding a few working groups).
The goal was the search for a balance between rotation and continuity instances in the functioning of the Council presidency. The result is a reduction of the functions of the rotating presidency: the external representation of the Council is now up to the High Representative; the trio of presidencies limits the programmatic autonomy of the acting presidency.
Nevertheless, the rotating presidency has increased its responsibilities in the management of the negotiation within the Council. And thanks to the trilogues under the ordinary legislative procedure, it has taken on a key role in the EU decision-making process, where its power is necessarily placed at the service of the Union. This makes it the most institutional presidency among the different presidencies of the European Union.
I. Una presidenza plurale. - II. Una pluralità anche soggettiva. - III. Alla ricerca della continuità nella gestione della presidenza: dalla collegialità … - IV. (Segue). … alla contaminazione con presidenze stabili. - V. Cosa rimane dell’impianto originario: una presidenza delle sole formazioni del Consiglio? - VI. I compiti della presidenza. - VII. Una presidenza al servizio dell’interesse dell’Unione. - NOTE
Per analizzare nella giusta prospettiva il ruolo e le modalità di funzionamento della presidenza del Consiglio dell’Unione europea si deve necessariamente partire da una premessa. A differenza dalle altre istituzioni dell’Unione, il Consiglio non ha un presidente o quanto meno una presidenza unitaria, ma una pluralità di presidenti o, se si preferisce, una presidenza plurale. Plurale, la presidenza del Consiglio lo è in effetti da vari punti di vista. Lo è innanzitutto sotto il profilo della sua caratterizzazione formale. Essa è infatti parzialmente condivisa dagli Stati con una figura istituzionale, dato che con il Trattato di Lisbona la tradizionale presidenza, fin dalle origini riservata, a rotazione, a ciascuno degli Stati membri, è stata amputata di un “pezzo” non certo irrilevante. L’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza è diventato, per disposizione espressa dell’art. 18, par. 3, TUE, il presidente della formazione “Affari esteri” del Consiglio. La conseguenza è così che all’interno di un’istituzione pur sempre unitaria si trovano singolarmente a convivere oggi una presidenza statale e ruotante con una, per quanto limitata a una formazione specifica, a carattere istituzionale e per di più stabile. Mentre, infatti, la presidenza degli Stati è basata su un avvicendamento tra di essi in questo ruolo per periodi, come vedremo, brevi, quella dell’Alto Rappresentante ha una durata decisamente più lunga, visto che il suo mandato è fissato implicitamente in cinque anni [2]. Situazione dal punto di vista formale senz’altro singolare, dato che questa frammentazione della presidenza [3] non ha fatto appunto venir meno l’unitarietà dell’istituzione. Ma, a ben guardare, la presidenza del Consiglio si caratterizza formalmente come plurale, seppur da un altro punto di vista, anche avendo riguardo alla sua sola componente statale, visto che la presidenza degli Stati è oggi formalmente organizzata, in applicazione ugualmente del Trattato di Lisbona, su un sistema di presidenza collegiale o di gruppo, che dir si voglia. Se l’art. 16, par. 9, TUE, si limita in effetti a disporre, oggi, che “la presidenza delle formazioni del Consiglio, ad eccezione della formazione “Affari esteri”, è esercitata dai [continua ..]
Indipendentemente dalla sua “pluralità istituzionale”, e da quella “organizzativa” della sua componente statale, la presidenza del Consiglio si presenta poi come plurale anche dal punto di vista, per così dire, “soggettivo”. Con l’eccezione, ora, del presidente della formazione “Affari esteri”, non vi è infatti, nel caso del Consiglio, una diretta identificazione della presidenza con una specifica persona. Ciò è la conseguenza non tanto del fatto che la presidenza sia statale – sarebbe ben possibile, come in effetti si vedrà essere per alcune limitate istanze del Consiglio [6], che anche in presenza di una presidenza di questa natura lo Stato che ricopre la presidenza sia rappresentato in tale funzione sempre dalla stessa persona –, ma piuttosto della struttura stessa dell’istituzione. Dato che il Consiglio si riunisce in più formazioni omogenee per materia [7], non c’è un presidente del Consiglio, ma tanti presidenti quante sono le formazioni in cui lo stesso si riunisce, visto che nel quadro della presidenza statale chi presiede cambia per ciascuna di esse in funzione della competenza della specifica formazione e della titolarità delle corrispondenti competenze in seno al governo dello Stato che assicura in quel momento la presidenza. Quando si lascia il livello ministeriale, questa “pluralità soggettiva” della presidenza diventa peraltro ancora più complessa. La complessità deriva solo in parte dal fatto che il Consiglio è articolato oltre che in dieci formazioni ministeriali di diversa competenza materiale, anche in più istanze preparatorie di diversa collocazione gerarchica (COREPER, comitati, gruppi di lavoro), ognuna delle quali è affidata alla presidenza di persone diverse [8]. Anche ora, che la tradizionale presidenza statale del Consiglio è stata integrata dalla presidenza istituzionale dell’Alto Rappresentante, il sistema rimane infatti basato, come regola generale, su un principio di unitarietà della presidenza, nel senso che la presidenza delle istanze preparatorie riflette quella del livello ministeriale [9]. In altri termini, mentre la presidenza del Comitato politico e di sicurezza [10] e delle altre istanze più direttamente coinvolte nella preparazione dei lavori della [continua ..]
Se nella sua impostazione di base quest’ultima forma di “pluralità” (tanti presidenti quante sono le formazioni e le istanze preparatorie che compongono l’istituzione) ha caratterizzato il sistema della presidenza del Consiglio fin dalle origini, gli altri profili della sua “pluralità” sono il frutto dell’evoluzione che quell’assetto originario ha conosciuto nel tempo, e che ha trovato il suo punto d’arrivo (non necessariamente definitivo) nel Trattato di Lisbona [26]. Questa evoluzione è stata marcata, infatti, da due spinte contrastanti: la volontà di preservare il diretto coinvolgimento degli Stati nella gestione della presidenza e la necessità di assicurare alla stessa una maggiore stabilità e continuità. Il sistema della presidenza statale a rotazione è nato in effetti con l’idea di garantire al contempo il carattere rappresentativo della funzione presidenziale e l’uguaglianza degli Stati nell’esercizio di questa: erano gli stessi Stati a dover gestire la presidenza dell’istituzione intergovernativa, avvicendandosi in quella funzione sulla base di una rotazione semestrale e paritaria [27]. Non appena, però, l’Unione europea ha visto crescere i suoi membri, ha cominciato a evidenziarsi l’esigenza di aggiustamenti di quel sistema. Soprattutto in alcuni settori di funzionamento dell’Unione, infatti, la presidenza ruotante appariva sempre meno in grado di garantire la continuità di programmazione politica e di indirizzo gestionale che quegli stessi settori richiedevano; tanto più che la brevità di ogni mandato presidenziale non era più nemmeno parzialmente compensata, come alle origini, da un avvicendamento ravvicinato tra un numero ridotto di Stati ispirati da una comune visione del processo d’integrazione europea e capaci di assicurare una gestione della presidenza in grado di dare sostanza a quella visione [28]. La sintesi tra continuità e rotazione è stata perciò cercata, come abbiamo visto, “iniettando” alcuni elementi della prima (collegialità, presidenze istituzionali o elettive) in un sistema, quello della presidenza semestrale, che in ogni caso, immedesimando à tour de rôle ciascuno degli Stati con i meccanismi e le modalità di funzionamento del Consiglio e [continua ..]
(Segue). La reale novità scaturita dagli aggiustamenti progressivamente impressi all’originario sistema di presidenza statale del Consiglio finisce per essere così la sua sempre maggiore “contaminazione” con forme di presidenza stabili. In alcuni casi si è trattato, in effetti, di una semplice contaminazione, com’è ad esempio avvenuto – lo si è poc’anzi visto – con l’affidamento sempre maggiore a figure istituzionali o elettive della presidenza di istanze che preparano i lavori di formazioni del Consiglio rimaste sotto la responsabilità della presidenza statale di turno. In altri casi, invece, quella contaminazione, avendo investito lo stesso livello ministeriale del Consiglio, si è tradotta anche in una sostanziale riduzione del perimetro originario della presidenza statale di questo, nel senso che attraverso essa si è finito per sottrarre alla presidenza statale anche settori di azione che rientravano prima nelle sue responsabilità. Anche qui va però operato un distinguo. Questa riduzione non è stata unicamente l’effetto di un intervento diretto sul sistema della presidenza del Consiglio, e quindi del passaggio formale di una formazione del Consiglio sotto una presidenza stabile, come nel caso del trasferimento all’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza della presidenza del Consiglio “Affari esteri”. Certo, qui la riduzione del perimetro della presidenza statale è stata più evidente sul piano formale e più significativa sul piano sostanziale. Con quel trasferimento, infatti, si è finito per sottrarre alla presidenza statale del Consiglio un pezzo significativo del suo precedente raggio d’azione. Sono cioè passate nelle mani dell’Alto Rappresentante non solo la gestione del processo decisionale dell’Unione in questa materia, ma anche le responsabilità della rappresentanza esterna dell’Unione precedentemente spettanti alla presidenza statale di turno; responsabilità che risultano peraltro ulteriormente intaccate, ad altro livello di rappresentanza, dalla sostituzione, ugualmente dovuta al Trattato di Lisbona, del presidente “statale” del Consiglio europeo con un presidente eletto. Dove infatti, in precedenza, era la presidenza di turno ad affiancare la Commissione nella rappresentanza [continua ..]
In un quadro quale quello appena descritto, in che misura la presidenza del Consiglio può dirsi cambiata rispetto all’impianto delle origini? Una prima risposta è che, pur a fronte di una sua accresciuta pluralità, essa continua a configurarsi, nella sostanza, come una presidenza statale basata su una rotazione semestrale ed egualitaria tra tutti gli Stati membri. Una presidenza statale, però, ridimensionata nel suo significato politico, avendo perso il contributo diretto alla sua gestione a Bruxelles di quelli che tradizionalmente erano i protagonisti politici principali di una presidenza statale [40], il capo del governo e il ministro degli esteri, i quali hanno visto dopo Lisbona dissolversi, unici nella compagine governativa, il ruolo precedentemente giocato durante il semestre: il secondo, escluso anche dal Consiglio europeo [41], è ridotto a gestire la delegazione nazionale al Consiglio “Affari esteri”; al primo è rimasta la sola vetrina del Parlamento europeo, in occasione del tradizionale discorso di avvio presidenza dinanzi all’assemblea di Strasburgo. E allo stesso tempo, perciò, una presidenza statale ridimensionata anche nel suo significato istituzionale, perché oggi essa è certamente ancor meno raffigurabile, secondo quella che è una diffusa interpretazione mediatica e, allo stesso tempo, la tradizionale narrazione dei governi, come la presidenza dell’Unione. In estrema sintesi, potrebbe anzi dirsi che quella che pretendeva di essere appunto la presidenza dell’Unione è in realtà ridotta, oggi, a essere la presidenza di alcune formazioni del Consiglio. Per quanto possa sembrare eccessivamente riduttiva, questa raffigurazione dà efficacemente conto dei due principali mutamenti subiti dall’impianto originario. Di uno abbiamo appena parlato: il venir meno di qualsiasi proiezione esterna della presidenza statale, con la conseguente concentrazione delle sue funzioni unicamente sulla gestione dei lavori del Consiglio. L’altro può essere senz’altro indicato, invece, nel sostanziale ridimensionamento della sua capacità di indirizzo programmatico dell’azione del Consiglio. Per la verità, fin dalle origini la durata semestrale del turno di presidenza ha rappresentato un ostacolo per un efficace esercizio di quella capacità, per l’evidente [continua ..]
A fronte del quadro appena delineato diventa quindi difficile raffigurare oggi la presidenza in termini diversi da quelli, peraltro usati oggi proprio dal Trattato, di “presidenza delle formazioni del Consiglio” [51]. Amputata di qualsiasi proiezione esterna e priva di un’effettiva possibilità di orientare l’azione del Consiglio oltre l’orizzonte temporale del suo mandato, la presidenza statale vede infatti il suo ruolo risolversi, oggi, in una funzione essenzialmente di gestione, per l’arco dei sei mesi di mandato, dei lavori di quelle formazioni. E del resto esclusivamente in questa chiave ne disciplina i compiti lo stesso Regolamento interno dell’istituzione. A dar conto a questo, infatti, tali compiti sembrano esaurirsi nella responsabilità di convocare le riunioni del Consiglio e delle sue istanze preparatorie (art. 1, parr. 1 e 5, comma 2); di stabilire e strutturare l’ordine del giorno delle une e delle altre (art. 3); di disciplinare le modalità di svolgimento delle discussioni (art. 20); e di decidere, infine, il passaggio al voto a livello di Consiglio o di COREPER [52], eventualmente proponendo il ricorso, a questo fine, alla procedura scritta (artt. 11 e 12). Né vale ad ampliare di molto questo raggio d’azione della presidenza statale il fatto che spetti ad essa anche la rappresentanza del Consiglio dinanzi al Parlamento europeo e alle sue commissioni nelle materie di competenza del Consiglio (art. 26) [53]; o che, per espressa previsione, questa volta del Regolamento interno del Consiglio europeo, «il membro del Consiglio europeo che rappresenta lo Stato membro che esercita la presidenza del Consiglio presenta al Parlamento europeo le priorità della sua presidenza e i risultati raggiunti durante il semestre» (art. 5, 3° comma). Nel primo caso, la rappresentanza assicurata dalla presidenza finisce per essere principalmente una proiezione, nel rapporto con il Parlamento, delle questioni oggetto di trattazione nelle formazioni del Consiglio [54]; nel secondo caso, la “prerogativa” riconosciuta al capo di Stato o di governo dello Stato membro cui spetta la presidenza di turno ha all’evidenza un significato di carattere più politico che istituzionale, tanto che il suo riconoscimento suona più che altro come una compensazione della perdita da parte di quel membro del Consiglio europeo [continua ..]
E invece, pur se essenzialmente orientato alla gestione delle riunioni delle diverse formazioni del Consiglio, il ruolo della presidenza va in realtà ben al di là degli adempimenti procedurali formalmente previsti dal Regolamento interno [58]. Essa è diventata, infatti, sempre più un protagonista attivo del negoziato in seno al Consiglio sulle proposte della Commissione. Dal suo impulso dipende l’avanzamento o meno di questo, sia in termini temporali, che di merito. Di per sé, ciò è in realtà connaturato alla natura stessa di una funzione presidenziale esercitata all’interno di un organo collegiale, la cui volontà deve formarsi sulla base di maggioranze complesse, se non addirittura dell’unanimità dei suoi membri. Ma con la crescita del numero di questi, ha finito inevitabilmente per crescere anche la responsabilità al riguardo della presidenza del Consiglio. Essa non deve più solo fare da arbitro tra le posizioni delle delegazioni, ma sempre più costruire anche le soluzioni di mediazione capaci di coagulare quelle maggioranze e di portare quindi a buon esito il negoziato tra i membri del Consiglio [59]. Non a caso, questo è ormai di regola scandito dai c.d. “compromessi della presidenza”, vere e proprie riscritture della proposta originaria della Commissione (o di parte di essa) che la presidenza formula in prima persona (seppur in consultazione con la stessa Commissione) alla luce delle posizioni espresse nel corso del negoziato [60]. Questa prassi sottolinea già di per sé il ruolo tutt’altro che marginale della presidenza del Consiglio per il funzionamento non solo di questo, ma della stessa Unione, visto che del processo decisionale di questa, pur nelle sue diverse varianti, il Consiglio è comunque il vero e proprio centro di gravità [61]. Ma tale ruolo è oggi ancor più valorizzato dal fatto che esso si esplica in effetti anche all’esterno del Consiglio, grazie ai compiti che sono stati attribuiti alla presidenza nel dialogo tra questo e il Parlamento europeo nel quadro della procedura legislativa ordinaria. È noto infatti che con il crescere dell’ambito di applicazione della procedura legislativa ordinaria, Parlamento, Consiglio e Commissione hanno concordato delle modalità pratiche di gestione di questa [62], volte ad [continua ..]